Dedico
questo capitolo ai genitali
di Ryan Murphy quando verrano da me stessa schiacciati
e
ridotti in politglia, perchè NO,
non è possibile che Kurt non entri alla NYADA.
No.
Capitolo 4
Molte
persone
si chiesero perché all’inizio della competizione
ci fossero tre giudici, ed
alla fine solo due si fossero presentati per consegnare il premio sul
palco.
Rachel
Berry
non se ne stupì.
Un
po’ forse
perché era ancora sotto shock per essersi fatta rubare il
trofeo sotto gli
occhi da quegli imbellettati degli Warblers, un po’
perché aveva già capito
cosa sarebbe successo quando aveva sentito il nome di Kurt pronunciato
dal
presentatore, un po’ perché aveva passato tutta la
serata a pensare a come
avrebbero reagito se loro due si fossero visti ed un po’
perché aveva visto la
paura, la consapevolezza, il dolore, e la rabbia
negli occhi di Blaine quando lui aveva rivolto lo sguardo
verso il tavolo
dei giudici.
E,
dopo che
tutti erano scesi dal palco, dopo aver visto Blaine correre via da
tutto e da
tutti, evitare di guardare nella direzione di un uomo che sembrava
essersi
avvicinato per fargli dei complimenti con un ampio sorriso sul viso,
aprire con
forza la porta secondaria del teatro, e scaraventarsi fuori al freddo,
senza
neanche prendere un cappotto ed immergersi nell’ aria
pungente della sera,
Rachel lo prese lei, il cappotto, e congedandosi da Finn, che cercava
preoccupato il fratellastro tra la folla, intimando a Santana di non
fare
niente di avventato come suo solito, e annuendo a Mercedes che si
guardava in
giro con espressione colpevole, si diresse fuori per cercare
l’amico.
Tra
lei e
Blaine era nata una bellissima amicizia. Probabilmente nessuno lo
avrebbe mai
detto: il ragazzo iperattivo e la ragazza piena di sé, in
competizione l’uno
contro l’altro perché dirigevano due Glee clubs
diversi.
Ed
invece,
contro le aspettative di tutti, si erano trovati ed andavano
estremamente
d’accordo.
Era lei che, quella lontana sera di due anni fa, quando l’aveva visto camminare da solo, sotto la pioggia, per quella strada che portava dall’ aeroporto verso il nulla, verso Lima, lo aveva fermato, lo aveva abbracciato e, senza avergli chiesto niente, lo aveva portato a casa sua, con una coperta ed il calore di una abbraccio a riscaldarlo.
Gli
inservienti non potevano aver mentito.
Blaine
sperava tanto di sì, lo sperava con tutto il
cuore, perchè Kurt non se n’era semplicemente
potuto andare, non poteva
semplicemente averlo lasciato lì, da solo.
Non
dopo aver coronato il sogno di una vita. Della loro
vita. Insieme.
Si
convinse che era solo tornato nel loro appartamento
per preparargli una sorpresa, doveva essere così.
Si
avviò il più velocemente possibile sul ciglio
della
strada e si mosse freneticamente le braccia, rischiando quasi di essere
investito, per chiamare un taxi.
Non
appena salito farfugliò il loro indirizzo e
iniziò a
tormentarsi le mani per in nervoso.
Il
viaggio che seguì gli sembrò il più
lungo di tutta la
sua vita, ogni secondo che passava gli sembrava un’
eternità, tanto che quando
scese dal taxi quasi si dimenticò di pagare.
Corse
velocemente incespicando più volte nei piedi
finché
non raggiunse le porte del palazzo.
Salì
le scale e, nella foga di cercare le chiavi nel
cappotto le fece cadere a terra un paio di volte.
Imprecando
le infilò nella toppa con mani tremanti.
Dannazione,
stava davvero esagerando, avrebbe varcato
quella porta ed avrebbe trovato Kurt, sorridente, con un grembiule
sporco di
cioccolato, che stava preparando una torta per festeggiare il suo primo
giorno
a Broadway.
E
allora lo avrebbe baciato, e gli avrebbe detto che lo
amava, e che era fiero di lui, che lo sapeva che ce l’avrebbe
fatta perché se
lo meritava.
E
riuscì veramente a convincersene, riuscì
veramente a
crederci in quel sogno così dolce, che sapeva di casa, di
affetto e di amore.
Ci
riuscì così tanto che quando entrò e
si accorse che
sbagliava niente impedì al suo cuore di fermarsi, e poi di
frantumarsi in tanti
piccoli pezzi che cadevano sul pavimento senza nessun rumore.
O
forse era lui che non l’aveva sentito, quel rumore,
troppo preso a guardare la sagoma del suo ragazzo che, in lacrime e
scosso da violenti
singhiozzi, stava raccogliendo tutto ciò che gli apparteneva
e lo stava
mettendo in dei borsoni scaraventati in giro per la casa.
Rachel
intravide la sagoma dell’ amico nel buio, illuminata solo da
un lampione
solitario che emetteva una luce debole accompagnata da un basso ronzio
fastidioso.
Mosse
qualche
passo verso di lui, ma si ritirò quasi scottata quando vide
le sue spalle
scosse da un forte tremito.
Dio,
ci erano riusciti, a fare in modo che tutta la sofferenza si
allontanasse
dalla loro vita.
Ci
avevano
messo così tanto impegno.
Blaine,
ci aveva messo così tanto impegno. E non si meritava
che tutto il lavoro che aveva fatto andasse in frantumi.
Non
dopo che
si era rialzato ed era ritornato a sorridere.
Si
avvicinò fino a che non fu
dietro di lui, e, delicatamente, senza pronunciare una parola,
poggiò il
cappotto sulle spalle del ragazzo e gliele accarezzò
dolcemente.
“Shht”
sussurò
“Calmati, ci sono io”
In
tutta
risposta l’altro emise un singhiozzo più forte e
si girò verso l’amica
accasciandosi tra le sue braccia, lasciandosi andare ad un pianto
liberatorio.
Finn
non
trovava Kurt da nessuna parte.
Non
sapeva
neanche perché sentisse di doverlo cercare.
Sapeva
solo
che quel ragazzo ne aveva passate troppe, e che, nonostante le sue
scelte non
fossero sempre state le migliori, aveva bisogno di qualcuno vicino.
Corse
fuori
dall’ auditorium ed esplorò tutto il parcheggio ed
il tratto di strada
circostante.
Passò
per i
campi da football e per la palestra, e continuò a correre,
fino a che,
stremato, non si gettò su una panchina.
Dove
sei Kurt? Dove sei scappato?
Fu
proprio lì
che gli venne l’illuminazione.
Sapeva
dove
trovare Kurt.
E
si
meravigliava di non esserci arrivato prima.
La
sala del
Glee club non era cambiata di molto.
Era
rimasta
quella più piccola di tutta la scuola, perché
ancora non si erano trovati
abbastanza studenti da convincere il preside Figgins a donare
più soldi per
ristrutturarla, c’erano alcuni strumenti, il pianoforte nel
centro della sala,
e quelle stupide e scomode sedie tutte ammassate sul fondo.
Finn
corse
verso di essa come un forsennato, e non si meravigliò di
aver indovinato.
Kurt
era lì,
seduto al pianoforte, gli occhi chiusi, le mani che si muovevano sui
tasti
creando una melodia a lui sconosciuta.
Struggente.
Era tutto quello che riusciva a pensare.
Mosse
un passo
all’ interno della stanza e Kurt, accorgendosi che qualcuno
era entrato, si
fermò di scatto.
“No
ti prego”
sussurrò Finn ”Continua”
Kurt
non se lo
fece ripetere due volte.
Non
aveva
bisogno di parlare, con Finn.
Bastava
sentire la presenza di suo fratello lì accanto a lui, per
calmarsi.
E
per Kurt non
esisteva niente di meglio che il canto, per esternare quello che
provava.
Quindi
iniziò
a cantare.
Mercedes,
Brittany, Santana, insieme a Mike Puck e Tina che li avevano raggiunti
dopo,
sedevano ad un tavolo del Bel Grissino chiacchierando allegramente.
La
cena per
quella sera era già programmata da parecchio tempo, e per
niente al mondo si
sarebbero sognati di disdirla.
Anche
se
dovevano ammettere la situazione non era delle migliori.
In
effetti non
chiacchieravano proprio allegramente.
Era
più una
chiacchierata forzata, il ricercare un ottimismo che sembrava essere
andato perso.
Santana
si
stava trattenendo dal correre fuori, cercare Kurt e scuotergli
violentemente le
spalle chiedendogli perché diavolo si fosse comportato
così.
Invece
se ne
stava seduta lì, con un mano stretta in quella di Brittany,
cercando di non
pensare a quello che era successo, e quando Blaine entrò,
accompagnato da
Rachel, l’espressione sul suo viso non era certamente quella
che ci si sarebbe
aspettati.
I
lineamenti
erano rilassati, la bocca stirata in un leggero sorriso, e gli occhi
concentrati, in un’ espressione fiera e sicura, quasi fosse
l’unica cosa a cui
aggrapparsi, quella sua maschera.
La
verità era
che Blaine aveva deciso. Aveva deciso che si sarebbe rialzato, anzi,
che
semplicemente non sarebbe caduto, quella volta.
Perché
era già
stato buttato a terra come un giocattolo mal funzionante una volta,
senza una
sola spiegazione, e non avrebbe permesso che succedesse di nuovo.
Tutto
ciò non
impedì però, al momento del suo arrivo, che il
tavolo cadesse in un profondo
silenzio.
Rachel
si
destreggiò sicura tra i tavoli del ristorante fino ad
arrivare a quello dei
suoi amici, immediatamente seguita da Blaine.
Entrambi
occuparono i posti liberi.
Nessuno
parlò,
finchè Brittany non fece un enorme sorriso.
“Lord
Tubbington ne sarà felice” asserì
sicura “scusa Rachel ma tifava per Blaine”
Si
sentì un
sospiro generale.
Rachel
si
scurì subito in volto farfugliando che avevano solo avuto
fortuna, Blaine, dal
canto suo, si illuminò un poco iniziando a tessere le lodi
degli Warblers.
Gli
Warblers
Gli
Warblers
santo cielo! Li aveva lasciati da soli, ed erano lì con il
pullman della scuola
che guidava Blaine!
Fu colto da un enorme attacco di panico.
Era
sua
responsabilità, e lui era stato così sciocco che
se n’era completamente
scordato.
Si
alzò
velocemente dalla sedia e, dopo aver spiegato agli amici la situazione,
si diresse
correndo verso la scuola.
Neanche
pensò,
passando per il parcheggio, di guardare se ci fosse ancora
l’autobus,
semplicemente era troppo occupato a darsi mentalmente dell’
idiota per curarsene.
Entrò
subito
nell’ auditorium tagliando per la porta secondaria, e quando
sentì solo il rumore
dei suoi passi rimbombare per l’edificio vuoto
crollò su una poltroncina.
Maledizione!
Stava già iniziando a pensare al peggio, quando si
accorse di qualcosa che vibrava nella tasca interna del suo cappotto.
Il
cellulare.
Fachesianolorofachesianoloro
Aggrappandosi
a quell’ultima speranza estrasse il telefono che continuava a
vibrare.
Numero
sconosciuto.
Non
perdendosi
d’animo cliccò sul tasto verde e mentalmente
pregò per sentire buone notizie.
“Pronto?”
“Ehm…
Blaine?”
una voce esitante che non riconobbe subito rispose al cellulare.
“Sono Steve”
Dio,
Steve non era esattamente la persona con cui voleva
parlare in quel momento.
“Oh,
ciao
Steve- Senti- Vorrei tanto parlare con te ma sono un idiota e non sono
stato
tanto bene ed i ragazzi ora-“
“Blaine
Blaine
respira! I ragazzi sono qui con me!”
“Com-chi-?
Oh!
Grazie a Dio!”
Blaine
si
accasciò sulla sedia lasciandosi andare ad un sospiro
rilassato. Steve doveva
aver portato a casa i ragazzi: non si era mai sentito meglio in vita
sua.
Si
scusò con
l’amico per come fosse scappato senza parlargli, a fine
serata, e lo ringraziò
infinitamente per il favore che gli aveva fatto.
Promise
che
avrebbe rimediato con un caffè, comunque, e
l’altro accettò allegramente.
Quando
chiuse
la conversazione era notevolmente
più
rilassato.
Si
stava
quindi concedendo un momento di solitudine in cui allontanare tutti i
pensieri
della giornata quando la sentì.
Finn
era
uscito dalla stanza.
Kurt,
ad occhi
chiusi, lo aveva sentito, e lo aveva mentalmente ringraziato
perché l’unica
cosa che desiderava in quel momento era di essere lasciato solo.
Mentre
le dita
scorrevano sul piano la sua voce si spezzò per un secondo al
ricordo di cosa lo
aveva ridotto così.
Kurt
non aveva aspettato che Blaine lo venisse a prendere
quella sera a teatro.
Si
sentiva vuoto.
E
sapeva che quel vuoto che provava non si sarebbe
riempito velocemente. Forse mai più.
Prese
il primo taxi che si fermò, entrò nel loro
appartamento il più in fretta possibile ed iniziò
a fare le valigie.
Non
avrebbe pianto.
Non
voleva piangere.
Pianse.
Non
c’era
stato giorno, non un minuto, non un secondo della sua vita a partire da
quel
giorno in cui non si fosse sentito sbagliato.
E
sotto quella
sua maschera sicura, spigliata ed un po’ arrogante, il
ragazzino spaurito che
tremava ogni volta che riceveva una granita in faccia, soffriva come
non aveva
mai fatto.
Perché
Kurt
Hummel, in quel momento, mentre suonava il piano e cantava con voce
spezzata,
non era il Kurt Hummel che tutti erano abituati a vedere sul palco, non
era chi
si era tanto impegnato a fare credere che fosse, era solo un uomo
ferito,
ferito da sé stesso.
Perso
nei suo
pensieri non si accorse che qualcuno era entrato nella stanza fino a
che non
sentì il rumore dei passi che si avvicinavano lentamente,
Non
c’era
bisogno di voltarsi per capire chi fosse: Kurt avrebbe potuto
riconoscere
quella camminata leggermente saltellante e, a tratti, un po’
goffa, tra mille.
E
provò una
fitta di dolore quando si accorse che ancora ci riusciva.
“Devi
scegliere ragazzo.”
Devi
scegliere.
Scegliere.
Scegliere.
“O
lui o Broadway.”
O
lui o Broadway.
Lui.
Mille
volte lui.
“Broadway”
Doveva
vomitare.
Lo
stomaco gli
si contorse.
Non
ce la
poteva fare.
Si
alzò dallo
sgabello e corse più in fretta che poteva verso il bagno, le
braccia strette in
un abbraccio che voleva essere di protezione.
Di
protezione da cosa?
Kurt
si
accasciò abbracciando la tavolozza del gabinetto.
Vomitò
l’anima, e sperò ardentemente anche i ricordi.
Era
scosso da
violenti tremiti, e ringraziò il cielo che fosse seduto,
perché sicuramente le
sue gambe non lo avrebbero retto.
Sentì
la porta
aprirsi, si piegò su sé stesso contorcendosi per
il dolore, lacrime calde che
gli rigavano la pelle di porcellana.
Un
corpo caldo
si accostò a lui, ed una mano bagnata si
posizionò sul suo collo, provocandogli
una piacevole sensazione di sollievo.
Casa.
Dopo
due
lunghi anni si sentiva finalmente a casa.
Fu
tutto quello
che riuscì a pensare.
Quando
Kurt
riaprì gli occhi notò per prima cosa il freddo
delle mattonelle del bagno
attraversagli la stoffa dei vestiti ed insediarglisi dentro le ossa.
La
seconda
cosa che notò, invece, fu un corpo caldo seduto vicino a lui.
“Non
eri
costretto a farlo” disse con voce neutra, piantando lo
sguardo a terra
concentrandosi sugli intarsi delle mattonelle.
“Volevo”
fu
quello che rispose l’altro.
“Non
dovresti,
volerlo.”
“Lo
so.”
Blaine
si alzò
, e Kurt soffrì istantaneamente dell’ improvvisa
mancanza di contatto.
“Dovremmo
andare, gli altri mi aspettano” disse quindi il ricciolo
“chiamo Finn e gli
dico che sei qui. Ti porterà a casa.” Aggiunse
secco.
“No”
si
lamentò Kurt accartocciandosi su è stesso.
“Voglio vederli, voglio vedere i
miei ami-“ esitò, non sapendo se gli era
più concesso usare quel termine “Il
glee club”
Blaine
annuì
solo, lo aiutò ad alzarsi e gli poggiò il suo
cappotto sulle spalle, guidandolo
fuori dalla scuola, al freddo.
Kurt
non
sapeva cosa stava facendo.
Davvero
non lo
sapeva.
Sentiva
come
se fosse tutto sbagliato, come se mancasse qualcosa di importante.
Aspettava
solo
il momento in cui Blaine gli avrebbe urlato, lo avrebbe insultato e lo
avrebbe
distrutto, perché, in fondo, sapeva di meritarselo, e tanto
valeva che
succedesse subito, no?
Via
il dente
via il dolore.
Ma Blaine era stranamente
calmo, e per tutto il
viaggio fino al Bel Grissino non disse niente, gli unici rumori erano
le rare
macchine che passavano per strada, ed i loro piedi che sfregavano
sull’
acciottolato.
Quando
entrarono, nel ristorante calò il silenzio.
Blaine
si
avviò diretto verso il tavolo, prendendo una sedia e
sedendosi con gli amici.
Kurt
rimase
fermo.
E
si maledì
perché quel giorno aveva pianto più di quanto
avesse fatto in tutta la su vita,
ma vedere i suoi amici, coloro con cui era cresciuto, che lo avevano
aiutato
nel trovare sé stesso e nell’ accettarsi, era
semplicemente qualcosa che non
riuscì a sopportare.
Non
ci riuscì
perché l’unica cosa a cui che gli veniva in mente
era come avesse mandato a
monte tutto, come fosse stato orribile a lasciarli come aveva fatto due
anni
prima.
Le
lacrime gli
colmarono gli occhi, impedendogli di vedere, e quando sentì
le mani, le
braccia, i corpi confortevoli dei cuoi amici abbracciarlo e dirgli che
andava
tutto bene, quasi lo urlò, quel “mi
dispiace” che si era tenuto dentro per
tutto quel tempo.
Si
risedettero
tutti insieme al tavolo, Kurt ancora un po’ frastornato da
quello che era
appena successo.
“Ehi
amico!”
gli disse Puck dandogli una forte pacca sulla spalla “devi
raccontarci un po’
com’è essere la star di Broadway!”
Kurt
sorrise
insicuro. “Non così emozionante come
sembra”
“Oh
ma dai!”
esclamò Rachel “Non fare il finto modesto,
è quello che hai sempre voluto fare,
per forza deve essere fantastico!”
“Si
beh”
iniziò esitando il soprano, muovendosi a disagio sulla sedia
“E’ diverso da
come me lo ero immaginato” ed i suoi occhi guizzarono
involontariamente sulla
figura di Blaine, che teneva lo sguardo fisso su un punto sopra la
testa di
Kurt.
Mercedes
capì
subito lo sconforto dell’amico, e s’intromise
subito facendo qualche domanda
innocente su come fosse il suo appartamento (nonostante lei lo sapesse
già) ed
altri dettagli insignificanti.
L’atmosfera
la
tavolo si rilassò notevolmente quando Kurt iniziò
a raccontare aneddoti sulla
sua vita in teatro, riuscendo a far ridere la tavolata, ed addirittura
sé
stesso.
Era
bello,
pensò, poter essere liberi di parlare così.
Certo, era anche strano, ma Kurt
non si era certo aspettato che tutto fosse rose e fiori, erano passati
due anni
d’altronde.
E
tutto stava
andando meglio di quanto si era aspettato.
Fu
proprio
quando stava raccontando di quella volta in cui un piccione aveva
rovinato uno
dei costumi di scena due minuti prima dello spettacolo e la compagnia
aveva
dovuto aggiungere delle righe al copione per giustificare
l’enorme macchia sul
vestito, che Blaine si alzò di scatto dalla sedia e si
affrettò fuori dal
ristorante.
Tutti
si
guardarono stupiti, poi i loro sguardi si posarono tutti su di Kurt.
Fu
con
studiata lentezza quindi che quello si alzò, prese il
cappotto, e uscì dal
ristorante.
Dentro
di sé
sperava che Blaine se ne fosse già andato, non aveva le
forze di affrontare
quello che era sicuro sarebbe successo.
Sapeva
che sarebbe
dovuto accadere, ma il solo pensiero gli faceva stringere nuovamente lo
stomaco.
Il
ricciolo
era in piedi sull’ orlo della strada, le mani in tasca e la
testa bassa, gli
occhi piantati sull’asfalto.
Kurt
gi si
avvicinò, piano, posandogli una mano tremante sulla spalla.
Quando
Blaine
si voltò di scatto guardarlo,
il soprano
non si era di certo
aspettato le lacrime
che trovò negli occhi dell’ altro.
“Blaine-“
iniziò esitante.
Ma
il ragazzo
si scostò bruscamente dal soprano, la cui mano gli ricadde
in mobile sul
fianco.
“Potevi
dirmelo sai” urlò Blaine.
Eccolo,
quello
che si era tenuto dentro per tutta la serata.
“Potevi
avvisarmi, ti sarebbe costato un fottuto singolo minuto della tua perfetta e felice
vita!” sputò le parole con disgusto. “E
invece no! Non un messaggio, non una chiamata, niente!
Ti sei presentato come se non fosse successo un dannatissimo niente!”
“Blaine
non lo
sapevo!” si riprese Kurt, lo sguardo supplicante un perdono
che sapeva non
sarebbe mai arrivato “Se solo avessi saputo che tu insegnavi
alla Dalton io-“
“Io
cosa,
Kurt, io cosa!?” lo interruppe l’altro, le lacrime
che ormai gli inondavano il
viso “Sai quante cose non sapevo io? Sai cosa mi sarebbe
piaciuto sapere? Per esempio il
perché quello che si
supponeva fosse il giorno più bello della nostra
vita io sono tornato a casa e ho trovato il mio ragazzo che senza un
spiegazione mi sbatte la porta in faccia, o
per esempio perché in due anni non si è
mai degnato di farmi sapere perché!
Sai quanto ha fatto male, Kurt? Sai cosa vuol dire svegliarsi ogni
fottutissimo
giorno e trovare il letto vuoto?”
“Dannazione
certo che lo so, Blaine! Cosa credi che abbia provato io, eh?
Cosa-“
“Di
sicuro non
stavi poi così male se sei uscito con tutte quelle troiette
in minigonna, Kurt.
Cos’è? Una nuova moda di Broadway? Giochiamo a chi
si nasconde meglio? A
chi finge meglio di essere qualcuno che non
è?”
“Io-
loro
erano” Kurt era stato preso in contropiede, sapeva che i
giornali lo avrebbero
fotografato con le ragazze con cui era uscito, in verità
quello era il suo
scopo, ma non aveva mai pensato a come avrebbe reagito Blaine se avesse
visto
le foto.
“Cosa,
Kurt,
cosa?! Dov’è finito il Kurt che conoscevo?
Dov’è finito il ragazzo orgoglioso
che non aveva paura di essere sé stesso?”
“Blaine-“
“Tu non sai più chi sei, Kurt, tu-“
“BLAINE!
Credi
che sia stato facile non correre indietro? Credi che non abbia pensato
mai a
come sarebbe stata la mia vita se non avessi fatto quello che ho fatto?
Ma non
posso, dannazione, non posso!”
“Il
problema è
che non mi hai mai detto perché! Una spiegazione, Kurt
è tutto quello che ti ho
sempre chiesto!”
“Era il mio sogno, Blaine, non potevo lasciarlo, tu mi hai
sempre detto di
inseguire i miei sogni-“
“Beh,
sai che
ti dico Kurt? Vaffanculo! Perché indovina un po’
qual’era il mio sogno Kurt?
Tu.”
E
detto questo
si girò e corse via, infilandosi velocemente in macchina e
lasciando un Kurt
tanto distrutto quanto non si era mai sentito in tutta la sua vita.
.BluCannella
Vorrei iniziare scusandomi con tutti, davvero, per il ritardo.
Lo so che sembrerò una bambinetta capricciosa, ma ci sto davvero mettendo l'anima per questa storia, e quando ho all' inizio pubblicato i nuovi capitolo ero un po' giù di morale per il poco successo, le poche recensioni.. e non riuscio a trovare un motivo per andare avanti.
Scusate davvero, e ringrazio le fantastiche persone che per MP mi hanno fatto capire che ci tengono a questa storia, mi avete commosso,!
Ecco qui un altro capitolo, ora la smetto di scrivere Angst (Lo sto scrivendo? Davvero non ho ancora capito bene che cosa sia :P), dal prossimo capitolo le cose diventeranno più tranquille, ma non posso risolvere ciò che è successo ai nostri due poveri eroi in così poco tempo, ergo: l'Angst mi si scrive da solo!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio infinitamente per le recensioni ricevute, davvero, mi illuminate la giornata!
Spero di non avervi deluso (ammetto di odiarlo, questo capitolo)
Fatemi sapere che ne pensate, basta poco e mi rendereste davvero felice :)
Alla prossima
BluCannella
P.s. IO. UCCIDO. RYAN. MURPHY.