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Autore: giulina    31/05/2012    5 recensioni
Leo tirò in aria l'ennesimo biscotto e lo fece finire direttamente nella bocca aperta, sorridendo alla ragazza che continuava a girare lo zucchero nel suo tè ormai freddo. Non resistette più e gli sorrise apertamente. Con quel ragazzo era tutto un mostrare sorrisi storti e denti bianchi, un ridere fino a sentire male allo stomaco.
- Mi piace. -
- Il mio riuscire a centrare la bocca con il biscotto? Lo sai che riesco a mangiarmi anche l'unghia del pollice mentre sono al telefono? -
Agata rise di nuovo e Leo le si avvicinò, toccandole delicatamente con l'indice la fossetta appena accennata sulla guancia sinistra.
- Mi sono innamorato. -
- Di me? -
- Macchè, parlavo di quella fossetta lì. Sì, proprio quella lì. Non è che la puoi regalare? -
Agata continuò a sorridere mentre Leo le percorreva con il dito la pelle del viso e la guardava con quegli occhi dalle ciglia lunghissime, che le facevano sentire la necessità di abbassare lo sguardo. Non meritava che qualcuno la guardasse con quegli occhi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Questo capitolo è puro delirio, vi avverto!

Ringrazio con tutto il mio cuoricino le persone che hanno letto, commentato, hanno inserito tra i preferiti e i seguiti e mi hanno fatta emozionare tanto. Siete delle persone meravigliose, magari ce ne fossero di più come voi <3

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Un grazie speciale va a Triggola che ha fatto quest'immagine e che già ama Leo.

Grazie, noce di cocco.

Tuo, budino.

 

 

 

 

 

 

                                            

 

 

 







Le mie ossa regalano ancora alla vita: 
le regalano ancora erba fiorita. 
Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina 
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina; 
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia 
"Una morte pietosa lo strappò alla pazzia". 


-Un matto, Fabrizio De Andrè-

 

 

 



Si stava tagliando le unghie dei piedi.
Seduto scomodamente sulla sedia di plastica rossa nel cucinotto, Leo, tagliaunghie alla mano sinistra, stava osservando il suo piede con una particolare attenzione: aveva le dita più brutte di tutto il mondo.
Sua nonna Paola, quando era bambino, gli raccontava spesso che suo zio Fabrizio aveva i piedi talmente brutti che non si levava i mocassini nemmeno al mare.
Quel difetto lo aveva ereditato da suo zio, Leo ne era certo.
Sul fornello dietro di lui, a fiamma bassa, stava cuocendo il coniglio alla cacciatora che aveva preparato accuratamente qualche ora prima. Ascoltava distrattamente con un orecchio il rumore del sugo al pomodoro che bolliva sul fondo della pentola e con l'altro, il telegiornale di mezzogiorno trasmesso dalla televisione in salotto.
Qualcuno era stato ucciso, qualche vecchietta derubata, un'azienda era fallita e la vip del momento si era presa la sifilide.
-Ti ci vuoi mettere anche un po' di smalto?-
-Ce l'hai rosso vermiglio?-
-Non sarebbe meglio rosso veneziano?-
-Che ne dici di un cremisi?-
-Terra cotta?-
-Mhm non so, stonerebbe con il colore dei peli sulle mie gambe- E così dicendo, aveva allungato una gamba in direzione della ragazza e si era alzato il pantalone del pigiama a righe fino al ginocchio.
I suoi lunghi e biondi peli erano un qualcosa di tremendo. Così antiestetici!
Agata fece una faccia disgustata arricciando il naso arrossato alla punta.
Leo si era alzato per andare a controllare il coniglio sul fuoco ed aveva lanciato un'occhiata distratta fuori dalla finestra dietro l'acquaio, colmo di piatti sporchi e bicchieri usati con il segno di un rossetto rosso sul bordo.
Stava piovendo, di nuovo.
In quel momento, una formica -pancia nera e testa rossa, sempre loro!- camminò a passo svelto vicino alla sua mano, cercando di passare inosservata e arrivare sana e salva dall'altra parte del bancone dove, probabilmente, la stavano aspettando le sue compagne.
-Ma tutte queste cazzo di formiche da dove diavolo vengono?-
Ed era sparita sotto il suo palmo. Pace all'anima sua.
-Se la tua casa è un porcile non è colpa mia-
-Ti va di venire a vivere qui?-
Agata gli aveva lanciato un'occhiata significativa e si era portata un chicco d'uva verde alle labbra screpolate.
-No-
-Dai, ti pago se vuoi. Mi pulisci casa e facciamo l'amore tutto il giorno. Non ti sembra un ottimo compromesso?-
Agata non gli aveva risposto ed era uscita dalla cucina con due grappoli d'uva, una mela e due banane tra le braccia.
-Fammi almeno la lavatrice, lo sai che non la so fare!-
Il volume della televisione si era alzato sovrastando la sua voce alla fine della frase.
Leo, sorridendo, si era rimesso ai fornelli e aveva infilato un dito nella pentola per assaggiare il sugo.
Buonissimo.
Aveva preparato due piatti e si era spostato in salotto, seduto sul divano di pelle blu vicino a lei.
La televisione trasmetteva un cartone animato giapponese. Non era male.
Avevano finito di mangiare in silenzio e il ragazzo aveva riportato i piatti in cucina, non pensando minimamente di darli una sciacquata.
Si era seduto sul divano mentre Agata sbucciava una mela con un coltello seghettato che se non ci stavi attento potevi rimetterci qualche dito.
Lui l'anno scorso si era quasi tagliato il mignolo.
-Facciamo l'amore?- Chiese con la voce quasi annoiata, appoggiando il capo sulla spalliera.
Lei l'aveva guardato per qualche secondo, interrompendo il suo preciso lavoro di sbucciatura, e gli aveva risposto: -No-
-Dai! Non so cosa fare!-
-Pulisci-
-Puliamo nudi?-
-Ho il raffreddore-
-Se vuoi lo facciamo sui fornelli. Ogni tanto li accendiamo così ci scaldiamo!-
Agata si era alzata dal divano lentamente, aveva raccolto la buccia della mela nelle sue mani e, guardandolo negli occhi tristi gli aveva risposto: -No-
Leo si era allungato sul divano e aveva incominciato ad agitare mani e piedi come un bambine capriccioso, affondando il viso nel cuscino di piume d'oca costato un occhio della testa, biascicando parole a mezza voce.
-Ecco perché non voglio venire a vivere con te: sei pazzo-
Leo aveva sorriso. Era vero, era davvero pazzo.






Si conoscevano da ormai due anni quando Leo aveva deciso improvvisamente di trasferirsi. Era passato un anno e otto mesi dal loro primo bacio, un anno e cinque mesi dalla prima volta che si erano visti nudi e un anno e qualche giorno da quando Agata aveva capito di aver a che fare con un matto.
E che anche lui non aveva di certo fatto un grande affare mettendosi con lei.
Era un pomeriggio di ottobre, o forse dicembre, e Leo le aveva chiesto di andare a vedere insieme un appartamento in città -un affare con i fiocchi e contro fiocchi!-, le aveva detto emozionato al telefono.
Si era stancato di vivere nella casa che le aveva lasciato il suo defunto nonno. Voleva una casa che sapesse di pulito e avesse le pareti dipinte con colori sgargianti, un giardino dove potesse piantarci il bonsai che aveva vinto alla fiera del paese l'anno prima e una sedia a dondolo da mettere sul balcone.
Leo aveva sempre desiderato una sedia a dondolo, affermava che quando ci si sedeva sopra, si sentisse molto più saggio.
Quel pomeriggio visitarono l'appartamento al terzo piano di un palazzo rosso insieme ad una donna sulla cinquantina che li aveva affibbiato l'agenzia immobiliare a cui si era rivolto il ragazzo.
Si chiamava Pamela. Nome da puttana. E forse, un po' puttana lo era pure.
-Allora, che ne pensate?- Li aveva chiesto sorridendo, allargando le braccia come se potesse abbracciare la casa. In quel modo, Leo aveva notato le enormi gore di sudore sotto le ascelle della donna. Era rimasto leggermente disgustato.
-Cosa ne pensi?- Aveva chiesto alla ragazza accanto a sé.
-Non so..carina-
-Carina?-
-Sì, carina. Colorata-
-Non è magnifica? Fantasmagorica? Magasuperwow?-
-Non inventarti le parole- Lo aveva ripreso Agata, accendendosi una sigaretta vicino all'ingresso deserto.
-A me piace da impazzire. Mi tromberei il frigorifero! L'hai visto com'è bello?!-
-Non essere volgare- Aveva risposto la ragazza, lasciandosi trascinare per un braccio in cucina.
In quel periodo Agata non era la Agata che Leo avrebbe conosciuto qualche tempo dopo. Era una ragazza che non sapeva sorridere.
Il frigorifero giallo era bello, questo lo doveva ammettere. Bello era anche il modo in cui Leo si muoveva tra quelle pareti che cadevano a pezzi sorridendo e ridendo come un matto.
Perché matto lo era davvero.
-Allora? La prendo?-
-Non so, fai te. È casa tua-
-Se vuoi...-
-Se voglio?-
-Se vuoi...può essere anche tua. Cioè, lo so che anche te vorresti trombarti il tostapane- Le aveva detto a voce bassa, sedendosi con un saltello sul bancone vicino all'acquaio. Non la guardava negli occhi e si tormentava la suola delle infradito nere che portava ai piedi.
Infradito a ottobre, o forse dicembre. Solo lui.
-Scusa, penso di non aver capito-
Leo aveva sbuffato e, furioso, aveva lasciato la stanza. Agata gli era corsa dietro con la bocca spalancata.
-Non capisco cosa è successo nell'arco di tre minuti..-
-Non capisci mai un cazzo!-
-Un cazzo?!-
-Scusa, hai ragione, non devo essere volgare. Non capisci mai una sega!-
-Ti esprimi come un idiota!-
-E forse lo sono, per aver solo pensato che tu volessi venire a vivere con me! E dire che ho cercato di chiedertelo anche in modo romantico...-
Agata era rimasta in silenzio per qualche secondo e poi era scoppiata a ridere. Non era una risata felice.
-Affermando che mi sarei voluta trombare il tostapane?!-
-Ho cercato di essere originale!-


La casa Leo l'aveva comprata lo stesso -Pamela la forse donna di facili costumi gli aveva fatto un buon prezzo- anche se Agata gli aveva detto chiaro e tonto che non intendeva andare a vivere sotto lo stesso tetto di un matto con la fissa per le sedie a dondolo.

Non ce l'avrebbe fatta.
Leo le aveva risposto che il tostapane se lo sarebbe trombato lui, insieme al frigorifero.

Era un uomo che non si sapeva accontentare.







 -Facciamo l'amore?-

 -No-

 -Ti prego?-

 -No-

 -Stasera ti faccio le linguine allo scoglio?-

 -Spogliati, veloce-

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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