Capitolo 7 – Something painful (Kaede
Rukawa)
Quando si
avvicinavano i play off, ogni scuola cadeva in una specie di stato vegetativo.
Tutto rimaneva sospeso nell’aria, promesse vaghe ed incerte di nuovi orizzonti
da varcare; c’erano scatti d’ira improvvisa, pianti ingiustificati, scene di
stizza e ragazzi e ragazze scoglionati, che si aggiravano per le aule alla
ricerca dei loro fidanzati, profondamente persi nei cazzi loro. Era questo
l’effetto play off, si trattasse di una squadra di basket o di un altro sport.
I professori si erano rotti di palle, e le visite all’ufficio del preside
proseguivano senza sosta.
Non sono mai
stato un tipo che segue la massa. Generalmente non ho la maggior parte dei
problemi, che preoccupano gli altri, ma quei giorni erano penetrati anche nel
mio sangue, e quindi, senza accorgermene, avevo finito per rispondere male ad
un coglione che ci insegna informatica. Peccato che questa fosse anche la
quarta volta in due giorni… e quindi la speciale benevolenza che i professori dovevano
avere per me, come miglior cestista dello Shohoku, era andata a farsi
fottere. Quello si era incazzato e mi aveva mandato dal preside, prima ed unica
volta nella mia carriera scolastica. Non avevo proprio voglia di sentirmi
un’altra menata inutile, o una slinguazzata persino peggiore, e quindi varcai
la porta della mia aula e decisi di andarmene sulla terrazza.
Quasi di scatto,
feci il corridoio più lungo, passando davanti alla prima sezione del terzo
anno; la porta era aperta e la nuova professoressa, quella vecchiaccia di
letteratura, spiegava davanti ad una classe in coma. Guardai ad uno ad uno
tutti gli studenti sonnacchiosi, salutandone uno con il capo, e poi mi
rincamminai verso la terrazza.
Salì le scale e
spalancai la porta di metallo, richiudendola alle mie spalle, poi mi stesi per
terra, gli occhi fissi al cielo di maggio, solcati dalle rondini. Che cazzo di
bordello che fanno… vengono dai paesi caldi a rompere qui le palle… mi ero
sempre chiesto da bambino perchè non rimanessero sempre dove il tempo era più
bello, in una bell’isoletta tropicale, invece di fare tutti quei fottuti giri a
vuoto. Ma si sa, dove si è felici, non si vuole stare… è una rottura essere
felici, l’uomo, e pure gli animali, sono fatti per non esserlo mai più di venti
minuti a vita… evidentemente Dio, se esiste, ci vuole sempre così, per
invocarlo più spesso…
Che cazzo di
pensieri, mi distesi meglio per terra, le braccia incrociate sotto la nuca, e
chiusi gli occhi. Stavo per addormentarmi, quando sentii la porta che si apriva
di nuovo… sto posto stava diventando decisamente troppo celebre da un po’ di
tempo a questa parte…
Una voce acuta
mi perforò le orecchie: “Alzati, muoviti! Non ho tutta la giornata!”
Capii subito chi
era. E mi girarono. Anzi no. Prima ebbi un fastidioso e sgradevole groppo in
gola. Normale. Troppo simili quelle due dannate voci.
Mi sollevai e
dissi, guardando la persona davanti a me: “Che vuoi?”
“Allenamento
speciale!” trillò lei, allegra. Che cazzo c’hai da ridere?, mi veniva da
chiederle. Ma mi trattenni, anche perchè credo che, se avessi fatto una domanda
del genere, mi avrebbero spaccato il naso.
“E le lezioni?”
chiesi, senza reale interesse. L’unica cosa che volevo fare era proprio evitare
di allenarmi.
“Non te ne frega
niente delle lezioni …”; ancora normale, dopo quei quattro secondi di allegria
manifestata in mia presenza, ritornò scorbutica come sempre. E stavolta la
domanda: “Che cazzo ti ho fatto?” sarebbe stata proprio imbecille…
“Ho chiesto un
permesso… al preside…” rispose velocemente “Domani avete la seconda finale…
quindi è necessario che vi alleniate…”
Annuì
svogliatamente e mi alzai dal pavimento, stropicciandomi gli occhi con la mano.
Che sonno… erano notti che non dormivo… incredibile anche solo a pensarci. Sono
sempre stato al limite della narcolessia… e adesso non chiudevo occhio da mesi…
Seguii la
ragazza davanti a me fino giù alle scale, dove si incontrò con un’altra tipa…
manco, mi ero accorto che era la Akagi… lei mi salutò e si mise a parlare con
l’altra fitto fitto, ogni tanto scoppiavano a ridere e si davano di gomito.
Certo che le ragazze sono proprio cretine, guarda queste due… magari parlano di
quei due, che le fanno sbavare, e quei due non le cagano proprio. Le molleranno
quanto prima possibile. Avuto ciò che vogliono, chiaramente. Ciò che tutti
vogliono… è così che vanno queste cose…
Le continuai a
seguire, sgradite fitte che mi colpivano lo stomaco. Devo avere una specie di ulcera nervosa, non c’è altra spiegazione.
Finalmente
arrivammo in palestra.
C’erano già
tutti, Sakuragi che rideva del suo genio come sempre, Miyagi che palleggiava
contro un muro, Mitsui che parlava con Anzai, e poi Takeichi e Hishi, che si
allenavano nei fondamentali. Cercai di sgattaiolare in spogliatoio, prima che
quest’ultimo mi vedesse, ma fu perfettamente inutile; quel dannato ragazzino
c’aveva dei radar al posto delle orecchie.
“Ciao Kaede!” mi
salutò con gli occhi luccicanti, tenendo ancora il pallone tra le mani “Il
mister vuole che facciamo una partita d’allenamento! Vuoi stare in squadra con
me?”
Maledetto
leccaculo… non mi ricordo che io fossi così… ammiravo Akagi, ma che cazzo! Non
ero così rompipalle…
“E’ il mister
che decide le squadre, Eikichi…” risposi velocemente, voltandomi per andare in
spogliatoio, mentre mi sentivo la nuca perforata da una coppia di sguardi
assassini. Ero già pronto a mandarli entrambi a fanculo, Sakuragi e quell’altro
ritardato del suo degno compare, Kikuchi Takeichi, ma mi trattenni.
Sicuramente, m’avrebbero preso a calci, se li avessi provocati… quante cose cambiano…
Aprii
l’armadietto dello spogliatoio e ne uscii la mia maglia numero dieci… che cazzo
di nervoso, mi piaceva parecchio il mio numero undici, ma no! Hishi doveva
rompere le palle, e prendersi pure quella… è sempre così, le cose ti mancano
solamente quando le perdi, e ti rendi conto di quanto valgano. Lo capisci dalla
loro assenza.
Distrattamente,
mi voltai verso la parete sinistra, dove sopra all’appendiabiti, c’era una
fotografia. L’unica fotografia della squadra dello Shohoku… della squadra dello
Shohoku dell’anno prima… l’avevamo fatta alla fine dei nazionali… un’altra
stagione che non era finita come volevamo… avevamo perso contro l’Aiwa Gakuin,
e ci eravamo classificati quinti, stremati e forse
un po’ troppo gasati dalla vittoria contro il leggendario Sannoh. Che strano, adesso a ripensarci, mi sembra
quasi che fu anche una bella partita, che giocammo bene, che fummo uniti come
non eravamo stati mai. Cazzate. Colossali. E lo so anche mentre lo penso.
Soprattutto l’ultima… uniti… troppe cose ci avevano divisi, e io non me
ne ero accorto, fino a quel momento, fino a quando non avevo guardato di nuovo
quella fotografia. Certe cose a volte sono talmente evidenti che, per fartele
passare sotto il naso, in maniera indolore, fingi che siano invisibili. Ma non
si può ignorare un elefante in salotto, e alla fine lo vedi per forza.
Mi avvicinai
meglio per guardare la foto. Il gorilla era in primo piano, immobile, erto,
come era sempre stato, una roccia in mezzo alla tempesta… incapace di cedere
per più di tre secondi netti… se avessi avuto uno che potevo chiamare amico o
qualcosa del genere, forse sarebbe stato lui… mi parlò quel giorno, me lo ricordo… fui quasi vicino ad
ascoltarlo, era duro, freddo, distaccato. Teneva troppo alla squadra, per
vederla capitolare. Ma alla fine lo mandai a fanculo, e me ne andai, esibendo
la solita frase che erano solo e soltanto cazzi miei. Adesso fa un’università
con una famosa squadra di basket, e studia legge. Accanto a lui, Kogure, sempre
troppo gentile e moralista. Quello che tentava sempre di fare il paciere, che
si metteva in mezzo, prendendole più di tutti quanti. Poteva astenersi dal
parlarmi anche lui quel giorno? Assolutamente no. Ma non ascoltai
nemmeno lui. Aveva lasciato il basket, e studiava per diventare medico. Ancora,
vicino a lui, Mitsui. Il baciapiselli, mi veniva quasi da ridere a
ricordarmelo… quello con un fucile di precisione al posto del braccio. Non
poteva lasciare il basket, ma la scuola sì. Andava avanti con piccoli lavoretti
e ci allenava, assieme ad Anzai; sembra che fosse già stato convocato in
nazionale. Poi, Sakuragi… il nuovo numero quattro… si era messo a piangere come
un moccioso, il giorno in cui avevamo perso quella fatidica partita, e quello
in cui avevamo detto addio ad Akagi… era come un fratello per lui, forse
l’unico che avesse sempre creduto in lui e nelle sue dubbie capacità… era
sempre lo stesso, lui e la sua megalomania, e le sue menate nei miei confronti…
mi rompeva sempre le palle, ma ormai lo lasciavo fare. Poi, c’ero io ed infine
Miyagi… il nuovo capitano. Ovvio, ora era il più anziano tra noi. Giocava molto
meglio adesso, era sempre incazzato… e mi ricordo bene che si prova quando si è
incazzati con il mondo intero… io non lo sono più da tempo… non so manco io poi
se sono incazzato con una persona specifica, o con tutte… mah, credo proprio di
non esserlo proprio per niente. Accanto a loro, tutte le matricole del mio
anno, Sasaoka, Kuwata, Ishii… loro si erano persi per strada, l’anno dopo non
erano più venuti ad allenarsi… in fondo, tra me e la mezza sega, non avevano
avuto storia nella squadra. E i senior, Yasuda, Shiozaki, Kakuta… venivano ad
allenarsi, ma ormai pensavano ad altro, all’università, agli esami, e spesso
quindi mancavano. Tra di loro, Haruko Akagi, sorridente, felice ed allegra.
Stava già con Mito allora? Chi cazzo se lo ricorda più… comunque, adesso stava
con lui e stava bene… meglio così, un pensiero in meno… non che si fosse mai
elevata nella mia mente al grado di “pensiero”, al pari di molte altre cose…
La squadra era
completamente diversa adesso. Oltre alla folla di matricole che si erano
iscritte, che facevano casino e che venivano tormentate dalla testa rossa,
c’erano Takeichi e Hishi, il primo che era un formidabile tiratore e che aveva
preso il posto di Mitsui, e il secondo abbastanza bravo come ala, assieme a me.
Avevamo buone speranze quest’anno, anche se la squadra si era allenata ben poco
in partita, eravamo la testa di serie del nostro girone. Avevamo battuto
facilmente il Miuradai, che aveva vinto nel suo girone, e poi lo Shoyo, la
prima finalista. Ma adesso veniva il bello… domani si giocava contro il Ryonan,
e tra tre giorni… il Kainan… già, non vedevo l’ora di rivedere Sendo… Maki,
purtroppo, era all’ultimo anno nello scorso campionato, e sembra che la squadra
avesse subito una battuta d’arresto, da quando se ne era andato…
Tornai in
palestra, in tempo per sorbirmi un nuovo rimprovero della nostra manager
rompipalle. L’Akagi sorrideva accanto a lei, anche se non c’era proprio niente
da ridere…mi veniva quasi da prenderla a pugni, poi capii perchè, accanto a
lei, c’era il fidanzato, che indicava, ridendo, Sakuragi…
“Dobbiamo
aspettare i tuoi comodi, Rukawa?!” urlò ancora la manager, mentre io mi
riallacciavo le scarpe. Feci finta di niente, tanto per non darle
soddisfazione… che rompicoglioni, e avevo sempre le mani legate con lei…
Ci mettemmo in
formazione per ascoltare il nuovo discorso di Anzai e di Mitsui.
Il mister
cominciò, la sua voce era leggermente più incerta… pure lui era diventato
vecchio… dopo un po’, prese a tossire e quindi dovette continuare Mitsui al
posto suo: “Ragazzi, domani abbiamo la partita contro il Ryonan… anche se
abbiamo vinto contro lo Shoyo, non dobbiamo assolutamente prendercela comoda…
avete capito? Sono forti quest’anno… molto più dell’anno scorso… a parte Sendo,
Fukuda, Koshino e Uekusa, che tutti noi ben conosciamo, e Hikoichi Aida, che è
migliorato parecchio e che adesso è un buon playmaker, c’è una matricola…”,
Mitsui s’interruppe, grattandosi il capo, mentre Sakuragi gridava: “Che c’è,
baciapiselli? Ti sei scordato come si chiama? Sei proprio un fallito come
allenatore! Non vi preoccupate, tanto con il genio dl basket vinceremo
sicuramente!”
“Stai zitto,
Hanamichi!” rispose la manager con voce autoritaria, facendolo tacere all’istante,
mentre Miyagi gli dava di gomito, dicendo con voce allusiva: “Che romantico!
Tace di fronte alla fidanzatina!”
“Taci tappo! Io
almeno ce l’ho una ragazza, e tu invece? Sei un fallito, come il baciapiselli!
Andate sempre in bianco!”
Sia Mitsui che
Miyagi si scagliarono su Sakuragi… erano quasi confortanti quelle scene… ma non
fecero in tempo a picchiarsi a sangue, che Sakuragi si mise ad urlare rivolto
alla manager, dicendo: “Kana, vedi che fanno al tuo adorato tesoro? E non
intervieni?”
Kaname Koishikawa
non si scompose minimamente, sollevando appena gli occhi azzurri dal suo blocco
di appunti, e disse tranquillamente: “Continuate pure… gli serve un po’ di
disciplina…”, poi, di fronte ai loro
continui schiamazzi, perse la pazienza e iniziò ad urlare contro il suo
ragazzo: “Ma chi me l’ha fatto fare a venire qui?! Stavo tanto bene al Ryonan!
Proprio te dovevo incontrare! Adesso potevo essere la fidanzata di Sendo o, che
ne so, di un altro giocatore più normale ed intelligente di te…”
“La prima opzione
è statisticamente impossibile… lo sai meglio di noi…” scoppiarono a ridere sia
Sakuragi che Miyagi, subito seguiti da Kaname stessa. Non lo capii proprio il
senso di questa battuta, comunque finalmente la ragazza riprese, dicendo:
“Comunque la matricola si chiama Dan Scott… è americano e gioca nel Ryonan da
qualche mese… è veramente bravissimo, ha un gioco imprevedibile e, assieme a
Sendo, ha creato una coppia praticamente imprendibile… è così che hanno battuto
il Kainan…”
“La scimmia sarà
furiosa!” rise Sakuragi, riferendosi a Nobunaga Kiota.
Americano… mi
sembrano passati millenni, da quando volevo andare in America… pensavo
solamente a quello… mah, chissà perchè era da un po’ che me ne ero scordato…
bene, sto tipo m’avrebbe rinvigorito un bel po’… e poi Sendo… avevo un conto in
sospeso da troppo con lui… domani sarebbe stato un gran giorno…
“Domai sarà un
gran giorno!” rise Sakuragi, imitato da Miyagi e Kaname.
Aveva pensato la
stessa cosa che avevo pensato io…
Sospirai. Era
ovvio che non poteva essere la stessa cosa. La sua faccia non aveva la mia
stessa espressione…
Lui sembrava
quasi… divertito, sadicamente divertito…
Se c’era una
cosa che mi infastidiva, erano le attese pre-partita. Ero lì come un coglione a
palleggiare, e palleggiare, e palleggiare, mentre attorno il pubblico faceva
casino, e, come se non bastasse, dalla tifoseria di quei mentecatti dello
Shoyo, era stata lanciata la moda di portare bottiglie di plastica da sbattere
sugli spalti. Quindi, c’era un casino allucinante. Accanto a me, Miyagi e
Sakuragi palleggiavano distrattamente, mentre guardavano continuamente la porta
d’ingresso. Come era ovvio, Sendo non era ancora arrivato e mancavano ormai
sette minuti all’inizio dell’incontro. Taoka andava avanti ed indietro come un
pazzo, bestemmiando tra sé e sé, mentre Hikoichi cercava di calmarlo. Pure se
adesso era titolare, non aveva perso le sue doti manageriali… guardai da sopra
la spalla di Sakuragi, che continuava a borbottare, e vidi seduto in panchina
un tipo, che non conoscevo. Doveva
essere l’americano… non era molto alto, era sopra il metro e settanta, e non
era nemmeno imponente. Era normale…comunque, almeno per i criteri di quelle
ochette dietro di lui, doveva essere appetibile… continuavano ad urlare, mentre
lui seraficamente se ne stava seduto in panchina, gli occhi celeste chiaro
socchiusi e coperti da ciocche di capelli biondo grano. Taoka lo richiamò
bruscamente dal suo sonno, e gli urlò contro, chiedendogli evidentemente dove
fosse Sendo. Quello bofonchiò qualcosa, e se ne tornò a dormire. Avrei voluto
essere io al suo posto.
Un paio di
minuti, urla e fottuti palleggi dopo, finalmente la porta di ferro si aprì.
Finalmente arrivava Sendo… il mio sollievo durò venti secondi, non era il
giocatore più forte del Ryonan, ma una ragazza, vestita con l’uniforme del
liceo, che stavamo per affrontare. Doveva essere una tipa famosa, perchè, non
appena entrò, la curva di tifosi blu si infiammò. Che era un altro giocatore?
Le frasi che le venivano rivolte, però, non erano gentili… andavano dal
“Bastarda”, al “Stronza” e a ben altro. Lei si limitò a scrollare il capo e
fece un gesto ironico di saluto alla curva, sorridendo. Le urla si
intensificarono e allora distinsi chiaramente che si trattava di grida
femminili… un’ulteriore prova di ragazze rincoglionite, che sbraitano contro
una poveretta… anche se lei… mi era sembrata… divertita… ed anche stranamente
abituata…
Abbastanza
subito, capii perchè erano così incazzate quelle furie scatenate. La ragazza
era entrata, tenendo per il polso Akira Sendo, che le stava dicendo qualcosa,
alla quale lei rispose alzando la voce, ma le loro parole ovviamente si persero
in quel frastuono. Certo… doveva essere una specie di fidanzata o roba del
genere, un’amica stretta, che ne so… e quelle si erano incazzate… che strano,
un dejà vu… e fastidioso. Scrollai il capo, non me ne fregava un cazzo delle
avventure sentimentali di Akira Sendo, ma, chissà perchè, continuai a
guardarli, mentre si avvicinavano alla panchina. Taoka si mise ad urlare contro
tutti e due, mentre Sendo sorrideva impacciato e la ragazza annuiva
vigorosamente. Lui le disse di nuovo qualcosa, e lei spalancò la bocca con
espressione di finta sorpresa, lui le toccò la punta del naso e lei sorrise.
Accidenti a queste quattro coglione… non riuscivo a sentire niente… Taoka
riprese ad urlare, e finalmente Sendo, che indossava ancora la divisa
scolastica, sparì negli spogliatoi, salutando la ragazza. Lei sorrise ancora,
poi disse qualcosa al mister. Lui annuì con il capo, e lei si voltò, venendo
verso di noi.
Sentii dietro di
me Sakuragi e Miyagi darsi di gomito… evidentemente la conoscevano…
“Ciao
Ayakuccia!” urlò Miyagi, sbracciandosi
Mi voltai di
nuovo e mi chiesi che cazzo avessi al posto degli occhi… come cavolo avevo
fatto a non riconoscerla? Era lei, era Ayako, era lei la ragazza che era
entrata cinque secondi prima con Akira Sendo…
Ci sono momenti,
che sembrano durare una vita intera. Ne avevo sentito parlare spesso, robaccia
patetica da telenovele o da romanzetto rosa, che leggono le arrapate e le
frustrate sessuali. Come si sente parlare che quando stai per morire, ti passa
davanti tutta la tua vita. Quello che hai fatto, visto, sentito, provato.
E io stavo per
morire.
Lo sentivo,
perchè non aveva altra spiegazione quel ronzio nelle orecchie e la gola che si
chiudeva, impedendomi di respirare. Niente che una partita potesse dare,
nemmeno temere di perdere a tre secondi dalla fine.
Nella mia mente,
passò tutto. Tutto, e non era una patetica fantasia.
Il mio passato,
la mia infanzia… un passato incastrato in ingranaggi arrugginiti, che adesso
riprendevano faticosamente a girare… mio padre che se ne andava, mia madre a
letto con quello di turno, i miei allenamenti da solo, le mie partite, tutto
quel vuoto, che il basket soltanto riempiva. Il mio presente, quello stato di
coma, che non aveva senso, che non aveva alcuna spiegazione, la mancanza di
stimoli, di qualsiasi cosa, che potesse minimamente avere un benché minimo
senso, il basket ormai un sedativo in cui affondare la testa. E sono abbastanza
certo di aver visto anche il futuro… non che sia un veggente, ma era facile
capire tutto quel giorno, e in quel particolare momento, che sembrava durare
come una vita intera.
Quel fastidioso
mal di stomaco, che mi perseguitava da un anno, da quel giorno di giugno,
quando un’infermiera bionda mi disse, schioccando la lingua, che Ayako Kuno era
stata dimessa dall’ospedale, divenne all’improvviso più forte ed intenso, e
quasi mi impedì di respirare. Ero come in apnea, aspettando la mia condanna a
morte.
La mia mente
però era dannatamente lucida…
Si può essere
più coglione?
Arrivai persino
a dirmi… allora, era per te…
Ammissione di
colpa tardiva? Può essere. Possibile che lo avessi capito solo allora? Certe
cose a volte sono talmente evidenti che, per fartele passare sotto il naso, in
maniera indolore, fingi che siano invisibili. Ma non si può ignorare un
elefante in salotto, e alla fine lo vedi per forza. Tutto questo, in pochi
secondi, mentre la guardavo avanzare sorridente verso di noi. O meglio verso di
loro, perchè lei evitava accuratamente di guardare me.
Già, me ne ero
dimenticato… ammettere soltanto ora con me stesso che l’amavo, da impazzire,
non significava che le cose cambiavano. Ayako… non la vedevo da un anno… e lei
era al Ryonan… adesso era lì… aveva un’altra vita sua, dove io non c’ero, dove
nessuna delle persone attorno a me, c’era…
Fermati.
Non ti muovere.
Rimani lì.
Con quei tuoi
capelli ricci e i tuoi occhi dispettosi di cioccolato.
Con le tue
labbra rosse, che adesso non credo di aver baciato mai.
Con quel tuo
corpo morbido, che adesso mi sembra incredibile d’aver avuto tante e tante
volte.
Con tutte quelle
cose, che solo adesso ammetto di conoscere a memoria di te… quella leggera
fossetta sulla nuca, su cui io respiravo quando ti addormentavi stanca tra le
mie braccia, quella pelle morbida che hai dietro le orecchie, quelle tue dita
affusolate, su cui non porti mai un anello.
Fermati.
Che il mondo
possa finire.
Ora. Adesso. In
questo istante, in questo qualcosa di doloroso, che mi spezza dentro.
In questo
ricordo di latte e menta, di me e te insieme.
Ma invece no.
Lei continuò a camminare e, con lei, camminavano i miei ricordi.
Le avevo
promesso che sarebbe andato tutto bene… e non fu così…
Parlò con
Miyagi, me lo disse e ci stava male.
Avrei potuto
fare qualcosa allora?
Certo…
stringerla, sostenerla, darle il mio… mi fa strano anche dirlo… darle il mio
cuore, o come cavolo lo chiamano i ragazzini alla prima menata adolescenziale…
Svenne in
partita, stava male, e la portarono in infermeria.
Non andai da
lei, perchè lei era forte, perchè era solo un capogiro, perchè avevamo perso la
partita con la più forte squadra del paese… volevo stare da solo… e condannai
lei ad esserlo di nuovo…
Avrei potuto
fare qualcosa allora?
Ancora domanda
inutile… risposta come sopra…
Era incinta, era
incinta di mio figlio… mi chiese che cosa avrebbe dovuto fare…
La mandai a
fanculo, era affar suo, non mio. Era grande, matura, per fare le sue scelte.
Non aveva bisogno della manina per andare dal medico ed abortire.
Stavolta non mi
chiesi nemmeno se avessi potuto fare qualcosa… ero solo un bastardo… lei se ne
era andata, lei e il mio bambino, che portava dentro…
Perse il
bambino, lo perse, quando voleva tenerlo, per colpa di quelle puttanelle, che
mi vengono dietro.
Corsi sotto una
dannata pioggia fredda, arrivai in ospedale, e i suoi zii e la cugina mi
mandarono via.
Anche adesso è
chiaro… certo che avrei potuto fare qualcosa allora… sfondare una porta,
menarli, andare da lei, lei che si mordeva a sangue le labbra per non piangere,
come fa sempre. Perché odia piangere. E io l’ho fatta piangere tante di quelle
volte, che nemmeno lo voglio sapere con esattezza. Costringendola ad odiarsi.
Aiutandola ad odiarmi.
L’estate era
venuta ed era passata. Il campionato nazionale era venuto ed era passato, e lei
non c’era. Non c’era più. E adesso era così tardi per ripensarci.
Si può essere
sul tetto del mondo.
Guardare tutto
dall’alto in basso.
Giocare e
vincere.
Ancora, ed
ancora, ed ancora.
Ma, un giorno,
devi scendere.
È matematico che
debba andare così.
E, quando cadi…
quando scendi… quando i tuoi muscoli non rispondono più ai tuoi comandi…
Quando perdi…
Deve esserci
qualcuno… uno, che ti stia accanto, anche senza parlare… che ti faccia sentire
vivo…
Non con il gioco,
ma con la vita.
Perché, prima o
poi, si smette di giocare. Si deve vivere.
Ed anche se sei
così maledettamente fortunato, da rimanere per sempre sul tetto del mondo…
Se sei solo…
Non ha senso…
La tua vittoria…
la vedi solo tu…
Gli altri sono…
com’era, Ayako?
Già… saranno tutti lontani con le loro vite. E sarai solo…
La vittoria, la
tua vittoria non la vedi riflessa negli occhi di nessuno… nessuno che la veda
anche più grande e bella di come la vedi tu…
Ci saranno
persone che ti invidieranno, odieranno, ammireranno, sogneranno, criticheranno…
Ma mai nessuno
che… in tutto l’Universo… sarà diverso da loro …
Mi fa quasi male
aver finalmente dato forma a questo pensiero, che dormiva placido in me da
quando lei se ne era andata. Non che se ne fosse stato zitto e buono questo
pensiero, mi aveva graffiato dentro già prima. Peccato che avessi sempre fatto
finta di non accorgermene.
Tutta l’estate,
sempre per caso, mentre dormivo sulla mia bici, mi ero sempre svegliato di
soprassalto di fronte alla sua casa vuota e chiusa, scrutandola attentamente, e
ritrovandola sempre vuota e chiusa.
Sempre per puro
caso, avevo chiesto alla sua vicina di casa se sapeva dove la signorina Kuno si
trovasse, e quella, con fare complice e cospiratorio, mi aveva risposto che
mancava da diversi mesi, ma si diceva che fosse all’estero.
Sempre per
semplice casualità, ero sobbalzato dal mio sonno, sentendo Sakuragi spiegare a
Mitsui che la nuova manager sarebbe stata Kaname Koishikawa, la cugina di
Ayako.
Casualmente, per
un mese intero, mi ero attardato alla fine degli allenamenti, cercando di
parlare con la manager, salvo poi essere mandato a fanculo da lei stessa… mi
disse, guardandomi con astio e disprezzo: “Scordatelo… so già che vuoi sapere
dove è Ayako. Dimenticatela, tanto non ci hai messo molto… scegliti una delle
tue ochette, e sbattitela. Ma mia cugina… dimenticatela…”.
Dimenticatela…
dimenticatela… e io c’avrei anche giurato che non avrei potuto dimenticarla…
semplicemente, perchè a lei non ci pensavo proprio… era stato solo sesso… io
dovevo andare in America, entrare nell’ NBA, ecc, ecc… Invece lei era diventata una specie di piaga
addosso, una ferita che faceva un male cane, ma che ormai non sentivo più. Un
fastidioso dolore di sottofondo, che ormai avevo imparato ad ignorare.
Ma che quando
riprendeva a sanguinare, ero costretto a sentire. Per forza.
E adesso… per
forza… stavo morendo, dissanguato…
Perché lei era
davanti a me.
“Ciao ragazzi…
come state?” disse lei allegra, rivolta con un caldo sorriso ai miei compagni
di squadra
“Benissimo,
Ayakuccia!” sorrise Miyagi… l’avrei voluto prendere a pugni… l’amava ancora… e
io l’amavo come lui… più di lui… piccola differenza, Ayako parlava con lui… e
sorrideva a lui…
“Sei sempre
uguale, eh Ryota?” disse lei, ridendo, rivolgendosi a lui
“Che ci vuoi
fare? È la forza dell’abitudine!” rise Miyagi, guardandola ancora, poi,
ricordandosi di Hishi e Takeichi, disse: “A proposito, Ayako… mi sono
dimenticato di presentarti i due nuovi componenti della squadra… lui è Eikichi
Hishi… e lui… Kikuchi Takeichi…”
Le due
imbarazzate matricole porsero la mano ad Ayako, mentre Miyagi spiegava: “Lei
era nella nostra squadra, poi ha lasciato lo Shohoku…”. Silenzio di Miyagi
sulla motivazione.
Ayako si sporse
oltre di loro, riuscendo finalmente a vedere il resto della squadra: “Ciao
Hisashi, non ti avevo visto!” disse, rivolgendosi a Mitsui, che si avvicinò a
lei.
“Ciao Ayako!”
rispose lui, abbracciandola… stalle addosso un altro mezzo secondo, e ti
ammazzo, Mitsui…
“Sapevo che eri
al Ryonan, ma non sapevo che facessi la manager… me l’ha appena detto
Hanamichi…” riprese lui. Quel maledetto mentecatto, sapeva tutto di lei, ma non
mi aveva detto niente. Bastardo… ovviamente, quella rompipalle psicotica della
fidanzata gli doveva aver detto tutto… quindi, era la manager del Ryonan… mi
sembrano passati tre millenni, da quando era la nostra manager… la mia
manager…
“Sì” rispose
sorridendo lei “E’ una storia un po’ lunga… non avevo alcuna intenzione di fare
di nuovo la manager ad un gruppo di ragazzi rompiscatole… il Ryonan vi può fare
tranquillamente concorrenza! E voi mi avete fatto esaurire! Il mister me lo
aveva chiesto, perchè aveva visto che ci sapevo fare, ma non avevo alcuna
intenzione di accettare, non volevo proprio più saperne! Poi anche qualcun
altro non era d’accordo…”
“Questa storia
la so!” l’interruppe bruscamente Sakuragi, ridendo a crepapelle, mentre Kaname
gli mollava una gomitata nel fianco: “Ma ti stai zitto una buona volta,
accidenti a te!”
“Qualcun altro?
E chi?” chiese Mitsui curioso
Lei sorrise
ancora… sorrideva troppo adesso… era troppo bella, quando sorrideva… e mi
faceva troppo male…
“Akira…” rispose
lei semplicemente… chi cavolo era Akira? Poi come un lampo, mi venne
l’intuizione… Sendo… perchè non voleva?
“Poi sono
riuscita a convincerlo… e il mister mi ha fatto continuare…” tagliò corto lei,
guardando altrove, poi riprese: “Ma anche a voi è andata bene, no? Adesso avete
un nuovo preparatore sportivo, e persino due manager!”
“Il baciapiselli
è sempre una mezza sega, anche come allenatore!” rise Sakuragi, mentre Mitsui
gli mollava un pugno sulla testa: “Ma come manager ci è andata stupendamente! A
parte Kana, abbiamo anche Haruko!”
“Lo so” sorrise
lei, salutando la cugina, l’Akagi e Mito “Ne avrete davvero molto bisogno…
quest’anno il Ryonan è molto forte!”
“Che c’è? Fai il
tifo per loro? Dì la verità che tifi ancora Shohoku!” disse Sakuragi,
continuando a ridacchiare
Ayako fece
un’espressione fintamente seria e rispose: “Assolutamente no… adesso sono una
vera e propria tifosa del Ryonan!”, poi rise ancora e disse: “Anche se tutti
voi avete sempre un posto nel mio cuore… ma adesso sto bene… Tomoyuki,
Hiroaki, Kitcho… Hikoichi, Danny…
e ovviamente Akira… sono un’ottima squadra, e mi hanno fatto sentire a mio agio
sin dall’inizio… avrei voluto rimanere con voi, ma se questo non era possibile,
alla fine sono contenta di come sia andata…”
Il mio petto si
riempì di spilli… non era possibile per lei rimanere con noi… e adesso stava
bene al Ryonan… avrei quasi preferito che vi si trovasse da schifo, invece…
“Buongiorno
signor Anzai!” salutò lei il mister, che si era lentamente avvicinato a noi.
Ayako si avvicinò a lui, chiedendogli affettuosamente come stesse.
“Non c’è male,
Ayako…” rispose lui, sorridendo come sempre “Mi sembra che anche tu stia bene… sono
contento, non sei cambiata molto, sei sempre la solita Ayako, ne sono felice…”
Non che questo
fosse del tutto vero… l’aria di Ayako era sì la stessa, sbarazzina e vivace,
come sempre, ma c’era qualcosa di nuovo, di diverso. Era più serena, più
tranquilla, più matura. I suoi capelli erano rimasti ricci, ma erano
leggermente più chiari, e adesso li portava legati in una coda alla sommità
della testa. Indossava la divisa del liceo Ryonan, una camicia bianca, una
cravatta celeste, una gonna a pieghe corta sempre celeste, una sorta di lunghi
calzettoni scuri, che le arrivavano oltre le ginocchia. Ma io… io vedevo in lei
di più di prima… ogni cosa diversa… si era fatta i buchi alle orecchie e
portava un paio di lucenti cerchi d’argento. Oppure, era comparsa una piccola
cicatrice sul suo sopracciglio sinistro. Ero sicuro, certo che non l’avesse mai
avuta. Vita che era trascorsa, passata, scorsa, senza di me. Qualcosa che la
segnava dove io non c’ero. Anche i suoi occhi erano più sicuri, più
determinati, come erano quando l’avevo conosciuta. Niente dell’insicurezza che
io le avevo dato, mio malgrado, era rimasta, evaporata alla luce di un nuovo
sole, accecante e incandescente. Adesso stava ridendo e stava dicendo al
mister: “Taoka non ha niente a che vedere con lei, urla e strepita dalla
mattina alla sera, specie con Akira, che è sempre in ritardo! E alla fine si
sfoga ed urla anche con me!”
Tutti ridevano,
sembrava quasi che lei non se ne fosse mai andata… se quel maledetto giorno,
non avessi… lei sarebbe ancora così, con la squadra… lei sarebbe ancora qui
con… me… sembrava così irraggiungibile…
Ad un tratto,
qualcuno la chiamò alle sue spalle, l’americano che le faceva segno di venire
lì.
“Scusatemi, ma
adesso devo andare… sicuramente Akira sarà ancora in ritardo…” disse lei,
guardando alle sue spalle “Danny entra in panico, quando Taoka inizia a
gridare… mi ha fatto davvero piacere rivedervi… dovremo organizzare una
rimpatriata una sera di queste…”
”E’ una buona idea!” esclamò allegra Haruko, guardando Mito “Potrebbero venire
anche i ragazzi del Ryonan! Magari riesco a sistemare qualcuno di loro con le
mie amiche!”
“Anche se in
lista d’attesa, ci sono Takamiya e gli altri?” ribatté Mito, poi lui e Sakuragi
si guardarono e sospirarono contemporaneamente: “E chi se la prende quella
vecchia scrofa?!”
Ayako rise e si
voltò per andarsene. Che ne so, fu solamente allora che sentì di nuovo i nervi
dare impulsi alle mie gambe, che si mossero verso di lei. La presi per il polso
e la fermai: “Aspetta”
Lei si voltò e
mi guardò. Ferocemente. I suoi occhi erano cambiati, erano freddi di fiamme
nere, mi guardava con odio. Era stata così calma fino ad ora, e ora era così?
Semplice. Non mi aveva guardato fino a quel momento…
“Lasciami…
immediatamente…” sibilò freddamente, guardandomi dritto negli occhi “Ti ho
detto di lasciarmi… Rukawa…”
Mi spezzò il
cuore sentirla chiamarmi così, ma mi feci forza e le dissi duramente: “Ho
bisogno di parlarti”
Lei si divincolò
dalla mia presa e rispose ancora: “Io non ho niente da dirti e, per il resto,
mi sembra di averti già detto tutto… che cosa vuoi adesso? È passato un anno…
Rukawa…”
“Smettila di
chiamarmi così, maledizione!” le urlai contro. Mi faceva male ogni fottuta
volta che pronunciava il mio cognome in quella maniera. Non avrei dovuto urlare.
Lei si ritrasse leggermente, e la gente intorno a noi iniziò a seguire più
attentamente il discorso.
“C’è qualcosa
che non va, Ayako?” sentii una voce vicino a noi. Alle sue spalle, si era
materializzato Akira Sendo.
Lo guardai con
astio… che cazzo voleva lui adesso?
Lei si voltò a
guardarlo e sorrise dolcemente: “Non è successo nulla, Akira… sto arrivando…”
Finalmente lui
si volse verso di me e mi disse: “Ciao Rukawa, finalmente ci si rivede…”; il
suo tono era allegro come sempre, ma qualcosa nella sua voce stonava. Chiaro,
Ayako doveva aver raccontato tutto anche a lui.
Non gli risposi
e invece dissi ad Ayako: “Appena finisce la partita…”
Lei non disse né
di sì, e nemmeno di no, prese per il polso Sendo, voltandosi e
andandosene.
Tornai sui miei
passi e presi con rabbia il pallone in mano, iniziando di nuovo a palleggiare
con foga. Avevo quasi la sensazione che ora invece di farmi innervosire, mi
facesse calmare. Appena fosse finita questa maledetta partita, avrei rimesso
tutte le cose a posto… Ayako avrebbe lasciato il Ryonan, sarebbe tornata in
squadra e tutto sarebbe andato bene. Io sarei stato bene.
Quasi
inaspettatamente, l’arbitrio fischiò la fine del tempo di riscaldamento e
l’inizio della partita. Ci schierammo sulla linea, io che non riuscivo a
distogliere lo sguardo dalla panchina del Ryonan, dove sedeva Ayako. Si era
cambiata, adesso indossava una tuta da ginnastica azzurra e aderente, e stava
seduta accanto a Taoka, reggendo tra le mani un blocco per appunti. La nostra
formazione iniziale era ovviamente composta da me, Sakuragi, Miyagi, Hishi e
Takeichi, che borbottava all’indirizzo del capitano: “Speriamo che la vostra
amica non abbia rivelato tutti i nostri segreti al Ryonan!”. Non mi detti
nemmeno pena a rispondere a quell’imbecille. Il Ryonan invece iniziava con
Sendo, Fukuda, Aida, Scott e Koshino. Ero proprio curioso di vedere come
giocava sto cavolo di americano, Anzai ci aveva detto di stare attento a lui,
ma a me continuava a non sembrare tutto sto granché.
Saltarono
assieme Sakuragi e Fukuda per la rimessa a due, ma la palla fu conquistata da
noi. Sakuragi passò subito a Miyagi, che avanzò velocemente, come sempre era
una vera scheggia, riuscendo a passare a Hishi a pochi passi dall’area. Koshino
lo marcava stretto però, e quindi quel coglione ripassò di nuovo a Miyagi, che
lanciò a palla verso di me. Mi ritrovai di nuovo di fronte Sendo, mi sentivo
pieno di adrenalina, questa volta non gliela avrei fatta passare liscia. Quella
che era la nostra antica rivalità adesso era diventata persino maggiore. Il
tempo aveva fatto molto, e Ayako aveva fatto tutto, sentivo il suo sguardo su
di me e su di lui. Non gli avrei lasciato quella palla per niente al mondo.
Continuavamo a studiarci, io che cercavo di fregarlo, ma quello, niente, mi continuava
a stare addosso. Mancavano dieci secondi, dannazione… cercai di scartarlo, ma
quello riuscì a fregarmi e mi rubò la palla, correndo verso il nostro canestro.
Imprecai tra me e me, e lo seguii, lui passò ad Aida, marcato da Miyagi. Aveva
fatto molti progressi quel piccoletto, era diventato veloce e aveva sopperito
l’assenza di un playmaker nel Ryonan; con una serie di finte, si liberò di
Miyagi e passò a Scott, che era marcato da Takeichi. Nonostante fossero
entrambe due matricole, non c’era praticamente storia. Dan Scott era veloce,
preciso e dotato di un gioco particolarissimo, sembrava che stesse facendo una
cosa, ma in realtà era in procinto di fare tutto il contrario. Takeichi rimase
come un coglione, fermo, e quello riuscì a segnare. Vaffanculo…
Ryonan 2 - Shohoku 0. Allora
era così che giocavano gli americani… sentii di nuovo nelle mie vene
quell’antico mio pensiero, che sembrava essersi perso. Volevo aver anch’io
quella marcia in più, quel gioco che sembrava stare solo nel tuo sangue, e
farti giocare come se stessi facendo la cosa più normale del mondo. A questo
pensavo, quando sentii la voce di Ayako incitare l’americano… me ne ero
dimenticato… fregai Fukuda, e mi diressi, verso il canestro, riuscendo a
segnare. Quella fottuta partita doveva finire quanto prima… dovevo parlare con
Ayako… dovevo parlare con Ayako…
Solo a quello
pensavo in quel momento.
Dovevo parlare
con Ayako.
Stavo rientrando
in area, quando mi sentii urtare da qualcuno. Era quel rincoglionito di Fukuda.
Borbottai
qualcosa e quello rispose: “Come sei delicato!”, non lo degnai di
considerazione e continuai a camminare.
“Adesso capisco
perchè Ayako ti ha lasciato…” iniziò a sghignazzare tra sé e sé.
Strinsi i pugni,
cercando di ignorarlo… questo figlio di puttana… se l’arbitrio mi vedeva
massacrarlo, mi avrebbe espulso…
“Lo sai che
adesso sta con Sendo?”
…
…
…
Si può morire
due volte nella stessa giornata?
A quanto pare,
sì.
Errori io
ne ho già fatti abbastanza,
se almeno
poi però questa mia esperienza
mi
aiutasse a chiedermi, riflettici, aspetta un secondo,
e invece
no, e invece so che
io non
imparerò a crescere
non
perdere le cose che
almeno
una volta fan crescere
non
perdere le cose che almeno una volta
potevo
fare giuste
e che non
è difficile per uno meno instabile
solo gestirsele
e invece
poi
e invece
mai che riesca a tenermele strette
che
riesca a conservarmele
sarà
paura o sarà che…
Dentro i
viali e nei vicoli
Che giro
in macchina a vuoto
Vedo
coppie abbracciarsi e stringersi che non avrei mai notato
Se non
sapessi che
Non
sapessi te
Lontana,
lontano, lontanissimo
Ricorderò
maledirò
Il giorno
che ho detto no a crescere
non
perdere le cose che
almeno
una volta fan crescere
non
perdere le cose che almeno una volta
potevo
fare giuste
e che non
è difficile per uno meno instabile
solo
gestirsele
e invece
poi
invece
mai che riesca a tenermele strette
che
riesca a conservarmele
sarà
paura o sarà che è proprio il cambiamento in sé
che fa
venire strane idee,
pensare
di non essere adulto e non volubile.
Per
crescere, non perdere le cose che almeno una volta…
Riuscire
a conservarmele…
Sarà
paura o sarà che…
(Almeno
una volta_ Max Pezzali)
Ecco
a voi, finalmente il settimo capitolo! Come vedete ci è stato un enorme colpo di scena… eheheheh! Sono
veramente perfida! Se provate a leggere le parole della canzone di questo
capitolo, vedrete che sono quasi cucite addosso a Rukawa, no? Manca poco alla
fine, credo uno o due capitoli massimo, devo ancora definire alcune cose… come
sempre, un enorme ringraziamento a coloro che stanno avendo la pazienza di
leggere e commentare questa storia, che mi è costata, non mi stancherò mai di
ripeterlo, una fatica immane! Quindi un enorme bacio ad Akane (grazie
enormemente, pensare che lascio senza parole è un bellissimo complimento,
considerando che notoriamente non mi piace quello che scrivo!), Sasa (grazie
tantissimo, avevo il dubbio perenne di aver stravolto i personaggi, ma invece
sono contenta che tu li percepisca come erano nella “realtà”, era quello che
volevo arrivasse!), Hinao (la tua recensione mi ha fatto davvero tanto
piacere, soprattutto considerando i tuoi gusti nelle fic di Slam Dunk, quindi
già per averla letta ti ringrazio! Ma grazie soprattutto per la tua recensione
completa e precisa, specie su Haruko! L’ho detto, è stato difficile scrivere
dal suo punto di vista, quindi insomma sono contenta, anche per la tua
lacrimuccia! Evviva, me felice!), Hotaru Tomoe (la tua recensione è
stata assolutamente la mia preferita, l’analisi che hai fatto di Haruko mi ha
fatto pensare, ma ci ho messo davvero tutte queste cose io in lei? Credo che
sia stato difficile perché ho dovuto parlare di una cosa che mi è successa di
recente, vedere uno che mi piaceva mettersi con un’altra e quindi insomma…
forse alla fine ci sono riuscita proprio per questa ragione! Per quanto
riguarda il POV di Yohei, che anche io adoro, è su quello il mio dubbio… credo
che all’ultimo capitolo, per concludere la storia, dovrò mettere un POV diverso
e sono indecisa tra quello di Yohei, di Haruko o di Kaname!).
Un
mega bacione anche a coloro che leggono e non recensiscono!
A
presto, Cassie!