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Autore: candycotton    03/06/2012    2 recensioni
Anno 2181. Hestla.
Lo scienziato Sycor ha iniziato, più di 50 anni fa, il suo piano malato di trasformare l’imperfetta popolazione di esseri umani uccidendoli e donando loro una seconda vita, grazie all’impianto di fili metallici e organi sostitutivi, creando così una nuova razza, i Sostituti.
Rigel e Bion. Due ragazzi alla ricerca di vendetta, in un mondo che sembra aver tolto loro ogni cosa.
Ma niente è quello che sembra su Hestla, ed è fondamentale saper riconoscere gli Umani dai Sostituti, la verità dalle bugie, il tradimento dalla fiducia, il bene dal male.
In un vortice di equivoci, doppiogiochisti, imbrogli e verità, i due ragazzi riusciranno a raggiungere la meritata rivincita su quel mondo spietato? E gli esseri umani, saranno disposti a lasciarsi trasformare? Saranno disposti a morire per vivere una vita all’apparenza migliore?
Un mondo sull'orlo della guerra. Un'intera popolazione perseguitata e sottomessa. Un ragazzo e una ragazza pronti a combattere con un destino ignoto che li attende..
Genere: Azione, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7

In fuga

 

 

Ben presto si resero conto che passare tutto il giorno all’interno dell’Hydran senza sosta non era poi così bello come poteva sembrare all’inizio.

Da quattro giorni viaggiavano in direzione della prossima città, Tiva, dove si sarebbero fermati per fare provviste. L’assenza di qualunque forma vivente sul sentiero non aveva certo tranquillizzato Bion, che preferiva non rischiare a fermarsi con la possibilità di finire in qualche trappola o di essere attaccati.

“Il carburante è quasi finito. Dovrebbe esserci una pompa nelle vicinanze di Tiva, cosa dici?” chiese Bion il quarto giorno, mentre sorvolavano lo stesso identico paesaggio desolato dei giorni precedenti.

Rigel sospirò e si avvicinò al quadro comandi. La lancetta sottile del combustibile formava un angolo acuto e quello non era certo un buon segno.

“Gruis ha detto che funziona con la stessa miscela dei mezzi di trasporto usati dai soldati Sostituti, quindi non dovrebbe essere impossibile ricaricarci”.

Rigel si voltò e prese la mappa che Bion gli aveva mostrato tempo prima a casa sua; la dispiegò sul quadro comandi occupando tutto lo spazio. Puntò con l’indice la città di Tiva, collocata sotto a Keel di poco più a destra. Una croce rossa risaltava di poco al di sotto del puntino nero che era Tiva.

Rigel e Bion si scambiarono un’occhiata.

“Uno dei Poli è molto vicino. Dobbiamo stare attenti quando passeremo da lì”.

Se la sicurezza imposta sulle città era considerata alta, quella attorno ai Poli lo era mille volte di più.

Come avevano sperato, prima dell’arrivo a Tiva incontrarono una pompa di benzina. Era molto ben tenuta, con due inservienti rigidi e seri, vestiti con quelli che avevano tutta l’aria di essere due camici grigi da infermieri.

“Ci scopriranno” sussurrò Rigel, gli occhi puntati davanti a sé.

“Se non facciamo benzina, di sicuro” ribatté Bion.

L’Hydran arrancò a fatica fino all’accampamento. Da un momento all’altro avrebbero dovuto spingerlo. Una volta parcheggiato – piuttosto lontano dagli altri veicoli – Rigel scese e si affrettò al self service. Avevano deciso che Bion avrebbe fatto meglio a non farsi vedere, dato che era una specie di ricercata e, nonostante il taglio di capelli, piuttosto riconoscibile. Rigel, al contrario, era una faccia nuova a tutti, o almeno era quello che credeva.

Tutto andò liscio. Rigel incontrò un paio di volte lo sguardo degli inservienti, che lo fulminarono da lontano, come a controllare se fosse capace di cavarsela da solo. Rigel fu contento di fargli vedere che era capacissimo e fece più in fretta possibile.

“Bisogno d’aiuto?”

Rigel trasalì. Si volse e incontrò il volto impassibile, pallido e lo sguardo vuoto di uno degli inservienti. Ingoiò la saliva e sorrise.

“Tutto a posto, grazie. Ho appena finito” rovistò nelle tasche fugacemente e porse qualche moneta all’inserviente che continuava a fissarlo. “Dovrebbero essere giuste”.

Rigel abbassò lo sguardo e avvicinò ancora la mano verso di lui. A quel punto, l’inserviente guardò le monete, le conteggiò mentalmente e le prese dal palmo di Rigel.

“Buona giornata, allora”.

L’inserviente non disse nulla, e pareva che le sue labbra fossero incapaci di imitare un sorriso. Rigel si affrettò sulla scaletta e rientrò nell’Hydran con un balzo. “Andiamocene di qui. Non ho mai conosciuto nessuno di più simpatico”.

Tiva era una città molto diversa da Keel. Le case erano spoglie e asettiche, le pareti grigiastre degli edifici senza smagliature, senza crepe. Era come se ogni giorno venissero ricostruite e ridipinte di quel grigio smorto, triste. Tiva non era grande come Keel, ma comunque vasta abbastanza per ospitare ogni genere di persona, o meglio, di Sostituto.

“È una città molto triste. La sua architettura ha risentito del Polo che si trova a poca distanza da qui. Diciamo che assomiglia più a una base militare” spiegò Bion.

La gente per strada pareva riflettere il grigiore anche nel loro stato d’animo e nel modo di vestire. Rigel si sentì come dentro un laboratorio immenso, dove ognuno rispecchiava la figura della  cavia umana.  

Avevano lasciato l’Hydran parcheggiato sul sentiero, al limitare delle mura cittadine, nascosto sotto due chiome di alberi e si incamminarono a piedi oltre il cancello che segnava l’entrata principale. Entrambi allungarono il passo e chinarono il capo a terra, decisi a non attirare l’attenzione più di quanto il loro aspetto già da solo non facesse.

All’improvviso, un bambino si lanciò davanti a loro, rincorrendo un pallone, e Rigel sobbalzò e si ritrasse quando si accorse che gli aveva tagliato la strada così velocemente da farlo sembrare un agguato. Sorvolò con lo sguardo attorno e, suo malgrado, scorse parecchi occhi che lo ricambiarono. Si affrettò a fissare il cemento sotto i suoi piedi e riprese a camminare.

“Questo posto mi piace sempre meno. Ma che cosa hanno da guardare?” sussurrò a Bion.

Lei rispose da un angolo delle labbra. “Non sono abituati agli stranieri. E comunque, prova a non attirare l’attenzione, per favore”.

Rigel la guardò, indignato. “Non è stata colpa mia. Quel bambino…”

“Probabilmente l’ha fatto apposta, non pensi? Per vedere la nostra reazione… Hai notato che c’è una sentinella quasi ad ogni incrocio di strade?”

Ora che glielo faceva notare, Rigel constatò che era proprio vero. Si camuffavano bene tra la gente, perché indossavano indumenti dello stesso colore. L’unica differenza era il mitra spaventoso che imbracciavano e cullavano come fosse un bambino appena nato. Le loro facce scure e impassibili – così simili a quelle degli inservienti della pompa di benzina – non tradivano alcuna emozione.

Rigel era così preso ad osservarli che quasi non si accorse che Bion aveva deviato e stava entrando in un piccolo negozietto al lato della strada. La porta d’entrata era a scomparsa; gli diede l’idea di trovarsi come su un altro pianeta. Lui, che veniva dalla foresta ed era abituato alla vita semplice di un tempo, non era affatto avvezzo a tutto quel futurismo. E probabilmente – si disse – quello era solo un piccolo assaggio di ciò che avrebbero trovato a Nallav, la più ricca e grande città di tutta Hestla.

Era una piccola bottega di alimentari, disposti ordinatamente su scaffali bianchi stile ospedaliero. Se non fosse stato profondamente affamato, Rigel non avrebbe provato nessuna voglia nel comprare in un posto del genere. Nell’ambiente c’era un forte odore di alcol.

Rigel era come affascinato da tutto, così immensamente diverso da ciò a cui lui era abituato. Non pensava che nel Nord avrebbe trovato luoghi del genere, ma forse, come Bion aveva detto, Tiva aveva quell’aspetto soltanto perché giaceva affiancata ad uno dei Poli.

Comprarono quello che non avrebbero potuto procacciarsi da soli: pane, formaggio e qualche bibita in lattina. Pagarono e uscirono dal negozio.

“Forse non avresti dovuto salutare, sei stata troppo cordiale” fece Rigel, sarcastico, una volta fuori.

Bion rise. A Tiva non c’era molto calore umano e la gente si comportava un po’ come robot.

Be’, in fondo è quello che sono, ma almeno a Keel non lo rendevano così tremendamente palese. Pensò Rigel.

Erano lì da nemmeno un’ora e già avevano innumerevoli occhi puntati addosso. Bion iniziò a diventare sospettosa. Inaspettatamente, cercò la mano di Rigel e la strinse nella sua, con delicatezza.

Lui la guardò, confuso. Bion gli restituì lo sguardo e sorrise apertamente. Rallentò di molto e si alzò in punta di piedi, quel tanto che bastava per avvicinarsi a Rigel e imprimergli un bacio sulla guancia. “Stammi al gioco” gli sussurrò un secondo prima di allontanarsi.

Avevano rallentato così tanto che si ritrovarono fermi, al bordo del marciapiedi. Bion si voltò verso Rigel e lo guardò negli occhi. Poi aprì la bocca dicendo qualcosa a vanvera per chiacchierare.

“Non sai quanto avrei voluto comprare il burro di arachidi!”

“È già che non lo so…” rispose lui, come se cercasse di scorgere nel volto della ragazza le parole che voleva sentirgli dire.

“Mia madre sa fare un dolce delizioso che avrei tanto voluto farti assaggiare…”

“M’immagino…”

Bion scoppiò a ridere, quasi sottovoce. Prese a giocherellare con il colletto della maglia di Rigel. “E ti avrei invitato a casa mia. Ma possiamo trovare un altro motivo, no?”

“Già, possiamo” Rigel lanciò di sottecchi un’occhiata oltre la testa di Bion. Scorse una coppia di Sostituti sentinelle lanciare uno sguardo fugace verso di loro, per poi passare oltre. Ritornò a guardare Bion, che lo stava spingendo sul marciapiedi, fino a trovarsi con la schiena contro la parete grigia di un edificio.

“Abbracciami” gli sussurrò.

Rigel lo fece, la circondò con le braccia, senza sapere bene dove metterle. Le incrociò sulla sua schiena e affondò il viso sul suo collo. Intanto, diede un’altra veloce occhiata alle due sentinelle. Sembrava non avessero affatto intenzione di andare oltre quel tratto di strada. Si dondolarono sui piedi, imbracciarono meglio il fidato mitra e si decisero infine a tornare indietro, passando molto vicino a loro due. Prima di rischiare d’incontrare il loro sguardo, Rigel chiuse gli occhi, e finse un trasporto amoroso, stringendo Bion tra le sue braccia più che poteva.

“Adesso” bisbigliò lei.

Rigel si sciolse lentamente dall’abbraccio e le sorrise affabile.

Continuando con quel fare sdolcinato, Bion lo prese per mano e lo guidò giù dal marciapiedi, svoltarono l’angolo e si avviarono lungo una stradina laterale che pareva deserta.

Rigel non era ancora certo di poter parlare, quindi si limitò a lasciarsi trascinare, le dita legate a quelle di Bion.

Lei scrutò l’alto muro che gli si parava davanti. Erano le mura cittadine, da cui ogni città di Hestla era caratterizzata. Era come una specie di barriera che proteggeva gli abitanti dall’ambiente al di fuori. Ed era proprio al di là che loro avevano lasciato la loro ancora di salvezza, l’Hydran.

“Da qui non si passa. Dobbiamo trovare un’altra strada”.

Si spostarono lungo un vicolo sulla sinistra, in mezzo a due case squadrate e pressoché identiche.

“Cavolo, questo posto è un labirinto” commentò Rigel a bassa voce.

Bion non gli lasciò la mano e lo trascinò fino alla fine del vicolo, che sbucava in un’altra strada laterale come quella che avevano percorso poco prima. E tutto attorno non differiva di una virgola.

“Mi sa che abbiamo sbagliato. Ci stiamo inoltrando nella città e allontanando dai cancelli. Torniamo indietro, Bion”.

Lei si buttò un’occhiata attorno, prima di annuire. Rigel si avviò su per la strada a sinistra, ma lei lo bloccò. “Non da quella parte. Saremo di nuovo nella via principale con quelle guardie alle calcagna. Seguimi”.

E marciò decisa nella direzione opposta, fino ad avere le mura della città ancora come ostacolo. Bion si guardò intorno. Poi si appiattì con la schiena contro la muraglia e si schiacciò più che poteva per passare nello spazio tra quella e il muro di una casa. Era molto stretto. Sentì qualche animale squittire sotto i suoi piedi. Rigel la seguiva con più difficoltà, dato che era più grosso. Quando sbucarono di nuovo all’aria aperta, un rivolo di sudore gli correva sulla fronte.

“Eccoci” disse Bion, indicando i cancelli davanti a loro. Quasi senza pensarci, si mise a correre e Rigel la imitò. Erano certi che avrebbero avuto via libera, certi che le guardie avessero trovato qualcos’altro di più interessante di loro.

Un’altra differenza che Rigel notò tra Tiva e Keel, era che Tiva non era altrettanto affollata. Quando aprirono i cancelli, affannati, sudati e desiderosi di andarsene, il cigolio che il ferro provocò li sorprese non poco. Tutto in quel posto era perfetto e futuristico, eppure quei dannati cancelli ancora stridevano.

Mentre varcava la soglia, Bion si guardò indietro. Le sentinelle che li avevano studiati fino a poco prima correvano verso di loro, alzavano le armi, prendevano la mira…

Bion urlò e prese a correre via insieme a Rigel. Si lanciarono fuori mira, oltre i cancelli e fuorono nascosti dalle spesse mura di cemento che partivano da lì e correvano tutto attorno al perimetro cittadino. Ma non erano ancora salvi, i passi delle sentinelle dietro di loro erano ben udibili, oltre le urla della misera folla spaventata.

Correre era quasi come annaspare sott’acqua, nella calura estiva. Rigel sentiva il suo respiro pesante. Vide Bion sorpassarlo, andare come una furia, le punte dei piedi che quasi non toccavano il suolo, e fu allora che si riscosse. Non poteva mollare, non in quel momento. Bion si voltò, lo sguardo disperato e Rigel lo ricambiò con un’espressione decisa e ferma.

Ce la facciamo.

L’Hydran si ergeva davanti a loro, Rigel alzò il capo grondante di sudore e gli sfuggì un sorriso. Poi, un fischio vibrò a pochi centimetri dal suo orecchio. Ritornò alla realtà in modo brusco, si volse e vide le due sentinelle affiancate da altre sentinelle, quattro, sei…

“Bion!” gridò, disperato.

Lei era già sulla scaletta, si girò di scatto e, prima di prendersi una pallottola in pieno petto, si abbassò con foga.

Rigel lesse sulle sue labbra un’imprecazione. Si arrampicò sulla scaletta quasi volando ed entrambi furono dentro. Rigel sentì i proiettili colpire la superficie del portello, mentre lo chiudeva con un tonfo.

Bion aveva azionato il velivolo. E aveva anche spinto il pulsante viola, quello che, come Gruis le aveva detto qualche giorno prima, serviva per azionare le sette mitragliatrici sul davanti dell’Hydran.

“Forza, muoviti” borbottava Bion.

Rigel non l’aveva mai vista tanto agitata. Eppure la situazione era più o meno la stessa che avevano affrontato a casa sua parecchi giorni prima. O forse no?

Il velivolo fu in aria nel giro di qualche istante, le armi sbucarono dal salvagente di ferro e si misero in posizione con un possente clangore metallico.

Bion avvicinò il dito al pulsante “Azione”, tutto era pronto e in posizione, i proiettili sparati dalle sentinelle a terra continuavano a rimbalzare sulla corazza dell’Hydran…

“Aspetta!” gridò Rigel.

Bion si girò di scatto, sorpresa. “Dannazione, che c’è?”

“Non possiamo sparare, ci sono troppi civili”.

Bion restò a bocca aperta, sconvolta. Guardo oltre i finestrini dell’Hydran, le persone disperse sullo spiazzale sottostante, alcune che gridavano, altre che guardavano la scena terrorizzate, madri che cercavano di allontanare i loro bambini…

“Sono solo Sostituti, Rigel!” urlò di rimando.

“Non possiamo sparare così su di loro, in fondo sono innocenti…”

“Dovevi metterti a fare il sentimentale proprio adesso?” Bion alzò gli occhi al cielo, sbraitando. “Ci uccideranno, lo sai questo, vero? Anzi no, ci trasformeranno proprio come loro!”

Rigel non rispose. Si fiondò sul quadro comandi e impugnò il timone con le mani sudate. L’Hydran sfrecciò via lontano da Tiva e dai proiettili delle sentinelle. Erano di nuovo sul sentiero, sotto di loro si estendeva nient’altro che vegetazione e ben presto le voci si affievolirono fino a scomparire. Calò un silenzio carico di tensione.

“Sei un po’ troppo pacifista per i miei gusti” affermò sdegnata Bion, alzandosi dalla sedia e allontanandosi da Rigel.

Lui fissò la sua schiena. “Non serve uccidere persone innocenti. Non è quello che sono venuto a fare, e pensavo nemmeno tu”.

Lei si voltò di scatto, furiosa. “Pensi che sia finita qui? Che basti scappare e lasciarsi la battaglia alle spalle? Prima o poi verrà il giorno che dovrai affrontarli veramente, Rigel. Non potrai fuggire quando saremo di fronte a Sycor”.

Rigel evitò di guardarla. Alla fine era giunto, dunque, il momento della verità. Voleva che le dicesse che non era ancora pronto? Che non voleva uccidere?

“Pensi che mi piaccia ammazzare la gente? Non è bello, credimi, nemmeno se si tratta di nemici. In fondo, noi siamo ancora umani. Ma è inevitabile che prima o poi succeda, in questo mondo e con la nostra missione da compiere”.

Si avvicinò di un passo verso di lui, che ancora evitava di guardarla.

“Conoscendo come operano, ci saranno un sacco di squadre sulle nostre tracce. Se avessimo agito, forse non avrebbero avuto il tempo di avvertire gli altri Poli…” puntò lo sguardo fuori dal vetro dell’Hydran, sul paesaggio e continuò a parlare in modo pratico, “ad ogni modo dobbiamo alzare la guardia cento volte tanto, e anche di più, se potrà salvarci la pelle”.

Rigel alzò gli occhi su di lei, la mascella serrata. Doveva forse chiedere scusa? Doveva vergognarsi di non avere sparato sulla gente? No, che non doveva. Non era un assassino, e poi cosa ne sapevano loro che tra quella folla di Sostituti non si nascondessero degli umani? In fondo era impossibile stabilirlo soltanto dall’aspetto. Magari là in mezzo c’erano umani che si spacciavano per Sostituti, con la speranza di non essere mai trovati e di poter condurre una qualsiasi vita.

Anche se Bion non era d’accordo, Rigel continuò a ripetersi che con il suo gesto aveva probabilmente salvato qualche vita umana. Non aveva mandato tutto all’aria per niente.

Mentre quei pensieri gli vorticavano in testa, e lui si costringeva a convincersi che una qualche ragione ce l’aveva, si perse con lo sguardo oltre il vetro dell’Hydran e, inaspettatamente, qualcosa là sotto attirò la sua attenzione.

Strinse gli occhi e improvvisamente ogni pensiero volò via dalla sua mente. Una figura balzava sulla terra sabbiosa, una figura agile, scattante, non umana e molto familiare.

“Freya” sussurrò tra sé e sé.

Bion lo guardò. “Cosa?”

“Freya!” ripeté Rigel più forte, con una nascente contentezza che gli si faceva spazio dentro. Era così bello vederla, voleva abbracciarla e accarezzarla. Avevano trascorso solo quattro giorni lontani, ma a lui erano sembrati millenni. E ora, la sua fedele compagna era tornata.

Rigel sorrise, impugnò il timone senza lasciare parlare Bion, senza farle elencare i possibili attentati a cui sarebbero andati incontro atterrando in quel momento.

Erano a pochi metri da terra, Bion si era rassegnata ed entrambi fissavano la lince correre al loro inseguimento. Poi, in una frazione di secondo, qualcosa la colpì, Freya emise un gemito soffocato, il suo corpo si ribaltò all’indietro e si accasciò sul suolo polveroso.

Rigel allentò la presa sul timone, lo sguardo fisso oltre il vetro, gli occhi all’improvviso pieni di lacrime. Ma non poteva essere vero…

“Freya” sussurrò, la voce spezzata. “FREYA!”

Ma la lince rossa non rispose al suo richiamo.

“NO!”

Le urla di Rigel rimbombavano nella cabina dell’Hydran. Bion lo trattenne quando lui si lanciò contro il vetro, come per trapassarlo.

Ciò che venne dopo si svolse veloce, inaspettato. Il velivolo era a pochi metri da terra, ma il dolore di Rigel era troppo forte perché lui o Bion si resero conto di cosa stava succedendo.

Un suono secco, un fischio acuto e un colpo andato a segno. L’esplosione incendiò la parte inferiore dell’Hydran che iniziò a precipitare con la velocità di un corpo inanimato. Rovinò a terra in un insieme di fuoco, fiamme e metallo. Rigel e Bion furono scaraventati all’indietro e cozzarono con la schiena contro le pareti.

Poi, molte voci gli arrivarono distorte, lontane, ma era difficile cogliere quello che stavano dicendo, sopra lo scoppiettio delle fiamme e il dolore lancinante delle loro ferite.

“Rigel…” mormorò Bion, sentì sangue fresco, il suo sangue, colarle dalla testa e finirle in bocca, mentre cercava di alzarsi e scostava faticosamente detriti dell’Hydran che aveva addosso.

“Rigel, dobbiamo andarcene…”

Dopo quelle che parvero ore, ma che furono solo pochi secondi, sentì qualcosa muoversi accanto a lei. Rigel riemerse da sotto una lastra di ferro. Aveva un fianco squartato, ed era coperto di sangue dalla testa ai piedi. Bion si disse che nemmeno lei doveva avere un bell’aspetto.

Si alzarono con uno sforzo tremendo e strisciarono fuori dall’Hydran per la fenditura che la caduta aveva provocato nella parete sinistra.

Bion vide in lontananza un gruppo di Sostituti armati che si muovevano nella loro direzione. Erano stati loro ad abbattere l’Hydran, probabilmente con un bazooka. Ma non avevano contato che il velivolo sarebbe rotolato per diversi metri lontano dal punto desiderato.

Bion prese Rigel per la maglia e lo trascinò in fretta nella coltre di alberi che delimitavano il sentiero. Correre era pesante e doloroso, ma era l’unico modo per mettere più terreno possibile tra loro e i Sostituti.

Bion lanciò un’occhiata veloce a Rigel, per accertarsi che non fosse sul punto di morire, e lo vide scioccato, gli occhi sbarrati e spalancati persi nel vuoto, il volto segnato da lacrime e sangue.

Dovevano aver fatto parecchia strada, o almeno se lo augurava. Non aveva il coraggio di guardarsi indietro, perché sapeva che la sorpresa di trovare i Sostituti a un soffio da loro non le sarebbe piaciuta.

Ma, all’improvviso, perse ogni sensibilità, vedeva le sue gambe muoversi ma non le sentiva. La testa le girò vorticosamente e tutto il suo corpo precipitò rovinosamente nell’erba alta.

Poi, tutto divenne nero.

  
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