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Autore: AbigailLuna    31/05/2012    2 recensioni
Pansy è malata, e forse non guarirà mai. "Da anni, la mia battaglia senza pause contro il sangue della mia famiglia, contro il sangue di un prestigio guadagnato sul sangue di uomini e donne innocenti, mi ha portata ad un punto di non-ritorno. Ti prego, aiutami. Due parti differenti di me stanno decidendo il mio futuro, ma io non riesco a capire quale delle due ha torto e quale ha ragione. Chi devo ascoltare? La voce che mi prospetta una vita agiata ma sempre imbavagliata da valori cui non crede? O quella che mi prospetta una vita da donna libera e quasi felice, ma che deve temere per ogni passo che fa, con aguzzini di entrambe le fazioni pronti ad uccidersi per avere la sua pelle?"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Blaise Zabini, Luna Lovegood, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Gli anni passarono senza particolari intralci. La signorina Mindy fu rapidamente sostituita da una signora vecchia e acida che parlava con un fortissimo accento nordico, forse dell’Austria o della Germania, cosa che rendeva le lezioni di inglese e francese ancora più difficili, perché non sempre Pansy riusciva a capire ciò che le diceva la sua insegnante. La signora Sauer (questo era, infatti, il nome della donna), aveva modi di fare bruschi e sbrigativi, e una profonda accidia che avrebbe fatto sembrare la zitella più sola d’Inghilterra un dolce agnellino, se messo in confronto a lei. Non amava particolarmente il suo lavoro, ma nutriva una profonda adorazione per il suo salario e per i valori che insegnava controvoglia. Aveva un portamento dritto e i capelli bianchi costantemente raccolti in uno strettissimo chignon tenuto insieme da antiche ed elaborate forcine di metallo. L’insieme generale dava un’impressione di severità e rigidità, ma bisognava saper andare oltre le apparenze: la signora Sauer non era rigida e severa, era molto di più. Era cattiva e malvagia, e approfittava di ogni momento per umiliare Pansy; o almeno, così pensava la bambina. In verità, la precettrice cercava solamente di non farsi licenziare.
 Un giorno, quando Pansy, avendo finito velocemente i compiti che la sua precettrice le aveva assegnato, decise di uscire e andare al parco che era solita frequentare con la signorina Mindy durante le lezioni sul portamento e sul come camminare. Sapeva che non avrebbe dovuto: se sua mamma lo avesse saputo, si sarebbe sicuramente arrabbiata moltissimo. Al momento della decisione, però, aveva avuto più importanza il sole che splendeva fuori dalle alte finestre del castello e si rifletteva sulle verdi foglie primaverili. Tutta sorridente, Pansy uscì, allontanando momentaneamente dalla testa la reazione dei genitori alla sua scomparsa e pensando solo allo scivolo e alle altalene. Arrivata al parchetto, che distava appena due isolati si fiondò su un’altalena. Il parco era molto particolare, era incastrato tra vari palazzi fatiscenti, e laddove non lo era, era recintato da spesse mura. Vi si entrava attraverso un enorme portone a due battenti che rimaneva sempre spalancato. Se da fuori poteva sembrare lugubre, o triste, dentro si scatenava un modo totalmente diverso: a destra partiva un cammino sterrato circondato da pioppi che faceva il giro del parco, e che era l’abituale ritrovo serale di giovani (o meno giovani) coppie d’innamorati. Era diviso in due grandi zone: una, in fondo al parco, era una semplice zona di erbetta verde e curata, dove andavano famiglie e gruppi di amici a fare allegri e rumorosi picnic; l’altra, ancora più rumorosa, era quella dei bambini, piena di giochi di ogni tipo. Non era un parco di maghi, anche se era frequentato da molti di essi. Qua e là, infatti, si notavano alberi che sembravano essere stati colpiti da fulmini, ma erano in realtà stati colpiti dall’indelicata magia minorile, o da un sortilegio venuto male a un adolescente che cercava di attirare l’attenzione della sua amata. La signorina Mindy, quando portava Pansy a esercitarsi, la lasciava andare sullo scivolo, qualche volta, se era stata brava.
 A un certo punto, a Pansy venne il mal di mare, e scese dall’altalena. Si guardò intorno, alla ricerca di una nuova occupazione, quando improvvisamente, una bambina vestita di rosa dai capelli biondi tagliati a caschetto e dai penetranti occhi blu si avvicinò e l’interpellò:
 
- Ehi!
- Scusami? Rispose Pansy, beneducata come le aveva insegnato mamma.
La bambina la guardò con una strana espressione poi, pensando che forse l’altra bambina non parlava inglese disse:
- Ciao! Tu parli la mia lingua?
 
Pansy, perplessa, rispose di sì.
 
- Bene! Vuoi giocare con me? Come ti chiami? Quanti anni hai?
- Mi chiamo Pansy, rispose questa cercando con fatica di abituare il suo vocabolario a quello della nuova arrivata. Sì, mi piacerebbe molto giocare con te e ho otto anni.
- Io mi chiamo Bettie! Giochiamo a nascondino?
- Che cosa sarebbe questo “nascondino”?
- Nascondino! Sai… Nascondino!
 
Davanti all’espressione di totale confusione dell’altra bambina, senza scomporsi, Bettie, pensando che forse, se Pansy non era inglese, non poteva certo conoscere nascondino, si affrettò a spiegarglielo:
 
- Allora, tu ti nascondi, io conto fino a dieci e al dieci ti vengo a prendere e poi tu devi correre alla tana prima che ci arrivi io poi se tu arrivi prima di me hai vinto se arrivo prima io urlo tana per Pansy e poi tu hai perso e ho vinto io! Capito?
 
Pansy non aveva capito assolutamente nulla di quell’assurdo e assolutamente scorretto blaterare di tane e nascondigli, per cui, ovviamente, scosse positivamente la testa.
 
- Okay! Allora comincio a contare, te vai a nasconderti!
 
Pansy, sempre più perplessa, andò a nascondersi dietro ad uno degli alberi del sentiero degli innamorati (sentiero che, per fortuna per gli occhi innocenti della piccola Pansy, era deserto a quell’ora del pomeriggio), esaltata dal fatto che Bettie, avesse detto “okay”. I suoi genitori ed entrambe le sue insegnanti glielo avevano sempre vietato, dicendo che era “troppo babbano”. Lei però lo adorava, e lo ripeté, per sentire che suono avesse a contatto con la sua lingua. Aveva un sapore delizioso, quella parola proibita. Purtroppo, lo aveva urlato, facendosi immediatamente individuare dalla sua compagna di giochi. Allora, mettendo in pratica ciò che le aveva insegnato la bambina corse verso la tana, ma, a causa dell’ingombrante vestito che indossava e del fatto che le discipline sportive non erano assolutamente contemplate nella sua educazione, Bettie arrivò prima di lei. Le due bambine scoppiarono a ridere in quel modo così tipico dei marmocchi di quell’età, e continuarono a correre, ridere e giocare per quasi due ore, fino a che, proprio a metà di una partita di acchiapparella, Elmer e i genitori di Pansy si materializzarono improvvisamente in mezzo al parco. Piombò il silenzio, e la risata della piccola strega morì a metà. I babbani presenti erano sconvolti, e lo sareste stati anche voi se due vecchi vestiti in modo strano fossero improvvisamente apparsi sopra ai vostri panini accompagnati da un essere informe e magrolino.
 
- Pansy. Elizabeth. Parkinson.
 
Druella afferrò sua figlia per un orecchio e l’intera famiglia si smaterializzò prima che la piccola strega potesse salutare la sua amica.
 Una volta a casa, si avverò la più grande paura di Pansy: i suoi genitori la squadravano in silenzio, suo padre pallido e sua madre rossa in viso e furiosa. Fra pochi secondi, la signora Parkinson sarebbe scoppiata. Infatti:
- Che cosa ti è saltato in mente, stupido ammasso di cenci?
 
Una semplice frase. Era bastata una semplice frase per far svanire tutta l’euforia di Pansy e riempirle gli occhi di lacrime, senza però poter piangere.
 
- Druella, intervenne il capofamiglia autorevolmente, calmati. Pansy, disse poi dolcemente, perché sei uscita da sola? Avresti dovuto chiedere a Elmer di accompagnarti.
 
- Smettila di giustificarla e di fare il gentile, Walter! Non puoi sempre lasciarle passare tutte le marachelle che fa!
 
- Smettila tu, Druella! Continui a sgridarla senza motivo per ogni singola cosa che fa e…
 
I genitori battibeccavano l’uno con l’altro, ignorando la causa iniziale del conflitto, cioè la piccola Pansy, che ora si sentiva libera di lasciar colare le lacrime. Improvvisamente, il battibecco s’intensificò e il signor Parkinson tirò uno schiaffo alla moglie. L’eco del ceffone risuonò per tutta la cucina, mentre e due donne di casa rimanevano ammutolite. Ma Druella Parkinson non era diventata una delle streghe più cattive del suo tempo per niente, e in men che non si dica aveva lanciato una fattura Orcovolante al marito. Quello che era iniziato come un normale dibattito tra coniugi si trasformò in un duello magico degno di Merlino. Merlino che, tra l’altro, era molto spesso citato tra le incantazioni, accompagnato spesso da epiteti poco felici. Nemmeno Morgana era risparmiata.
Pansy piangeva disperatamente, ma i genitori non le davano ascolto, così corse in camera sua. Si rintanò sul letto e diede libero sfogo al pianto. Era arrivata a quel punto in cui nulla è importante, a parte le lacrime. Era arrivata a quel punto in cui le lacrime non sono sufficienti, e sopraggiungono le urla, la nausea. Quel punto in cui la stanchezza è tanta, e la voglia di farla finita pure, ma il pianto e la disperazione ti distraggono talmente tanto da non riuscire a focalizzarti su nient’altro. Rimane solo il dolore. Non la causa primaria del pianto, ma il dolore che esso provoca, la gola che brucia, le gambe anchilosate che si fanno sempre più pesanti e le braccia stanche che non reggono più il peso delle mani. Esausta, la bambina continuava a ripetersi: “è colpa mia. È colpa mia. Stanno litigando per colpa mia. È colpa mia. Sono la causa dei loro guai. È colpa mia. È COLPA MIA”. In una specie di raptus, esattamente come la volta prima, prese il coccio di porcellana che conservava immutato in tasca da quattro anni e lo appoggiò sul braccio. Stava per premere quando le venne improvvisamente in mente che faceva caldo. Così sollevò il vestito e tracciò una lunga riga lungo la gamba destra. Una parte del dolore che la attanagliava si volatilizzò e lei sorpresa, per poco non cadette. Poi capì. In uno di quei lampi di consapevolezza che a volte colpiscono i bambini e li fanno riflettere da adulti per un istante, lei comprese che il sangue che usciva dal suo corpo, in verità era dolore. Tutto il suo dolore e la sua tristezza sarebbero usciti da quelle rosse ferite sul suo corpo, e le sue lacrime non avrebbero più avuto ragione di esistere. Leggermente sollevata, ma ancora profondamente triste, si sedette a gambe incrociate, e passò il coccio sulla gamba sinistra. Questa volta, l’aveva fatto con una violenza e una furia tali che perse la sensibilità del braccio per un istante, mentre il copriletto si imbeveva di sangue. Cadde dal letto. Non contenta, sollevò ulteriormente il vestito alla ricerca di un altro luogo dove sfogare il suo dolore e fissò la sua pancia. Ci spinse con forza il coccio, ma nel tracciare la riga che l’avrebbe separata dal suo dolore, le tremò la mano e invece della linea orizzontale che si aspettava, ottenne una specie di sorriso tremolante. Ebbe appena il tempo di vedere il sangue che sgorgava abbondantemente dal suo stomaco, quando svenne.
Due ore dopo, Elmer la trovava immersa in una pozza di sangue, in mezzo alla stanza, inerme e con un coccio in mano. Andò a chiamare i signori Parkinson, e Druella, che era cattiva e senza cuore, ma aveva comunque bisogno di sua figlia viva per mantenere il prestigio della famiglia, si smaterializzò con Pansy e Walter.
 Al san Mungo la ricoverarono d’urgenza. Aveva perso molto sangue e rimase in sala operatoria a lungo. Sarebbero benissimo potuti andare in un ospedale babbano, ma ovviamente era fuori discussione che la futura ricca e potente Pansy Parkinson si facesse curare dai dei macellai babbani che l’avrebbero tagliata e cucita come se fosse un haggish.
Dopo un’ora e mezza, la bambina riposava tranquillamente, sedata, su un lettino. Quando il Guaritore fece entrare i genitori, aveva la fronte ripiegata in una ruga preoccupata.
 
- Vostra figlia sta bene, ma-
- L’avete curata? Interruppe Druella. Se sta bene, non voglio sentire ma.
- Ma, continuò il Guaritore come se niente fosse, il problema è che quelle ferite non sono accidentali, se le è inflitte lei e-
- Impossibile, esclamò irritata mamma Parkinson, Pansy è una brava signorina e sa che certe cose non si fanno.
- E qualunque cosa lei possa sostenere, signora Parkinson, sua figlia sta male; continuò lui imperturbabile. Le consiglierei un buon Psicomago che potrebbe aiutare-
 
Druella interruppe di nuovo.
 
- Questo è fuori discussione. Mia figlia sta benissimo. È lei ad essere malato. Scommetto che è anche uno sporco mezzosangue. Ti rendi conto, Walter? Un mezzosangue ha toccato la nostra bambina!                                                
- Druella! Intervenne il marito. Se il signore dice che Pansy sta male, deve essere vero. Adesso la smetti e andiamo a vedere uno Psicomago. E scusati con il Guaritore per averlo insultato.
 
I due genitori ricominciarono a litigare, ma stavolta non ci fu violenza, e fu Water Parkinson ad averla vinta, dopo aver pazientemente spiegato alla moglie che anche nelle migliori famiglie Purosangue le persone potevano essere malate. Quindi, Pansy fu portata da uno Psicomago, che non ebbe alcun effetto, poiché le sue parole entravano ed uscivano dalla testa della bambina senza lasciarci la minima impronta. Ottenne solo due cose da quelle noiosissime ore in cui l’ometto le parlava di tutto e niente e le faceva domande alle quali rispondeva con monosillabi o bugie: la prima era un’amara lezione. Aveva imparato a tagliarsi. Aveva capito che lei l faceva in modo troppo evidente, doveva semplicemente fare in modo che non si notasse, e così fu per gli anni a venire. La seconda era una grande vittoria: i suoi genitori non litigavano più a causa sua, o perlomeno, non davanti a lei. In compenso, ora era costantemente accompagnata dall’elfo domestico, o da una babysitter. I suoi genitori la nascondevano alla vista altrui.
   
 
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