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Autore: V a l y    16/12/2006    5 recensioni
Storia nata da una vecchia fantasia dell'autrice per una coppia fuori dalla norma. Due ragazzi che avendo in comune la stessa causa si ritrovano insieme: il rosso e la cinese. Tengo veramente tanto a questa storia, sarei felicissima se magari mi aiutaste con commenti e consigli *.*
CAPITOLO 30. [Quella mattina, la famosa domenica successiva alla notte di baldoria nel quale le ragazze del passaggio a livello erano andate a trovare i balordi del covo dell’est, non fu niente di tutto questo a svegliare prematuramente Xiaoyu. Non erano stati gli schiamazzi, la musica, lo sferragliamento di nuove casse di liquori che venivano strusciate di peso sulla ghiaia. Fu lo strano, inusuale suono prolungato del clacson di un camion, un rumore assolutamente sconosciuto alla clausura della periferia est da ogni attività urbana.]
EDIT. Al solito ho inserito un'illustrazione fatta da me dopo aver aggiornato la fic. La trovate a inizio capitolo 30!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hwoarang, Ling Xiaoyu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella mattina, Xiaoyu si assentò da scuola.
Non si sentì risposta quando il professore la chiamò per nome e cognome annotando nel registro di classe la sua mancanza. Miharu guardò preoccupata il banco vuoto dell'amica, non riuscendo a capacitarsi di come mai avesse quello strano comportamento; era la prima volta che Ling Xiaoyu saltava così soventemente le giornate scolastiche. Concentrò la sua attenzione sulla spiegazione che si teneva in aula, riuscendo a stento a seguire l'imperatore Meiji nelle sue storiche conquiste asiatiche che il professore, con grande enfasi, raccontava agli alunni.
La ragazza con le lentiggini nulla sapeva di quel che era accaduto all'amica, né della morte del suo maestro, né della sua aggregazione con il gruppo di malviventi della periferia Est e né tanto meno della sua nuova, mostruosa rivelazione su Jin. Neanche quest'ultimo, che occupava il banco di fianco alla cinese, era presente in classe. Ma il professore era ormai così abituato alle sue assenze e alle strane raccomandazioni che portavano i colleghi sui suoi familiari, possessori di un cognome troppo noto e potente per chiunque, che non ci faceva più caso. Alla fine, tutti gli consigliavano la stessa cosa: di stare alla larga il più possibile dalle sue faccende.
Jin aveva effettuato così tante assenze che il registro di classe portava una lunga macchia nera orizzontale su tutta la fila del suo cognome. Ma per loro era una macchia quasi invisibile.
La cinese - presente in un altro luogo, la tana dei blouson noir - era adesso seduta sul materasso posto in prossimità di un irregolare angolo della grata che, come due arti superiori di un uomo, possedeva due sporgenze metalliche che racchiudevano la piccola ragazza, quasi abbracciandola. Intorno ad essa erano rimasti solo resti di falò e di bottiglie vuote sparse ovunque; certe volte potevi adocchiarne alcune ancora piene, che scolavano con piccole gocce in posizione orizzontale.
Quella grata senz'anima dava chissà come un'immensa sicurezza a Xiaoyu, forse proprio per quella sua strana forma di abbraccio.
Lei non era rilassata. Affatto. Aveva il corpo completamente riposato, ogni arto, esclusi gli occhi, della stessa vigile attenzione dei felini quando odono il fruscio delle prede. E così anche la sua mente era attenta, e pensava; rammentava i fatti surreali di solo qualche ora prima, così inverosimili che credeva quasi di ricordarsi di un sogno invece che della realtà. Conduceva meccanicamente la mano nella tasca della sua gonna, tastando con due dita la piuma che si era portata coraggiosamente dietro. Toccandola ne pareva una qualunque, ma a guardarla con gli occhi ci si accorgeva della grossa differenza visiva rispetto alle altre. Era una piuma più grossa di quella di un albatro e più nera di quella di un corvo. Gli occhi della cinese non osavano guardare, le palpebre si abbassavano e lo sguardo si contorceva quando aveva l'intenzione di farlo.
“Che stanchezza,” ammise ad alta voce Hwoarang dall'altro lato della tana nel guardarsi riflesso sul solito specchio rotto per metà vicino al lavandino. Insieme alla sua faccia già distrutta la mattina precedente, si aggiunsero due lividi sopra la mascella e un'escoriazione intorno al collo, derivata dal tentato di strangolamento di Jin.
“John, le garze!” ordinò Hwoarang con tono forte, ed ebbe come risposta un verso simile a un rantolo che il rosso, ormai, riusciva a decifrare perfettamente come un sì. Riportò lo sguardo sullo specchio, ma verso un altro riflesso che si trovava avvinghiato tra le braccia di due grate.
Da quando erano tornati, la bambina era rimasta immobile al solito posto e alla solita posizione, rannicchiata e con il volto nascosto. Hwoarang la scrutava rammaricato, un sentimento così poco conosciuto per chiunque conosceva il blouson noir, eppure era lì, proprio sulla faccia del capo. Nessuno degli scagnozzi poté scorgerlo, soltanto Hwoarang stesso, ed il suo specchio.
Qualcosa che accadde in seguito stonò la scena, come quando un tecnico di luci subentra sbadatamente durante una ripresa cinematografica. Nulla di talmente esagerato e irreparabile; solo, discordava un po'. John, il portatore di garze, entrò con prepotenza nella scena, avvicinandosi alla bambina e porgendole l'oggetto che portava in mano.
“Garze?” chiese lei, incredula. L'omone rispose con un sorriso suadente:
“Perché sei ferita.”
“John, cosa cazzo stai facendo?!” domandò Hwoarang con la sua solita finezza da scaricatore di porto poliglotta solo per il fatto di riuscire a dire una parolaccia in venti lingue diverse.
“Ho portato le garze...” rispose lui con la più assoluta normalità possibile.
“E perché adesso non ce le ho in mano queste garze?” fece l'altro, facendo intuire il problema di tutto.
“Ma capo... mi pareva sottinteso che fossero per Xiaoyu, visto che è una ragazza e ha un livido sulla gamba...”
“Hai sottinteso male!”
“Però, capo, dovremmo tenere in considerazione che si tratta pur sempre di una femmina...” si intromise un altro, stavolta porgendole con inchino da cavaliere medioevale incluso un pezzo di pane nero abbrustolito su di un piatto di carta colorato, riciclato da qualche festa assieme ai cinquanta ancora non usati. E visto che c'era pensò bene di metterci vicino anche una candelina del compleanno.
“Io... vi ringrazio...” rispose Xiaoyu quasi commossa, trovando dopo tanto tempo un po' di gentilezza. Vedendo la ragazza sorridere, altri cinque si affrettarono ad andarle attorno ed offrirle svariati oggetti più o meno utili tra loro.
“Oh, ma bene! Non preoccupatevi di me, eh! Dopotutto sono solo quasi morto, nulla di che!” abbaiò il rosso, ma nessuno sembrò degnargli molta considerazione. Vedendo di avere poco successo, si portò la mano sulla fronte in segno di disperazione.
“Viziate soltanto la bambina facendo così!” continuò a dire con voce volutamente più lagnosa.
“Vorrai dire donna!” corresse Mugen, il donnaiolo; e quando la bambina lo udì, si portò le mani sul volto per nascondere un'espressione palesemente imbarazzata e felice.
“Santo cielo, ragazzi... si vede che è da un sacco che non andate a donne. Se quella è una donna, io sono un funzionario della Mishima!” e affermando ciò Hwoarang fece scattare un calcio da parte di Xiaoyu verso il punto del suo corpo dove non batteva il sole; per fortuna riuscì in tempo a proteggersi le parti bassi bloccandole l'agguato con la mano. Con semplicità, continuò il discorso di prima:
“Andate tre vie in avanti e girate a destra, lì sì che troverete un sacco di donne vere!” riferì tutto gagliardo. Quali fossero le donne vere da lui citate non era stato detto, ma chissà come Xiaoyu intuì che si trattassero di prostitute...
“Ma mi hanno detto che lì ci sono anche alcuni travestiti...” informò titubante qualcuno.
“Che importa. Di certo son più donne quei travestiti di questa bambina!” esclamò il boss, e la bambina saltò di scatto in piedi, con la gamba ancora mantenuta dal rosso. Non poté tirargli un altro calcio, perché avrebbe perso l'equilibrio. Così lo colpì in altro modo: a parole.
“Ne parli come se ne sapessi qualcosa...” disse facendo una smorfia, e un paio dei ragazzi attorno a lei sputarono un riso che venne mantenuto con la mano.
“Bambina...” fece Hwoarang leggermente irritato, o almeno leggermente riuscì a far sembrare, “non dovresti parlare di certe cose, e non penso che bisogna discutere sui miei gusti sessuali. Sperando sempre che tu sappia cosa siano dei gusti sessuali...” ironizzò con sguardo irrisorio. Xiaoyu divenne rossa di rabbia come il colore dei capelli del blouson noir che tanto la faceva spazientire, un tipo di pigmento che solo a vederlo le sembrava una fastidiosa visione. Lo agguantò per il bavero della maglietta, minacciandolo con sguardo furioso.
“Dai, ragazzi... non mi pare il caso di litigare come l'altra notte, che tra un po' ci restavate da quanto vi siete menati...” fu il commento fuori luogo e senza senso di qualcuno. O, meglio dire, lo era apparentemente. Questo perché l'intero gruppo del blouson noir si fece come strana idea che i due protagonisti si fossero voluti incontrare quella notte in gran segreto per prendersi a pugni. Esistevano anche altre versioni della cosa, accomunate tra loro con un'unica, universale supposizione: il blouson noir e la bambina si erano dati appuntamento. Insomma, tutti sapevano della loro scappatella. Tutti tranne i due che la fecero, stranamente.
“Davvero l'ho menato?” fu la domanda spontanea di Xiaoyu.
“E' che vi abbiamo visto in questo stato pietoso, e poi eravate soli... e se il capo non ci dice niente significa che non vuol far sapere niente...” riprese a dire Mugen, ragionando ad alta voce. Difatti, nessuno sapeva ancora nulla della reale faccenda che era avvenuta la notte scorsa, esclusi i due che l'avevano vissuta a loro spese.
“Voi credete che una mocciosa del genere possa farmi così male?!” chiese con tono stizzito il boss.
“Dipende da quale strumento si usa. Ad esempio, una frusta potrebbe benissimo farlo, quel livido intorno al collo...” sostenne Mugen toccandosi la gola. “Sì, insomma... non c'è nulla da vergognarsi... è che non sapevamo niente... Non sapevamo che tu fossi...”
“Fossi cosa?!” domandò interdetto Hwoarang all'improvviso silenzio che si era creato tra tutti loro.
“Sadomasochista...” rispose titubante John al posto del ragazzo con i tatuaggi. I due, che finalmente capirono le idee che il resto del gruppo si era fatto, urlarono all'unisono un forte: “Cosa?!”
La prima rossa di vergogna, il secondo rosso di rabbia.
“Ragazzi, non penserete che il vostro capo abbia fatto qualche strano giochetto con lei, spero!” urlò additando Xiaoyu.
“Mi pare che questo dovrei dirlo io, non tu!” replicò l'altra.
“Preferisco essere accusato di omosessualità che di pedofilia!” riprese a gridare lui, ritirando il dito indice dalla cinese e direzionandolo verso John. “Guardate: preferisco di più trascorrere tre notti continue di sesso estremo con lui!”
E John, che stette al gioco, farfugliò qualcosa che all'incirca voleva dire: “Mi lusingate, capo...” coprendosi il viso da un finto rossore.
“Addirittura,” continuò a dire Hwoarang, “vado a letto con Rana! Piuttosto con lui!”
“Devo prenderlo come un complimento?” chiese abbastanza infastidito il diretto interessato, facendo scaturire gli sghignazzi altrui. Ci furono risate da parte di tutti, proprio tutti; tutti tranne Xiaoyu, che giustamente si ritenne assai offesa dell'affermazione precedente di Hwoarang.
“Allora, capo, se proprio non ti interesso come John e Rana,” disse Mugen appropinquandosi alla bambina, “potrei prendermela io Xiaoyu!” e lanciò uno sguardo malizioso su di lei, che, imbarazzata, subito dimenticò l'offesa di prima.
“Ho detto e ridetto che non voglio pratiche pedofile nel mio clan,” informò semplicemente il boss, e, di conseguenza, la bambina tornò a imbronciarsi.
“Stupido blouson noir! Piuttosto, dovresti dire loro la verità!” ritenne la ragazza a braccia conserte. Il clan intero rizzò le orecchie e quelli che si trovavano più lontani - ma presenti con le risate durante i discorsi precedenti - avanzarono fino a trovarsi in semicerchio. Gli occhi di tutti erano indirizzati alla bocca di Hwoarang e aspettavano impazienti che si aprisse.
“Mh...” disse l'interlocutore ai suoi uomini. “Effettivamente, ci sarebbero delle cose da chiarire...”
Si grattò la testa con l'indice e abbassò il capo mantenendo gli occhi socchiusi. “Anzitutto, non c'era nessuna ragazza con le tette enormi.”
“Questo lo sappiamo!” convenì Rana, lanciando un'occhiata scrutatrice sul petto di Xiaoyu.
“E non c'era proprio nessuna ragazza, tettona o piatta o cosa!” volle chiarire il rosso, accortosi dello strano sguardo furtivo del suo compagno. “La scorsa notte... la scorsa notte dovevo incontrarmi con Jin Kazama, come stabilito da lui, e dovevo farlo senza dirlo a nessuno.”
I compagni sbarrarono esterrefatti i loro occhi, non capacitandosi di come il loro capo avesse potuto confessare ciò con così tanta semplicità. Se c'era qualcosa che nessun gruppo di malviventi aveva in assoluto era la completa fiducia, in cui qualsiasi piccolo fatto veniva condiviso, qualunque esso fosse stato, una questione di donna, una vandalata, la morte di qualche caro. E fu proprio quest'ultima disgrazia che Hwoarang confidò ai suoi ragazzi, un qualcosa che non aveva mai detto a nessuno e che, rispetto a chiunque, li faceva sentire speciali. In precedenza raccontò a loro di aspettare ansioso un incontro con Jin, e adesso che era avvenuto non c'era stato neppure un filo di fiato a riguardo. Molti di loro volsero il capo in basso, in una moltitudine di espressioni stranite.
La bambina non li seguì, ma mantenne gli occhi in quelli di lui. Il blouson noir sviò lo sguardo da lei, che più di tutti avrebbe ricordato questo momento tra i peggiori della sua vita.
“Ho scoperto che Jin Kazama è il nipote del presidente della Mishima,” informò con un soffio di fiato. Gli occhi di Xiaoyu si offuscarono, persi in una dimensione lontana dalla realtà attuale. Hwoarang neppure si azzardò a guardali, quegli occhi, quasi sicuro dello stato d'animo che avrebbero lasciato intravedere. Voltò la schiena, agguantò una bottiglia di liquore e si allontanò verso la strada principale, sorseggiandola senza guardare dove andasse. Non ce n'era bisogno, conosceva la periferia Est come le sue tasche; di nuovo c'era solo quell'atmosfera che lo aveva spiazzato. Una bottiglia di liquore e si sarebbe calmato per un po'.

Era il solito cielo inquinato e nebuloso, ma con un tocco di rosso, il colore del sole che calava in un crepuscolo. Non c'erano palazzi, muri e ostacoli, ma solo una superstrada attraversata da macchine troppo veloci per essere colte completamente dall'occhio del rosso. Le poteva percepire solo dal rumore del loro motore, sfrecciante e assordante in quel luogo di silenzio. Lui era ancora lì, seduto sull'orlo del marciapiede di quella strada principale, e la sua bottiglia era stata gettata altrove da molto.
Piccoli passi si avvicinarono lenti in direzione sua; lui riconobbe subito passi di bambina.
Si sedette accanto al suo capo, scostando la sua gonna da scolaretta in modo da non farle sporcare le gambe. Per molto non ci furono parole.
“So che pensi...” mormorò Xiaoyu.
“Ci potrei scommettere tutto l'oro del mondo,” rispose lui sarcastico, voltando la testa nella direzione opposta a lei e reggendosi il mento con la mano.
“Non è stato Jin a uccidere il mio maestro. E neppure il tuo.”
Il ragazzo non poté guardarla in faccia mentre disse ciò, ma dal tono che Xiaoyu aveva assunto era sicuro che ne fosse assolutamente convinta.
“Sei solo un deficiente!” lo rimbrottò lei a causa del suo prolungato silenzio senza risposta. “Ma anche se lo sei... i tuoi ragazzi hanno bisogno di te. Non hanno altri punti di riferimento se non te...”
Sicura che non avrebbe avuto di nuovo una risposta, si alzò e si riavviò verso il clan. “E chiedi loro scusa!” urlò alla schiena di lui.
Quest'ultimo rimase ancora per qualche traversata di macchina a osservare il cielo nubescente della periferia che si stava man mano dipingendo delle macchie nere della notte.

“Ragazzi, che silenzio!” affermò stranito Hwoarang appena rientrò nel covo, facendo voltare tutti i presenti. E non fu assolutamente nel torto: era la stessa quiete che si riscontrava nella strada principale in cui il rosso era restato a guardare il cielo, con la sola differenza che non c'era neppure una macchina a causare un minimo rumore, se non appena lo scoppiettare rado dei focolari.
“Avrei delle cose da dire...” disse ancora lui, arrivando immediatamente al punto della situazione. “Non volevo farvi preoccupare... sapete com'è, no? Alla mia età... voglio dire: iniziano le primi crisi d'identità,” borbottò il blouson noir grattandosi la testa. “Tu, John, che sei vecchio, forse non te lo ricorderai, ma ne saprai sicuramente qualcosa,” scherzò con sguardo birichino.
“I miei trent'anni li mantengo benissimo, capo!” replicò l'omone. “E da ragazzo non mi facevo le seghe mentali come te!” soggiunse arridendo.
“Smettila di fare il bastian contrario, che le abbiamo avute tutti!” esclamò il rosso in tono deciso. “Tutti a parte la bambina, ovviamente, che è troppo piccola per poterle aver avute!” e la bambina, sentendo ciò, cacciò la lingua di fuori. Il coreano sorvolò sorridendo e continuò:
“D'ora in poi ricomincerò a dirvi tutto, ma a volte farò la parte del ribelle, visto che sono ancora un adolescente... come fanno i figli con i genitori, insomma!” e guardò di nuovo in direzione di John. “Visto che ti reputo quasi un padre, per via dell'età, farò lo stronzetto soprattutto con te!”
“E io ti sculaccerò!” riferì lui divertito.
“Quel compito lo lascio a Rana, che è la mamma.”
“Che, ce l'hai con me oggi? E' tutto il giorno che mi punzecchi... fossi tua madre t'avrei rigirato per bene a suon di schiaffi maleducato come sei cresciuto!” lo riprese a tono l'animale.
“Perché, tu avresti il coraggio di farti schiaffeggiare da John, che anche solo toccando fa volare le persone in Cina?! Dice che le donne lo abbandonano senza spiegazioni, ma io dico che sono ancora a Shanghai che cercano di tornare in Giappone.”
Il gruppo rise sonoramente, facendo tornare il consueto rumore assordante che accompagnava quotidianamente i ragazzi del rosso. Hwoarang si rasserenò per questo. “Ragazzi... certe volte neppure mi accorgo di alcune cose... ecco, vi ringrazio per essere presenti qui con me ed ascoltarmi...”
“Boss, sei stranamente commovente!” disse qualcuno di loro, facendo partire un fischio. “Il capo deve per forza aver bevuto un sacco per dirci cose tanto sdolcinate!”
“Un po',” ammise arridendo. “E... oltre a questo... sapete, per quel fatto di prima, vorrei anche dirvi...”
Il clan rizzò le orecchie come gatti per poter sentire meglio ciò che stava per dire con tale artificiosità.
“Volevo dirvi sc... scu...”
“Scuola?!”
“Squadra?”
“Sculacciami John?!”
L'ultima la disse Rana facendo tremare di terrore Hwoarang.
“No, no! Volevo... volevo scu... srr...”
Non riuscendo nell'intento, il blouson noir fece cadere innervosito una bottiglia di vetro a terra. Nel silenzio sconcertato degli altri c'era solo un suono alternato indistinto, che aumentava di forza. Era un riso cinguettante. Si voltarono verso la fonte, la bambina, che, da seduta, tentava di nascondere le risate con la testa tra le ginocchia.
“Bambina, sei ubriaca?!” domandò basito Hwoarang.
Si avvicinò alla ragazza, cercando di spiarla oltre le gambe. Le alzò la testa tirandole piano uno dei due codini, ma lei si celò repentinamente il viso con le mani.
“Ehi!” urlò adirato lui, prendendola per i polsi e scostandole le mani dalla faccia. Lei non riuscì più a trattenersi, si lasciò andare completamene in un forte sganasciamento.
“Di' la verità, non hai mai chiesto scusa in vita tua!” esclamò al ragazzo, e lo guardò, lo meravigliò. Accadde già altre volte a Hwoarang di vederla ridere, ma non in quel modo così genuino e divertito, non in seguito alla tragica notte appena trascorsa.
“Mi sento rinata!” urlò contenta alzandosi di scatto. “Ci impegneremo tutti insieme per questa strana faccenda. Non è vero, ragazzi?”
L'intero gruppo rispose affermativamente, chi urlando, chi fischiando, chi stappando altri liquori.
Il blouson noir seguì la mandria, chiedendo una bottiglia anche per sé. Guardava di soppiatto Xiaoyu sorridere con sincerità dopo un tempo che era sembrato per entrambi essere stato lunghissimo. Volle guardarla ancora, ma non più atterrito e attraverso il riflesso di uno specchio.
A ogni riso che faceva la ragazza, i cuori di tutti loro si scaldavano e sorridevano sinceri insieme a lei.























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Miiiii, questo capitolo è stato ancora più tardivo di quello di prima @_@. Il fatto è che avevo l'esame teorico di Patente, sicché ero tutta presa da questa cosa. E, a proposito, l'ho anche passato!! \^O^/
Ringrazio tanto Shuriken, Chiaras e Silver Princess che mi fanno commuovere a ogni loro commento ç_ç
Per la questione degli errori, dettata da Lillili e Miss Trent: non fate bene, fate benissimo!! * * Sopratutto, vi dico che non lo guardo come un rimprovero, anzi: mi aiutate con il lavoro! ^^ Preoccupatamente non sono nata Dante e per migliorarmi devo anche avere il consiglio degli altri! xD Comunque, ho provveduto a risistemare gli errori, e se ne trovate altri non pensateci due volte a segnalarmeli! ^^ E a quest'ultima dico solo: felice che Nina ti sia piaciuta! xD
Ah... ho fatto anche il disegnino! xD A presto con l'altro capitolo!!


  
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