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Autore: Brin    06/06/2012    2 recensioni
Non si può restare a guardare quando una mano sconosciuta porta via ciò che di più caro hai al mondo: questo è quanto Sari Kalabis sperimenta sulla propria pelle nel momento in cui uno dei pilastri della sua vita le viene strappato per sempre.
Non sa, però, che il desiderio di sapere perché la porterà su strade pericolose, lastricate di interessi a cui non dovrebbe avvicinarsi. Verso i sotterranei di un carcere da cui non si può uscire, nella pancia di un incubo folle e delirante che non dovrebbe esistere.
Genere: Fantasy, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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19
Per farmi perdonare del ritardo con cui ho pubblicato il capitolo della settimana scorsa (capitolo pubblicato soltanto ieri), ho deciso di anticipare l'aggiornamento di domani. Perciò assicuratevi di aver letto il capitolo 18, prima di leggere questo ;)
Detto ciò, questo è il capitolo delle risposte.
Buona lettura.



19.

LA ZONA ROSSA

*


PROGETTO M.

Giorno 1.
Poter intraprendere queste ricerche è elettrizzante. Abbiamo allestito il laboratorio segreto in attesa del carico proveniente dal laboratorio demoniaco, e siamo tutti molto eccitati all’idea di iniziare. La zona è stata resa segreta tramite un incantesimo di celamento operato da Amos questa mattina: l’ingresso del laboratorio è una porta rossa, che potrà essere vista soltanto da chi lavora al progetto. Sono state preparate le celle per le creature, e l’equipe che mi affianca è qualificata. La Corporazione si aspetta grandi risultati, e noi tutti faremo del nostro meglio per non deluderla.
Sari si accigliò nel notare la scrittura del padre, stupore che passò in secondo piano quando pensò al momento in cui aveva aperto quella porta rossa, ad Artika. Quando aveva visto Namar per la prima volta.
Aveva sentito parlare degli incantesimi di celamento, arte magica piuttosto complicata che richiedeva lunghi anni di studio e che aveva lo svantaggio di essere trasmessa a figli e nipoti. Di conseguenza le cose celate potevano essere viste anche dai consanguinei delle persone coinvolte nell’incanto. Le tornò in mente l’uomo che la inseguì ad Artika: probabilmente al posto della porta rossa non aveva visto altro che il corridoio.
Pensò al glifo, lo stesso che troneggiava all’ingresso della stanza in cui si trovava in quel momento. Le era parso evidente fin dall’inizio che quell’area della biblioteca era stata sottoposta a qualche incantesimo, e dopo aver letto della magia di celamento non le risultò difficile indovinare quale potesse essere.
Riprese a leggere.
Giorno 3.
Le potenzialità di queste creature sono stupefacenti. Si chiamano morfisti. Riescono a mutare aspetto, e la particolare conformazione dei loro occhi desta curiosità: sono completamente bianchi, e le pupille hanno forma verticale. Hanno una M sulla pianta del piede, probabilmente un segno incantato che supponiamo serva per riconoscerli nonostante l’aspetto assunto. La cosa più straordinaria però è la presenza di una ghiandola particolare nel loro cervello. La tipologia dei tessuti di cui è composta è diversa rispetto alle cellule umane che formano il resto dell’encefalo. Sembra essere di origine demoniaca, ed emana onde di energia con effetti devastanti. Oggi abbiamo perso un membro dell’equipe a causa di queste onde, e tramite un esame approfondito abbiamo constatato che i suoi neuroni risultano completamente bruciati.
Abbiamo allestito le gabbie usando un materiale speciale, trasparente e in grado di contenere l’energia generata da queste creature. Ai loro polsi abbiamo posto delle catene a cui è stato operato un incantesimo, in modo da bloccare momentaneamente la capacità di mutare forma. Con queste misure protettive dovremmo riuscire a condurre gli studi senza correre rischi.”
Cominciò a sudare freddo. Più comprendeva, e più le sembrava impossibile credere a quello che stava leggendo. Aveva trovato Namar dentro una gabbia trasparente, esattamente come quella descritta nel fascicolo, e per giunta incatenato.
E venne l’orrore quando comprese.
L’avevano usato come cavia da laboratorio.
E il responsabile era suo padre. Quello stesso padre gentile e premuroso che lei amava tanto. Quello stesso padre la cui memoria era tutto ciò che le rimaneva.
E ora era persa per sempre.
Poi, improvvisamente tutto divenne chiaro: lo sfogo che Namar aveva avuto quando non sembrava ci fossero speranze di fuga, la sua disperata determinazione nel voler fuggire, a qualunque costo. Era una vittima dei maghi. Un uomo nato e vissuto per anni come un oggetto.
Si morse il labbro, divisa tra la pietà per l’evaso e la rabbia e la delusione che provava verso suo padre.
Riportò lo sguardo tra le righe del foglio, quando improvvisamente qualcosa di ciò che aveva appena letto la colpì. L’aveva trovato incatenato, imprigionato sotto sembianze che non aveva abbandonato neppure quando ne aveva avuto l’occasione. Poteva mutare sembianze a suo piacimento, e non era l’unico: anche Jariel poteva farlo. Erano uguali, due creature nate a tavolino destinate ad adempiere a uno scopo ben preciso. Un destino crudele e terribile, fatto di guerra e massacri. Probabilmente i demoni li avevano creati con l’intenzione di ridurre i maghi in ginocchio in breve tempo: erano l’arma perfetta per muovere scacco, letale e facilmente impiegabile anche nelle zone più controllate del continente.
Ricordò come il giorno prima aveva visto morire tutti quei soldati sulla collina, vittime di una morte orribile, e provò a immaginare cosa sarebbe successo se un paio di quelle creature fossero penetrate all’interno della Corporazione. Sarebbe stata una carneficina, e in pochi istanti il regno dei maghi si sarebbe ritrovato senza nessuno a guidarlo, completamente in balìa del nemico. Sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale al pensiero di cosa avevano rischiato. Ma qualcos’altro si agitava in lei, un’emozione ben diversa dal sollievo per un pericolo scampato. Avevano usato delle creature come fossero degli oggetti senz’anima, sottoponendoli a chissà quali esperimenti. Anche i tagli infetti sulle mani di Namar dovevano essere il risultato dell’accurato lavoro di quegli scienziati.
Animali. Per i maghi, Namar e quelli della sua razza non erano altro che animali.
Giorno 10.
Abbiamo cominciato a condurre esperimenti su più fronti, nella speranza di scoprire il segreto di queste creature. Sono stati prelevati campioni di vari tessuti.”
Quali orrori doveva aver sopportato Namar? Quante volte aveva desiderato di fuggire o morire piuttosto che continuare a subire tutto questo? Ricordava bene la folla inferocita che lo accusava sette anni prima, mentre usciva dal dipartimento di polizia per essere condotto ad Artika. Vittime, che si accanivano contro uno di loro. E lei lo guardava avanzare tra la folla, senza sospettare l’orrore che Namar nascondeva.
Spero di riuscire a studiare la ghiandola nel loro cervello. Mi domando se un normale essere umano sia in grado di utilizzarla, se innestata nel suo encefalo.
Sari sbiancò, mentre un orrendo dubbio si insinuava in lei.
«Non possono essere arrivati a tanto. Non a questo.»
Eppure, qualcosa le diceva che si stava sbagliando. Tutte quelle persone arrestate e mandate ad Artika, quelle leggi così severe, la pena di morte… Tutto aveva l’aspetto di un disegno ordito apposta per procurare carne da macello. Cavie per esperimenti. Persone nate libere che pagavano le loro colpe con la più squallida e ingiusta delle pene.
Tutto questo, voluto da lui. Da Amos.
E poi c’era il suo modello, il padre buono e gentile che conosceva. L’esecutore di quegli abomini. Adrian.
Giorno 12.
È stata individuata una massa cellulare dietro le iridi dei morfisti: cattura l’intero spettro della luce, consentendo a queste creature di vedere al buio. Sono veramente eccitato dalla quantità di scoperte che stiamo facendo in questi giorni.
Sari divorò le righe sottostanti, con il cuore che batteva all’impazzata: una morsa gelida le stringeva il petto, e ogni parola che leggeva non faceva altro che rendere più grottesco l’orrore che trasudava da quelle pagine. Era un susseguirsi di esperimenti, riportati zelantemente. Anni e anni di studio, tutti documentati con delle immagini a completare il quadro.
Poi, alcune righe più sotto, la conferma ai suoi sospetti.
La Corporazione ha acconsentito a testare l’effetto di ghiandole morfistiche innestate in un cervello ospite, impegnandosi a rifornirci di materiale su cui fare ricerca. Abbiamo scelto cavie di razza umana dal momento che sono le più versatili per questo tipo di esprimenti: ci sono maggiori possibilità che le ghiandole che innesteremo nel loro encefalo non vengano rigettate. Il carcere da oggi diventa formalmente una dispensa di carne, come ha detto Amos. Siamo ottimisti.
Materiale umano. Dispensa di carne.
Ecco il perché di tutte quelle leggi assurde e restrittive: tutto era stato costruito per poter accusare il primo malcapitato e condannarlo, per avere nient’altro che delle cavie. Li aveva visti venire condotti ad Artika ogni giorno, molte volte gridare e pregare per non essere condannati a morte, ma a quel tempo non aveva minimamente sospettato che in realtà ci fosse di più. A quel pensiero, sentì un nodo formarsi alla bocca dello stomaco.
Riprese a leggere, ma nel voltare pagina la mano le tremò.
Abbiamo trapiantato una ghiandola da un morfista a un uomo. Il mutaforma ha riportato delle lesioni cerebrali dovute all’esportazione. L’uomo sembrerebbe per ora non rigettare la ghiandola, ma è ancora troppo presto per poterlo dire con sicurezza.”
E poi, molte righe più sotto:
Tutte le funzioni cognitive del morfista sono compromesse: l’area del linguaggio sembra essere quella che ha risentito maggiormente delle lesioni all’encefalo, anche se sembra riuscire a discriminare stimoli visivi e a mantenere nella memoria un cospicuo numero di informazioni. Quello che mi dà maggiori preoccupazioni è l‘umano, che non sembra riuscire a tollerare le onde emanate dalla ghiandola. È prossimo al collasso.
L’uomo è morto stamattina. Aveva i neuroni bruciati, come se avesse rivolto l’energia demoniaca della ghiandola contro se stesso. Voglio venire a capo del problema e scoprire che cos’ha causato il decesso del giovane.”
Seguivano decine e decine di esperimenti identici a quello che Sari aveva appena letto, e tutti finivano nello stesso modo: il morfista diventava poco più che un vegetale, e l’uomo destinato ad accogliere la ghiandola moriva sopraffatto dalle onde di quell’organo che il suo corpo non riconosceva.
Quel carcere era come una creatura che aveva un perverso bisogno di nutrirsi in continuazione dei suoi simili e lo nascondeva al mondo intero, che non aveva il minimo sospetto di cosa accadesse nelle viscere della prigione. Quel mostro aveva catturato innumerevoli vite, aveva giocato con loro, e le aveva inghiottite in silenzio senza che nessuno riuscisse mai a sapere la verità, facendole sparire per sempre. Loro erano lì, in quel fascicolo, e gridavano giustizia a voce alta.
Sari ascoltava i loro lamenti silenziosi, sentiva le loro grida attraverso le pagine che leggeva, e a ogni parola quel nodo che le chiudeva lo stomaco diventava sempre più opprimente.
Quando voltò l’ennesima pagina che testimoniava dodici anni di abominevoli esperimenti, si ritrovò a guardare l’immagine di Namar. Era una piccola foto sbiadita e consumata che lo ritraeva decisamente meno sfiorito, ma con lo sguardo rassegnato.
Quando era arrivato ad Artika, probabilmente era convinto che sarebbe marcito lì dentro fino alla morte. Non poteva biasimarlo per desiderare la libertà a tutti i costi, non dopo quanto aveva appena scoperto. Cominciò a leggere la sua scheda, che si presentava come un altro susseguirsi di osservazioni, esperimenti e risultati.
Il prigioniero è stato condotto ad Artika ieri. Mi sono sorpreso quando ho scoperto che è un morfista, dal momento che mi avevano assicurato che tutti gli esemplari provenienti da Shaula erano stati catturati. A causa dei disastrosi studi condotti sulle ghiandole degli altri esemplari, non sono rimasti molti morfisti sani su cui condurre esperimenti. Amos è concorde nell’adottare una linea differente con questo soggetto: verranno testate le conseguenze della mancanza di luce prolungata su queste creature, e nel frattempo cercheremo di ampliare le nostre conoscenze prelevando campioni di tessuti e di sangue.
Tutto stava acquistando un senso, e le sembrò terribile. Suo padre –il suo eroe- era immerso fino al collo in quella faccenda, aveva condotto lui stesso quegli esperimenti, aveva redatto lui quegli scritti. L’aveva sempre visto sotto una luce immacolata, ma all’improvviso dovette rendersi conto della verità: aveva perso la perfezione del suo ricordo, l’ultima cosa che le restava di lui. Mai come in quel momento avrebbe desiderato che il padre fosse vivo. Avrebbe voluto che le spiegasse, che le dicesse che soffriva per quello che aveva fatto e che più volte aveva avuto dubbi sul suo lavoro. Ma non era possibile.
All’improvviso, il terrore che Adrian potesse assomigliare ad Amos l’agghiacciò.
Aveva sempre dimostrato di essere un padre affettuoso e premuroso, ma Sari non aveva mai avuto occasione di vederlo in ambiti diversi. Aveva mentito a lei e a sua madre su ciò che faceva ad Artika, e le volte in cui tornava a casa appariva completamente sereno, come se il suo fosse un lavoro come un altro. In tutti quegli anni non gli aveva mai visto in viso un’espressione colpevole o preoccupata. Aveva sempre il sorriso sulle labbra. Dissimulava bene, proprio come il nonno.
E tutto questo non faceva altro che alimentare la rabbia di Sari.
Infine, non poteva dimenticarsi di Amos: il vero carnefice, che godeva ancora del potere che gli dava la sua posizione all’interno della Corporazione.
Se ne stava al sicuro, forte della sua posizione, impunito.
E se prima poteva avere dei dubbi, ora Sari non ne aveva nessuno: Amos era un demonio in un corpo da uomo anziano, un genio diabolico e inarrestabile che sapeva celare i pensieri più terribili dietro espressioni distaccate. Era il nemico vestito da amico.
La sua autorità incuteva timore, e la sua parola era sufficiente per decretare il destino di molte persone. Dietro a quel massacro c’era lui.
Lui, che aveva scelto di studiare i segreti dei demoni. Lui, che aveva imposto a terzi di macchiarsi le mani mentre se ne stava nelle sue stanze a guardare il mondo sotto i suoi piedi tremare a ogni respiro.
Lui, che le aveva rubato l’unica cosa che Sari era sicura di non potere mai perdere: i preziosi ricordi di suo padre.
Mentre riponeva il fascicolo dove l’aveva trovato, decise che Amos avrebbe pagato per ogni cosa. Presto o tardi tutti avrebbero saputo, e allora nessuno avrebbe più accettato di riporre la propria vita nelle mani di quel mago.
Era solo questione di tempo, ma avrebbe pagato per ogni cosa, e Namar sarebbe potuto tornare definitivamente libero.


   
 
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