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Autore: Nykyo    24/12/2006    1 recensioni
La guerra è finita, Voldemort è caduto e Piton è sopravvissuto, ma vivere sul serio è un altro paio di maniche. Un'eredità particolare, un "gemello" inquietante, un regalo di Natale.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III. Sul fiume.

 

 

 

A

vevo scordato la sensazione di passeggiare sull’erba.

Ora potrei anche dire che è nostalgicamente piacevole, ma mentirei.

Senza dubbio mi lascia dentro una scia appiccicaticcia di ricordi e una sensazione irritante di mancanza.

Ma devo anche dire che quando mi accadeva spesso di dover camminare su un prato la cosa non era mai eccessivamente piacevole.

Sorvolando sul fatto che spesso i fili d’erba su cui ho posato piede erano orribilmente macchiati di sangue, anche a Hogwarts – ed è la scuola in realtà che mi manca – non ho memorie poi così esaltanti riguardo ai prati.

Da ragazzo mi capitava spesso di ritrovarmi disteso mio malgrado sull’erba a fissare le facce ghignanti dei Malandrini.

Da adulto… beh, sono un tipo un po’ particolare, io: amo l’ordine e non mi piace eccessivamente qualunque cosa produca macchie su scarpe e vestiti.

Ma rispetto al parco di Hogwarts, con la sua erba magicamente tosata a perfezione, questo squallido lungo fiume è ancora più tetro e degradato di quanto già non appaia normalmente.

D’altro canto, è mille volte meglio passeggiare sul rado verde di Spinner’s End, sugli argini di un fiume maleodorante nelle cui acque si specchia una poco poetica ciminiera in disuso, piuttosto che ritrovarmi nel cerchio spietato dei Mangiamorte sotto la luce spettrale del Marchio Nero.

Qui l’erba è chiazzata solo di liquame, non beve fino all’ultimo sorso la vita di nessuno e se anche quest’umidità malsana non farà un gran bene alla mia salute, almeno non inciderà sulla mia anima sbrindellata.

Avevo voglia di camminare; mi rendo conto solo ora di quanto tempo è realmente passato dall’ultima volta che ho messo il naso fuori casa.

E’ una mia scelta, non sto dicendo che quell’insopportabile dipinto ha ragione e che dovrei dargli retta e dedicarmi alla vita di società, dico solo che le mie gambe non possiedono una coscienza.

Loro non pensano ai rimorsi.

Sono solo felici di sgranchirsi e misurare a lunghe falcate uno spazio meno ristretto del salotto con i suoi quattro muri grondanti di libri.

E poi, forse prendere una boccata d’aria - non fresca e limpida, ma comunque aria – mi distrarrà e eviterò di dover discutere col mio doppio almeno per questa notte.

Non c’è nemmeno la luna, posso usare le mie solite vesti da mago e il mantello e sparire nel nero. Gli abiti babbani mi mettono a disagio.

Basta restare lontano dai lampioni.

Albus avrebbe dovuto lasciarmi in eredità il suo Spegnino, anzi che un ritratto, se davvero voleva fare qualcosa di utile.

 

Sono uscito di casa per una camminata notturna solo qualche altro paio di volte nell’ultimo anno e mezzo.

La prima non è stata una sortita gradevole.

Questo quartiere è un postaccio, specialmente col buio; non è affatto ben frequentato.

Così può succedere che un passante incontri qualche teppistello malintenzionato e capita perfino che qualcuno di questi delinquenti da due zellini si ritrovi a incrociare un ex Mangiamorte in disarmo.

E’ poco prudente per la canaglia andare in giro per Spinner’s End e dintorni durante la notte: anche se non intendo pronunciare mai più l’Anatema che uccide, sono molto più pericoloso di loro.

Non si vive il tipo di vita che ho vissuto io senza mantenere i riflessi costantemente allenati e i sensi allerta.

Mi pare che fossero in tre, ma potrei anche sbagliarmi e averne contato uno in meno, però rammento che ero troppo assorto nei miei lugubri ricordi per notarli subito e ad un tratto me li sono ritrovati intorno.

In cerchio; uno davanti e gli altri dietro le spalle.

Nulla di nuovo sotto il cielo.

Peccato che la teppaglia babbana sia così poco interessante, ho quasi rimpianto i Malandrini, erano più spassosi.

Mi sono spostato il tanto di non dare le spalle a nessuno di loro, osservandoli.

Un gruppetto di idioti, ubriachi come minimo, ma ho idea che fossero anche imbottiti fino alla punta dei capelli di qualche schifezza tra quelle che i Babbani chiamano droghe.

Teste di legno talmente poco padrone delle loro facoltà mentali da pensare che il mio abbigliamento fosse dovuto a uno scherzo.

“Torni da una festa in maschera, bello?” Ha sghignazzato uno di loro e da come gli altri due gli hanno fatto eco latrando la loro sguaiata approvazione, immagino che fosse il loro “capo”.

Bello è stata la parola che mi ha fatto scoppiare a mia volta in una risata gelida ma sinceramente divertita.

So apprezzare l’ironia perfino quand’è involontaria.

Loro invece avrebbero dovuto capirlo che non era la notte della fortuna.

Ho occhi eloquenti, quando si tratta di minacciare, e il brutto vizio di mantenere le loro promesse se mi ci costringono.

O forse avrei comunque reagito in quel modo, anche se uno di loro non avesse fatto scattare la lama di un piccolo serramanico, ordinandomi di svuotare le tasche.

Ad esser franco, sapevo che non avrei fatto loro nulla di irreparabile e all’epoca avevo ancor più rabbia di adesso in corpo.

Mi capita a volte di non riuscire a trattenermi e, sì, probabilmente mi sarei comunque sfogato.

Non ho quasi avuto bisogno di pensare perché un deciso lampo rosso saettasse dalla punta della mia bacchetta.

Ho schiantato il loro stupido reuccio; è così che si fa: schiaccia il capo al serpente e smetterà di strisciare anche la coda.

E’ caduto con un’espressione di sbigottimento impagabile dipinta sul viso, anche se è durata appena un istante.

I suoi compagni, ovviamente, se la sono data a gambe, terrorizzati.

Lui è rimasto lì, rigido, sull’erba e all’improvviso ho provato sollievo nel potermi ripetere che era solo privo di conoscenza.

Assomigliava troppo ad altri corpi, a persone che dal verde cupo d’un prato non si sono rialzate mai più.

Mi sono chinato per osservarlo meglio, arrischiandomi a far luce con la punta della bacchetta. Era solo un ragazzino, molto più giovane di quel che avevo creduto; non doveva avere più di sedici anni.

Ho storto il viso in una smorfia di disapprovazione: come si può diventare così a soli sedici anni? Come si fa a gettar via in questo modo stupido la propria giovinezza e il futuro?

Alla fine, però, ho compreso che come sempre lo stavo domandando a me stesso; avevo ben poco diritto a giudicarlo, io che non ho fatto di meglio.

Mi sono ritrovato a sperare che l’esperienza gli servisse da lezione a tal punto da farlo ritornare sui suoi passi.

Non che ci credessi davvero, ma forse è anche per questo che non l’ho obliviato, oltre al fatto che era pressoché inutile: tra alcool e droghe se anche l’indomani si fosse ricordato l’accaduto avrebbe quasi sicuramente pensato ad un incubo o a un vaneggiamento, proprio come i suoi amici.

Non ho idea di che fine abbia fatto.

Sono tornato sul fiume ogni notte per una settimana circa, ma non l’ho rivisto; dopo di che ho semplicemente smesso di uscire.

 

 

- 8 -

 

 

Q

uindi, quando sento lo scricchiolio lieve di passi sulla ghiaia della riva, so già che non si tratta di quel ragazzetto e della sua banda d’imbecilli.

E’ una persona sola e, prima ancora di voltarmi rassegnato, ho già intuito chi mi ritroverò davanti.

Infatti, eccolo, o meglio eccomi.

“Bella serata, Severus” lo anticipo, irridente

“Se l’alone dei lampioni non sporcasse le tenebre e non ci fosse quell’obbrobrio di mezzo” aggiungo, indicando pigramente la ciminiera “forse si vedrebbero perfino le stelle”

“Ora t’interessi alla poesia del firmamento, Severus?” replica, con tono che, però, non mostra alcuna gaiezza “Lascia perdere, sei un tipo pragmatico, restiamo con i piedi per terra, non è per rimirare la via lattea che sono venuto”

“E allora per cosa?” lo interrogo, mentre avanza verso di me, lungo una diagonale che taglia il più possibile le distanze, risalendo l’argine di sbieco.

Non mi convince.

Finchè l’ho visto sedere sul mio letto, nell’oscurità della mia stanza, o per fuggevoli attimi in questo o quell’angolo della casa, ho pensato che fosse solo una fantasia partorita dalla mia coscienza.

Ora, all’aperto, col riverbero dei lampioni – per quanto lontani e radi – l’impressione è totalmente diversa: è troppo solido per essere un sogno, troppo rumoroso e, soprattutto, per essere un altro me stesso non si muove affatto come me.

L’ho sempre visto seduto, o in piedi, è la prima volta che cammina davanti a me.

Ha una falcata altrettanto energica della mia, ma meno rigida e più… altezzosa.

Mi ricorda qualcuno, anche se è evidente che si sforza di comportarsi come me e mascherare i suoi gesti usuali.

Non è un incubo, né una visione: è una persona con il mio identico aspetto; preciso come un gemello.

Questo vuol dire una cosa sola: Pozione Polisucco.

Non è una scoperta incoraggiante. Chiunque si sia preso la briga di ideare e portare avanti questo trucchetto, mostrando notevole costanza, non può avere buone intenzioni.

Ad un tratto, tutto il suo discorrere di tradimento e di vecchi amici assume una sfumatura sinistra.

Per questo estraggo rapido la bacchetta in un gesto istintivo.

 

L’incantesimo di disarmo è talmente potente che non mi lascia altra scelta se non quella di osservare la mia bacchetta schizzar via e perdersi nelle tenebre, mentre anche io vengo sbalzato all’indietro con violenza.

Poteva essere uno Schiantesimo o peggio; se ha usato solo l’Expelliarmus vuol dire che ha intenzione di parlare prima di agire.

Tento inutilmente di richiamare la bacchetta, ma lui ha avuto qualche secondo in più a disposizione e la vedo raggiungere rapida la sua mano libera.

Mi punta contro entrambe i legni e si china di scatto.

Preme con forza un ginocchio sul mio petto per impedirmi di rialzarmi e ride.

“A furia di far la muffa dentro casa stai perdendo colpi, Severus? Prima eri più veloce, nel difenderti come nell’attaccare”

Decido di ignorare questi giochetti.

“Chi sei in realtà?” domando, constatando senza più alcun dubbio che si tratta di un uomo e non di un parto della mia fantasia. Per essere un sogno le ossa della sua gamba sono fastidiosamente aguzze contro le mie costole.

Mi ritrovo a sforzarmi di non ridere.

Ha il mio aspetto, è mia quella rotula così spigolosa, è solo colpa mia se è così acuta da pungolarmi dolorosamente.

Ma non c’è poi molto di cui essere ilari. Immagino che morirò tra breve, quindi vediamo di metterci un briciolo di serietà.

Poi, forse, sarà tutto finito.

Non credo che lo rimpiangerò.

“Cosa vuoi da me?” sibilo, dato che non si decide a rispondermi.

“Tu chi credi che io sia, Severus?” mormora quasi carezzevole “Cosa pensi che mi abbia spinto a prendere le tue sembianze?”

Fisso il mio stesso volto tentando di dargli un nome che non è il mio.

Mi piacerebbe sapere chi mi ucciderà.

“Un Mangiamorte” rispondo, secco “Sei uno dei miei ex compagni, questo è evidente. Sei venuto per vendicarti perché vi ho traditi. Accomodati pure!”

“Sprezzante come Sempre, Severus” è la sua risposta, mentre gli occhi danno un guizzo divertito “E non hai perso la tua intelligenza. Sì, hai ragione, hai visto giusto”

Immagino che finirò comunque col lottare, anche se al primo movimento che tenterò otterrò in cambio un letale lampo verde.

Ma prima voglio scoprire chi è.

Così gli ripeto la mia domanda e lui sogghigna ancora.

“Il mio nome non ha importanza, Severus, sono i tuoi errori che ti porteranno il dolore che sto per infliggerti, per questo ho scelto di assumere il tuo aspetto”

Vorrei replicare, ma non me ne lascia il tempo e forse non avrei nulla di sensato da ribattere. Se non avessi fatto la scelta sbagliata da ragazzo, poi non avrei nemmeno dovuto fingere e cambiare barricata.

“Ti aspetti che io ti uccida, non è così?” mi domanda, avvicinandosi ancora di più al mio viso, occhi negli occhi “Ma ti sbagli. Sarebbe troppo poco e forse lo desideri perfino. La mia rivalsa sarà più sottile e ti ferirà più a fondo. Perché puoi mostrarti gelido quanto ti pare, ma anche tu hai un cuore ed esistono ancora persone per le quali batte. C’è ancora qualcuno che ti è caro”

Per la prima volta da che è comparso nella mia vita ho davvero paura.

“Non… ” provo a dire e la mia voce suona terribilmente arrochita.

Lui pare leggermi nel pensiero e sorride soddisfatto.

“Dì addio al giovane Draco Malfoy, Severus. Sarà questa la mia rivincita: uccidere l’ultima persona a cui sei affezionato e vanificare con lo stesso gesto anche il sacrificio tuo e di Silente”

Istintivamente le mie braccia si tendono ad afferrarlo e colpirlo, ma si ritrae con destrezza.

Getta la mia bacchetta e si stringe nel mantello, indossando con un gesto fluido e svelto la Maschera d’argento.

“Sono atteso alla Malfoy Manor, Severus. Addio e buon Natale”

E scompare, smaterializzandosi senza un rumore.

Fisso il punto esatto in cui si trovava e solo dopo un istante mi accorgo che sto gridando.

Draco.

 

Ma non lascerò che gli faccia del male, chiunque sia.

Non a Draco e Narcissa.

 

   
 
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