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Autore: Beauty    02/06/2012    4 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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Imbruniva, ma i clienti del Leone d’oro non potevano vedere il tramonto nel cielo autunnale.

Le imposte erano troppo accostate e, se anche così non fosse stato, la loro attenzione in quel momento era concentrata su tutt’altro spettacolo.

La partita andava avanti sin dalla mattina, e tutti coloro che non erano troppo alticci per capirlo si erano accorti già da un pezzo che il giovane Henry Kingston cominciava a dare segni di cedimento.

Continuava a tergersi il sudore dalla fronte e a inghiottire un sorso di vino dietro l’altro; Henry sperava che tutto quell’alcool l’avrebbe aiutato a sentirsi più sciolto e rilassato, ma in realtà non faceva altro che inebetire i suoi sensi, e i suoi occhi arrossati si facevano sempre più lucidi e febbrili.

Lord William, reggendo in mano le sue carte, fingeva di prestare attenzione alla partita, ma non riusciva a reprimere il ghigno soddisfatto che gli si dipingeva sulle labbra ogni volta che osservava Henry scrutare il suo mazzo cercando disperatamente la carta vincente in grado di tirarlo fuori da quel pasticcio.

La partita durava da ore, il croupier continuava a distribuire carte su carte, e i soldi che Henry perdeva si accumulavano ogni minuto che passava. Ormai il giovane Kingston aveva perso anche più del milione che aveva puntato all’inizio; fosse dipeso da Lord William, la partita si sarebbe conclusa già da un pezzo, ma quel damerino del suo avversario era più ostinato e cocciuto di un mulo.

Beh, poco male, si disse Lord William, ghignando soddisfatto alla vista delle proprie carte. Quella sarebbe stata la mano vincente.

- Tocca a voi, Lord William…- disse Henry, ansimando leggermente.

- Certo. Siete sicuro di volere continuare, Henry?- domandò Lord William, ostentando una cortesia che veniva immediatamente contraddetta dal suo sguardo beffardo.- Non credete che sarebbe meglio dichiarare la partita conclusa? Vi vedo alquanto affaticato…

- No, no!- rispose in fretta Henry.- No, sto benissimo, credetemi. Avanti, fate il vostro gioco.

Lord William ghignò, sollevando lentamente una carta.

- Temo di dovervi annunciare, Henry, che avete perso la partita - sibilò.

Detto questo, fece scivolare al centro della tavola un asse.

Si levò un mormorio di stupore. Lord William aveva vinto. Aveva vinto, non c’erano più speranze che Henry riuscisse a riprendersi. La partita era conclusa.

Henry rimase a fissare quella carta per un tempo che gli parve infinito; d’un tratto, fu come se una grandissima stanchezza si fosse impadronita di lui. Sentì la testa leggera, braccia e gambe divenire improvvisamente deboli; si accasciò sul tavolo, trattenendo a stento un gemito di disperazione.

- Su, su!- Lord William si era alzato e lo aveva raggiunto, e ora gli picchiava una mano sulla spalla come per consolarlo.- Su, che volete che sia mai una sconfitta a poker? Andiamo, capita a tutti i gentiluomini, dico bene? Fatevi coraggio.

- Lord William…- boccheggiò Henry, sentendosi la gola secca.- Lord William…quel denaro…

- Oh, certo! Ma non preoccupatevi, non c’è fretta. Prendetevi pure la nottata per riposare. Ci vediamo domani mattina alla mia villa per il pagamento, d’accordo?

Lord William gli voltò le spalle, dirigendosi con calma verso l’uscita della locanda, sorridendo compiaciuto non appena sentì i passi di Henry Kingston avvicinarsi velocemente alle sue spalle.

- No, Lord William!- disse Henry, trattenendolo per una spalla.- Lord William…io…io non ho quel denaro…- confessò il giovane.

Lord William si costrinse a rimanere impassibile, ma dentro si sentiva ribollire.

Proprio come sospettavo…

Rimase a fissarlo per un po’, quindi si liberò dalla presa di Henry con una smorfia.

- E così…- esordì.- Mi avete truffato, Henry.

- No! No, Lord William, ve lo giuro!- cercò di difendersi il giovane.- No, io non volevo…Vi prego, Lord William!- implorò.- Vi prego, voi non avete idea di come sono ridotto! Devo dei soldi a mezza città! Vi prego, Lord William, annullate il mio debito.

- Gli affari sono affari, Henry - dichiarò Lord William, calmo, senza smettere di guardarlo.- Non posso certo passare sopra ad una questione di tale importanza, voi capite, non è vero?

- Vi prego!- supplicò Henry.- Vi prego…Magari…magari potremmo…potremmo trovare un accordo…

Gli occhi di Lord William si accesero di una luce di malvagità e soddisfazione.

- Un accordo, dite?- ripeté.- Beh, gli affari sono affari, è vero, ma qualunque gentiluomo è sempre disposto a discutere in merito a questioni importanti. Venite, andiamo a casa mia. Ne discuteremo meglio nel mio studio.

 

***

 

Lord William spalancò le porte dello studio, entrando a passo svelto. Benché si fosse sempre vantato del proprio autocontrollo, in quel momento gli risultava sempre più difficile mantenere la calma. Quell’idiota non aveva smesso di piagnucolare per tutto il tragitto, e anche ora non la smetteva di implorarlo di annullare il suo debito.

Lord William si sedette alla scrivania, accendendo una sigaretta con aria annoiata. Cominciò a tirare qualche boccata, fingendo di prestare attenzione a tutti i piagnistei di Henry Kingston: era rovinato, non aveva più un soldo, e vi prego, suo padre era vecchio e malato, non avrebbe retto ad un simile colpo, e mi dispiace infinitamente, non volevo ingannarvi, vi prego, vi prego, annullate il mio debito, farò qualunque cosa…

Qualunque cosa…

Lord William colse al volo l’occasione.

- E va bene Henry - l’interruppe, stanco di tutte quelle lagne.

Henry rimase ad osservare attonito Lord William che tirava altre due o tre boccate di fumo, prima di proseguire.

- Non mi ero reso conto di quanto fosse grave la vostra situazione - continuò Lord William.- Ma io non ho un cuore di pietra. Annullerò il vostro debito…

Gli occhi e il viso di Henry si illuminarono.

- Oh, grazie, Lord William!- esclamò.- Grazie, grazie, io non so davvero come…

- Non ho ancora finito, Henry.

Il sorriso di Henry morì così come era nato; Lord William tirò un’altra boccata.

- E’ la terza volta che ve lo ripeto, oggi: gli affari sono affari, non dimenticatelo. A tutto c’è un prezzo, anche all’annullamento di un debito.

- Quale…quale prezzo?- balbettò Henry.

Lord William spense la sigaretta nel posacenere, si alzò e fece il giro della scrivania, in modo da ritrovarsi di fronte a Henry.

- Vi propongo uno scambio.

- Che genere di scambio?

Lord William fece una pausa; quindi, guardò il giovane dritto negli occhi.

- E’ da un po’ di tempo che ho messo gli occhi su vostra sorella, Catherine.

Henry rimase per un attimo interdetto, poi replicò:

- Mia sorella Catherine è morta due mesi fa, Lord William.

Lord William lo guardò in silenzio per un secondo, quindi scoppiò in una sonora risata.

- Vi prego, Henry, non prendiamoci in giro!

- Credete che potrei mai scherzare su una cosa simile?!- ringhiò Henry, stringendo i pugni e fissando Lord William in cagnesco.- Credete che potrei mai scherzare sulla morte di mia sorella?! Catherine è morta due mesi fa, vi dico!

Lord William non sembrò scomporsi.

- Eppure sembrate sincero - commentò.- Non avrei mai pensato che poteste essere così poco informato sui vostri stessi familiari…

Henry digrignò i denti, stringendo ancora di più i pugni.

- Spiegatevi meglio - sibilò.

- Di recente, due miei…amici hanno incontrato vostra sorella nella foresta - Lord William ghignò.- In compagnia di un cavaliere sconosciuto…

Henry boccheggiò, incredulo.

- Come…come può essere?- mormorò.- Mio padre ci aveva detto che era morta…

- Forse vostro padre voleva solo evitare di darvi un dispiacere più grande - sorrise Lord William.- Evidentemente ha creduto che avreste sofferto di meno sapendo che vostra sorella era morta, piuttosto che…beh, piuttosto che si fosse disonorata

- Come vi permettete?!- abbaiò Henry.- Come vi permettete di dire una cosa simile? Catherine non…Io la conosco bene, lei non…mia sorella non avrebbe mai fatto una cosa del genere…

- A volte le persone si rivelano diverse da quelle che sembrano, Henry - disse Lord William, calmo.- Ma non è questo il punto - gli batté una mano sulla spalla, superandolo e costringendolo a voltarsi per guardarlo.

- Che cosa volete?- sibilò Henry.

- Vostra sorella.

Henry non rispose; si sentiva il sangue pulsare nelle tempie, sentiva dei brividi percorrergli la spina dorsale. Se quello che aveva detto Lord William era vero…

- Vostra sorella è viva, Henry, ve lo posso garantire. E io intendo farne mia moglie.

- Cosa?- mormorò Henry.

- Avete sentito. Catherine è bella, è giovane ed è in età da marito, e io intendo sposarla. Ho sentito dire che la vostra matrigna ha cercato più volte un marito per lei, prima che…beh, prima che morisse…- ghignò Lord William.- Pensateci, Henry. Per voi sarebbe un guadagno in ogni senso: dopo quello che è successo, dubito che qualcuno vorrà ancora sposare vostra sorella. Voi avete la possibilità di darla in moglie ad un uomo ricco, sgravando così la vostra famiglia dal peso di una donna nubile e restituendo a lei la dignità e a vostro padre la sua fortuna. Senza contare…- ridacchiò malignamente.- Senza contare che tutti i vostri debiti verrebbero immediatamente cancellati…

- Questo è un mercato!- urlò Henry, indignato.- Questo è un lurido, schifoso mercato! No, mai, non lo farò mai, al diavolo voi e i vostri soldi! Non vi darò mai mia sorella…se Catherine è viva…se è viva, allora la troverò, non importa quel che ha fatto, vendicherò il suo onore e la riporterò a casa!

- E come farete con i vostri debiti?- incalzò Lord William.- Come farete a mantenerla, quando non avrete più un soldo? Finirete in mezzo ad una strada, a mendicare come dei poveracci!

- Smettetela! Vi ordino di smetterla!

- Non basta un duello per lavare via una colpa! Senza soldi, vostra sorella si ridurrà a meretrice per mantenervi!

- Basta!

- E’ la vostra unica possibilità, Henry - disse Lord William.- Se mi darete vostra sorella, allora sarete salvo. Altrimenti…beh, sapete già cosa succederà.

Henry respirava affannosamente. Quello era un ricatto, era il più ignobile e meschino mercato che avesse mai sentito. Catherine…no, non poteva farlo! Lei era sua sorella, le voleva bene, Cathy era sempre stata buona, con lui, aveva sempre cercato di aiutarlo…

Eppure…

Henry ebbe un’improvvisa visione, si vide in mezzo ad una strada, povero e mendicante, con al suo fianco Catherine e la piccola Rosalie sporche e vestite di stracci, e suo padre malato disteso per terra, mentre tutti li evitavano e li deridevano.

Era così che sarebbero finiti, se lui non avesse saldato tutti i suoi debiti. Quella di Lord William era una proposta più che invitante: se avesse accettato, tutto si sarebbe sistemato, e Catherine…se era vero quello che aveva detto Lord William, se davvero si era data ad un uomo prima del matrimonio, allora anche lei ne avrebbe tratto vantaggio. Lord William era un uomo giovane, bello e ricco, che accettava di sposarla anche a fronte di quel che Cathy aveva fatto; con quel matrimonio, Catherine avrebbe riacquistato la sua reputazione agli occhi del mondo, e, chi poteva saperlo!, magari avrebbe ancora potuto essere felice.

Henry deglutì, senza guardare Lord William che, nel frattempo, gli si era avvicinato.

- Siamo d’accordo, Henry?- chiese, con voce melliflua, già certo della risposta.

Henry non lo guardò, ma annuì, lentamente, stringendo i pugni; poi, parve riscuotersi.

- Ma…- mormorò.- Ma mio padre dovrà dare la sua approvazione.

- Ma certamente. D’altronde, lui è anche l’unico a sapere dove si trova vostra sorella…- ghignò l’altro.

Henry non rispose; Lord William gli tese la destra aperta.

- Affare fatto?

Henry ebbe la fugace visione degli occhi verdi di Catherine che lo scrutavano pieni d’odio, mentre ricambiava la stretta di Lord William.

- Affare fatto.

 

***

 

Passarono i giorni, le settimane, i mesi.

Catherine non avrebbe mai pensato di riuscire a provare serenità, in quel luogo. Quand’era arrivata, era a tutti gli effetti una prigioniera, e l’oscuro maniero del padrone era la sua prigione, una cella buia e fredda piena solo di tristezza e dolore. Ora, invece, la ragazza vedeva quel castello tenebroso come una seconda casa.

Sì, certo, sentiva continuamente la mancanza della sua famiglia, soprattutto di suo padre; ma quando stava insieme al padrone, riusciva a dimenticare ogni nostalgia.

Catherine non finiva mai di stupirsi del padrone, ma, soprattutto, di se stessa. Trascorreva volentieri il tempo con Constance, Ernest e Peter, ma ogni giorno non vedeva l’ora che la mattinata di lavoro – divenuto, quest’ultimo, di gran lunga meno pesante – terminasse, così che potesse salire in libreria, dove, sempre puntuale, l’attendeva il padrone.

Catherine, all’inizio, aveva pensato che il padrone di casa fosse nient’altro più che un mostro, una bestia, un orribile ibrido partorito da una natura in vena di macabri scherzi; stava quasi male, adesso, nel ripensare a tutte queste cattiverie.

Nonostante il suo aspetto mostruoso, il padrone si era rivelato con un animo umano. Il suo comportamento era pari a quello di un essere umano, era intelligente e infinitamente gentile. Certo, qualche stranezza la conservava ancora. A tavola aveva smesso di divorare il cibo come una bestia, e il suo comportamento era divenuto di gran lunga più coerente, ma in lui restava sempre qualcosa di strano, quasi ultraterreno.

Spesso, Catherine si ritrovava a paragonarlo ad uno di quei gentiluomini amici di suo padre e suo fratello, o ad uno dei suoi tanti pretendenti; anche loro erano gentili e cordiali come lui, ma appena cominciavi a dargli un po’ di confidenza, quelli perdevano ogni forma di rispetto e cortesia, iniziando a comportarsi come dei gran cafoni. Lui, invece, non perdeva mai quell’atteggiamento serio e composto; non si lasciava mai andare a battute o commenti inopportuni, tantomeno rozzi o volgari, né si faceva scoprire da lei in atteggiamenti che in un uomo sarebbero stati normali, come distrarsi o essere soprappensiero. La trattava sempre con infinita gentilezza, che Catherine aveva scoperto essere naturale, non frutto di ipocrisia o affettazione. Tuttavia, il suo aspetto continuava a inquietarla ancora un po’, anche per il fatto che, spesso, lo scopriva ad osservarla con una luce strana ed enigmatica in quei suoi occhi azzurri e freddi come il ghiaccio.

In ogni caso, trascorrere il tempo con lui era molto piacevole; spesso leggevano o parlavano, e Catherine dovette riconoscergli anche la straordinaria qualità di rimanere ad ascoltare, cosa che il padrone faceva sempre con pazienza e interesse; altre volte, invece, se il vento non soffiava troppo forte e non faceva troppo freddo – si stava avvicinando l’inverno –, lui le proponeva di uscire dal maniero per fare una passeggiata.

C’era una scuderia, sul retro del castello. C’erano diversi cavalli, ma il padrone prendeva sempre il solito, un purosangue nero meraviglioso e imponente; quanto a Catherine, lei provò a montare diversi cavalli, prima di riuscire a trovare quello che facesse al caso suo. La ragazza sapeva cavalcare, ma non era brava quanto suo padre o sua sorella, e temeva sempre che l’animale potesse avere una reazione improvvisa e imprevedibile, senza contare che aveva una paura folle di venire disarcionata. Alla fine, però, trovò una cavalcatura adatta a lei: un esemplare bianco e forte, piuttosto giovane, ma tranquillo e docile. Quando il padrone si accorse che Catherine lo preferiva a tutti gli altri, le disse che da quel momento era suo. La ragazza era arrossita e aveva balbettato un grazie imbarazzato.

Alcuni modi di fare del padrone non avevano ancora finito di sorprenderla.

Facevano una passeggiata a cavallo, nella foresta. Catherine spesso ripensava con angoscia a quella terribile nottata in cui era stata aggredita, ma con il passare del tempo quegli alberi alti come torri e quel luogo buio e intricato avevano smesso di spaventarla; a volte temeva di perdersi, in mezzo a tutto quel groviglio di rami e arbusti, ma il padrone non perdeva mai il senso dell’orientamento, doveva conoscere molto bene quei luoghi.

Alla fine, tornavano al castello per la cena, che consumavano sempre insieme.

La loro giornata trascorreva così, fra un libro, una chiacchierata e una cavalcata di tanto in tanto; una piacevole routine a cui Catherine si rese conto avrebbe difficilmente saputo rinunciare.

 

***

 

- Sai che è proprio buffo?- disse un giorno Catherine, mentre erano seduti in biblioteca.

- Che cosa?- domandò il padrone, alzando gli occhi dal libro che stava leggendo insieme alla ragazza, accoccolata al suo fianco.

- Il gobbo di Notre Dame ha un nome, e perfino il Fantasma dell’Opéra ne ha uno - disse Catherine.- Sono mesi che ti conosco, e non mi hai mai detto il tuo nome.

Il mostro abbassò lo sguardo, quindi borbottò qualcosa.

- Come hai detto?- fece Catherine, che non era riuscita a capire.

- Adrian - ripeté il mostro, quasi di malavoglia.- Mi chiamo Adrian.

- Adrian?- Catherine sbatté le palpebre.- Bel nome.

- Grazie…- rispose il mostro, con una smorfia.

- Perché dici “grazie” così?

- Così come?

- Come se avessi appena pronunciato un’ingiuria.

- Non amo molto il mio nome.

- E chi ama il proprio?!- esclamò Catherine, ridendo.

- Il tuo è un bel nome…- disse il mostro, con un mezzo sorriso.

- Grazie. L’ha scelto mia madre - rispose Catherine.

- Purezza…- sussurrò Adrian.

- Come dici?

- Purezza. Catherine significa “purezza” - spiegò il padrone, stringendosi nelle spalle.- Viene dal greco antico. Mio padre diceva sempre che il nome è una specie di presentazione di noi stessi. Dice agli altri come sei…- Adrian sorrise.- Tu sei pura.

Catherine non seppe che rispondere, ma si sentì avvampare; era una sensazione piacevole.

- Sei bravo, con i nomi…- mormorò.- Conosci il significato di tutti?

- No, solo di alcuni - ammise il mostro.

- Comunque, tuo padre aveva ragione…- disse Catherine.- Il nome è un biglietto da visita. Il tuo che significa?

- Significa…significa “il tenebroso”- rispose Adrian, quasi come se si costringesse ad ammettere qualcosa di spiacevole.

- Oh!- non trovò nient’altro di meglio da dire Catherine.- Beh, non è detto che il nome dica come sei…- aggiunse poi.- Tu non sei affatto…tenebroso. Non ti rispecchia per nulla.

- No…- sussurrò il mostro, così impercettibilmente da non farsi udire dalla ragazza.- No, mi rispecchia perfettamente, invece.

Catherine non udì, e riaprì il libro. Adrian riprese a leggere insieme a lei. Ormai erano alle ultime pagine, e in cinque minuti l’ebbero terminato.

- Molto bello - dichiarò Catherine, chiudendo Il Fantasma dell’Opéra.

- Già. Ma molto simile a Notre Dame de Paris, come ti avevo detto - aggiunse il mostro, pensieroso.

- Anche se questo è ancora più triste, a mio parere - sospirò Catherine.

- Più triste? Perché?

- Beh, mi dispiace da morire per il Fantasma…Insomma, non se lo meritava, ecco.

- Scusa, ma mi permetto di dissentire. Ricorda che era un assassino.

- Sì, ma non era cattivo. Insomma, lui amava Christine Daae!- esclamò Catherine.- E lei è stata ancora più sciocca della Esmeralda. Scappare con quel damerino del visconte! Che poi, quello mi sa di viscido…

Mi ricorda molto una persona…

Adrian non rispose, ma scosse il capo, piano.

- A te non sembra assurdo?- chiese Catherine.

- A dire il vero, no. Era prevedibile.

- Prevedibile?

- Andiamo, credevi davvero che Christine avrebbe scelto il Fantasma?- il mostro la guardò negli occhi.

- Io…beh, ci speravo - ammise Catherine.

- Era un mostro e un assassino - disse Adrian.

In genere, quando parlavano di un romanzo, il padrone assumeva un tono scherzoso e disimpegnato; Catherine fu quasi spaventata, nel vederlo così serio.

- Era un mostro - ripeté lui.- Perché Christine avrebbe dovuto scegliere lui, quando aveva a disposizione un bel giovane?

Catherine non rispose, limitandosi a guardarlo.

- La bella non s’innamora mai della bestia.

 

***

 

Era l’inizio di dicembre; non nevicava, ma il cielo era sempre nuvoloso, e fuori faceva così freddo che il gelo s’insinuava nelle ossa.

Quella mattina, Catherine venne svegliata da un gelido spiffero d’aria che la raggiunse attraverso le coperte. La ragazza si svegliò, percorsa da brividi di freddo. Vide che il vento aveva spalancato la finestra, mentre il fuoco nel camino era spento, con solo un lieve sbuffo di fumo che scaturiva dalle braci annerite.

Catherine saltò giù dal letto, indossando in fretta la vestaglia e chiudendo svelta la finestra. Si chinò accanto alle braci nel tentativo di riattizzare il fuoco, quando udì l’orologio a pendolo nel corridoio battere le ore. Le otto, realizzò Catherine.

Com’era possibile? La sveglia era alle sei, Constance non mancava mai di chiamarla, perché quella mattina non era venuta?

Doveva essere successo qualcosa…

Catherine si precipitò fuori dalla porta, raggiungendo di corsa il dormitorio dei domestici.

Quando entrò, vide che Constance e Peter erano chini intorno ad un letto, l’una scuotendo la testa contrariata, l’altro osservando la scena quasi inebetito. Sul letto era disteso Ernest, pallido come un lenzuolo, che emetteva gemiti soffocati reggendosi lo stomaco.

- Ernest!- esclamò Catherine, raggiungendoli preoccupata.- Che succede? Constance, che cos’ha?

- Indigestione - rispose la donna, con tono piatto.- Non c’è da preoccuparsi, non è la prima volta che succede. Entro stasera gli sarà passato tutto.

- Ne sei sicura?- fece Catherine, osservando preoccupata Ernest.- Quel colorito non mi piace per niente…

- In effetti, non ha una bella cera - confermò Peter.

- Beh, se l’è voluta!- dichiarò Constance.- La prossima volta impara ad ingozzarsi di minestra ai porri a cena!

- Io non mi sono affatto ingozzato!- protestò Ernest, con voce roca.- Non è certo colpa mia se sono ridotto così!

- Ah, no? E di chi sarebbe, mia?- abbaiò Constance.

- Certo che è colpa tua! L’hai cucinata tu, quella roba!

- Ma come ti permetti, vecchio sclerotico?!

- Befana! Tu e i tuoi dannati intrugli…

- Ernest, non ti agitare!- intervenne Catherine.

- Già, è vero. Oggi è meglio se ti riposi - aggiunse Peter, premuroso.

- No!- gracchiò Ernest.- No, oggi…il padrone mi ha ordinato di…il giardino…

- Oggi lavoro io al tuo posto, Ernest - disse Catherine.

Tutti si voltarono a guardarla.

- Tu?- fece Peter.

- Perché no?- rispose Catherine.

- Cathy…- disse Constance.- Scusa, non che non mi fidi di te, ma…beh, è un lavoro molto pesante, quello che avrebbe dovuto fare oggi questa mummia rinsecchita - e scoccò un’occhiataccia ad Ernest.- Non è adatto ad una donna…

Catherine sbuffò, alzando le spalle.

- Non preoccuparti. Sarà un gioco da ragazzi.

 

***

 

 

Già, proprio un gioco da ragazzi…, pensò Catherine, mentre sulle labbra le si disegnava una smorfia di disappunto.

Il giardino era quasi simile alla foresta. Catherine pensò che dovevano essere mesi che nessuno se ne curava. L’erba le arrivava al ginocchio, e dovunque crescevano rovi ed erbacce.

Faceva freddo, e il cielo era nuvoloso; presto avrebbe iniziato a piovere. Era meglio sbrigarsi.

Catherine si fece strada fra l’erba, afferrando con entrambe le mani un rovo, attenta a non pungersi. Tirò con tutte le sue forze finché non riuscì a sradicarlo dal terreno.

Continuò così per un’ora, al termine della quale si sentiva sfinita e il giardino era ben lontano dall’essere accettabile. La ragazza non si diede per vinta, e afferrò un altro rovo, ma questo si rivelò più ostinato degli altri; per quanto tirasse, quella dannata pianta non ne voleva sapere di venire via.

- Cosa stai facendo?- fece una voce alle sue spalle.

Catherine si voltò, e vide Adrian avvicinarsi a lei.

- Cosa stai facendo?- ripeté il padrone.

- Io…sto…cercando di mettere un po’ in ordine…- disse Catherine, riprendendo a tirare il rovo.

- Avevo detto ad Ernest di farlo - disse il mostro, e il suo tono di voce assunse una nota minacciosa.

- Sta male - fece Catherine, in fretta.- Un’indigestione, pare.

- Non è un buon motivo per far svolgere il lavoro a te - ringhiò il padrone.

- Mi sono offerta io. E non è faticoso - mentì.

Riprese i suoi tentativi di sradicare il rovo, il quale resistette stoicamente. Si sentì un tuono in lontananza.

- Lascia almeno che ti aiuti - disse Adrian.

- No, no, io…

La pianta le sfuggì di mano, le spine strisciarono velocemente sul palmo. Catherine sentì un bruciore pungente; emise un gemito di dolore.

Sollevò il palmo all’altezza del viso; al centro della mano c’era una ferita sanguinante.

- Stai bene?- chiese il padrone, avvicinandosi a lei.

- Io…

Si udì un altro tuono; cominciò a piovere.

In un attimo, Catherine si ritrovò bagnata fradicia.

- Oh, cielo…- gemette la ragazza.

- Vieni!- disse il padrone.

La condusse in fretta sotto uno dei portici del castello, all’asciutto, ma ormai la ragazza era completamente fradicia. Senza dire una parola, il padrone si tolse di dosso il mantello nero e lo avvolse intorno alle spalle della ragazza.

- Grazie…- mormorò Catherine, stringendosi nella stoffa.

La mano sanguinava ancora.

- Fammi vedere - il padrone prese la mano di Catherine fra le sue mostruose zampe ibride.

Catherine rabbrividì a quel contatto; le venne in mente la volta in cui Lord William le aveva sfiorato la mano con le labbra, e poi quando invece l’aveva costretta a baciarlo, premendosela contro la bocca, invadendo il suo spazio vitale. Ritrasse la mano di scatto.

- Non è niente…- disse, distogliendo lo sguardo da quello di Adrian.

Il padrone sentì la mano morbida della ragazza scivolare rapidamente via dalle sue. Sentì una fitta al cuore, ma la guardò negli occhi, mentre sul suo volto mostruoso compariva un sorriso amaro.

- Sono così repellente?- mormorò.

Catherine si sentì morire; si maledisse mentalmente, dandosi della stupida per quel che aveva fatto. Adrian abbassò lo sguardo; fece per andarsene.

- No!- Catherine lo fermò, prendendogli la mano.

Adrian si voltò nuovamente verso di lei.

- Scusami!- disse Catherine, quasi implorando.- Scusami, io non…Non sei repellente, Adrian, è solo che…Mi dispiace!- esclamò, mortificata.

Il padrone non si mosse, rimanendo immobile e stupefatto mentre la ragazza lo abbracciava con slancio, cingendogli il torace con le braccia.

- Mi dispiace…- sussurrò Catherine, chiudendo gli occhi e appoggiando il capo contro il petto caldo del mostro.- Mi dispiace…

Rimasero così per qualche istante; Catherine temette che il padrone l’allontanasse, la spingesse lontano da lui come avrebbe meritato, ma Adrian non lo fece. Il mostro sorrise, sfiorandole lievemente le spalle con le mani artigliate, in un goffo tentativo di ricambiare l’abbraccio.

- Non preoccuparti…- sussurrò contro i capelli corvini della ragazza.- Non preoccuparti, non è successo niente…

Catherine si staccò dal suo petto, guardando il volto mostruoso.

- Non volevo ferirti, Adrian, credimi - mormorò la ragazza.- E’ solo che…è solo che quando mi hai preso la mano…io…mi sono tornate alla mente delle cose che…

- Non devi giustificarti - disse Adrian.- Non…non mi stupisce che tu abbia orrore di me. So di essere un mostro, Catherine.

- No!- protestò la ragazza.- No, io non provo orrore, è solo che…

Catherine capì che con le chiacchiere non avrebbe risolto nulla. Prese una mano ibrida di Adrian fra le proprie, e se la portò alla guancia.

- Perdonami - disse, guardandolo negli occhi.- Sono stata una stupida, ti prometto che non accadrà mai più. Non penso che tu sia un mostro, Adrian…Ti prego, perdonami.

Il padrone sorrise, ricambiando la carezza, attento a non farle male.

- Sono contento che tu non mi consideri un mostro, Catherine…- sussurrò.

La ragazza sorrise, sentendo il cuore fare una capriola nel petto quando sentì la mano artigliata di Adrian sfiorarle il viso.

 

Angolo Autrice: E ancora una volta ho partorito un capitolo pietoso…Il prossimo capitolo sarà migliore, prometto J. Dunque, un avviso a chi è ancora qui dopo la bellezza di dodici capitoli: credo che sia opportuno informare questi coraggiosi che la storia sarà più lunga del previsto, non so quanti capitoli durerà, ma di sicuro arriverà alla ventina…che vi devo dire, mi sono fatta prendere la mano J! In ogni caso, non preoccupatevi, non diventerà una cosa di 1000 capitoli stile soap opera, sarà nei limiti della decenza…Dunque, ora credo che sia il caso di spendere due paroline sul nome della Bestia: è dall’inizio della storia che cerco un nome per lui, ma tutti quelli che mi venivano in mente ce li vedevo più addosso ad un bel ragazzo che a un mostro, così alla fine ho optato per Adrian, quest’ultimo preso (siccome so che lo state pensando tutti XD!) dal libro Beastly di Alex Flinn. Il nome Adrian mi pareva adatto, in quanto è (a mio parere) un nome piuttosto poco comune e il nostro mostro è un tipo “tenebroso”…a questo proposito, la storia del significato dei nomi non me la sono inventata, mi sono informata e ho scoperto che uno dei possibili significati del nome Catherine deriva dal greco katharà, che appunto significa “pura”, “vera”…

Scemenze pseudo-erudite a parte, dato che si è parlato di cose in stile Beautiful e compagnia bella, a questo punto voglio levarmi lo sfizio di fare come nelle telenovele XD!

**Nella prossima puntata**

Adrian e Catherine si avvicineranno sempre più l’uno all’altra…cosa succederà fra la nostra eroina e il mostro? Nel frattempo, il Natale si avvicina, ma in casa Kingston l’atmosfera non è affatto festiva: mentre il mercante è sempre più malato, la piccola Rosalie farà una scoperta sconvolgente che spingerà la perfida Lady Julia a prendere dei seri ( e dico seri!!! ) provvedimenti nei suoi confronti…

E nel frattempo: Lord William ha ottenuto quello che voleva, ma come farà ad avere Catherine? E Henry riuscirà a restarsene a guardare senza far nulla?

**Tutto questo lo scopriremo nella prossima puntata!**

Detta questa sfilza di cretinate, ringrazio tantissimo tutti coloro che leggono, CiUffEttA per aver aggiunto questa ff alle preferite, e Black Fairy ed Ellyra per aver recensito.

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Dora93

  
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