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Autore: almeisan_    30/05/2012    1 recensioni
E se Elena Gilbert, l’ultima doppelgänger Petrova, stretta in un triangolo fatale, avesse una sorella gemella, totalmente dissimile da lei? E se questa sorella, Nicole, fuggita da Mystic Falls anni prima e di cui non si hanno più notizie, fosse una strega discendente da una delle più importanti dinastie di Salem? E se Klaus, l’ibrido invincibile, proprio per questo cercasse il suo appoggio?
Questa storia si ambienta nella terza stagione, per cui ci sono spoiler per chi dovesse ancora vederle, dall’episodio 3x03 e ha come protagonisti prevalentemente la famiglia Gilbert e quella degli Originari, come sfondo la cittadina di Mystic Falls attraversata dalle morti e dagli scontri soprannaturali e i suoi abitanti.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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19 cap
Capitolo 19
Only a second best?

Sospirò e si prese il volto tra le mani mentre un suono di profondo diniego, di strazio quasi, fuoriusciva dalla sue labbra schiuse. Quei pensieri non dovevano essere presenti nella sua mente. Lei non poteva sentirsi davvero a casa pensando a Klaus. Avrebbe comportato troppo, una situazione che non aveva la forza di affrontare, non da sola. Eppure non poteva dimenticare, cancellare, eliminare quei sentimenti che nutriva per l’ibrido millenario. Era impossibile. Erano marchiati a fuoco nella sua mente, e nel suo cuore soprattutto. Era inutile anche solo tentare di accantonarli poiché lo desiderava troppo, lo voleva al suo fianco, in un posto che non avrebbe mai più occupato nessun altro. Klaus, sebbene lei non se ne fosse resa conto prima, avesse tentato di rimanere cieca dinanzi a quella potenza, si era insediato nella sua anima, impossesandosene senza lasciarle una via d’uscita, una possibilità di cambiare le carte in tavola. Sbuffò e si passò una mano tra i capelli, mentre le auto continuavano a sfrecciare a tutta velocità sul rettilineo dell’autostrada, almeno quelle che non svoltavano per la capitale della Virginia. Sarebbe stato più facile pensare che quello che provava per Klaus fosse stato causato soltanto dall’ibrido, ma ben sapeva quanto quel pensiero non corrispondesse al vero. Era stata lei a lasciarlo entrare nella sua vita, a dargli spazio, a permettergli di baciarla. Klaus non le aveva fatto nulla che non avesse voluto lei, che lei stessa aveva bramato poiché lo amava. Scosse il capo, serrò gli occhi e deglutì a vuoto, i battiti ancora accelerati e il respiro corto. Una lacrima le rigò il volto pallido e le lasciò compiere il proprio percorso. In quel momento era in grado di comprendere perché quella mattina, che sembrava tanto appartenere a una vita antecedente e lontana, avesse cotanto desiderio di piangere. Non riusciva a mentire, a essere indifferente, imperturbabile, a celarsi dietro un muro di menzogne e viltà. Avrebbe dovuto, invece. Perché sapeva cosa significava accettare i suoi sentimenti. La sua vita non sarebbe mai stata più la stessa, e non era solamente per l’odio, l’astio o la delusione di Elena se l’avesse scoperto oppure per lo sguardo torvo di Jeremy. Era per lei. Amare un immortale era completamente insensato per una strega. Insensato e sbagliato. Klaus aveva compiuto atroci crimini in tutti quei secoli, si era macchiato le mani di sangue innocente e non se ne era mai pentito. Quella era la sua natura e lui non la rifiutava né l’aberrava. Non sarebbe stata sicuramente lei a fargli cambiare stile di vita, non sarebbe valso a nulla. Percepì le mani piccole e gelide di qualcuno poggiate sulle spalle nude e sobbalzò, ricordandosi di colpo della vampira che aveva lasciato in macchina. Dovevano essere trascorsi dei minuti da quando era come fuggita da lei, dalle sue parole che rappresentava una verità troppo dura da affrontare. Non si girò, ma si irrigidì e scosse il capo vedendo che Rebekah si affiancava a lei, sulla destra. La vampira le fece volgere le spalle con delicatezza e la guardò negli occhi. Nicole, timorosa di incontrare lo sguardo antico della ragazza dinanzi a lei, chinò il proprio e si morse lievemente il labbro inferiore. Rebekah sbuffò intenerita, come se davanti a sé avesse una bambina, e le sollevò il mento.
« Non pensavo di turbarti tanto, Nicole, altrimenti non l’avrei detto,» mormorò preoccupata e dispiaciuta di averle causato quella reazione. Nicole sgranò gli occhi e scosse lievemente il capo, avvampando, come per dirle che non v’era alcuna mancanza da parte sua, « Anche se credo fermamente che sia la verità,» aggiunse più convinta e seria, imprimendole quel messaggio con uno sguardo profondo e autorevole. Le carezzò lievemente la guancia, poi sorrise rassicurante e si scostò, « Ma adesso andiamo. Vedrai che una bella giornata di shopping ti farà ritornare il sorriso,» esclamò facendole un cenno gentile per tornare in macchina. Nicole annuì e sorrise timidamente, avanzando verso il sedile del guidatore. Appena entrati nell’immensa città, Nicole distese maggiormente le labbra, ricordando quanto le fosse cara, quante piacevoli memorie le riportasse alla mente. Era il luogo in cui aveva vissuto con suo padre due degli anni più belli della sua vita. John era un buon genitore, premuroso e attento, sempre pronto ad ascoltarla quando la nostalgia della sua vecchia vita si faceva troppo forte per essere sopportata, e ad aiutarla. Aveva sempre pensato di non esser degno dell’affetto che Nicole nutriva nei suoi confronti e la giovane ne era rimasta commossa. Scosse il capo e sciolse il sorriso nel ricordare che suo padre non sarebbe mai più arrossito quando lo abbracciava. Trattenne a stento una lacrima e Rebekah poggiò una mano sulla sua, comprendendo il disagio della ragazza.
« Potremmo andare a Target, che ne dici? Lì ci sono sempre dei bei vestiti e mi sembra che in questo periodo ci siano anche gli sconti,» esclamò Nicole dubbiosa, guardandola con la coda dell’occhio mentre avanzava a fatica per le vie trafficate della capitale. Rebekah sorrise e  scosse il capo. Nicole la guardò, incerta, le sopracciglia aggrottate e la fronte corrugata.
« Senti, Nicole, di vestiti ne ho a bizzeffe ed era una scusa per parlare di te e Nik, in verità,» le rivelò divertita da tutta quell’ingenuità della ragazza. Nicole schiuse le labbra e avvampò, continuando a seguire la fila, bloccandosi dinanzi al semaforo rosso. Sorrise, amaramente, e chinò il capo, lasciandosi sfuggire un breve sospiro.
« Avresti anche potuto dirmelo. Avremmo parlato a Mystic Falls,» mormorò dolcemente, per nulla irritata da quella minuscola bugia. Sapeva che era fin di bene, lei avrebbe fatto lo stesso e poi aveva bisogno anche lei di fare chiarezza dentro di sé, sebbene tutto le apparisse sin troppo nitido.
« No, era meglio che ci allontanassimo,» negò Rebekah, seriamente, sorridendo appena, « Sembra che la tua città abbia delle orecchie immense per sentire tutto quanto quello che i suoi abitanti dicono e ti saresti trovata sulla bocca di tutti in un attimo. A Richmond non ti conosce quasi nessuno, se non sono in errore,» aggiunse più incerta, vedendola sorridere divertita. Annuì e svoltò a destra, percorrendo un’ampia strada che sembrava non dovesse mai avere fine. Portava ai ponti, al Robert E. Lee in particolare, e Nicole l’aveva percorsa talmente tante volte da poter permettersi di osservare le persone passeggiare sui marciapiedi bianchi, dinanzi agli edifici imponenti e ai bar, ristoranti e negozi. In lontananza era in grado di scorgere una chiesa bianca e magnifica a cui si stavano progressivamente avvicinando.
« Ti porto a casa mia,» le comunicò Nicole immersa nelle gioie che le offriva il paesaggio. Richmond era una città commerciale, viva, attiva, immensa, piena di grattacieli altissimi e uffici, o almeno quella era la sua parte più conosciuta. Nicole l’aveva girata a lungo durante quei due anni per scoprire se vi fosse, in una megalopoli così caotica, un luogo di pace. L’aveva trovato nei piccoli bar, o nella parte meridionale piena di parchi e sentieri, lontani solo qualche kilometro dalla sua villetta. La giovane si rifiugiava lì per sentire l’acqua del James River scorrere blanda e poco profonda, oppure per percepire la fresca brezza tra le fronde, o anche per apprezzare la vera essenza della natura. Suo padre le aveva sempre detto che le faceva bene recarsi nei parchi, poiché tornava a casa più tranquilla, felice, con un bel sorriso gioioso impresso sui lineamenti poco marcati e un’espressione pacifica nello sguardo reso più brillante e splendente. Nicole arrossiva sempre e chinava il capo, ringraziandolo per quei complimenti così sinceri e dolci.
Sospirò e poi scosse il capo per impedire che i ricordi le generassero lacrime che non sarebbe stata in grado di trattenere. Parcheggiò dinanzi a quella che per due anni aveva considerato la propria casa e scese subito, guardandola dal marciapiede opposto. Schiuse le labbra, emozionata, le mani tremanti ancora appoggiate sulla sommità dello sportello aperto. Era come se lo ricordava. Nulla era cambiato. La villa, di modeste dimensioni, frutto di tanti anni di fatica, a due piani, dai mattoni rossi e dal tetto di tegole bianche, sorgeva accanto a quella completamente candida dei signori Smith. L’atmosfera che si percepiva nella Bainbridge Street era meravigliosamente calma e posata. Le fronte dei esili alberi sempreverdi erano scosse da una brezza sottile e impalpabile e nessuno passeggiava per la via. Erano al lavoro e i bambini alla più vicina scuola. Nicole si avvicinò al casa, notando che le scale di legno rosso scuro erano lievemente coperte da una sottile coltre di polvere, così come il divanetto bianco saldato al muro perimetrale. Le finestre erano sbarrate come le aveva lasciate lei tre mesi prima e i vetri della porta d’ingresso erano intatti. Salì le scale, ben attenta a non toccare il corrimano laccato di bianco e notò che tutti i fiori che aveva piantato erano oramai secchi per non aver ricevuto acqua a sufficienza. Non aveva raccomandato nulla ai vicini, non le sembrava propriamente il caso di approfittare della loro gentilezza se non sapeva quando avrebbe fatto ritorno a Richmond. Rebekah la seguiva, senza parlare, lasciandole la possibilità di rivedere quel momento che per lei aveva una profonda rilevanza. Nicole poggiò le converse sullo zerbino marroncino con una scritta rossa che invitava ad entrare e si sfiorò la catenina d’argento che portava al collo. Era così discreta che mai nessuno la notava e tante volte si dimenticava persino di possederla. Non aveva in ciondolo, bensì la chiave di casa. La inserì nella toppa e la girò un paio di volte, poi aprì la porta, rivelando uno spazio immerso nel buio più totale a causa del legno che bloccava le finestre.
« Puoi entrare, Rebekah,» invitò caldamente la vampira, la voce flebile per l’emozione, instabile. Si guardò intorno, poi si diresse verso la prima finestra, aiutata dalla luce che filtrava attraverso la porta. Scostò le tegole, forzandole un po’ e Rebekah la aiutò con quelle della sala, rivelandola. Era uno spazio rettangolare, molto accogliente e semplice. Su di una parete, quella a sinistra rispetto alla porta,  era posizionata un’imponente libreria di ciliegio contenente vari volumi e, nella parte più bassa, i diari di famiglia. Su quella opposta v’era un camino di marmo bianco sul cui cornicione erano poggiate delle foto di famiglia. Nicole le guardò. Ve ne erano sette, tutte raffiguranti i membri più vicini a lei. Quella in bianco e nero, l’unica, ritraeva i suoi nonni appena sposati. La nonna Elizabeth, splendida nel proprio abito bianco, vaporoso, di tulle, con una gonna immensa e un corpino ricamato, di pizzo. Il nonno Jeremy, quello che non ha mai conosciuto, la stringeva a sé, e i suoi occhi, lievemente più azzurri dei propri, sembravano l’unica nota di colore. Forse era stato uno sbaglio del fotografo, un errore che nessuno aveva mai voluto correggere. Dopo v’era una che raffigurava la prima famiglia Gilbert: nonna Elizabeth, vestita semplicemente con una gonna marroncina e un maglione di lana bianca, il piccolo Grayson, di soli dieci anni, e John, imbarazzato, timido, accanto a suo fratello che, rassicurante, gli teneva la mano. Percepì un lieve rumore, come di una bottiglia che urtava una superficie di metallo, e si volse, poggiando la foto sul marmo. Vide Rebekah armeggiare per versare il brandy in due bicchieri a tulipano, contemporaneamente, e le venne da sorridere. Si accomodò sul divano, lungo e di lucida pelle bianca, e la vampira la seguì subito dopo, porgendole il suo. Nicole ne bevve solo un sorso che le arse la gola come un fuoco, riscaldandola tutta e facendole serrare gli occhi velati da piccole lacrime. Non ricordava fosse talmente forte. Rebekah sorrise e bevve tutto d’un fiato l’intero contenuto del bicchiere facendole sgranare gli occhi. Poi lo poggiò elegantemente sulla superficie di cristallo dell’esile tavolino circolare, poggiato su di un prezioso tappeto persiano, che separava i due divani gemelli. Nicole tenne il suo tra le mani, chiuse a coppa sulla superficie vetrosa e trasparente, e chinò lievemente il capo per non incontrare lo sguardo incoraggiante, e anche incuriosito, di Rebekah. Quella situazione era assurda, ma non si voleva sottrarre. Rebekah voleva solamente ascoltarla, come un’amica, come una sorella. Caroline, Elena. Era come se quei ruoli che avevano avuto nella sua vita precedente, felice e normale, fossero svaniti. Con Caroline non riusciva più a parlare, sebbene nutrisse ancora un profondo affetto nei suoi confronti, ed Elena la detestava per tutte le scelte che aveva deciso di prendere senza il suo consenso. Rebekah era l’unica persona che fosse davvero disposta a prendersi cura di lei, in quel momento, e quel pensiero se da un lato la faceva intristire per aver perduto due pilastri fondamentali, dall’altro la rinfrancava. Non era sola. Anche se l’interesse della vampira fosse stato soltanto quello di interessarsi di suo fratello, e non le sembrava fosse così, sarebbe stato un motivo di gioia. Rebekah poggiò una mano, dalle lunghe dita affusolate, sul suo braccio per rincuorarla e Nicole alzò lo sguardo, sorridendo lievemente.
« Posso domandarti una cosa? Ti prometto che non sarà indiscreta come quella di prima,» le assicurò divertita dal guizzo impaurito che scorse nello sguardo limpido della ragazza dinanzi a lei. Nicole annuì, distendendo le labbra maggiormente in un cenno di assenso appena marcato. Rebekah sorrise, soddisfatta, e accavallò le gambe snelle fasciate da un pantalone nero e aderente, « Perché sei andata via da Mystic Falls? Ieri l’ho chiesto a Nik, ma lui non ha saputo rispondermi e io sono un’impareggiabile invadente,» le spiegò ironica, arricciandosi una ciocca biondo platino che sfuggiva alla coda alta e le carezzava la guancia. Nicole si scostò un ricciolo che le era ricaduto dinanzi agli occhi e scosse lievemente il capo, a disagio, le labbra imbronciate.
« Preferirei non parlarne. Spero che ti basti sapere che ho avuto un problema con il Consiglio di Mystic Falls, un problema abbastanza grosso, e mio padre ha ritenuto opportuno portarmi via da quel covo di folli,» mormorò divertita prima di aprirsi in una leggera risata, colma però di amarezza e dolore, mentre tratteneva le lacrime che, feroci, le velavano gli occhi per rigarle le guance. Non avrebbe permesso loro di vincere su di lei. Doveva essere forte, abbastanza da accantonare la delusione e la mestizia, la collera e il risentimento per andare avanti con la sua vita. Raccontarlo l’avrebbe sì aiutata, ma l’avrebbe fatta sprofondare in un baratro di sofferenza tale da farle sembrare impossibile risalirlo. Rebekah annuì, comprendendo quanto fosse complesso e arduo per lei parlarne, e le sorrise rassicurante mentre la ragazza poggiava il bicchiere ancora pieno per tre quarti sul tavolino. Appoggiò poi  il gomito sulla parte sommitale del divano e le gambe, rannicchiate, sul poggiatesta per trovarsi nella posizione più comoda per poter guardare Rebekah.
« Certamente, cara,» sussurrò gentilmente prima di issarsi in piedi e avanzare per la bella sala verso il contro mobile sul quale era poggiato un televisore discreto e nero, al plasma, affiancato da due vasi di vetro soffiato, blu, comperati in Italia durante un viaggio di lavoro. Prese il telecomando, ma si volse subito, senza accenderla, quando percepì la domanda della ragazza.
« Ti fidi di Mikael?» le chiese a bruciapelo, sorprendendola e facendola sobbalzare. Rebekah la guardò, un’espressione indecifrabile, criptica, che le rese più oscuro il dolce azzurro dello sguardo, per alcuni istanti, le labbra lievemente imbronciate e le sopracciglia arcuate. Poi annuì, timidamente e tornò a sedersi, abbandonando il telecomando sulla superficie lignea del mobile.
« Io…,» si interruppe incerta, spalancando le braccia e sorridendo appena, come incredula e stupefatta, « Credo che voglia solamente ritrovare la mamma e i miei fratelli,» mormorò poi più triste, ma sicura delle proprie parole, « È mio padre. Devo dargli una seconda possibilità, no? Tu lo faresti? » chiese titubante, sedendosi accanto a lei e lasciando che una lacrima le rigasse il bel volto lievemente abbronzato per la cipria. Nicole annuì, certa e seria.
« Sì, lo farei,» confermò subito dopo, prendendole le mani tra le proprie, stringendole con calore mentre sulle labbra si distendeva un piccolo sorriso rassicurante, « Penso che anche Klaus sia d’accordo,» aggiunse sottovoce, timorosa di mormorare il nome dell’ibrido che le aveva rubato il cuore. Rebekah si riprese da quel momento di scoramento e imbarazzo e le scoccò un sorriso malizioso e furbo facendola avvampare per la vergogna.
« Sembrate davvero una bella coppia, sai?» esclamò allegra, trattenendo a stento una risata dinanzi alla sua espressione sbalordita, sino ad essere quasi smarrita e colma di confusione e turbamento, « Lui è più sereno e allegro quando è con te, più affettuoso e, credimi, Niklaus sa essere davvero scontroso sino a divenire villano, alle volte,» continuò più imbronciata, ricordando i momenti più cubi del passato di suo fratello, le uccisioni prive di alcun significato, vere e proprie stragi che si protraevano anche per alcuni giorni, solo perché era arrabbiato con il mondo intero, « Eppure tu tiri fuori il meglio che c’è in lui. Sono felice che abbia trovato una ragazza come te. In fondo se lo merita, dopo mille anni passati nel buio. Merita un raggio di Sole,» esplicò quando vide il suo sguardo incerto. Nicole avvampò, terribilmente, e sgranò gli occhi chiarissimi, schiudendo le labbra in una perfetta espressione sbalordita. Si passò una mano su entrambe le guance, per poi fermarsi sulla fronte in fiamme.
« Davvero, Rebekah, io non so se sia realmente la perifrasi migliore per indicare una come me,» contestò scandendo bene ogni sillaba come per imprimerla meglio nella mente della vampira e farle cambiare giudizio, « Non sono un raggio di Sole e, soprattutto, tuo fratello non mi potrà mai considerare in quel modo,» sussurrò più spenta, dispiaciuta e amareggiata, sebbene il tono con cui aveva pensato di parlare era ben diverso. Avrebbe voluto essere forte e sicura, non mostrare alcuna emozione, eppure la sua anima piangeva per quella che nella sua mente era una constatazione, non solo un’idea.
« Perché? » esclamò Rebekah, aggrottando le sopracciglia, contrariata da quel comportamento che riteneva abbastanza sciocco, « Mio fratello potrà anche essere un assassino, un torturatore e un grandissimo farabutto, però è capace di amare, e lo è sempre stato,» le raccontò accorata, sebbene negli occhi stesse avendo il suo avvento un’espressione di puro dolore misto a risentimento, « Anche troppo. Ha donato tutto se stesso a quella sgualdrina di una Petrova, le ha porto il suo cuore su di un piatto d’argento e lei ha giocato con lui, lasciandogli dentro un vuoto talmente profondo, abissale, tanto che non è mai riuscito a colmarlo del tutto,» continuò malevola, gli occhi dardeggianti e i pugni serrati, prima che sul suo volto si distendesse un’espressione di dolce empatia, « Poi sei arrivata tu, tu con la tua freschezza, il tuo animo gentile, tu con la tua umanità che hai messo subito al suo servizio. Non l’hai rifiutato, anzi, ho notato quanto lo fai sentire amato e ti ringrazio così tanto,» esclamò stringendole una mano tra le proprie, un bel sorriso sugli splendidi lineamenti poco marcati del volto. Nicole era arrossita, ma non troppo, e l’abbracciò si slancio, circondandola con le proprie braccia. Aveva trovato un’amica. In quel mare di bugie e sotterfugi, in quella guerra che vedevano scontrarsi le creature soprannaturali di una cittadina della Virginia del sud, lei era riuscita a trovare una persona che le voleva davvero bene, a parte la sua famiglia, non ancora del tutto unita. L’avrebbe ringraziata per tutta la vita per quello che le stava dicendo in quei pochi minuti, per averle dedicato parte della propria immortalità, per averle parlato, tentato di farle comprendere dei sentimenti di cui lei stessa aveva paura per la loro profondità. Rebekah le carezzò lievemente la lunga coda e la sentì sorridere, lievemente, sino a quando ambedue, all’unisono, si scostarono dolcemente.
« Mi dispiace che abbia sofferto così tanto per amore,» sussurrò realmente mortificata, gli occhi mesti e le labbra incurvate verso il basso, « Sarei una sciocca se dicessi che lo capisco, che posso realmente farlo. Tyler mi avrà anche tradita, però non ha mai giocato con me. Sapevo che il suo era vero amore. Che si sia spento è irrilevante,» aggiunse convinta, « Invece, credo che, per Klaus, Tatia sia ancora importante, che il fatto di aver voluto sia lui che Elijah gli bruci ancora,» continuò sottovoce, più mesta, accucciandosi contro il divano, quasi facendosi più piccola, come una bambina, per non soffrire per il peso di quella verità. Rebekah annuì, seriamente e sospirò.
« Hai ragione. Anche per il mio caro Elijah è lo stesso. Devi sapere che lui ha sempre avuto un animo nobile e virtuoso. Era il più gentile di tutti noi, se non si conta il piccolo Henrik, e viveva per proteggerci, tutti. Non puoi immaginare quante volte abbia difeso Niklaus durante gli anni dell’infanzia e della fanciullezza, dalle angherie di mio padre, » le raccontò accorata, perdendosi nei ricordi di quel fratello che le doveva mancare moltissimo, « Quella sgualdrina si frappose, creando una tale frattura tra i due che poté sanarsi solamente con la morte della mia amata madre, però il loro rapporto non fu mai più lo stesso,» sussurrò, chinando lievemente il capo per celarle le lacrime che a stento riusciva a trattenere. Uno suono le fece sobbalzare entrambe. Era la suoneria del cellulare di Rebekah. La vampira lo estrasse e Nicole guardò fuori dalla finestra. Il tramonto stava colorando di rosso il bel cielo terso della capitale, facendo quasi infiammare gli alberi dinanzi a lei.
« Nik, cosa c’è? È successo qualcosa? » domandò preoccupata Rebekah, facendola subito volgere, trepidante, verso di lei. Si avvicinò impercettibilmente e la vampira comprese che voleva ascoltare la telefonata. Inserì il vivavoce e l’accento britannico di Klaus si spanse per tutta la sala.
« No, sorellina, non preoccuparti, nulla di allarmante,» esclamò divertito, sebbene il suo tono stesse divenendo irritato, « Stefan non vuole collaborare, e nemmeno Damon, Mikael non è ancora riuscito a trovare la madre di Bonnie. Un totale fallimento, ma ho dei bei progetti per la serata,» si riprese subito, ridendo appena, « Ti andrebbe di partecipare a una festa di beneficenza? Son certo che sarò il suo benefattore,» continuò suadente, facendo sorridere Rebekah.
 « Quale festa? » domandò Nicole, incuriosita. Klaus rimase per un attimo in silenzio, come sbalordito di sentire la sua voce, poi rispose.
« Ristrutturazione del Wickery Bridge, sebbene creda sia più una maschera per una riunione segreta del più fallimentare Consiglio che sia mai esistito,» affermò sarcastico, ma dolce, ricordando che i suoi genitori erano morti cadendo da quel ponte. Nicole sospirò lievemente, poi sorrise.
« Ci sarò. Devo esserci. Ho bisogno di parlare con Carol,» comunicò più a se stessa che ai due, la voce bassa, quasi impercettibile, meditabonda, le mani giunte poggiate sulle labbra esangui e lo sguardo chino sul lucido pavimento bianco dalle minuscole fughe nere.
« Perfetto, sweetheart. Verrà anche Mikael,» le avvisò prima di interrompere la chiamata. Rebekah rimise il cellulare in tasca e si issò in piedi, scattante, per poi guardarle e porgerle la mano, invitandola ad afferrarla per venire con lei, un bel sorriso impresso sui lineamenti poco marcati del volto per fluire sui bellissimi occhi azzurrini.
 « Ti prometto che non dirò niente a lui,» mormorò rassicurante quando le guardò spalancare gli occhi limpidi, come smarrita e incerta, « Siete voi a dover parlare, e anche presto,» le consigliò mentre Nicole sorrideva e annuiva, prendendo la sua mano, aiutandosi a sollevarsi in piedi, « Penso che comunque avete superato la fase “siamo solo amici, nulla da aggiungere”,» aggiunse, mimando delle virgolette, più maliziosa e suadente, facendola avvampare e annaspare.
« Come?» le domandò incredula, gli occhi sgranati e le labbra schiuse. Rebekah mosse lievemente il capo mentre camminavano verso l’uscita.
« Gli ho estorto che vi siete baciati, e non penso una sola volta,» soggiunse, scoccandole un’occhiata in tralice talmente allusiva da farla arrossire, ma comunque annuire, ricordando le splendide labbra di Klaus sulle proprie. Prima di uscire di casa, sulla soglia, distese le mani dinanzi a sé e le tegole ritornarono al proprio posto, a proteggere la finestra, nascondendo nel buio la bella sala. Si avvicinarono, poi, alla macchina e Nicole guidò verso casa, nell’aria del tramonto, con il Sole che a poco a poco scompariva dietro le distese d’alberi sempreverdi delle foreste vicine. Avanzarono in silenzio, il traffico era quasi del tutto scomparso, e Nicole aveva di poco superato il limite di velocità poiché non voleva ritrovarsi nell’ora di punta, con tutte le auto che, dalla piccoli paesi circostanti, facevano ritorno nella capitale. Rimasero entrambe in silenzio lungamente, ognuna delle due immersa nei propri pensieri. Rebekah osservava il paesaggio fuori dal finestrino, una mano a sostenerle il mento e le labbra lievemente imbronciate in un’espressione meditabonda. Nicole guardava l’asfalto dinanzi a sé, pensando alla propria famiglia: a Elena, a Jeremy. Avrebbe dovuto chiarire con sua sorella, il prima possibile, come le aveva detto Damon. Non poteva permettersi di perdere anche lei, dopo suo padre. Elena non poteva essere davvero arrabbiata, solamente delusa, ma era finalmente riuscita a esplicare tutto il dolore che portava dentro il suo cuore e le aveva fatto bene sfogarsi. Nicole non riteneva davvero fosse sbagliato averla definita uguale alla loro madre. Era vero che Isobel le aveva abbandonate, ma aveva trascorso ogni giorno della sua vita, sia da umana sia da vampira, pensando a loro due, lontane mille miglia da lei. Quando l’aveva vista per la prima volta, quando suo padre aveva ritenuto opportuno che conoscesse l’identità della sua vera madre, Nicole aveva notato delle piccole lacrime velarle gli occhi limpidi, come i suoi, forse di una tonalità più chiara. Tratteneva a stento le proprie emozioni e anche Nicole, sebbene si mostrasse forte e imperturbabile, cercando di erigere un muro di pietra imponente per celare il proprio animo ferito. Non l’aveva abbracciata, né giudicata. Non aveva detto nulla, ma l’aveva osservata a lungo, senza sapere come comportarsi. Era stata Isobel a comunicarle una delle verità che serbava con più riguardo nel suo cuore. Far sempre la cosa giusta. A un estraneo sarebbe parso totalmente insensato che una vampira come Isobel, che non teneva in alcuna considerazione la vita umana, potesse agire giustamente, ma Nicole era andata oltre. Suo padre le aveva raccontato che, subito dopo il parto, Isobel aveva il cuore spezzato, ma le aveva lasciate andare, comunque, poiché sapeva che Grayson e Miranda sarebbero stati due genitori eccezionali, sicuramente migliori di quello che sarebbe potuta essere lei. Scosse il capo, lievemente, e guardò con la coda dell’occhio la vampira al suo fianco. Klaus riprese prepotentemente possesso della sua mente. In verità non l’aveva mai abbandonata, la sua immagine si era solo messa da parte per poterle far ricordare la sua vecchia vita.
« Rebekah, secondo te, nel cuore di tuo fratello, ci potrà mai essere posto per un’altra? » domandò genuinamente incuriosita dalla risposta. Non v’era né dolore né aspettativa nel suo tono, solo interesse. Rebekah si volse, lentamente, verso di lei, il suo sguardo era totalmente indecifrabile. La guardò per alcuni istanti, poi annuì.
« Io credo ci sia già,» le sussurrò dolcemente, « Svolta a sinistra. Siamo arrivate,» le comunicò vedendo il cartello per Mystic Falls. Nicole obbedì prontamente, accantonando un istante la prima asserzione di Rebekah. Mise la freccia, poi entrò nella cittadina, illuminata solo dalle luci dei lampioni in lontananza. Si diresse verso il palazzo dei Fondatori, nel centro della città, e parcheggiò dinanzi ad esso dopo pochi minuti, nel più assoluto silenzio. Vide Damon e Alaric dinanzi all’entrata principale dell’immenso palazzo bianco, con delle piante dai fiori illuminati da piccole luci, e aprì lo sportello, per poi richiuderselo alle spalle e serrare la jeep. Rebekah avanzò, quasi librandosi dal suolo verso l’ingresso, attendendola sulla soglia, e Nicole raggiunse prontamente, vedendo il suo sorriso benevolo. Appena furono entrare, si guardò intorno. V’erano moltissime persone, anche troppe, a suo parere. Le conosceva tutte, alcune meglio di altre. Notò subito la longilinea figura di Klaus, come attirata da una calamita che li legava, dinanzi a quella di Carol. Vicino a loro v’era Mikael che guardava loro per poi far un piccolo cenno di saluto. Rebekah si limitò a un breve sorriso e le fece cenno di raggiungerli. Nicole annuì e Klaus, accortosi della loro presenza grazie alle indicazioni del patrigno, la guardò. I suoi occhi azzurri le penetrarono l’anima, ma tentò di non darlo a vedere, di non arrossire per non far intendere a nessuno quanto fosse fragoroso il suo batticuore. Klaus, sulle cui labbra era disteso un impercettibile sorriso accattivante, provocante e immensamente bello, non scostò gli occhi da lei per un solo istante durante quel breve percorso e Nicole neppure.
« Nicole, tesoro, da quanto tempo,» esclamò Carol appena si furono avvicinate. La donna l’abbracciò lievemente e Nicole, a malincuore, interruppe quel gioco meraviglioso per dedicare a quella che aveva considerato una mamma per innumerevoli anni tutto il proprio affetto. La strinse forte, con un sorriso felice impresso sulle labbra e nel cuore.
« Scusami, Carol. Sarei voluta venire a trovarti molto prima, però non ne ho avuto materialmente il tempo,» le comunicò dispiaciuta, scostandosi di poco e immergendosi negli splendidi occhi blu della donna, fasciata da un bell’abito viola che ne enfatizzava le forme gentili. Carol sorrise, dolcemente, e annuì.
« Non preoccuparti, cara. Ti capisco,» sussurrò comprensiva, prima di volgersi verso i tre Originali che le osservavano quasi strabiliati, perlomeno Rebekah e Mikael. Klaus era semplicemente allegro e la guardava ancora, come se non riuscisse a fare altro, come rapito dalla vista, « Perdonatemi, ma devo parlare con la mia bellissima figliola acquisita, spero non vi dispiaccia,»  aggiunse quando vide Rebekah sgranare gli occhi, sorpresa da quel rapporto così stretto. Nicole rise, piano, per smorzare l’imbarazzo che le aveva fatto avvampare le gote sempre sin troppo pallide.
« Suvvia, Carol, credo possano rimanere,» esclamò raggiante, prendendo le mani della donna. Il sorriso scomparve quasi del tutto quando un paio di occhi di ghiaccio occupò il suo campo visivo. Damon Salvatore si stava avvicinando, con il solito incedere baldanzoso. La guardò, divertito, e le fece un impercettibile occhiolino.
« Guarda cos’ha portato a casa il gatto,» enfatizzò il vampiro, guardando i tre Originali, facendole scuotere il capo con foga, ma anche divertimento, trattenendo a stento un sorriso, « Bell’abito,» continuò poi rivolto a Klaus che indossava una semplice camicia bianca aperta a mostrare delle catenine, una giacca e un paio di jeans. L’ibrido lo guardò interamente, allegro, e lo ringraziò, sarcastico e pungente.  Nicole lo guardò, solo per un istante, e tutto ciò che vide fu la splendida eleganza dei suoi gesti. Le vesti non contavano assolutamente nulla, non per lei. Klaus emanava un’aura nobile e antica, colma di saggezza e garbo.
« Nicole,» sussurrò Carol, prendendola quasi in disparte, allontanandola di poco verso la scalinata che conduceva ai piani superiori della meravigliosa villa, « Verresti domenica a pranzo, a casa mia? Ho bisogno di parlarti di quello che mi hai detto quando sei arrivata qui,» aggiunse, lo sguardo penetrante per farle rimembrare la propria promessa. Aveva affermato che sarebbe stata poco a Mystic Falls e aveva mentito, sebbene non se ne fosse nemmeno resa conto. I giorni erano trascorsi con così tanta celerità da averle fatto dimenticare di avere dei doveri, oltre a quelli della sua natura di strega.
« C’è qualche problema, Carol? Non capisco,» tentò di discolparsi, cercando di sbattere le palpebre, proprio come quando era bambina e si arrischiava a lasciare le lezioni di pianoforte per raggiungere la sua mamma che leggeva le poesie dinanzi ai piccoli della città. Carol non era mai caduta in quel tranello.
« Per favore, Nicole. Fa’ come ti ho detto e non polemizzare, soprattutto non farti notare, te ne prego,» sussurrò guardandosi intorno, osservando i membri del Consiglio che le stavano scrutando con astio malcelato. Nicole sospirò appena e chinò il capo, battendo il piede contro il pavimento, come per cancellare il risentimento nel suo cuore, « È stato uno sbaglio venire qui stasera, e tu lo sai benissimo,» aggiunse con la voce, se possibile, ancora più bassa e impercettibile. Nicole annuì e rialzò fieramente lo sguardo, mostrando le poche lacrime che lo velavano.
« Lo so, Carol. È stato un sbaglio venire qui in generale. Non sarei mai dovuta tornare. Papà me l’ha sempre detto. Tieniti lontano da quella città se vuoi ancora vedere l’alba di un nuovo giorno,» recitò, ricordando a menadito il suo consiglio. Notò che gli sguardi dei quattro vampiri erano tutti fissi su di lei, però quella constatazione non le impedì di continuare a parlare, sempre a voce bassa, per non destare altre attenzioni, « Ma papà è morto. E io non sapevo dove andare, cosa fare, se non tornare a casa mia, da Elena e Jeremy,» rivelò, battendosi le mani sui jeans, le labbra tremanti nell’atto di trattenere le lacrime. Anche Carol era in procinto di piangere, lo leggeva nei suoi splendidi occhi blu. La donna le prese le mani e annuì.
« Ti capisco, tesoro. Però dobbiamo comunque parlare. Ti prometto che farò di tutto per aiutarti, puoi contare su di me. Come sempre,» confermò con un sorriso dolce e materno. Nicole annuì e si riavvicinò al piccolo gruppo, « Damon, Klaus ha fatto un’offerta davvero generosa questa sera. Sai quanto siamo impazienti di incominciare la ristrutturazione,» esclamò prima di vere un sorso di champagne. Nicole guardò l’ibrido in tralice. Un lieve sorriso gli increspava le labbra piene. Oramai non guardava più lei, ma Damon, come per spronarlo a fare un’offerta migliore della propria. Mikael guardò dietro di lei, poi le fece cenno di volgersi, ma la sua voce anticipò ogni segno.
« Dopo che i miei genitori l’hanno superato per poi affogare nel fiume,» affermò, con finta allegria mista a ironia, la sempiterna mite voce del suo fratellino. Si voltò, di scatto, sino a incontrare il suo bello sguardo, ereditato da Miranda, di un marrone scuro e dolce. Un sorriso, beffardo e totalmente sbagliato, distendeva le labbra esangui e aveva le mani nelle tasche dei jeans. Aveva indossato una semplice camicia azzurrina e aveva lievemente passato il gel sui capelli.
« Jer,» sussurrò, gli occhi assottigliati per il dolore, prendendogli la mano, tentando di stringerla. Suo fratello non glielo permise, ma abbassò lo sguardo su di lei.
« Che c’è, Nicole? È vero. Forse tu non lo sai, ma è andata proprio così,» esclamò scandendo con foga ogni sillaba, come per imprimerle quella mancanza nella mente. Nicole, trattenendo a stento le lacrime, comprendendo la ragione per la quale stava parlando in quel modo, gli afferrò il braccio, con forza, facendogli chinare il capo maggiormente vicino a lei, poi gli spalancò le palpebre. Gli occhi erano arrossati, ma non troppo. Si era drogato, sicuramente.
« Hai ricominciato? » domandò sbalordita, sgranando gli occhi. Quando lo vide arrossire lievemente, ne ebbe la certezza e si allontanò di poco, i tratti del volto induriti e accigliati, « Jer, per l’amor del cielo, devi smetterla,» mormorò comunque dolcemente, per essergli vicina e fargli comprendere che non lo stava giudicando, « Cosa credi che direbbe Elena se lo venisse a sapere?» chiese esasperata, poggiando la mano sulla sua guancia in una mite carezza. Jeremy la guardò, per qualche istante, in colpa per ciò che aveva fatto, poi scosse il capo e l’allontanò da sé.
« Probabilmente la stessa cosa che direbbe a te adesso che sei passata dalla parte dei Originali,» affermò duramente, la voce tagliente e gli occhi dardeggianti, poi guardò oltre lei, verso Klaus che osservava la scena insieme agli altri tre, Damon era andato via già da alcuni minuti, dirigendosi verso il piano superiore. Klaus era, forse, un po’ preoccupato per la piega che stava prendendo il discorso, impensierito per lei, « Stai lontano da mia sorella. Da entrambe. Mia sorella è buona, dolce e gentile, tende sempre a essere troppo fiduciosa, e non permetterò che tu le faccia del male,» continuò più accorato e protettivo. Nicole avvampò e chinò impercettibilmente il capo, non voltandosi verso Klaus che sogghignava appena, sebbene tutta la baldanza fosse scomparsa. Era solo una facciata, in quel momento. Jeremy non attese una risposta e poggiò un lieve bacio sulla fronte di sua sorella, « Per favore, non dirlo a Elena. Gliene parlerò io questa sera stessa, appena sarà tornata dalla festa di Care. E non pensare che tutto questo sia contro di te. Io ed Elena ti amiamo, Nicole, e questo non cambierà mai,» sussurrò prima di volgersi e allontanarsi velocemente, senza guardarsi più indietro. Nicole sospirò appena e scosse il capo, una volta sola, prima di volgersi verso Carol.
« Festa di Care? Che vuol dire? » domandò confusa, con le braccia conserte come per riscaldarsi, ben attenta a non incontrare lo sguardo di Klaus, fisso su di sé. Carol inclinò lievemente il capo e spalancò gli occhi, creando delle rughe sulla fronte.
« Tesoro, oggi è il compleanno di Caroline. È possibile che tu te ne sia dimenticata? È la tua migliore amica,» aggiunse incerta e perplessa. Nicole arrossì, leggermente, e annuì, scostandosi un boccolo che le era ricaduto sul volto, le labbra imbronciate per la tristezza.
« Non mi ha invitata,» sussurrò flebilmente mentre le si formava un groppo alla gola e gli occhi le pizzicavano per le lacrime. Carol la guardò, comprensiva, e le carezzò lievemente il braccio prima di venire richiamata da un signore che lei non conosceva. Si scusò e si congedò velocemente prima di aver poggiato dolcemente le labbra sulla sua guancia.
« Klaus,» esclamò Damon preoccupato, sul primo gradino. Nicole lo guardò e tutto ciò che vide fu ansietà, quasi angoscia e turbamento, « Devi venire con me. Sarebbe meglio che venissi anche tu, Nicole,» aggiunse con più gentilezza. La strega annuì e lo seguì, al fianco dell’ibrido verso una saletta non occupata da nessuno. Damon si chiuse la porta alle spalle per sicurezza e Nicole si fece impercettibilmente più vicina a Klaus, senza guardarlo.
« Cosa c’è, Damon? » domandò Nicole cortese, rivolgendogli un breve sorriso che il vampiro non ricambiò.
« Stefan ha rapito Elena,» comunicò seriamente. Nicole lo guardò, solo per un istante, prima di replicare.
« Cosa? » esclamò Nicole indignata, gli occhi sgranati e le gambe tremanti. Damon raccontò loro tutto, sebbene Klaus non credesse che le avrebbe fatto del male. Nicole non ne era tanto sicura. Era pur sempre un vampiro ed era cambiato, in peggio, durante quei mesi.
« Quel genere d’amore non muore mai,» replicò Klaus, come immerso nel passato. Nicole tentò, con successo, di non sobbalzare per quella frase mormorata. Damon si accorse del suo turbamento, poiché era di fronte a lei, mentre dava le spalle a Klaus, e inclinò il capo, come per farle cenno di non pensarci. Dovevano solo preoccuparsi di Elena. Aveva ragione, ma non poteva farlo. Rebekah si era sbagliata. Non sarebbe mai stata che un ripiego per Klaus.
  
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