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Autore: Trick    09/06/2012    2 recensioni
"«Sei il Prefetto di Hogwarts, Remus» le spiegò Lily con un sorriso, camminando verso di lui e stringendogli con salda gentilezza la mano. «Di nuovo».
«No, Lily» ribadì con decisione lui. «Io non posso morire».
«Lo so. Lo abbiamo creduto tutti».
"
(Remus Lupin/Lily Evans).
Un'antologia di fan fiction che copre ogni ship fanon o canon della Vecchia Generazione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Remus Lupin
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Racconti di sabbia
Fan fiction perdute nel tempo
*

La bambola imitatrice
Remus Lupin/Marlene McKinnon



«Bonny-Lee era entusiasta della bambola che le hai regalato» sussurrò con un sorriso gentile Marlene, senza distogliere lo sguardo dal lato della scuola di Kingsford che si affacciava su Triumph Road. «Soprattutto quando ha scoperto che poteva ripetere qualunque sua boccaccia».
Remus sollevò il viso dalle pagine del Daily Mirror. Non lo stava nemmeno leggendo, si stava limitando a scorrere vagamente da una notizia all'altra, domandandosi per quale motivo non gli fosse venuto in mente prima di incantare la Gazzetta del Profeta in modo che solo lui avesse potuto riconoscerla. Avrebbe potuto sapere qualcosa sul provvedimento che il Ministro Bagnold e Crouch volevano approvare sull'uso delle Maledizioni Senza Perdono, e agli occhi di qualunque Babbano di ceto medio sarebbe stato semplicemente un ventenne con lisi abiti di seconda mano e la faccia stravolta di un tossico intento a leggere un giornale da comunisti. Invece no, il pensiero non lo aveva sfiorato fin quando non si era seduto sulla panchina di ferro della fermata dell'autobus di Triumph Road.
«Ne sono felice» le rispose appena.
«Non avresti dovuto disturbarti».
«L'ho fatto con piacere».
Il sorriso di Marlene si fece un poco più largo e un po' più triste.
«Lo so, ma non devi sentirti in obbligo di fare regali a mia sorella».
«Era il suo compleanno».
«Non importa».
Non era per te” avrebbe voluto dirle Remus. “Era soltanto un regalo per Bonny-Lee, perché so cosa significa avere sette anni e dover restare nascosti in casa. Tu non c'entri, era solo per Bonny-Lee”. Invece, rimase zitto e distolse lo sguardo, ripetendosi che quello non era assolutamente il momento migliore per causare un litigio con Marlene. Non dubitava che ne avrebbero riparlato presto – con lei se ne riparlava sempre presto – ma quella non era né l'ora né la circostanza adatta.
«Eccoli» sviò di colpo Remus, attirando l'attenzione di Marlene su un'ordinata fila di ragazzini che era appena uscita da una porta secondaria della Kingsford.
Assottigliò gli occhi alla ricerca di una testolina bionda piena di riccioli. Nonostante la distanza, individuare la piccola Amy Collins fu piuttosto facile: svettava di almeno una spanna dal compagno di classe più alto.
«Mi chiedo come si possa far male ad una bambina».
«È una Nata Babbana che non sa ancora di essere una strega» rispose apatico lui. «Niente potrebbe attrarre di più i Mangiamorte».
«Se solo potessimo beccare la spia all'Ufficio delle Relazioni con i Babbani...».
Remus fece uno sbuffo divertito.
«Se solo...».

*

Alla fine nessuno di loro aveva potuto far qualcosa per salvare Amy Collins. Credevano di essere preparati, credevano di aver studiato ogni possibilità, credevano di aver già anticipato qualunque imprevisto fosse potuto succedere, e forse la causa della sua morte era da imputare a tutto quel credere. Forse, continuava a ripetersi Remus seduto nel sua piccola cucina, avevano di nuovo sopravvalutato ciò che potevano e non potevano fare, e gli sarebbe importato molto meno se solo a pagarne lo scotto non fosse stata una bambina di dieci anni.
La campanella d'ottone appesa nell'ingresso iniziò a trillare improvvisamente. Remus scattò in piedi, afferrò la bacchetta e corse verso la porta principale, appiattendosi contro il muro e pronto a Materializzarsi al minimo segnale di pericolo. Avvertiva appena l'eco dei passi di qualcuno che risaliva le scale esterne e ringraziò la buon'anima di sua madre di avergli lasciato quella campanella incantata per riconoscere gli intrusi sui gradini di casa.
Chiunque fosse dall'altra parte della porta bussò per tre volte, rimase immobile, ribussò altre due volte, restò di nuovo immobile e poi bussò ancora un'ultima volta. Remus sentì i muscoli rilassarli un poco: era uno dei segnali adottati dai membri dell'Ordine, uno dei tanti che significava semplicemente “non è detto che sia un Mangiamorte”.
«Chi sei?».
«Sono Marlene McKinnon. Mia sorella Bonny-Lee ha compiuto sette anni tre giorni fa e tu le hai regalato una bambola con i capelli verdi che imita le sue smorfie. Avrei preferito non l'avessi fatto e tu sai perché».
«Vuoi entrare?» le chiese lentamente Remus, serrando ancora di più la bacchetta e pregando che rispondesse “no”.
Era la loro seconda parola d'ordine, il loro ultimo tentativo di salvarsi a gli uni con gli altri: “Vuoi entrare” intendeva “Ti hanno preso e sono lì con te? Devo scappare?”.
«No» rispose in fretta Marlene. «No, tranquillo, non voglio entrare».
Con un sospiro di sollievo, Remus agitò la bacchetta e liberò la porta dagli incantesimi di protezione.
«Ti farei accomodare in soggiorno, se solo ne possedessi uno».

*

«È tardi, dovresti stare con la tua famiglia» osservò Remus, cercando di non infilare un accento critico nel proprio tono di voce. «Che ci fai qui?».
«Casa mia è protetta, Remus».
Remus prese due bicchieri dalla credenza e una bottiglia piena di liquido ambrato che sua madre doveva aver travasato chissà quanti anni prima.
«Whisky Incendiario?» chiese curiosa lei.
«E chi può permetterselo? Credo sia del Kilbeggan».
«Cosa?».
Remus fece un sorriso ironico. Nonostante tutti gli anni trascorsi in compagnia di maghi e streghe che ben poco avevano avuto a che fare con il mondo dei Babbani, capitava ancora che qualche domanda gli suonasse ancora assurda. Cos'era il Kilbeggan, gli aveva chiesto... a lui, figlio di una Babbana irlandese e momentaneamente residente nella sua vecchia casa di Limerick.
«Whisky. Semplice, economico e per nulla speciale whisky».
Marlene sorrise.
«Andrà benissimo».

*

«Che ci fai qui?» ripeté con maggior insistenza Remus. «È davvero molto tardi e di norma la gente non si prende il disturbo di visitare un posto come Limerick per un goccio di Kilbeggan».
Marlene abbassò il capo. Un ciuffo sfuggito dalla lunga treccia scura le ricadde davanti al viso affilato.
«Non facevo altro che ripensare a quella bambina e tutto d'un tratto ho sentito il bisogno di andarmene via. Sei il primo che mi è venuto in mente... è come se fossi sempre al centro dei miei pensieri».
Remus la guardò in tralice e la vide sogghignare appena. Marlene era la perfetta personificazione del detto “lanciare il sasso e nascondere la mano”: provocava con rapidità sconcertante, incurante di quali ferite sarebbe andata a punzecchiare, e poi rimaneva muta, a volte arrossendo e a volte sorridendo sotto i baffi, come se non avesse mai nemmeno parlato. Eppure parlava eccome, Marlene, e sapeva esattamente quando e come parlare. Aveva una faccia pulita e genuina, con gli occhi grandi e il sorriso aperto; una di quelle facce che difficilmente portano la gente a pensar male, perché a nessuno sarebbe mai venuto in mente che una donna dall'aria tanto mite potesse essere tanto fastidiosa.
«Marlene...» la rimproverò un poco esasperato Remus. «Ti prego...».
«Era solo una battuta» ribatté lei a mo' di scusa, arricciando ancora le labbra in un sorriso tutt'altro che sereno. «Ho bisogno di distrarmi, Remus. Ne abbiamo bisogno entrambi».
Remus appoggiò il braccio allo schienale tarmato del piccolo sofà e fece un sospiro carico di pesante stanchezza. Si passò una mano sul volto segnato e si bloccò con i polpastrelli sulle palpebre, massaggiandole con piccolissimi movimenti rotatori.
«Era solo una bambina...» sentì sussurrare Marlene.
«Marlene» la riprese nuovamente lui, abbassando la mano per guardarla in viso.
Sul momento, vederla stringere con forza il bicchiere di whisky con gli occhi gonfi di lacrime lo lasciò spiazzato. Credeva di aver imparato ad affrontare i piccoli cedimenti nei quali tutti loro scivolavano di tanto in tanto, ma ogni volta capiva sempre un po' di più che la natura umana non poteva accettare la guerra come un'abitudine. Perlomeno, la sua natura non ne era in grado. Silenziosa come se avesse il timore di disturbare, Marlene piangeva seduta accanto a lui e per l'ennesima volta Remus si rese conto che non possedevano altro che frasi di conforto prive di senso.
Si avvicinò a lei e intrecciò le proprie dita con le sue. Marlene serrò con decisione gli occhi con un moto di dolore e poi si lasciò scivolare sulla sua spalle, sprofondando il viso nel tessuto sdrucito del suo maglione.
Nessuno parlò fino all'alba.

*

Marlene aveva quell'aria da ragazzina giocosa e ingenua di cui ci si sarebbe potuti innamorare molto facilmente e Remus non credeva assolutamente di poterne essere immune. Rideva con slancio e senza freni, e sembrava proprio voler vivere la propria vita con il brio di una giornata di primavera. Da quando tutto quel disastro infernale era iniziato, tuttavia, la sua sensibilità la faceva rabbuiare più spesso, ed era allora che tutta la sua insicura fragilità riemergeva sul suo viso. Remus l'aveva vista piegarsi come un filo di grano innumerevoli volte e si era sempre premurato di esserle a fianco, di essere lì, di essere pronto a ripetere che sarebbe andato tutto bene, che ogni sarebbe finita e che dovevano solo attendere l'opportunità decisiva.
Non sempre era stato convincente; non era facile esserlo quando lui per primo avrebbe avuto bisogno di un briciolo in più di speranza. Marlene lo sapeva bene e nonostante tutto lo ascoltava con tutta con se stessa, e poi tornava a sorridere guardando le nuvole primaverili.
Remus si era chiesto parecchie volte se non lo stesse facendo per lui.
«Lupin» lo chiamò il ringhio soffocato di Moody. «Lupin, è meglio che ce ne andiamo».
Remus annuì con espressione assente, senza distogliere lo sguardo da ciò che restava della casa dei McKinnon: calcinacci e legni rotti, pezzi di mobilia, qualche arredo irriconoscibile e stracci colorati incastrati fra le pietre. Quasi del tutto nascosta sotto una trave, Remus riconobbe una piccola testolina verde. Si avvicinò con estenuante lentezza senza nemmeno rendersene conto, si inginocchiò e raccolse la bambola incantata che aveva regalato due settimane prima alla piccola Bonny-Lee per il suo settimo compleanno. Marlene aveva detto che ne era stata entusiasta, perché non aveva mai posseduto una bambola in grado di ripetere tutte le sue boccacce e i suoi sberleffi.
Remus si sentì invadere dal feroce bisogno di gridare, ma qualcosa dentro di sé continuava a frenarlo, a impedirgli di fuggire. Stretta fra le sue mani tremanti, la bambola di Bonny-Lee continuava a piangere.

   
 
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