Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: l84ad8    09/06/2012    8 recensioni
La storia si svolge circa cinque anni dopo Breaking dawn.
E' la mia personale versione di come potrebbe essere iniziata la storia d'amore tra Renesmee e Jacob ed è scritta tutta dal punto di vista di lei tranne il prologo.
Spero che ne venga fuori qualche cosa di buono perchè è la mia prima FF. Ringrazio mio fratello che mi ha incoraggiata a scriverla e incrocio le dita perchè piaccia anche a voi.
Spoiler per chi non ha letto tutti e cinque i libri.
P.S. Dato che alla fine di Breaking Dawn ci sono 17 lupi ho dovuto inventare i nomi di quelli di cui non si parla.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cambio di programma

 
Embry lanciò un fischio e sollevò la mano a farci cenno non appena svoltammo nel parcheggio.
Mentre rimbalzavamo sul terreno accidentato cercai di capire chi altri ci fosse con lui, ma non ebbi molto successo. Così, intanto che Jacob sistemava la moto, ne approfittai per sbirciare al di la della siepe divisoria.
Contai altri quattro di noi, seduti al suo stesso tavolo, e due ragazze. Una era Lucy, la morosa di Kevin. Ci eravamo già viste altre volte quell’estate, era simpatica. Era una Makah, come Emily, ma tra lei e Kevin non era imprinting, stavano insieme e basta. L’altra non la conoscevo.
Non riuscii a vedere molto dalla mia posizione, ma comunque il posto sembrava carino. Si ballava, anche!
E io adoravo ballare.
Mi voltai verso Jake, già muovendo i fianchi a ritmo, per informarlo di ritenersi prenotato per tutta la serata, ma proprio in quel momento la macchina con Seth e Asia svoltò. Realizzai che il non averli cercati per salutarli, quando ci eravamo persi di vista fuori dalla Kay Arena, poteva avere un altro significato rispetto al ‘tanto ci vediamo domani’ che gli avevo dato io.
Mi schiaffai in faccia un sorriso in risposta a quello di Asia, ma il mio entusiasmo si smorzò parecchio: essere me stessa con lei era ogni giorno più difficile. Non che non me lo aspettassi, avevo immaginato che sarebbe andata così. Solo, mi ero disgraziatamente sbagliata sulle motivazioni.
Rimaneva il problema della mia natura, ovviamente, ma dovevo ammettere che era passato in secondo piano.  Da quando ero scesa a patti con l’imprinting di Seth le cose andavano molto meglio, anche se con lui avrei preferito morire piuttosto che ammetterlo. Sapere che non avrei dovuto scrivere prima o poi la parola fine alla nostra amicizia, che non sarei stata costretta a tagliare i ponti e a lasciarmi dimenticare, era fantastico. O almeno lo era quel cinquanta per cento delle volte in cui mi convincevo che non mi avrebbe chiuso la porta in faccia dopo aver saputo cos’ero, ecco. Per l’altro cinquanta, fortunatamente, c’era Jake a tirarmi su. Non avrei saputo come fare senza di lui.
E proprio li stava il problema. La vera motivazione per cui avrei preferito non rivederli più, per lo meno fino al giorno dopo: per quanto le cose andassero a gonfie vele, per quanto l’essere in quattro fosse ancora meglio che l’essere noi due sole, non riuscivo ad essere me stessa con Jacob sotto gli occhi di Asia.
E questo rovinava tutto.
Negli ultimi due giorni, da quel pomeriggio a casa mia, sembrava che lei avesse capito che  l’argomento ‘tu e Jacob’ era tabù e pareva avesse deciso di smettere di insistere. Anzi, si era anche mostrata interessata quando le avevo parlato del messaggio di risposta di Nahuel - Era vivo. La Germania era nuvolosa. Questo, in teoria, avrebbe dovuto calmarmi, ma pensare e dire sono cose diverse e io sapevo che lei non aveva cambiato idea. Lo vedevo da certi sguardi che ci lanciava quando credeva non stessimo guardando. E se da un lato ero terrorizzata che come me ne accorgevo io potesse beccarla anche Jake, dall’altro mi sentivo in colpa perché lo tenevo all’oscuro.
Allo stato attuale avevo accantonato tutte le mie ansie su di lei e su come avrebbe reagito alla verità, speravo solo che Seth si sbrigasse a parlarle per farla finita con questa storia. Se Dio voleva, le avrebbe parlato stasera.
Nel frattempo, dire che ero impaziente di mantenere la promessa che avevo fatto a Jacob di stare un po’ io e lui era un eufemismo. Non vedevo l’ora di avere un po’ di tempo per noi due soli.
“Allora, ti piace?” mi chiese lui, raggiungendomi. “Noi ci veniamo spesso, ma sempre sul tardi, così non sono mai riuscito a portartici.”
Annuii come potei, la testa incastrata sotto il suo mento. “Sembra carino. Senti, a proposito di quello che ti ho detto l’altro giorno…”
Mi bloccò subito.
“No. Non si ammettono dilazioni. Non mi interessa se qui si balla e tu vuoi restare tutta la notte. Hai un’ora, poi ce ne andiamo.”
Scoppiai a ridere mentre mi allontanava da sé per guidarmi verso l’ingresso.
“Non era quello che volevo chiederti, scemo! Volevo solo essere sicura che te ne ricordassi.”
“Te ne sei ricordata tu. Perché avrei dovuto dimenticarlo io?”
“Non lo so. Solo che quando ti sei fermato qui ho pensato che te ne fossi dimenticato… o che avessi cambiato idea…”
O che avessi notato uno dei tanti sguardi di Asia.  Per esempio quello di quando mi aveva abbracciato le spalle da dietro alle prime note di Just Breathe, stringendomi e rimanendo a cantarla con me, guancia a guancia. Che poi in effetti non avevamo cantato affatto, eravamo rimasti solo così… vicini… ad ascoltare.
Sarebbe stato il momento migliore di tutto il concerto se non fossi stata tanto agitata. Be’, in effetti lo era stato comunque… ma questo con cambiava il fatto che lei avrebbe anche potuto evitare!
“Ho pensato che magari ti andava di fermarti a bere qualcosa prima di tornare indietro. E poi Edward non è a Goat Rocks per il weekend con Em e Jaz?”
Annuii.
“L’ultima caccia della stagione.”
“Visto? Non c’è fretta. Possiamo stare fuori finché ci va.”
In effetti mamma aveva un’idea del coprifuoco molto elastica che, fintanto che ero con Jacob, si riassumeva proprio in ‘quando vuoi’.
Mentre gli altri sparivano all’interno del locale Jake mi tirò di nuovo vicina, fermandosi a respirare tra i miei capelli, e io mi strinsi subito a lui, lasciandomi veramente andare per la prima volta in due giorni.
Sospirai, felice. Quanto mi mancava il contatto fisico.
 “A meno che tu non voglia andartene subito, riprese, “Perché, se vuoi andare adesso, possiamo fermarci in quel nuovo posto che hanno aperto appena fuori città.”
“Ah! Il Winning ways.”
Annuì.
“Esatto, quello. E poi potremmo andare alla nostra spiaggia, se ti va.”
“Alla spiaggia! Oh, si!” Saltellai entusiasta, stringendolo ancora di più, “E’ tanto che non ci torniamo!”
“Vuoi andare subito?”
Be’… subito… era davvero un ottima idea, ma non vedevo motivo di scapicollarsi. In fondo, come mi aveva appena ricordato, avevamo tutto il tempo che volevamo.
Lui però sembrava sperare in un altro gasatissimo ‘Oh, si!’, così cercai di essere diplomatica.
“E’ davvero un’offerta allettante, Jakey…”
“Ma c’è qualcuno che balla a meno di un chilometro da te e tu non sei in grado di resistere,” concluse al mio posto.
Ridacchiai, sprofondando di nuovo il naso tra i due lembi aperti del suo giubbotto. Mi conosceva davvero troppo bene.
“Lo sapevo che avresti deciso di rimanere,” sbuffò, rassegnato.
Rialzai il viso.
“Non è questo o quello, vero? Possiamo rimanere qui un pochino e poi andare direttamente giù alla spiaggia… vero?”
“Certo, piccola, tutto quello che vuoi.”
“Davvero, davvero?”
Riuscì a trattenere il sorriso solo a metà.
“Sentiamo, cos’altro vuoi?”
“Ti fai prestare la macchina da Seth?” chiesi con la mia migliore voce supplicante “Così mentre torniamo ascoltiamo il cd che ho preso stasera.”
“E loro quattro come tornano?”
Rachel e Paul si erano infatti aggregati a noi per il concerto, con grande disappunto di Jake – “Conveniva noleggiare un pullman, a questo punto!”
“Fatti loro! Seth ci deve un favore. Un enorme favore,” gli ricordai
Ridacchiò piano tra i miei capelli.
“C’è la Civic di Em. Chiederemo a lui.”
Annuii, cercando inutilmente qualcos’altro di divertente da dire per poterlo sentire ridere ancora.
Non accennai minimamente a sciogliermi dal suo abbraccio, nonostante fosse chiaro che era il momento giusto per raggiungere gli altri. Stavo così bene li, con la fronte sul suo petto, le sue mani che mi accarezzavano piano la schiena…
Forse era il fatto che ci vedevamo meno, oppure che avevamo quei due sempre intorno o che Jake non aveva potuto fermarsi a dormire ma… mi mancava. Tanto. Tantissimo. Come se lui, per me, fosse essenziale.
E invece ovviamente non lo era!
Cioè… sì, lo era ma… ma no. Insomma, era complicato, ecco! Esattamente come avevo detto ad Asia.
Comunque la sensazione era quella. Come se io fossi a un capo di una molla e lui all’altro. Più forte di me. Tutta l’energia e la determinazione che impiegavo per starmene seduta tranquilla e composta nel mio angolino del divano mentre eravamo con Seth e Asia mi si rivoltavano contro non appena la porta si richiudeva dietro di loro. Io abbassavo la guardia e… boing! In pratica, un secondo netto dopo gli ero già in braccio.  Appiccicata a lui come una cozza-vampiro allo scoglio. Godevo del suo calore che fluiva in me e mi beavo della sua presenza sentendomi bene come non mai.
Finché non arrivava papà.
Anche lui era bloccato quando c’era in giro Asia perché ufficialmente era a Dartmouth con mamma, così la sera, appena si accorgeva che io e Jake eravamo rimasti soli, scendeva, si metteva seduto a un metro e mezzo da noi a strimpellare al suo dannatissimo piano e prima che io riuscissi a ricaricarmi completamente mi ricordava che il giorno dopo avevo scuola. Conveniva che andassi a letto. Subito.
Maledetto despota travestito da genitore!
E così mi sembrava di non averne mai sufficienza, di Jacob.
In quel preciso momento resistevo alla tentazione di infilare le mani sotto la stoffa della sua maglietta solo perché eravamo in un luogo pubblico, ma c’era questa strana e onnipresente forza di attrazione che mi spingeva a sentirlo più vicino... più vicino… ancora più vicino…
Decisi di fregarmene di quelli che ci stavano intorno.
Non che fossero una folla. Giusto un gruppetto di amici che aspettavano qualcuno e un paio di coppiette che si sbaciucchiavano. Chi li conosceva, poi?
Gli accarezzai la pelle con la punta delle dita, sfiorando la peluria morbida appena sopra il bordo dei jeans.
Mi sentivo come sospesa. Con quella buffa sensazione di vuoto allo stomaco che si prova quando ci si butta da molto in alto o quando si aspetta una risposta che sta molto a cuore.
Premetti entrambi i palmi sulla sua schiena, stringendolo forte.
Che cosa strana…
Smisi subito quando lo sentii tremare.
“Scusa, ho le mani fredde?” chiesi, allontanandomi e sfregandole una nell’altra.
Il suono della mia voce aveva rotto quella strana sensazione d’intimità che si era creata, e ora la gente intorno a noi era la stessa ma sembrava molta di più. Controllai velocemente che nessuno si stesse curando di noi. Per fortuna, no.
Jake sospirò profondamente prima di parlare.
“Sei assurda, Ness.”
“Beh, ma è ovvio che non intendevo in senso assoluto. Intendevo solo rispetto a te,” replicai, accennando ad avviarmi verso l’entrata.
Lui non si mosse di un passo.
“E’ perché mi piace sentirti vicina.”
Mi voltai indietro sbalordita. No, sbalordita è riduttivo. Ero letteralmente a bocca aperta.
Ma il punto è che non era solo sorpresa. In realtà, dentro di me qualcosa stava esultando. Esultando parecchio. Con cappellini, fischietti, stelle filanti e tutto il resto.
Gli piaceva sentirmi vicina!
Gli piaceva sentire vicina me!
La lancetta delle mie emozioni schizzò da ‘sorpresa’ a ‘gioia immensa’ in un nanosecondo.
“Anche a me piace sentirti vicino.”
Parlai senza nemmeno rendermene conto, ma era la pura verità. Come un attimo prima la mia voce l’aveva interrotta, ora non sapevo bene come ma quella strana magia si era ricreata. Così, dal nulla.
Quando Jake mi tese la mano – “Allora, torna qui” – era così forte…
Mi sentivo come se avessi potuto volare da lui senza nemmeno muovermi.
Gliela strinsi.
“Black!”
Sobbalzammo entrambi al richiamo. Jake non proprio in silenzio. Se non la piantava di imprecare così papà prima o poi ci avrebbe impedito di vederci.
“Giusto te cercavo, amico!”
Un ragazzo indiano sui venti, venticinque anni venne verso di noi, uscendo dal locale e fermandosi via via a salutare le persone che conosceva. Ovvero praticamente tutti. Non tutti però erano altrettanto entusiasti nel ricambiarlo. Alcuni non lo fecero proprio, registrai, e Jake era tra loro. Era evidente che quella millantata amicizia gli giungeva nuova.
“A quello stronzo del tuo socio non si riesce mai a parlare. Ha sempre qualcuna appiccicata addosso.”
E questo rispondeva alle domande di Asia sulla vita amorosa di Seth. Non che avessi intenzione di aggiornarla, comunque.
“Che cazzo avrà più di me, io proprio non lo...”
S’interruppe, accorgendosi finalmente di me. Fino a un istante prima era stato troppo preso a parlarsi addosso per notarmi, ma rimediò subito strizzandomi l’occhio in maniera chiaramente allusiva e indirizzandomi un sorriso e un ‘Ciao, bella’ che sembravano molto meno un saluto e molto più un invito a seguirlo in un posto buio e appartato.
Oook, avevo capito l’antifona… e il tipo. Il tipo che mi metteva in imbarazzo.
Rivolsi un cenno di saluto alle sue scarpe e mi avvicinai un altro po’ a Jacob. Stringendogli più forte la mano.
Non osare piantarmi qui da sola!
Lui sciolse la presa e mi passò un braccio sulle spalle, l’ombra di un sorriso di nuovo sulle labbra. Quando si girò verso il nuovo venuto il sorriso era scomparso.
“Cosa cazzo vuoi, TJ?”
‘TJ’ fece un passo indietro in automatico, momentaneamente zittito.
Si riprese subito, però. Evidentemente, per essere smorzata, la sua boria aveva bisogno di ben altro di un licantropo un po’ incazzato. Cominciai a chiedermi se, in effetti, ci fosse qualcosa in grado di scoraggiarlo.
“Oh! Scusa, bello, non sapevo steste insieme.”
Raggelai.
Oh. Mio. Dio! Ma chi l’aveva mandato ‘sto tizio?
Altro occhiolino al mio indirizzo.
“…e comunque quando ti stufi di lui, io sono disponibile.”
“Oh, no! Noi non stiamo insieme!”
Feci un salto -forse obiettivamente un po’ eccessivo- lontana da Jake, ma ero riuscita ad anticiparlo anche a parole ed era un’ottima cosa. Perfetto!
Un istante… e capii che il tizio avrebbe tradotto la mia uscita come un’avance. Chiunque l’avrebbe tradotta così, probabilmente.
Perfetto un corno, idiota!
M’incollai a Jacob anche più di prima, aggrappandomi al suo giubbotto perché capisse che la richiesta di non piantarmi in asso era ancora più che valida.
“Non nel senso che…” rapido cenno della mano avanti-indietro tra me e TJ seguito da categorico cenno destra-sinistra - Secco. Sicuro. Definitivo. Con tanta speranza che il linguaggio gestuale fosse sufficiente perché le parole parevano al momento irreperibili.
Per sicurezza, comunque, continuai a scuotere la testa finché Jacob, mosso a compassione, mi salvò dalla mia imbecillità.
“Raggiungi gli altri, piccola.”
Mi diede una piccola spinta ed io non me lo feci certo ripetere. In sostanza, evaporai.
Individuai il nostro tavolo non appena entrata e scivolai al volo sulla panca a fianco agli altri, cercando di resistere alla tentazione combinata di prendermi a schiaffi e scavare un buco fino in Cina.
Non si poteva essere più idioti di me. Era impossibile.
Impossibile!
E, per coronare la cosa, Jacob non si era sentito dire che sembrava stessimo insieme due volte dalla stessa persona. No! Se lo era sentito dire due volte… da due persone diverse! Meraviglioso! Dalla padella alla brace.
“Dov’è Jake?” chiese Embry.
Una domanda a caso, tanto per permettermi di cambiare corso ai miei pensieri.
“Fuori con un tizio,” borbottai placando gli istinti suicidi.
“Che tizio?”
“Quel rompicoglioni di T.J. ha fermato anche voi?” s’inserì Seth.
Altro borbottio “Già.”
“E perché Jake non l’ha mandato a cagare?”
Perché, tra un’idiota e un rompicoglioni, preferisce il rompicoglioni, semplice.
Chiusi gli occhi. Ecco che tornava il desiderio di seppellirmi.
Li riaprii, sentendo che qualcuno mi prendeva la mano. Lucy si era allungata attraverso il tavolo per stringermela.
“Che ti ha detto quel viscido schifoso?”
“Ma no, niente.”
Ed era vero, anche se nessuno aveva l’aria di averci creduto - Jayden si era addirittura alzato perché “Se Jake lo sta prendendo a mazzate, voglio assistere!” - Il ridicolo me lo ero tirata addosso tutto da sola.
Acchiappai una patatina dal cestino più vicino e me la infilai in bocca, tanto per fare qualcosa e darmi un tono. Un attimo dopo me ne pentii amaramente. Disgustoso, nauseante sapore di olio strausato, ecco perché le patatine mi facevano schifo. La inghiottii, con una buona dose di fatica.
“Mi stai dicendo che è diventato muto? Alleluja, gente, Dio esiste!”
Rialzai la testa, sorpresa. Solo Asia però lo sembrava quanto me, gli altri avevano già un mezzo sorriso sulle labbra.
“Non è così, vero?” continuò lei, non ricevendo risposta “Proprio un peccato. Lo sai cos’ha chiesto a me il mese scorso? Se volevo essere la sua Pocahontas e dargli il mio tesoro.”
Tutto il tavolo scoppiò a ridere, comprese me e Asia. L’unico che non sembrava molto divertito era Kevin.
“Quell’infame! Non ha ancora capito che scherza col fuoco. Perché non me lo hai detto?”
“Perché, primo, sono abbastanza grande per cavarmela da sola e, secondo, questo posto perderebbe molto in folklore se tu lo ammazzassi” lo zittì lei con un bacio, rivolgendosi poi a me. “Quindi, se dopo la sua sicuramente incantevole avance, tu ti fossi perdutamente innamorata di lui, mi dispiace disilluderti, T.J. ci prova con tutte” concluse.
Ridacchiai di nuovo e l’imbarazzo se ne andò definitivamente. Forse potevo chiedere qualcosa di più al resto della serata, invece di accontentarmi di una pala e di un posto tranquillo dove scavare.
All'altro capo del tavolo, Asia e Rachel ripresero una conversazione che avevano probabilmente iniziato in macchina, tornando dal concerto. Università, corsi di studi, tutor. Sembrava andassero d’accordo, nonostante la differenza d’età. Del resto con Rachel era facile andare d’accordo, non per niente era sorella di Jacob. E pensare che mamma mi aveva raccontato che, quando erano piccole, non erano mai riuscite a fare amicizia perché sia lei che le gemelle erano troppo timide. Non si sarebbe mai detto, ora come ora, che Rachel fosse un tipo timido. Una persona tranquilla, d’accordo, ma timida no. Era proprio vero che crescendo si cambia.
O forse era stata la presenza di Paul a cambiarla? Mi chiesi, notandola distrarsi un secondo da Asia per lanciargli uno sguardo. Lui non se ne accorse, preso com’era dalla discussione con Jay. Del resto, secondo Jake, lei aveva cambiato lui. Forse era successo anche il contrario. Forse, il fatto di essere sicura di lui la faceva sentire più sicura di sé.
O forse il mio era un ragionamento senza né capo né coda.
Però, in effetti, era vero che quando ero con Jake avevo molta più fiducia in me stessa. Non che fosse la stessa cosa… assolutamente no. Era del tutto diverso. Però… però lui mi dava sicurezza, ecco.
Allungai automaticamente il collo in direzione dell’ingresso per cercarlo, ma niente.
Dov’era finito?
Con un sospiro tornai a voltarmi verso gli altri.
“Allora, Ness, piaciuto il concerto?”
Se Embry era stato anche solo poco poco nella testa di Jacob, sapeva che farmi una domanda del genere era darmi il la. Apprezzai il gesto, dopodiché mi buttai a pesce.
“E’ stato fantastico! Fantastico! No, di più spettacolare! Sedicimila persone, Em! Sedicimila! Lo sai quante sono sedicimila persone? Tantissime! Gente, gente, gente! Non sapevo più da che parte girarmi! E noi avevamo i biglietti praticamente sotto il palco! Sotto il palco! Tu lo sapevi? Io non lo avevo capito! Cioè, si avevo capito che era vicino… ma non così vicino! E invece eravamo vicinissimi! Quando finalmente sono usciti, potevo quasi toccare Eddie Vedder! Giuro! Ho fatto qualche foto con il telefono ma non rende perché, ti assicuro, da te a me, non di più! Va beh, poco di più… E quando hanno iniziato… Dio, non potevo crederci. Non pensavo… non avevo mai sentito niente del genere. La musica, sembrava ti entrasse dentro… come se suonasse dentro di te. Però allo stesso tempo era come… come… non so come dirlo… come se tu potessi toccarla o accarezzarla o prenderla a pugni anche... Non so se sono riuscita a spiegarmi.”
A quel punto mi resi conto che, ci fossi riuscita o no, non cambiava molto, dato che lui non mi stava seguendo affatto. Il suo sguardo puntava un po’ troppo a destra perché stesse guardando me e poco importava che annuisse e mugugnasse assensi a intervalli più o meno regolari.
Una rapida occhiata alle mie spalle e il sedere rotondo di una ragazza che ballava poco lontano confermò i miei sospetti.
Tornai a girarmi trovando che, miracolosamente, si era ricordato della mia presenza.
“Mi sono distratto un attimo” Si scusò, senza troppa convinzione
“Come no!” ribattei.
Cercai di fingere disapprovazione, ma in realtà mi veniva più che altro da ridere.
“Mpf, ok, magari un po’ più di un attimo… ma tanto mica ascolto con gli occhi. E per quanto il tuo stereo sia ultimo modello super-plus non potrà mai essere paragonato a un concerto, Ness, ovvio. E’ una cosa totalmente diversa. Dio, mi ricordo come fosse un minuto fa il delirio a quello degli U2, l’anno scorso. Spettacolare. Mai visto niente del genere.”
U2? Buttai a mare tutti i propositi di insistere che era stato il lupo ad avermi sentita e non lui.
“Quando? Dove? Non ci sei stato veramente. Mi prendi per il culo!”
“Ci puoi giurare, invece! A Salt Lake City, la seconda tappa dopo che hanno ripreso il tour. Cazzo, io e Jake ci siamo fatti più di seicento chilometri per vederlo.”
Jake è stato al concerto degli U2?” ero sconvolta “Non me l’ha mai detto! Perché non me l’ha detto?”
 Avrei fatto carte false per andarci! Mi sporsi più che potei per vedere se Jacob stesse arrivando, ma non si vedeva ancora. Ah ma mi avrebbe sentita, quando finalmente si fosse degnato di apparire! Andare a un concerto degli U2 e non avvertirmi! Se me lo avessero detto, avrei potuto nascondermi dietro i sedili della macchina. O nel baule. O nella stiva dell’aereo. Cazzarola, mi sarei infilata anche dentro il loro zaino se fosse stato necessario!
“E’ stato più di un anno fa, Ness,” spiegò Embry, dopo aver preso un sorso di birra da far credere che avesse smesso di correre i seicento chilometri in quello stesso momento “Eri troppo piccola per venire anche tu. Ma sei sempre stata così maledettamente cocciuta! Avresti tirato giù la carne dalle ossa a chiunque avesse cercato di tenerti lontana. Non ci avresti lasciato vivere per giorni, se te lo avessimo detto.”
Mi offesi in differita.
“Ma se ero una bambina adorabile, nonno Charlie lo dice sempre.”
“Eri una palla al piede. Una lagna insopportabile. Certe volte avrei voluto darti un pugno in testa solo per vedere se finalmente saresti stata ferma. Zitta e ferma. Ma Jacob non me l’ha mai permesso,” aggiunse con un’alzata di spalle.
Scoppiai a ridere. Zio Em aggiungeva sempre ‘rompiscatole’ quando il nonno mi definiva adorabile - “Sì, Charlie, era proprio un’adorabile rompiscatole” – e c’era da considerare che io ero la sua cara nipotina, che lo zio era di un’altra epoca e che davanti a nonno Charlie non poteva lasciarsi andare più di tanto. Rompiscatole poteva tranquillamente intendersi come spacca palle, ecco.
“Così mi fai sembrare peggiore di Claire,” ribattei, cercando di tirare acqua al mio mulino.
“Sinceramente avrei fatto a meno di entrambe.”
Era così serio che ricominciai a ridere. Anch’io, da quando ero cresciuta troppo per giocare con le Barbie, preferivo prendere Claire a piccole dosi. Doveva essere vero anche quello.
“Ma comincio a sperare che, crescendo, migliorerà.”
“Ah, si?”
“Sì. A volte è difficile ricordarsi che sei cresciuta. La metà delle volte mi vieni in mente ancora come un soldo di cacio con le trecce da Pollyanna. Però ammetto che tu sei migliorata, ora sei quasi simpatica.”
“Sono indecisa se prenderlo come complimento o come un’offesa,” confessai dopo un momento.
“Era un complimento! Ho detto che sei simpatica, no?”
“Hai detto quasi simpatica, e poi che ti sembro ancora una bambina! Ho più di sedici anni! E’ un’offesa!”
In effetti, però, mi sentivo più mortificata che insultata. Le trecce da Pollyanna? E perché non un asse da stiro con le mutandine da bagno rosa a pois? Perché no?
Riafferrai mentalmente la mia pala da inumazione. Che vergogna…
“E’ solo la verità, Ness, sei cresciuta così in fretta che a volte mi confondo, tutto qui. E se ti sposti un po’ a sinistra, tolgo il quasi, contenta? Stando lì mi blocchi la visuale,” concluse, facendomi cenno con la mano, tanto per chiarire il concetto.
“Embry!”
“Levati!”
Sbuffai, stringendomi un po’ a Collin. Ma tu pensa se era giusto che mi toccasse strizzarmi da un lato per lasciargli la vista libera! Dopo che mi aveva dato della bambina dell’asilo, per di più!
Poi mi ricordai che poco prima avevo avuto intenzione di chiedergli se quella sensazione al concerto la sentivano solo quelli come noi oppure no. Lo aveva sentito anche Asia? Potevo parlargliene oppure era meglio che lo tenessi per me?
“Senti, Em, tu che sei stato umano…”
“Tu che sei stato umano? Tu che sei stato umano? Cazzo, Ness, che tatto!”
La sonora risata di Quil m’interruppe a metà e lui si sedette giusto nello spazio ‘panoramico’ facendo cozzare il suo bicchiere contro quello davanti a Embry, prima di portarselo alle labbra.
“Sssth!” sibilai, guardandomi intorno preoccupata.
Non che io ed Embry stessimo parlando granché sottovoce, la musica alta e le chiacchiere di tutti assicuravano una certa privacy, ma quel minimo di prudenza mi sembrava necessaria, in certi casi.
“Rilassati”, sbuffò annoiato “Non ho detto niente di compromettente. Eh? Scherzi? E dai Em, non rompere, ormai sono seduto!”
“Se l’imprinting ti ha inflitto una pace dei sensi precoce non vuol dire che anche tutti gli altri debbano sputare in faccia alle gioie della vita… un altro po’… ecco, bravo.”
Imprinting?
“Quil! Dov’è Claire?” chiesi, sconcertata.
Mi sporsi in automatico a guardare alle sue spalle, anche se, in realtà, in genere era il contrario: prima arrivava Claire e poi seguiva Quil… un po’ come una coda.
“A letto! Dove vuoi che sia a quest’ora?”
“E allora tu perché sei qui?”
Poco mancò che Embry si ribaltasse giù dalla panca dal ridere.
“Perché io ho ventidue anni, non nove,” mi fece notare, seccato, quando tutti gli altri tornarono a occuparsi dei fatti loro, rinunciando a capire il motivo di tanto divertimento.
“Ah, già! Non ci avevo mai ragionato ma… mi sembra logico. Sì.”
“Lo vedi, amico? La gente ti considera un baby-sitter e nient’altro. Io continuo a ripetertelo: quando il piccolo mostro è in giro va bene, è comprensibile, ma quando non c’è dovresti provare a lasciarti andare,” concluse Embry, ammiccando allusivo.
“La tua morale è quantomeno dubbia, Em”
Lo dissi scherzando e certo non mi aspettavo che invece Embry tirasse un gran pugno sul tavolo, facendo saltare i bicchieri e girare di nuovo tutti quanti.
“Niente affatto! Hai appena sentito, l’ha detto lui che ha ventidue anni e non nove! Credi davvero che a ventidue e a nove anni si vogliano le stesse cose?” sibilò.
“No! No, certo,” mi affrettai a convenire per calmarlo, “Ma è una scelta di Quil, a te cosa importa?”
“Grazie, Ness, lascia stare. Te l’ho già detto, Em, tu non…”
“Non posso capire e bla bla bla, certo. O magari non voglio. O magari capisco meglio di te.”
“Non vuoi, non puoi, non m’interessa. Vedila come una relazione a distanza, se ti è più semplice fartelo entrare in quella testa, ok? Solo che il problema non è lo spazio ma il tempo. Se io avessi una cazzo di relazione a distanza normale, tu non saresti qui ogni volta a scartavetrarmi i coglioni perché non salto addosso alla prima che passa!”
Sembrò una spiegazione un po’ campata per aria perfino a me, ma decisi di soprassedere. Embry, invece, sorrise perfido sporgendosi sul tavolo con i gomiti. Come se non avesse aspettato altro che quello.
“Una relazione a distanza, eh?”
“Sì, una relazione a distanza, e allora?” ripeté Quil, imbufalito dal suo tono.
“Allora c’è che sei anche cornuto, oltre tutto. Emily mi ha detto che Claire si è fatta il moroso, a scuola. Perché lei sì e tu no? Spiegami anche questo, ti prego. Oh ma, aspetta, forse tu pensavi di tenermelo nascosto!”
Passò un lampo, negli occhi di Quil, e per un istante pensai che sarebbe saltato addosso a Embry tavolo o non tavolo – e non certo come Quil-uomo – ma, prima che potessi anche solo pensare di intervenire, il suo sguardo tornò normale. O meglio, normalmente incazzato.
Con mio enorme sollievo Jake scelse giusto quel momento per raggiungerci. Diede una pacca sulla spalla a Quil che si spostò un po’ più a destra e s’infilò in mezzo a noi. Oscurando di nuovo la vista sulla pista.
“Eccolo, il terzo! Ma non avete qualcun altro a cui andare a rompere i coglioni?”
“Potrei chiederti la stessa cosa,” rispose Jake, che evidentemente aveva sentito almeno l’ultima parte del discorso. “Perché non vai a mettere in pratica i tuoi consigli, invece di stare seduto a dispensarli?”
“Non ho ancora finito la birra.”
La alzò a mo’ di spiegazione e la allungò verso Quil, in un alcolico gesto di pace.
Non fu raccolto.
“E dai, Quil, lo sai perché ti sto addosso,” borbottò, agitando il boccale davanti al naso dell’altro.
“Sì, Quil, lo sai. E’ perché ti vuole tanto, tanto bene”
Mi presi un vaffanculo, con altrettanto affetto.
Fortunatamente la sua offerta fu accettata, brindarono, e così lui poté ricominciare di nuovo a cercare di rovinare tutto.
“Finché sei stato sicuro della tua strada io non ti ho mai detto un cazzo, ammettilo, ma ora non è più così. Lo vedo nella tua testa che hai dei dubbi.”
“Ci stai ripensando?”
Non riuscii nemmeno io a capire se la nota nella mia voce fosse più sorpresa, incredulità o sgomento. Cavolo, io ero cresciuta con certe idee, dovevano piantarla di smontarmele! Sam che aveva ferito Emily, Quil che aveva dubbi su Claire, Jake che non avrebbe potuto scegliere. Questa storia della magia dell’imprinting cominciava a fare acqua da tutte le parti.
“No! Assolutamente, no. Lei è sempre il mio centro. E’ speciale e pensare a lei mi riempie il cuore, davvero.”
“Ma?”
Sospirò, cambiando inquieto la posizione sulla panca e sfregandosi con una manona i capelli rasati. Erano talmente corti che quasi non se ne distingueva più il colore.
“Ma niente, è solo che prima pensavo a lei sempre. Sempre.”
“Sì, portarlo in giro era imbarazzante. Dovevi trascinartelo dietro con la forza e poi, ogni due per tre, te lo ritrovavi perso nei suoi pensieri con la faccia da ebete. Un’immagine disgustosa.” Embry scosse la testa al ricordo.
“E ora invece?”
Fu di nuovo Embry a rispondere
“Ora è di nuovo umano. Non lo devi pregare. A volte, come stasera, viene addirittura da solo. E parla. Come una persona normale.”
“Em!” lo richiamò Jake.
“Hai ragione, ‘normale’ forse è troppo.”
“E’ che ora non penso più a lei così sempre,” concluse Quil.
Embry ebbe la delicatezza di sillabare il “Grazie a Dio” senza farsi notare.
Non so perché continuai a parlare invece di far cadere l’argomento, ma Quil sembrava così abbattuto che non riuscii a fare finta di niente. Del resto Jake sembrava non sapere cosa dire e dare a Embry la possibilità di fare qualche altra battuta non avrebbe aiutato.
“Ma questo da quando? Da quando Claire ha il…” Fidanzatino? Morosino? Amichetto speciale?
“Ma no! Come fai a vederla così? Sono bambini, Ness! Ti pare che io possa essere geloso di un bambino di nove anni?”
“Non lo so… boh… era così, per sapere”
Vai! Vai a cercare di far del bene! Ecco cosa ci si guadagna!
“Ma lui chi è? Quando ha capito che non me lo avevi detto, Emily si è cucita la bocca e non c’è stato più verso di farsi dire niente.”
“Pete Michaels. Il nipote del vecchio Ukiah del negozio di roba per la pesca.”
“Oh, si! Ho capito chi è!” m’inserii “Lo abbiamo visto alla festa a Forks, quest’estate, vero Jake? Era proprio con suo nonno. E’ carino, proprio un bel bambino.”
“E’ basso e ha le gambe storte,” mi fulminò Quil.
“D’accordo, d’accordo, sono un po’ geloso,” sbuffò poi, rendendosi conto che stavamo facendo del nostro meglio per non scoppiargli a ridere in faccia. Io e Jacob, perlomeno… beh… io, perlomeno.
“Ma cavoli, se non ci fosse anche lui oltre a tutte le altre cose, magari io non avrei queste… questi problemi.”
“Quali altre cose?” chiesi.
“Danza, per esempio.”
“Ma la faceva anche l’anno scorso.”
“Sì, ma una volta sola a settimana! Ora invece sono tre e poi il mercoledì ha anche ripetizioni. In pratica è sempre impegnata.”
“Dagliele tu, ripetizioni. Mica può essere tanto complicato il programma in terza elementare, no?” suggerì Jake.
“Ci ho provato ma non funziona! Non riesco a insistere perché si concentri sul tempo che ci mette un autobus ad andare da a a b se lei si mette a raccontarmi della gita al museo o del fatto che ha litigato con Peggy.”
“Ha litigato con Peggy?” chiesi, sorpresa.
Beatrice, detta Peggy non sapevo bene per quale motivo, era la gemella nonché migliore amica di Claire e non capitava spesso che discutessero.
“Sì, ma hanno già fatto pace. Tutto a posto. Sai cosa intendo, Jake, non ce la faccio. Chi se ne frega di quel cazzo di pullman? Che poi, tanto, sono sempre in ritardo, ci metto una vita ad andare al lavoro la mattina.”
Embry si asciugò la birra dalla bocca con il dorso della mano.
“A proposito, sai che hanno cancellato il sette e venticinque per Port Angeles, vero?”
Cancellato? Ma cazzo! Non dovevano spostarlo alle sette e dieci?”
“Già… e invece l’hanno cancellato. E hanno spostato quello delle otto meno dieci alle sette e trentacinque.”
“Perfetto! Vaffanculo anche a loro,” imprecò. “Mi toccherà alzarmi ancora prima. Tu quale prendi, lunedì? Quello delle sette?”
“Ho altra scelta?”
“Quindi, sette meno venti da te?”
“Per forza.”
Quil tirò fuori il telefono e cambiò l’ora della sveglia, sempre imprecando, poi tornò alla foto di sfondo e ci strofinò sopra la manica della camicia per cancellare l’alone dal viso di Claire. Mi domandai quante volte gli avessero chiesto se fosse sua sorella.
Rimase un istante a guardarla, sorridendo, poi sospirò, mise via il telefono e svuotò il suo boccale da tutta la birra che rimaneva.
“Perfetto,” ripeté.
“Lei sta crescendo, Quil, è normale che abbia bisogno dei suoi spazi,” azzardai.
“Non c’è bisogno che me lo dica tu, Ness, e sono contento che lei sia felice, che abbia i suoi amici, la sua danza e tutto il resto. E’ giusto che sia così e non ho nessun problema con lei. Nessuno. Ho problemi con me. Non lo voglio tutto questo tempo per pensare, ultimamente ogni volta che penso troppo va a finire che mi sento in colpa… e poi che m’incazzo per essermi sentito in colpa… e poi che mi sento ancora più in colpa per essermi incazzato, eccetera eccetera.”
“E allora smettila di pensare e agisci. E piantala di farti le seghe mentali.”  Em scoppiò a ridere di nuovo e gli diede una manata sulla spalla. “Per lo meno quelle.”
Ok, si poteva tranquillamente essere più idioti di me. Bastava essere Embry Call.
“Fottiti, Em.”
Quil scattò in piedi e si allontanò velocemente in mezzo a quella folla di gente. Embry lo richiamò un paio di volte – “Eddai, Quil, si scherzava!” – fece anche cenno di alzarsi per seguirlo ma si bloccò a metà e, dopo aver controllato qualcosa che io non vedevo al di sopra delle altre teste, si risedette.
‘Quel pirla’ stava soltanto andando al cesso.
“Lo sai che è colpa tua se si sta fottendo il cervello, vero?” disse a Jacob.
“Non dire stronzate. Gliel’ho detto anch’io che non può fare paragoni con gli altri, ma non mi da retta.”
“Sì, perché sa che pensi che è strano e lui ‘strano’ lo legge come sbagliato!”
“Non ci posso fare un cazzo. Non posso impedirmi di pensare… e sì, penso che sia strano, ok? Perché a me non è mai successo… d-di vedere una cosa così, ecco,” balbettò velocemente.
Embry gli lanciò uno sguardo scettico.
“Sai che non sono d’accordo nemmeno su questo,” disse, criptico.
“Sai che nemmeno questo è un tuo problema.”
 Si fissarono in silenzio per un attimo. Jake fu il primo a cedere.
“Parlavamo di Quil,” gli ricordò
Embry parve soddisfatto, nonostante il cambio di argomento.
“Quil ha bisogno che tu sia dalla sua parte. Glielo devi, lui l’ha fatto quando è stato il momento.”
“Non farmi la morale, Em,” ribatté Jacob
Si era messo a giocherellare con le mie dita e ne approfittai subito.
Grazie per prima.
Cominciò a ridacchiare - molto poco cavallerescamente , aggiungerei- e il fatto che lo guardai malissimo aumentò solo la cosa.
La destra non riuscivo a liberarla, quindi il cazzotto cercai di rifilarglielo con la sinistra.
Bloccò anche quella.
“Bel modo di ringraziare.”
“Stai sicuro che non lo farò più.”
Tirai, spinsi e poi tirai di nuovo cercando di sciogliere la sua presa… e fu così che mi ritrovai con entrambi i polsi chiusi dietro la schiena.
Mannaggia a lui e ai suoi muscoli da licantropo.
E mannaggia anche a me. Avrebbe dovuto essere frustrante non riuscire nemmeno a impegnarlo seriamente, no? E allora perché ero così compiaciuta della cosa? Perché non riuscivo a levarmi quel dannato sorrisetto dalla faccia? Che Jake non fosse fragile e deboluccio come i miei compagni di scuola lo sapevo da un pezzo, non c’era nessun bisogno di esserne orgogliosa. Non ora, per lo meno.
“Mollami subito o ti do un morso, giuro.”
Altra risata.
“No, non lo farai.”
Stavo per contraddirlo. Piccolo piccolo, ma giuro che il morso glielo stavo per dare. Giusto per fargli sentire i denti e ricordargli che tirarmi più vicina non era esattamente il modo migliore di neutralizzarmi, tanto per ricordargli con chi aveva a che fare. E sarebbe stato un morsetto più che meritato ma… ma lui appoggiò la fronte alla mia… e sorrise… e l’intenzione di liberarmi si vaporizzò.
POUF!
Andata.
Da che cercavo di allontanarmi mi ritrovai a desiderare di essergli più vicina, il mondo intorno a noi che perdeva importanza e definizione. Esattamente com’era successo nel parcheggio.
I lupi non avevano poteri, ma di certo Jacob ne aveva su di me, realizzai. Quando sorrideva così, dolce ma con gli occhi scuri che brillavano di malizia, era così bello che sarebbe stato impossibile negargli qualcosa. Fu facile illudermi che quel sorriso fosse solo mio e dimenticare tutte le altre che lo avevano notato e che avrebbero voluto dirgli di sì.
Dirgli di si?
Avvampai.
Che diavolo mi veniva in mente? Io non volevo dirgli di si! Di si a cosa, poi? Mica mi aveva chiesto niente. E, casomai me ne fossi dimenticata, noi eravamo amici.
Amicissimi.
Sorrise di nuovo, sempre in quel modo sleale.
“Che cosa aspetti? Mordimi.”
Respirai il suo respiro e persi la presa sull’amicizia.
Certo aveva davvero una bella bocca. Le labbra piene, carnose.
La bocca di qualcuno che bacia bene…
Non dovevo pensare queste cose.
Non dovevo. Pensare. Queste. Cose.
Però… se solo fossimo stati un po’ più vicini…
“Hey! Piantatela!”
Voluto o meno, il calcio di Embry prese la gamba della panca invece delle nostre.
Il dolore, comunque, lo sentii in toto sbattendo contro lo spigolo del tavolo. Dal gomito alla punta delle dita e dritto nel cervello.
Strinsi il braccio al petto mugolando e appoggiai la fronte al legno.
 “Sei un idiota, Em! Si è fatta male”
Embry prese un altro sorso di birra, totalmente indifferente alla mia pena.
“Oddio, speriamo non perda il braccio!”
Me lo sarei meritato. Ero una pazza squilibrata e l’universo mi puniva per i miei pensieri.
“Lascia stare, Jake, ha ragione.”
Non mi ero certo risparmiata nella forza che avevo impiegato per liberarmi. E se a Jake fosse sfuggita la presa? Se, di contraccolpo, avessi mollato un ceffone a qualcuno lo avrei spedito lungo disteso... dopo un paio di salti mortali con avvitamento.
Guardò l’orologio.
“Certo, certo. Andiamo?”
“Adesso?”
“Sì, adesso. Avevamo detto un’ora, no? E’ passata.”
Cavolo! Già un’ora? Era volata!
Guardai l’orologio a mia volta, in automatico, e tornai a lui trattenendo un sorriso.
“Sono passati solo venti minuti.”
Sbuffò, afferrandomi per un braccio e aiutandomi ad alzarmi.
“Un’ora. Venti minuti. Il tempo è relativo.”
Allungò la mano verso Embry, che la strinse.
“Ci si vede… e molla l’osso. Lasciagli un po’ di tregua.”
Non ci furono commenti.
“Ciao, Em,” dissi a mia volta, dopo aver smesso di cercare di attirare l’attenzione di Asia da lontano. Evidentemente, per riuscire a distoglierla da Seth e salutarla, avrei dovuto perlomeno andare a batterle sulla spalla.
“Comunque, per quello che vale, secondo me hai ragione tu.”
Mi girai… e andai a sbattere dritta addosso a Quil.
“Dovrei fargliela dietro le spalle, indendi?”
Garantito che sarebbe arrivato nel momento più sbagliato.
 “Non sto dicendo questo…”
“Ah, no? Sembrava di si.”
“No. Lo sai. E poi mi sembra di essere stata io a fargli  notare che si era espresso nel modo peggiore possibile, sbaglio?”
“Sembra anche che tu abbia cambiato idea.”
Si sedette senza più degnarmi di uno sguardo. Nemmeno mezzo sorriso per far intendere che fosse una battuta.
Cioè, Embry lo aveva insultato tutta la sera... e lui se la prendeva con me. Con me!
Ora, d’accordo che per lui il momento non era dei migliori. D’accordo che il destino gli aveva giocato un brutto tiro appioppandogli una bambina delle elementari… ma io non facevo Destino nè di nome nè di cognome, che cavolo!
Jake mi strinse la mano un paio di volte e, anche senza che mi potesse passare il pensiero, il significato era chiaro: Conta fino a dieci. Lascialo perdere.
Uno…
Due…
“Lui si sarà anche espresso male, ma c’è da dire che anche la tua teoria della relazione spazio-temporale è una gran cazzata!”
Tre?
Jake sospirò, rassegnato.
Ok, non ero mai riuscita ad arrivare a dieci prima di rispondere ad una provocazione, e allora? Tutti abbiamo i nostri difetti!
Mi preparai per una risposta a tono – nemmeno Quil era uno che le mandava a dire – ma mi sorprese. Si limitò ad alzare le spalle, con una risatina amara.
“Lo so anch’io che è una stronzata, cosa credi? Ma qualcosa me lo devo pur raccontare.”
Non lo vedevo in faccia, ma dal tono sembrava così avvilito che mi fece quasi pena… e ovviamente mi sentii in colpa per avergli risposto male. Meglio arrabbiato che depresso. Avrei dovuto dare retta a Jake… come sempre.
Quil attaccò la sua nuova birra.
“Mi evita,” disse. Riappoggiò il boccale e si pulì le labbra con il dorso della mano. “E a me non importa”
“Ma chi ti evita? Claire?”
Tornai a sedermi, nonostante Jake stesse ancora cercando di convincermi a seguirlo tirandomi per la mano. Di sfuggita lo vidi roteare gli occhi, scocciato, dopo di che si riaccomodò a sua volta sulla panca… abbastanza violentemente da farmi saltare sul sedile. Tanto per chiarire cosa ne pensasse di quell’ulteriore rinvio.
“Ormai mi ero abituato ad essere sicuro di quello che volevo. Il fatto di non avere dubbi mi piaceva. Prima di avere l’imprinting non l’avrei detto, eppure era così. C’era Claire. Solo lei. Punto. E invece ora lei mi evita… e a me non interessa. Anzi, la verità è che ne sono contento.”
“Ma come ti evita?” chiesi, prima che Embry potesse aprir bocca, “A me non sembra. Alla festa…”
“Ma certo, alla festa eravamo solo noi. Io intendo quando è con i suoi amici. E’ normale,” aggiunse con un’alzata di spalle. “Loro stanno bene attenti a girare alla larga da me… beh… da tutti noi del branco, in effetti. Li rendiamo nervosi ma li capisco, anche io prima di trasformarmi stavo lontano da Sam e gli altri.”
“Quindi?”
“Quindi niente. Anche se provassi a convincerli non ci riuscirei. Quando i bambini si ficcano in testa qualcosa non c’è niente da fare. Vi ricordate quando credevamo che la Koheler fosse una strega?”
“La Koheler!” esclamò Jake, scoppiando a ridere insieme a Embry, “Era una vita che non pensavo a lei. Che fine avrà fatto?”
“Non lo so, ma noi eravamo convinti che fosse una strega e non c’è stato verso di levarcelo dalla testa fino…”
“Oddio, ti ricordi quando Quil l’ha presa a pallonate per cercare di farle saltare via la parrucca?” chiese Embry.
“E di quando le ha rubato le scarpe per scoprire se avesse o meno le dita dei piedi?” aggiunse Jacob.
“Hey! Eravamo d’accordo! L’ho fatto io solo perché avevo perso a sasso-carta-forbici! E voi non vi siete lavati per una settimana perché credevate che così non sarebbe riuscita ad individuarvi mentre la pedinavamo!”
Strappai subito la mano da quella di Jacob.
“Ma che schifo!”
“Eravamo piccoli!” si difese lui, cercando di riprendersela.
“Una settimana, Jake! E’ disgustoso.”
“Cinque o sei giorni, non di più… e poi la Koheler ti scrutava con quei suoi occhietti penetranti… e fischiava dal naso. Giuro, piccola, era inquietante”
“E’ vero,” confermò Quil. “Fii fii. Fii fii. Era un continuo. Le adenoidi, credo.”
“E comunque non si può mai sapere, in fondo anche vampiri e lupi erano leggende,” concluse Embry.
“Ma per favore,” sbuffai, permettendo a Jake di riavvicinarsi e appoggiandomi di nuovo a lui.
“Comunque il punto è che loro, gli amici di Claire, hanno anche ragione a non essere tranquilli, quindi… E poi, sinceramente, anche se pensassi di poterli convincere non so se ci proverei.”
Embry scosse la testa.
“E vorrei anche vedere che ci provassi!”
“Per favore, Em, non stasera. Non è davvero il momento.”
“Non lo dico per prenderti per il culo, giuro. Sono serio. Guarda.”
Gesticolò davanti al viso per attirarvi l’attenzione e proseguì solo dopo che Quil ebbe alzato lo sguardo.
“Finora hai fatto quello che volevi. Semplicemente, non capisco perché non continui a farlo.”
Quil tentennò un po’ prima di rispondere, probabilmente valutando l’effettivo grado di serietà. A me sembrava abbastanza credibile.
“E se questa fosse una cosa passeggera? Se cambiassi di nuovo idea? Se… poi… me ne pentissi?”
Se poi te ne pentissi? Ma tu chi cazzo sei?”
O magari non lo era, dopotutto.
“Io non posso credere che tu voglia continuare con questa farsa anche se non sei più convinto! Non ci riuscivo nemmeno quando...”
“Non è una farsa.”
“Amico, se mai vi metterete insieme avrai quasi trent’anni!”
“Quando, non se. Quando.”
Fossi stata in Embry, non avrei discusso su questo punto. Quil il secondo ‘quando’ lo aveva aveva praticamente ringhiato.
“Vuoi rimanere vergine fino a trent’anni perché forse, forse potresti pentirtene? Forse?”
Ero così presa a fare avanti e indietro da un viso all’altro seguendo il botta e risposta che non riuscii a mascherare per niente la sorpresa a quella rivelazione – Quil era veramente vergine? Oddio, non ci avrei mai scommesso un centesimo!
Embry ovviamente ne approfittò al volo.
“Anche lei non ci può credere, renditene conto!”
“Altolà! Non tirarmi in mezzo.” Lo bloccai subito. “Per me può fare quello che vuole da qui all’eternità. Sono sorpresa solo perché pensavo l’avesse già fatto.”
“Ness, ho conosciuto Claire quando avevo sedici anni.” Mi fece notare come se quello spiegasse tutto.
Non dal mio punto di vista.
“Sedici anni sono più che sufficienti.” A scuola ne avevo parecchi esempi. "E tu ti eri già trasformato da un po’, no?”
“Non molto”
“Ma un po’. E, in fondo, sei carino. Se la smettessi di tagliarti i capelli così corti staresti anche meglio. Hai la testa un po’ squadrata e così lo sembra ancora di più.”
Non avevo ancora finito la frase che già si teneva la testa con entrambe le mani
“Non è affatto vero!”
“Quindi è solo una mia impressione che tu stia cercando di coprirti?” constatai, sarcastica.
“E’ che… Claire non vuole più fare la veterinaria, da grande, ecco. Vuole fare la parrucchiera. Dice che è più divertente. Così se mi vede con i capelli più lunghi di due millimetri pretende di tagliarmeli con la macchinetta di Sam. E io non voglio! Poi mi lascia tutti i buchi e sembro un deficiente.”
“Perché lo sei.” Commentò ovviamente Embry.
Io pensai più o meno la stessa cosa, ma lo tenni per me.
“E tu dille di no.”
“Mi dispiace, lei si diverte a usare quel dannato affare. Li tengo più corti, così lei è contenta e io evito di preoccuparmi per come mi tocca andare in giro.”
L’occhiata che lanciò alla barista fu più che sufficiente per un’ involontaria dichiarazione sul tipo di preoccupazioni.
Prima che Embry sfruttasse la cosa per qualche commento, la ragazza guardò a sua volta nella nostra direzione. Forse si era sentita osservata, forse lo avrebbe fatto comunque, fatto sta che quando i loro sguardi si incrociarono Quil smise all’istante di cercare di nascondersi. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e quando raddrizzò le spalle, la camicia nera che indossava gli si tese sul petto, mettendo bene in evidenza quello che c’era sotto. E poi le sorrise. Un sorriso malizioso e pieno di sottintesi, che aveva parecchio a che vedere con quello che mi aveva rivolto TJ ma che su Quil faceva obiettivamente tutto un altro effetto.
La ragazza sembrò apprezzare molto, infatti. Anche a quella distanza intuivo che stava trattenendo il fiato. Quando, dopo un attimo, gli mandò un bacio, Quil le strizzò l’occhio, il sorriso ancora ben stabile sulle labbra.
Beh, decisamente un bel cambiamento! pensai.
E fui l’unica a farsi beccare a guardarlo quando si voltò di nuovo. Jake e Embry erano impegnatissimi tra nachos e pop corn e io… io... ops!
Beh, fingere era inutile. Ed era anche inutile continuare a fissarsi in imbarazzo per niente.
“Se invece di un lupo fossi un pavone, avresti una coda davvero notevole.”
Sempre meglio esserlo per qualcosa, no?
Mi unii alla risatina di Jacob mentre Quil mi indirizzava uno sguardo molto poco amichevole, le orecchie scarlatte.
Embry invece passò subito al sodo.
“Tracy è molto carina. E, indovina un po,’ ho indagato: pare che abbia un debole per i deficienti dal cranio squadrato.”
Io e Jake continuammo a ridere mentre Quil sfoderava il repertorio base di imprecazioni.
“Le dirò di piantarla con la macchinetta, ok? Contento ora?”
“No, ma è un passo avanti. Il secondo è andare da Tracy a chiederle se vuole un passaggio a casa, stasera.”
“No.”
“Pensaci bene, amico. Otto anni sono lunghi… solitari… freddi.”
“Io non mi sento solo e di sicuro non ho freddo,” sbuffò Quil, impaziente.
“Ma Claire tra otto anni ne avrà diciassette,” mi inserii, calcolando la cosa solo in quel momento. “Chi ti dice che lei, a diciassette anni, sia ancora…”
Ok, a giudicare dallo sguardo era meglio non completare la frase.
“Ehm…riformulo?”
“Meglio,” concordò Jake alle mie spalle.
“Sicuramente Claire rimarrà pura e illibata fino a quarantacinque anni, però…”
“Otto anni è indicativo, no?” sbuffò lui. “Magari saranno sette, io ne avrò ventinove e lei sedici.”
“In classe con me ci sono ragazze che lo hanno già fatto,” lo informai, pratica.
Si girarono tutti e tre contemporaneamente verso Asia, neanche li avessero tirati per un filo attaccato in mezzo alla fronte. Quando tornarono a guardare me, dei bei punti di domanda disegnati in faccia, scossi la testa.
“Non crederete davvero che ve lo dica!”
Em fu ovviamente il primo a cominciare.
“Secondo me è un si.”
“Secondo me no.”
“Non mettertici anche tu, Jake,” protestai. “Non ho intenzione di fare il vostro gioco.”
“E’ un si.” Ribadì Embry “Altrimenti avrebbe detto subito di no.”
“E’ un non sono fatti tuoi.”
Quil era troppo preso a non guardare verso il bar per rispondere e Jake, dopo un’occhiataccia, se n’era chiamato fuori alzando le mani. Toccò di nuovo a Em. Lui era abbastanza indiscreto da poter continuare a insistere fino alla fine dei tempi.
“Dai, dimmelo, tanto lo verrò a sapere comunque, prima o poi.”
“E allora perché continui?”
“Perché lo voglio sapere ora, ovvio.”
“Spiacente, dovrai aspettare che lo scopra Seth. Non sarò certo io a dirtelo.”
“Quindi è un no,” decise.
“Mi stai sfinendo, Em.” Sospirai esasperata “Non te lo dico. Né ora, né tra mezz’ora né tra un anno. Adesso, puoi tornare a stressare lui?”
Indicai Quil, che ovviamente si accorse all’improvviso di quanto fosse interessante la nostra discussione.
“Anche secondo me è un sì” esclamò, annuendo.
“Non ci crede nessuno che tu sia interessato alla cosa,” gli feci notare.
“Invece si!” si difese.
“Ma piantala!”, sbuffò Embry, dandomi ragione. Cosa che ovviamente fece infuriare Quil.
“Perché ti arrendi subito con lei e invece continui a perseguitare me?”
“Perché lo facevo solo per darle fastidio. Dai, guardala,” disse, accennando ad Asia. “È chiaro che è un si”
“Ma non è vero!” esclamai.
In realtà praticamente glielo urlai in faccia… prima di rendermi conto che era esattamente quello che aspettava.
“Tu!” lo accusai, con tanto di dito puntato. “Tu sei una merda!”
Peccato che alla fine della frase stessi già ridendo con lui.
“Ti odio,” cercai di protestare ancora, inutilmente.
“E anche te,” aggiunsi divincolandomi quando Jake, ridendo anche lui, mi abbracciò più stretta.
“E tu, invece…” continuai poi, girandomi verso Quil.
“Ma io non ti ho fatto niente! Non ero d’accordo, giuro.”
“Ridi, e tanto basta. Scommetto cento dollari che non ti filerai Claire di striscio prima dei diciotto anni.”
La mano che gli porgevo venne schiaffeggiata al mittente.
“Posso scommettere su ‘mai’?” chiese invece Embry, che per una scommessina era sempre disponibile.
“Perché no? Il tempo non ci manca,” risposi. “Jake, tagli tu?”
“Mi devi ancora i quaranta di quella di due giorni fa.”
“Io?”
“No, sciocca, lui.”
“E’ vero, ma non avevo voglia di fermarmi a ritirare e ne ho dietro solo dieci. Li vuoi come acconto?”
“Come fai a pagare tutto quello che hai bevuto con soli dieci dollari?” mi inserii.
“Hai ragione. Offri tu?”
“Io?” ripetei. “Perché dovrei? E poi, non ti vergogni a far pagare una ragazza per te?”
“Mica usciamo insieme. E poi, questa non è la tua festa?”
“E’ la tua festa?” esclamò Lucy arrivando in quel momento alle mie spalle insieme alla sua amica.  “Non lo sapevo! Kevin non mi ha avvertita.”
Prima che potessi negare e spiegare che era solo Embry che cercava di andare a scrocco, mi strinse le braccia al collo e mi diede un bel bacio sulla guancia.
“Auguri, bella!”
Poi mi prese per mano.
“Dai, andiamo a ballare. Festeggiamo.”
Jake fece gesto di alzarsi ma venne spinto di nuovo a sedere.
“No, tu no, Jacob. Solo donne.”
“Ma…”
“Niente ma,” Mi bloccò. Il fatto che fosse la mia festa non mi accordava il privilegio di scegliere, evidentemente. “Piuttosto, ricordami come si chiama la tua amica.”
“Asia.”
“Giusto. Vado a recuperare lei e Rachel, tu aspetta qui,” disse e si allontanò di nuovo, trascinandosi dietro la sua amica.
Quil si alzò a sua volta, vuotò il suo bicchiere e lo riappoggiò sul tavolo, scavalcando la panca.
“Vado anche io.”
“Da Tracy?” chiese Embry, speranzoso.
“No, a casa.”
“E dai, rimani. Ormai sei qui!”
“Non posso. Qualcuno mi ha chiesto di fare cambio di turno - perché tanto io non ho niente da fare – e così domani, che è sabato, mi tocca la prima ronda del mattino.”
Em ridacchiò e si accomodò meglio sulla panca.
“Sogni d’oro, amico.”
“… grazie?”
“Prego, figurati. E tranquillo, ti copro io con Tracy.”
Quil sbuffò.
“Non voglio che tu mi copra perché non voglio niente da lei. Mi sono spiegato?”
A suo favore va detto che non guardò verso il bancone alle sue spalle. Diede giusto una sbirciatina veloce, ecco.
Em scosse la testa, disgustato.
“Finché ti teneva in gabbia, l’imprinting non aveva nessun difetto, ora che ti lascia un po’ più libero – un po’ più libero, Dio non voglia tu lo sia del tutto – allora non funziona più bene come prima.”
“E’ vero,” mi inserii. “Se parti dal presupposto che l’imprinting sia indiscutibile allora dagli retta e prenditi i tuoi spazi. In fondo Claire ha bisogno di cavarsela da sola.”
“Ma davvero?” sorrise.
“Evita il sarcasmo. Deve imparare a non dipendere da te. Voglio dire, se foste stati eschimesi e aveste vissuto in un igloo in mezzo al nulla tu, lei, sua madre, suo padre e un orso polare, le cose sarebbero andate diversamente. Lei avrebbe avuto solo te quindi… Ma viviamo nello stato di Washington, ci sono qualcosa come sei milioni e mezzo di persone e…”
“O se fosse stata te.”
L’interruzione di Embry mi colpì come una bella sberla dietro la nuca. Sciaff!
“Come?”
Lo chiesi in automatico, in realtà avevo capito benissimo. Senza volerlo avevo descritto me stessa. Ultimi mesi a parte, ero cresciuta in mezzo al nulla. Io, mamma, papà… e zio Emmett, che poteva tranquillamente sostituire l’orso.
E Jake. Jake era stato il mio tutto.
Gli lanciai uno sguardo. Accarezzava piano il mio avambraccio con le nocche e non sollevò la testa.  Forse non voleva essere ringraziato?
Lasciai perdere, per il momento, ma avrei dovuto trovare comunque il modo di farlo. Più tardi magari, quando fossimo stati soli. Era una cosa troppo importante per fare finta di niente. Lui era troppo importante. Ancora molto vicino ad essere tutto, volendo essere sinceri.
“Se Claire fosse stata te,” ripetè Embry, distraendomi da me stessa.
“Ah. Ah. Divertente.”
“Io non sto scherzando.”
 “E io voglio essere lasciata fuori dalle vostre beghe da imprinting.”
Ok, forse mi era uscito un po’ troppo secco perché nemmeno Em rise.
“Eccoci,” trillò Lucy alle mie spalle. “Ci abbiamo messo un po’ a convincere Seth che non lo volevamo con noi.”
Nemmeno ad Asia era stato concesso di scegliere, dunque. Mi voltai verso di lei già pronta a sorridere, ma era impegnata a guardare la mano di Jake fare su e giù sul mio braccio.
Oh, no! Non di nuovo!
Saltai subito in piedi, rompendo il contatto.
“Eccomi!”
Le altre iniziarono ad avviarsi e ne approfittai. Battei il dito sull’orologio di Jake
“Un quarto d’ora,” dissi con un sorriso. “Poi scappiamo, d’accordo?”
“Certo… certo,” annuì
Continuava a non guardarmi, però e ricominciai a preoccuparmi… e ad arrabbiarmi. Che cavolo era venuto in mente anche a Embry, porca miseria! Fare un paragone del genere. Non poteva starsene zitto? Ad averlo saputo prima avrei scelto l’opzione Winning ways.
Ormai però non potevo che raggiungere le altre.
Un quarto d’ora - mi stavo ripetendo quando arrivai sulla pista. Solo un quarto d’ora.

* * *

Avanti, sentiamo, chi si aspettava un nuovo capitolo? Chi? E dire che ve l'avevo promesso. Gente di poca fede! XD
Passo subito ai ringraziamenti perchè, per fortuna vostra, ho troppa voglia di pubblicare per mettermi a cincischiare e a parlarmi addosso.
Grazie al Bracchetto (aka
Abraxas) per il betaggio di un capitolo infinito, per le duemila volte in cui ha risposto senza mandarmi a cagare alle mie domande paranoiche - E' credibile? Sei sicuro che sia credibile? Sicuro, sicuro? Ma proprio sicuro, sicuro, sicuro? - ma soprattutto per la Signorina Koheler. (Se ancora non la conoscete: Chi ha paura delle streghe?). Ci sarà sicuramente qualco'altro di cui ti devo ringraziare, Brac, al momento sono cotta e non me lo ricordo. Grazie <3 <3 <3 (Ah! Embry ti ringrazia per la Civic XD)
Grazie anche a tutti quelli che hanno risposto 'Io!' alla domanda di prima. Cavolo, la speranza è proprio l'ultima a morire, eh? XD
E alla fine, come sempre, grazie a chi vorrà lasciarmi un commento :)
Un bacione
L8


   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: l84ad8