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Autore: micRobs    11/06/2012    6 recensioni
Sebastian/Thad | Mini-Long | Slash/AU | Introspettivo/Romantico |
Se potessi rivivere lo stesso giorno all'infinito, cosa cambieresti?
Sebastian non lo sa, pensa solo che sia una gran scocciatura e che probabilmente il karma ha solo trovato un altro modo divertente e creativo per passare il tempo. Le cose però non sono mai come ci si aspetta e Sebastian si troverà presto a fare i conti con la stupidità umana (la sua) e con una serie di imprevisti che proprio non aveva preso in considerazione (i Warblers).
Dal capitolo 2 : "Vi era qualcosa che continuava a non tornare in tutta quella faccenda.
E Sebastian non si riferiva solo al fatto che sapeva esattamente quali domande sarebbero uscite al compito di biologia.
Voltò il foglio freneticamente, cercando un indizio che gli facesse iniziare a sperare di non essere completamente uscito di testa.
Vi era un’unica, ultima, speranza alla quale appellarsi."
...hope you like it!
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stuck 6 Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 6/7
Note D’autore: Alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del meraviglioso banner di questa storia!




                                        *o*

 
Capitolo 6.

Sebastian fu svegliato da un fruscio indistinto, da un rumore fragoroso e disordinato e da un’irrefrenabile voglia di far saltare qualche testa.
Scattò a sedere, i battiti accelerati a riempirgli le orecchie, e sbatté un paio di volte le palpebre per permettere agli occhi di abituarsi al buio. La stanza versava nella semioscurità ma non gli fu difficile individuare e riconoscere i lineamenti della figura che si muoveva poco distante da lui.
«Cosa diamine hai intenzione di fare?»
Un sospiro e un rumore sommesso. «Cercavo di non svegliarti» fu la confusa spiegazione che gli giunse dal buio.
Sebastian ridacchiò. «Non oso immaginare cosa avresti fatto in caso contrario.»
Allungò una mano sul comodino e cercò a tentoni l’interruttore dell’abat-jour per portare un po’ di luce in quella camera. Strizzò gli occhi per ripararsi dal repentino cambio di luminosità, dopodiché si voltò a guardare nuovamente il suo interlocutore.
Thad se ne stava in piedi accanto al suo letto e reggeva fra le mani i pezzi di quella che, fino a poco prima, doveva essere stata una lampada molto simile a quella di Sebastian.
«Cosa stavi cercando di fare?» Domandò con uno sbadiglio.
Aveva il cervello anchilosato e, forse per il brusco risveglio, doveva ancora carburare bene e mettere in moto quella sequenza di causa-effetto che lo avrebbe portato a comprendere che vi era decisamente qualcosa fuori posto.
Thad spostò il peso da un piede all’altro, posando ciò che restava della sua abat-jour sul letto e allargando le braccia arrendevole.
«Avevo intenzione di andare a prepararmi» buttò fuori d’un fiato, «e lasciarti dormire un altro po’.»
Sebastian aggrottò la fronte, ma quando la consapevolezza si fece lentamente strada dentro di lui, sgranò gli occhi e scostò velocemente le coperte. Non era possibile…
«Che giorno è oggi?» chiese cautamente.
Quello inarcò un sopracciglio. «Sabato?» Rispose con uno sbadiglio.
La bocca di Sebastian si spalancò in un’espressione piuttosto comica e il ragazzo si affrettò a raggiungere il suo cellulare per accertarsi della veridicità di quelle parole.
Sabato, 17 Marzo.
Era una sensazione strana perché era convinto che, se mai fosse riuscito a venir fuori da quell’incubo, la sua reazione sarebbe stata diametralmente opposta. Immaginava esultanze e manifestazioni di gioia in grande stile. Invece se ne stava lì, seduto sul bordo del letto, il cellulare stretto tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto, a domandarsi il perché.
Già, perché?
Cosa era cambiato rispetto alle volte precedenti?
Alzò gli occhi su Thad e lo trovò esattamente come lo aveva lasciato, intento a restituirgli lo sguardo. Sospirò sereno, non potendo impedire alle sue labbra di piegarsi in un sorriso sincero.
Vi era qualcosa di cui dovevano assolutamente parlare. Sebastian lo ricordava e sapeva che era una questione che andava affrontata il prima possibile perché non voleva rischiare che le cose prendessero una piega indesiderata e la situazione gli si ritorcesse contro un’altra volta.
Thad si alzò, iniziando a frugare nel suo armadio alla ricerca, probabilmente, di qualcosa da indossare. Sebastian si passò stancamente una mano fra i capelli, avvertendo distintamente il nodo che sentiva allo stomaco sparire. Si sentiva sollevato, libero da quell’opprimente peso sul petto che lo aveva asfissiato in quei giorni. Voltò il capo verso Thad e si ritrovò inspiegabilmente a sorridere al ricordo di tutto ciò che era accaduto il giorno prima. Perché Thad lo ricordava, vero?
«Senti» iniziò improvvisamente quello, «noi Warblers abbiamo in programma una gita.»
Il cuore di Sebastian perse un battito.
«Lo so» rispose esitante. «Non fate altro che parlarne» gli fece notare, «è piuttosto fastidioso in effetti.»
Thad ridacchiò, riemergendo a fatica dall’armadio. «Sei ancora in tempo per venire, se ti va.»
Sebastian le aveva contate. Quella era la quarta volta che glielo chiedeva, sarebbe stata finalmente quella definitiva? Scosse il capo nel constatare che Thad doveva tenerci davvero tanto che andasse con loro.
«Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di venire?» Domandò, comunque.
Thad boccheggiò un paio di volte e Sebastian si accorse delle sue guance che si coloravano di rosso. «Nulla, immagino» balbettò, «solo che, boh, dubito tu abbia programmi migliori.»
Touché.
«Quindi stai ammettendo anche tu che se venissi sarebbe solo perché non ho niente di meglio da fare?››
L’altro scrollò le spalle, recandosi in bagno. «Mettila come vuoi» concesse.
«E dov’è che si andrebbe?» Volle informarsi Sebastian. Aveva sentito così tanto parlare di quella fantomatica gita che era assurdo che ancora non avesse la benché minima idea di quale fosse la destinazione.
«Vogliamo andare a sciare» rispose Thad, arrestandosi sull’uscio.
Sebastian inarcò un sopracciglio. «A metà marzo?» Domandò scettico.
Thad annuì. «Bisogna salire un po’, ma ci hanno garantito che la neve c’è ancora.»
L’altro fece una smorfia ma non rispose. Thad lo osservò un altro paio di secondi, poi sospirò deluso e fece per chiudersi la porta alle spalle.
«Temo di non avere l’attrezzatura da sci» buttò lì Sebastian, concentrandosi sul cellulare che ancora stringeva tra le mani.  
E non aveva bisogno di guardarlo per sapere che Thad aveva recepito il messaggio e che, con ogni probabilità, adesso stava sorridendo.
Udì la porta chiudersi e, istintivamente, si lasciò cadere sul letto fissando il soffitto: esperienza sovrannaturale o meno, si sentiva riposato come non mai.

Erano partiti con due macchine e con più entusiasmo di quanto nove persone potessero normalmente contenere.
Sebastian si era goduto le espressioni sorprese e basite degli altri Warblers quando Thad li aveva informati che si sarebbe unito a loro, ma era stato troppo occupato a notare il modo delizioso con cui Harwood continuava a torcersi le dita, per preoccuparsene realmente.
Dopo un attimo di sconcerto generale, però, si erano mostrati tutti piuttosto esaltati all’idea di allargare l’allegra combriccola e Sebastian si era trovato a domandarsi di quali droghe facessero uso per essere così pieni di energia di prima mattina.
Sterling aveva messo in chiaro che, poiché si era aggiunto all’ultimo minuto, non era autorizzato a mettere in disordine i loro piani e che quindi, che gli piacesse o no, sarebbe stato nella “macchina noiosa”.
Sebastian non aveva idea di cosa volesse dire, ma si era incredibilmente trovato a dargli ragione quando, qualche minuto dopo, si erano messi in viaggio.
Adesso sedeva accanto a Ethan, Flint era alla guida e James sul sedile del passeggero e no, la situazione non era delle più divertenti.
A quanto pare, l’altra macchina era di Duvall ed era chiaro che i suoi fidi compari – Sterling, Nixon e Harwood – sarebbero andati con lui. Dubbie erano, invece, le motivazioni per cui anche David si era unito a loro, ma Sebastian immaginò che, a conti fatti, non gliene importava granché.  
«Siamo arrivati» annunciò Flint dopo quelli che parvero secoli di viaggio.
Sebastian scese dalla macchina, stringendosi nel giubbotto nel constatare che, con quel freddo, era ovvio che la neve non si fosse ancora sciolta. Gli altri arrivarono dopo qualche minuto e, una volta che si furono riuniti, David propose di raggiungere subito la stazione sciistica per evitare di perdere ulteriore tempo.
Sebastian si sentiva un pinguino all’equatore. Non si era mai mostrato molto amichevole con loro, tant’è vero che adesso non sapeva bene come comportarsi. Sapeva solo che aveva bisogno di parlare con Thad e che, fino a che le sue guardie del corpo avessero vigilato su di lui, gli sarebbe stato impossibile farlo.
Sterling stava ciarlando di qualche scemenza, come suo solito, ed era snervante vedere come Duvall e Nixon gli dessero sempre retta senza riserve.
«E se la prossima volta andassimo in un posto caldo?» Propose Nixon all’improvviso.
Sebastian roteò gli occhi.
«Nessuno ti ha obbligato a venire, Trent» gli ricordò Jeff.
Thad rise e Nick si passò una mano sulla faccia, sconsolato. «Sarei dovuto rimanere da solo a scuola di sabato!» Ribatté, indignato, quello.
«L’Accademia non ha solo dieci studenti, sai?» Gli fece notare Flint.
Quello sbuffò. «Ma si dia il caso che quelli più interessanti sono qui.»
«Stai cercando di comprarci?» Domandò Nick, alzando un sopracciglio.
«Sta assolutamente cercando di comprarci» rispose Thad. Sebastian ridacchiò nell’osservare il modo in cui sembrava così perfettamente inserito in quella situazione. Avere quindici fratelli era meglio che non averne nessuno, ragionò. Forse Harwood non aveva tutti i torti, dopotutto.
«Tanto non ti portiamo al bioparco» chiarì David, aprendo la porta della piccola struttura al limitare della pista da scii e permettendo agli altri di entrare.
Trent mise il broncio. «Posso andarci anche da solo.»
«L’ultima volta non ne eri così convinto» ricordò Flint, ottenendo immediatamente l’appoggio di Sterling.
«Vero» concordò quest’ultimo, «non so ancora come tu abbia fatto a litigare con quella papera.»
Sebastian sgranò gli occhi. No, forse aveva capito male: nessuno poteva essere così idiota.
«In realtà credo che fosse la papera ad aver litigato con lui» suppose Thad.
Le signorine al bancone consegnarono loro l’attrezzatura da sci che avevano affittato e così la conversazione si spostò dall’accogliente ingresso dell’edificio in legno, agli spogliatoi sterili e monocromatici.
Continuarono a chiacchierare come se nulla fosse accaduto, depositando borse e giacche e indossando guanti e cappelli. A quanto aveva capito Sebastian, i proprietari della stazione sciistica erano parenti di Ethan, il che voleva dire che tutto ciò che avevano affittato non gli era costato un dollaro.
«Ho solo provato a darle da mangiare» spiegò Trent, litigando con uno scarpone, «mi è sembrato poco carino il modo in cui mi ha… azzannato.»
«Dubito che le papere abbiano le zanne»
«E dubito che le papere gradiscano i panini al chili e salame piccante.»
Sebastian ridacchiò, scuotendo il capo: il clima che si respirava in quella stanza era talmente leggero e tranquillo che per un attimo, ma solo per un attimo, si pentì di aver sempre dubitato della buona compagnia degli Warblers. Alzò lo sguardo, prestando marginale attenzione alle giustificazioni che adduceva Trent e cercando Thad con gli occhi.
Era seduto accanto a James, le guance arrossate e il cappello calato sulla fronte. Sebastian non ebbe il tempo di domandarsi, per l’ennesima volta, se conservasse qualche ricordo della sera precedente, che quello alzò lo sguardo spazzando via qualunque suo dubbio.
«La prossima volta eviterò di essere gentile» borbottò Trent.
«La prossima volta sarà lei a fare una visita turistica alla Dalton» ipotizzò Sebastian, lo sguardo fisso ancora su Thad, «visti gli esemplari che la popolano.»
Ebbe la vaga impressione che si stesse per scatenare uno scontro senza precedenti sulla sua poca predisposizione al dialogo civile, ma fortunatamente Flint richiamò tutti all’ordine precedendoli fuori dagli spogliatoi.
Sebastian si appuntò mentalmente di evitare di smarrirsi nuovamente negli occhi liquidi e profondi di Harwood per scongiurare eventuali conflitti internazionali causati dalla leggendaria ironia made in Smythe.
Forse.
Forse farlo non sarebbe stato semplice quanto dirlo.


Mezz’ora dopo, Sebastian si ritrovò inspiegabilmente a dare ragione a Trent: faceva freddo, faceva maledettamente freddo.
La seggiovia, che li aveva portati fino in cima, aveva rifatto il giro completo un numero imprecisato di volte e loro erano ancora lì. A quanto pareva, nessuno era poi così desideroso di iniziare la discesa.
Se ne stavano tutti al limitare del pendio, spronandosi a vicenda a lanciarsi di sotto e stringendo convulsamente chi lo snowboard e chi le racchette da scii.
«D’accordo» esordì James con fare spavaldo, «Fatevi da parte che vi mostro come si fa.»
«Sì» ridacchiò Flint, «a rompersi tutti i legamenti.»
James gli fece una smorfia e Jeff gli batté una mano sulla spalla. «Facci vedere, campione» ghignò.
Il ragazzo si mise in posizione, facendo la linguaccia a Flint e dandosi la spinta con le racchette, dopodiché si lasciò scivolare giù. Gli altri lo osservarono fare un lieve slalom nel nulla e poi fermarsi molto poco elegantemente più a valle.
Trent batté confusamente le mani, perdendo la presa sulle racchette e rischiando di perdere l’equilibrio. Fortunatamente Nick e David erano lì vicino per sorreggerlo.
«Dio, Nixon, sei un pericolo pubblico» constatò Sebastian.
«Perdonaci se non siamo tutti aggraziati e leggiadri come te» ribatté quello, riacquistando stabilità.
Sebastian agitò le mani con fare ovvio. «Sei scusato» concesse.
Flint cedette il posto a David, così quest’ultimo poté seguire lo stesso percorso di James verso la valle e spianare ulteriormente la strada a Nick e Ethan che si lanciarono immediatamente dopo.
Sebastian ebbe come l’impressione che Flint fosse rimasto lì in cima per supervisionarli ed estinguere eventuali battibecchi causati dalla sua presenza insieme a Sterling e Nixon, ma non ebbe modo di fargli notare di non aver bisogno della balia, perché fu distratto da altro.
L’occasione giusta.
Il momento giusto e il posto giusto. Forse le persone non erano esattamente le più adatte, ma i numeri erano dalla sua parte e tre piaghe erano decisamente meglio di sette.
Thad se ne stava un po’ in disparte e fissava diffidente la pista, stringendo le mani intorno alla liscia superficie dello snowboard perché – a detta di Ethan –  “se sei un principiante, è meglio che inizi con lo snowboard”.
Sebastian piantò il suo nella neve e si avvicinò silenziosamente a lui da dietro. Quando gli fu abbastanza vicino, avvolse le braccia intorno al suo collo, facendo aderire la sua schiena al proprio petto. Lo sentì sussultare a quel contatto inaspettato e, senza rendersene conto, mormorò un «Sono io» direttamente al suo orecchio.
Thad era piccolo, notò Sebastian, era piccolo anche con tutti quegli strati di stoffa e piume addosso.
Si tranquillizzò, nonostante Sebastian avvertisse distintamente il suo cuore battere frenetico contro il suo.
Sterling e Nixon erano troppo occupati a decidere chi dovesse essere il prossimo, per prestare attenzione a loro, e Flint era apparentemente preso dalla loro infantile discussione e non sembrava preoccuparsi degli strani movimenti alle sue spalle.
Sebastian non sapeva come spiegarsi quell’insensato bisogno che aveva di sentirlo lì, reale e concreto, in quel momento. Seppe solo che, senza poter fare nulla per impedirlo, le sue labbra si mossero fino a trovare la pelle sensibile del collo di Thad, il suo naso ad accarezzargli la mascella fredda e arrossata.
«Sebastian» la decisione nella sua voce era solo apparente. Il ragazzo se ne convinse per evitare di doversi interrompere contro la sua volontà.
Thad piantò il suo snowboard nella neve, portando le mani alle braccia di Sebastian, ancora intorno al suo collo, e respirando profondamente.
«Sebastian» ripeté, «che cosa stai facendo?»
Quello rise contro la sua pelle. «Mi sembra piuttosto ovvio, Harwood» rispose.
«No» proseguì l’altro. «Intendevo, cosa stai facendo… con me?»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Credevo ti facesse piacere» ragionò, stringendo la presa su di lui. Perché tutte quelle domande? Dio, non poteva solo tacere e lasciargli fare?
«A me sì» puntualizzò Thad, «ma a te?»
Sebastian non poté impedirlo: prima di rendersene conto, Thad si era voltato nel suo abbraccio ed ora reggeva il suo sguardo esattamente come aveva fatto la sera prima.
E certo che gli faceva piacere, altrimenti non avrebbe portato avanti tutta quella farsa, no?
Thad abbassò il capo, forse fraintendendo il silenzio dell’altro.
«Non credo di essere pronto a diventare il tuo “amico speciale”» chiarì, la voce appena udibile.
E Sebastian sorrise, sconclusionatamente e senza una ragione precisa. Rise e basta.
«Siamo mai stati realmente amici, Thaddy?» domandò, sornione.
L’altro aggrottò la fronte e aprì la bocca per ribattere, ma Sebastian glielo impedì.
«Credo che avrebbe dovuto essermi chiaro fin dall’inizio» spiegò, una sicurezza nella voce che non sentiva affatto, «che tra noi sarebbe sempre stato o tutto o niente.»
Avvertì Thad immobilizzarsi e si perse, momentaneamente, a studiare il suo respiro che si condensava tra i loro volti vicini.
«Ti sembra così strano che io adesso voglia tutto?»
E divenne improvvisamente reale non appena lo disse. Boccheggiò, nel realizzare, da un momento all’altro, di poter avere chiunque, ma di volere lui. Ogni cosa di lui.
E non avrebbe chiesto, non avrebbe aspettato permessi che sarebbero comunque giunti. Non stavolta e non in quel momento.
Aveva voglia di baciarlo e fu esattamente quello che fece.

Era stato più semplice lasciarsi andare dopo.
Sebastian si sentiva più leggero e lo snowboard non faceva più così tanta paura. Si era ritrovato a ridere insieme agli altri alla ridicola caduta di Trent, a lasciar passare il pupazzo di neve di dubbio gusto costruito da Sterling e Duvall che “non è esattamente uguale a Sebastian?” e a mostrarsi più indulgente riguardo la loro idiozia galoppante.
Si strinse nel giubbotto, maledicendo quel freddo che gli stava congelando il cervello e intirizzendo le ossa. Non vedeva l’ora di lasciarsi avvolgere dal piacevole tepore dello chalet e mettere sotto i denti qualcosa di caldo e ricostituente.
«Smythe, se non ti muovi ad entrare, tra un po’ dovremmo amputarti qualche arto.»
Sebastian voltò lo sguardo alla sua destra, anche se quella voce era inconfondibile.
«Sterling, dove hai lasciato la tua amorevole metà?»
Jeff rise. «Suppongo sia insieme alla tua.»
Sebastian gli riservò un’occhiata capace di sciogliere la neve circostante, ma quella non doveva essere la sua giornata fortunata, dal momento che non ebbe l’effetto sperato.
Jeff inarcò un sopracciglio. «Puoi darla a bere a chiunque, ma io li ho gli occhi, sai?»
«Perché ti stai comportando come se il tuo parere mi interessasse?» Volle sapere Sebastian.
L’altro scrollò le spalle. «Perché so che è così.»
«Brutti scherzi che gioca il freddo, eh?»
Jeff non rispose, ma si limitò a lanciargli un’occhiata alla come-vuoi-tu. Continuarono a camminare l’uno accanto all’altro, ma Sebastian non gli stava prestando molta attenzione.
«Ci tiene davvero a te» esordì Jeff, poco dopo. «Per cui cerca di non fare stronzate o ti garantisco che verrò a prendere a calci il tuo francesissimo culo in qualsiasi parte del mondo tu sia.»
Sebastian rise amaramente. «Credi di spaventarmi, Sterling?» Ghignò. «Mi sembra di averti appena fatto notare che ciò che pensi tu non è di mio interesse.»
E Jeff rise di nuovo e Sebastian ebbe davvero voglia di prenderlo a pugni per quell’ilarità gratuita.
«Dici tante cazzate» iniziò Jeff, «ma tanto lo so che anche tu tieni a lui allo stesso modo.»
L’altro sbuffò ironicamente. «Quanta saggezza» constatò, «dovresti farti Duvall più spesso: ti rende docile e quasi piacevole.»
«Lascia Nick fuori da questa conversazione» lo ammonì Jeff.
Sebastian roteò gli occhi. «Non c’è bisogno di marcare il territorio: è tutto tuo.»
Per un po’ nessuno parlò e l’unico rumore fu quello sommesso dei loro passi che si infrangevano nella neve.
«Non credevo che fossi capace di mettere qualcuno al primo posto» confessò Jeff, la voce seria e lo sguardo dritto davanti a sé. «Mi hai sorpreso, lo ammetto»
Sebastian aprì la bocca per ribattere ma, proprio quando era sul punto di intimargli di farsi gli affari suoi, un altro pensiero si sostituì al primo.
«Che cos’hai detto?» Domandò, cautamente.
Jeff si morse un labbro. «Che mi hai sorpreso» ripeté.
Sebastian sbuffò. «La parte prima, Sterling» puntualizzò.
Jeff aggrottò la fronte. «Mi hai chiesto di aiutarlo per il compito» spiegò, «è stato carino da parte tua. Non lo avrei mai detto.»
E non poteva essere quello. Sebastian si ripeté mentalmente che non era assolutamente quella la ragione e che, soprattutto, la soluzione non poteva essergli giunta dalla brutta copia di Zac Efron.
Mettere qualcun altro al primo posto.
Dio, era così semplice?
Non che ci si fosse impegnato particolarmente, insomma. Alla fine era stato anche piuttosto naturale fare qualcosa per Thad. Se lo meritava e Sebastian lo sapeva.
Poteva arrivarci prima, però. Si sarebbe risparmiato numerosi mal di testa e, forse, la sua salute mentale ne avrebbe anche giovato.
Con Jordan ci era anche andato particolarmente vicino, ma forse in quell’occasione la sua buona azione non era stata del tutto… disinteressata, ecco.
«Comunque gliel’ho detto.»
La fastidiosa voce di Sterling lo richiamò prepotentemente dai suoi pensieri.
«Di che accidenti stai parlando?» lo interrogò Sebastian.
Jeff scrollò le spalle. «Io e Nick abbiamo deciso di dirgli che stiamo insieme, quindi tu non avevi più motivazioni valide per ricattarmi.»
Sebastian sgranò leggermente gli occhi. «Tu… cosa?»
Quello non era decisamente previsto.
E il ghigno sul viso dell’altro non prometteva nulla di buono. «Che sarà mai» ridacchiò, «è stato un gesto carino, è giusto che lo sappia.»
«Tu» iniziò Sebastian, le mani strette a pugno e la salivazione azzerata. Sterling non era affidabile, avrebbe dovuto saperlo che a contare su di lui non ne avrebbe ricavato che rogne.
E, intanto, le cose da giustificare a Thad aumentavano a dismisura.
Ma andava bene così: si sarebbe tranquillizzato, avrebbe mangiato ed avrebbe impedito a chiunque di rovinargli quella giornata di meritato e guadagnato riposo.
Intanto, Sterling era comunque un uomo morto, ma forse la sua esecuzione poteva essere rimandata di un paio di giorni.

 
Avevano pranzato continuando a ridere, scherzare e, occasionalmente, anche cantare. Sembrava che ogni parola o frase richiamasse alla mente esilaranti ricordi e imbarazzanti aneddoti e Sebastian si era più volte domandato come aveva potuto pensare, anche solo per un attimo, che quelle fossero persone normali. Non lo erano per nulla.
Erano una folle e psicopatica manica di cretini e lui, per dei motivi che avrebbe approfondito in seguito, si era trovato inspiegabilmente a farne parte.
Trent aveva vinto il premio del "Miglior cazzaro della giornata”, vista la quantità di idiozie che era riuscito a sparare in neanche due ore, e Sterling e Duvall erano finalmente usciti allo scoperto. Thad li aveva guardati per un attimo e poi aveva scrollato le spalle con un'espressione alla tanto-lo-sapevo-già. Jeff aveva sorriso e lo aveva abbracciato e Sebastian si era ritrovato ad invidiare profondamente il rapporto che li legava.
Non riusciva a definire "idiota" il modo in cui il biondo aveva acconsentito a mantenere il segreto con il suo miglior amico, nonostante questo gli causasse indicibili sensi di colpa e lo facesse obbiettivamente stare male.
Probabilmente, Thad stava già passando un brutto periodo a causa sua e i suoi migliori amici non volevano che la loro gioia gli fosse motivo di ulteriori pensieri e, perché no, invidia.
Era quello che voleva dire mettere al primo posto qualcuno.
Qualcuno oltre te, a cui tieni come a te stesso e per cui vuoi fare qualcosa a tutti i costi. Senza ricevere nulla in cambio, senza bisogno che l'altro lo sappia, ma solo perché ti va e perché ne senti il bisogno.
Sebastian non credeva di essere in grado di comportarsi in tale maniera, eppure, stando a quello che gli aveva detto Jeff, era proprio quello che aveva fatto e non riusciva a biasimarsi.
E ci erano voluti solo numerosi mal di testa e una mini-Odissea in stile Christmas Carol per farglielo capire. Bene.
Però adesso Thad era di fronte a lui, Jeff gli teneva un braccio intorno alle spalle e confabulava con lui di chissà quali avvenimenti esaltanti. Ridacchiavano e si spintonavano, Sterling si allungava a baciare Duvall sulle labbra e poi tornava immediatamente dal suo migliore amico che scuoteva il capo rassegnato ma divertito.
E Sebastian rideva, sentendosi appena un po’ più stupido.


"Mi raggiungi fuori? Senza mammina e papino possibilmente. - S"
Sebastian aveva deciso di allontanarsi quando Ethan aveva domandato a Nick e Jeff come avevano capito di voler stare insieme. Era una storia che non gli interessava e che sapeva avrebbe sentito in tutte le salse tante altre volte. Il suo benessere psicologico veniva prima di tutto il resto.
Quella giornata si stava rivelando più rilassante e tranquilla del previsto e Sebastian si era ritrovato a ringraziare mentalmente Thad per aver insistito così tanto affinché lui andasse.
«Ehi» la sua voce lo richiamò dai propri pensieri, facendolo voltare e incontrare il suo sguardo.
Sorrideva serafico, stretto nella felpa, sull'uscio della porta del piccolo disimpegno nel quale si trovava Sebastian. Aveva pensato di uscire un po’ all'aria aperta, ma faceva davvero troppo freddo, così il posto più lontano dalle chiacchiere dei Warblers che era riuscito a trovare era un microscopico salottino accanto all'ingresso dello chalet nel quale stavano alloggiando.
«Ci hai messo un po’» constatò Sebastian.
Thad rise. «Mica mi hai detto dov'eri?» gli fece notare.
Sebastian scrollò le spalle, muovendo qualche passo verso di lui e vedendolo arretrare fino a toccare il muro.
«Perché scappi?» ghignò.
Thad fece una smorfia. «Non sto scappando, mi sto mettendo comodo.»
«Possiamo sederci, se vuoi.»
E Sebastian non voleva suonare così suadente, ma l'idea di lui e Thad seduti sullo stesso divano in una stanza vuota mandava sensazioni differenti e contrastanti in più parti del suo corpo che non sapeva come affrontare e gestire.
L'altro parve pensarci un po’ su, poi annuì e si allontanò da Sebastian, lasciandosi cadere sull'unico divano presente nella stanza. Quello lo fissò un attimo, cercando di allontanare dalla mente le immagini poco caste che la affollavano e che comprendevano lui, Thad e una qualsiasi superficie piatta, dopodiché, sospirò e andò a sedersi accanto a lui. Thad sembrava di buon umore, notò. Ridacchiava fievolmente, umettandosi le labbra di tanto in tanto e spostando lo sguardo su qualunque cosa non fosse Sebastian. Sembrava che si stesse sforzando di non ridere e Sebastian non riusciva a comprendere il motivo di quella improvvisa ilarità.
«E, di grazia» sbuffò, «cos’è che ti fa tanto ridere?»
Thad si voltò a guardarlo. Erano talmente vicini che Sebastian si stupì di non aver ancora approfittato di quella vicinanza e mandato all’aria ogni suo buon proposito.
Quello si morse un labbro. «Tu» rispose semplicemente, ma poi, al repentino mutare dell’espressione di Sebastian, si affrettò ad chiarire «Cioè, questa situazione» specificò.
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Devo continuare a tirarti le parole dalla bocca con le pinze, oppure ti spieghi da solo?»
Thad si mosse a disagio sul divano. «Non fraintendermi» lo avvertì subito, «sono felice di riuscire a stare… così con te.»
«Così» ghignò Sebastian, «seduti sullo stesso divano e senza che io provi a strapparti i vestiti da dosso?»
Sorrise nel vedere il rossore spandersi sulle guance di Thad e, inconsciamente, si ritrovò ad avvicinarsi maggiormente a lui. Thad sospirò, incrociando il suo sguardo e facendo una smorfia.
«È questo il problema» puntualizzò, «come siamo arrivati a… a questo in appena due giorni?»
E Sebastian lo sapeva che Thad meritava una spiegazione più adeguata e soddisfacente ma, nonostante tutto, non si sentiva in grado di fornirgliela. Né in quel momento e né, forse, mai.
«Cosa vuoi che ti dica?» si ritrovò a sussurrare, «Credevo che certe cose fosse meglio dimostrarle, invece che esporle a parole.»
Non era pratico di quel genere di rapporti. Poteva basarsi solo sul sentito dire e su una vasta gamma di cliché e luoghi comuni inconsistenti e sterili.
Thad parve pensarci un po’ su; si accomodò meglio sul divano, incrociando le mani nella tasca della felpa.
«È inutile che fai il finto tonto, Harwood» lo ammonì Sebastian, seccato, «so benissimo che Sterling ti ha raccontato tutto.»
Se Thad stava fingendo, Sebastian si appuntò mentalmente di fargli recapitare un Oscar per la perfetta performance.
«Tutto cosa?» Domandò aggrottando la fronte.
Sebastian roteò gli occhi. «Di me che gli chiedevo di aiutarti a ripetere per il compito.»
Nel caso in cui Sebastian avesse ancora avuto qualche dubbio circa la sincerità di Thad, in quel momento, la palese sorpresa dipinta sul suo viso lo costrinse a credere alla sua buona fede.
«Sei stato tu?»
«Dio, non ne sapevi nulla?» E non era una domanda, Sebastian non aveva bisogno di una risposta per sapere che avrebbe decisamente dovuto trovare un modo per far passare a Sterling la voglia di fare lo spiritoso.
Thad scosse il capo e Sebastian avrebbe davvero voluto sapere cosa gli passava per la testa in quel momento.
«Io» iniziò incerto, «cioè, suppongo di doverti ringraziare.»
Sebastian fece una smorfia. «Non lo so» constatò, «immagino che il viver civile e le buone maniere lo suggeriscano, sai?»
«Ma io non capisco» sbottò Thad, improvvisamente, e Sebastian si ritrovò a pensare che magari se lo avesse baciato fino a morire, poi non avrebbe avuto più tutta quella voglia di parlare.
«Sentiamo» lo invitò sinteticamente a continuare.
Thad scrollò le spalle. «Insomma» mormorò, «fino a qualche giorno fa non potevo aprire bocca senza che tu mi insultassi o prendessi in giro, non passavi giorno senza darmi addosso e senza impegnarti al massimo per rendermi la vita un inferno e, davvero, per un po’ ho creduto che volessi sceglierla come professione perché sembravi divertirti proprio tanto» tacque, prendendo un profondo respiro e abbassando lo sguardo, «e poi… questo e… e io non so come devo comportarmi.»
Sebastian si morse un labbro. Non sapeva bene come rispondere e come giustificare quel repentino cambiamento di atteggiamento nei suoi confronti. Era stato tutto troppo… avventato ed improvviso e non riusciva a rendersi conto di quanto davvero sembrasse immotivato.
«Io» provò a spiegare, «volevo solo… sentirti, cazzo» buttò fuori, «sembrava che quello fosse l’unico modo per averti un po’ per me.»
E forse non voleva essere così sincero, ma non appena le parole lasciarono le sue labbra, Sebastian si stupì di quanto sembrassero reali e di quanto, probabilmente, era sempre stata quella la verità.
Sentì distintamente Thad trattenere il respiro e si compiacque per quella piccola ma significativa conquista.
«Un po’ bizzarro come modo» considerò il ragazzo, la voce che tremava appena.
Sebastian gli rivolse la sua migliore occhiata scettica. «Non mi pare che il risultato ti dispiaccia» gli fece notare.
Thad rise. «Sarebbe carino se tu provassi a farmi sentire meno scemo, sai?»
«Per quanto io sia onnipotente, Thaddy, certe cose non si possono proprio evitare» ribatté Sebastian. Era una situazione insolita perché vi era quella strana elettricità nell’aria che non sapeva come classificare ma che non era affatto spiacevole. Se ne stavano seduti su quel divano, talmente vicini da rendere impossibile stabilire dove finisse Sebastian ed iniziasse Thad, a parlare di sentimenti e cose stupide come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Lo sospettavo» sospirò Thad. «Allora magari torniamo di là?»
Sebastian piegò un labbro, abbozzando un sorriso. «Perché, a confronto con gli altri ti senti più intelligente?»
«No» considerò Thad, «perché sono veramente ansioso di scoprire i dettagli della struggente storia d’amore di Nick e Jeff.»
«Struggente e inaspettata» puntualizzò Sebastian.
Thad si alzò in piedi. «Soprattutto quello» concordò.
Sebastian lo raggiunse, continuando a sorridere e infilandosi le mani nelle tasche. «Magari potrebbe essere divertente.»
Sarà, ma, mentre seguiva Thad fuori dalla sala, ebbe l’impressione che, da quel momento in poi, parecchie cose gli sarebbero sembrate divertenti.   

Sebastian aveva perso la cognizione del tempo. Sapeva solo che il cielo fuori dalle finestre si era fatto scuro e che presto il suo fondoschiena avrebbe assunto la forma della poltrona su cui era seduto da, quanto?, due ore?, non ne aveva idea.
Dopo pranzo, la voglia di ritornare in pista era scemata lentamente ed avevano tutti preferito riunirsi nel salottino e riposarsi davanti a un paio di cioccolate calde ed un camino acceso.
«No, più in basso.»
Sebastian alzò lo sguardo. Jeff condivideva una poltrona con Trent. Quest’ultimo reggeva il cellulare tra le mani e ne fissava lo schermo con ferma concentrazione.
«Jeff, maledizione, questo coso è stupido» borbottò.
Sterling si chinò su di lui. «No, non lo è» si difese. «Punta qui» suggerì indicando un punto sul display.
Nick sedeva sul bracciolo e lanciava sguardi divertiti ai due, chiacchierando di tanto in tanto con Thad, seduto sul divano lì accanto.
Sebastian si rigirò la tazza tra le mani, accoccolandosi maggiormente e cercando di combattere quella improvvisa stanchezza che lo aveva colto a tradimento.
«Te lo avevo detto!» Il grido esultate di Sterling lo riscosse dal suo stato di torpore.
«Si è mosso il coso di vetro?» Domandò David, sinceramente divertito.
Jeff annuì soddisfatto e Sebastian si svegliò definitivamente.
«Solo a te poteva piacere un gioco tanto idiota» intervenne Ethan, scuotendo il capo.
«Ma no» concesse James, «neanche a me dispiace, ma quella di Jeff credo sia una deformazione mentale.»
«Ehi!» Si risentì Jeff. «La smettete di parlare come se io non fossi qui?»
«Oh, ma noi sappiamo perfettamente che tu sei qui» precisò Thad.
«È per questo che parliamo così» gli diede man forte Flint.
Sebastian roteò gli occhi, non potendo impedire a se stesso di sorridere. Sorriso che però gli scomparve del tutto dal viso non appena Sterling parlò di nuovo.
«Non siate così cinici» disse, «Angry Birds è un gioco di tutto rispetto» dichiarò solenne.
Sebastian sbatté un paio di volte le palpebre. No, doveva aver decisamente capito male.
«Angry Birds?» Volle accertarsi, sotto shock. Dio, aveva passato giorni a scervellarsi e a domandarsi di cosa diavolo stesse parlando e la risposta non poteva essere così... deficiente. No, quello era troppo anche per il platinato.
Jeff annuì. «Vuoi provare?» Propose con voce suadente.
Sebastian sbuffò. «Cosa ti fa pensare che io voglia perdere tempo con giochetti così infantili?»
«Secondo me non sei capace» suggerì cautamente Ethan.
«O forse sai di non poter eguagliare il record di Jeff» annuì Flint.
Il diretto interessato roteò gli occhi. «O forse semplicemente non mi va» ironizzò, un sorriso compiaciuto in viso.
«O forse hai solo paura di perdere.»
Sebastian rivolse a Jeff un'occhiata particolarmente omicida. «Ripetilo» scandì lentamente.
«Ho detto» ghignò Jeff. «Che probabilmente hai paura di non riuscire a battere me.»
Un coro di patetici "ohhh" si levò dagli altri Warblers. Sebastian si leccò un labbro. «Mi stai sfidando, Sterling?»
Quello, in tutta risposta, fece una smorfia. Una sfida era pur sempre una sfida. Anche se patetica e non nel suo stile.
«A quanto pare sì» si intromise Nick.
Trent batté le mani festante. «Vogliamo vedere il sangue!» Si esaltò.
«Disse colui che sviene durante i prelievi» sghignazzò Thad.
«Per cortesia, Nixon» intervenne James, «nessuno di noi ha intenzione di portarti al pronto soccorso.»
«Dal momento che il più vicino è praticamente a Westernville.»
Trent ridacchiò, per nulla turbato da quelle bonarie prese in giro e Sebastian si ritrovò a pensare che le cose erano due: o era un imbecille, oppure gli voleva davvero tanto ma tanto bene.
«Ci stai, Smythe?» Lo sfidò Sterling. «Io contro di te.»
Sebastian ci pensò un po’ su. «Che ci giochiamo?» volle sapere.
«La virilità» suggerì qualcuno.
«Allora Jeff ha già perso» dichiarò Flint.
«Ehi!» lo ammonì Nick. «Bada a come parli al mio ragazzo!»
Sterling sorrise, tuffandosi, letteralmente, sulla bocca di Duvall e impedendo a entrambi di parlare per qualche secondo.
«Gente, prendetevi una camera» propose David. «Siete disgustosi.»
«È tutta invidia.»
«Chi perde eviterà di mettere il naso degli affari dell'altro» stabilì Jeff, una volta separatosi da Nick.
E l'occhiata eloquente che gli rivolse, unita al sorriso complice che gli regalò Thad, suggerì a Sebastian che sì, quella situazione era decisamente allettante.
«A noi due, biondina.»

Il paesaggio scorreva sbiadito e monotono attraverso il finestrino dell’auto. Sebastian stava cercando di rimanere sveglio, ma l’andamento regolare del veicolo e le luci soffuse dell’autostrada, non contribuivano a rendere fattibile tale intento.
Alla fine, la giornata non era stata per nulla da dimenticare. Certo, magari un po’ delirante e sicuramente diversa dal solito, ma si erano divertiti tutti e Sebastian dovette ammettere a se stesso di essere stato bene.
Non vi era un modo carino per accertarlo, eppure lui si rendeva conto di voler davvero provare a far parte di quella famiglia. Certo, rimanendo comunque il Sebastian Smythe a cui tutti erano abituati, ma provando ad… andare in contro a quel fastidioso bisogno di avere qualcuno intorno che ogni tanto lo coglieva impreparato.
Il silenzio riempiva l’abitacolo dell’auto e Sebastian sospirò, posando il capo al poggiatesta dietro di sé e chiudendo gli occhi.
Si era ritrovato nella “macchina divertente”. Non sapeva ancora bene come, ma qualcosa gli diceva che ci fossero Chris Martin e Gwyneth Paltrow dietro quell’improvviso cambiamento. Fatto sta che adesso lui era insieme a Duvall e compari e David era in macchina con Flint.
Che poi, macchina divertente…
Eccezion fatta per Nick che era alla guida, erano crollati tutti, uno ad uno, ed ora il massimo divertimento consentito era contare i segnali stradali o le auto blu.
D’un tratto, poi, accaddero più cose contemporaneamente. L’auto frenò leggermente, Duvall imboccò una curva in maniera poco aggraziata e Sebastian si ritrovo la testa di Harwood sulla spalla.
Trattenne il fiato, analizzando velocemente la situazione e valutando se spostarlo o meno. Dall’altra parte, Nixon dormiva beato, la bocca leggermente schiusa e la testa poggiata scompostamente al finestrino.
Sebastian si sforzò di trovare fastidioso quel peso innaturale, eppure, nonostante le ragioni ci fossero tutte, non riusciva a considerare spiacevoli i capelli di Thad che gli solleticavano il collo o il suono del suo respiro regolare così vicino al suo.
Rimase immobile, non sapendo cosa fare e stando attento a non compiere movimenti bruschi per evitare di svegliarlo.
Un Thad Harwood addormentato era incredibilmente peggio di un Thad Harwood sveglio. Almeno per il delicato autocontrollo di Sebastian.
«Non si sveglierà.»
La voce di Duvall lo riportò nuovamente alla realtà e Sebastian si ritrovò ad incrociare i suoi occhi attraverso lo specchietto retrovisore.
«Ha il sonno pesante» proseguì quello, «credo che potrei anche dare fuoco all’auto e Thad continuerebbe a dormire come se il fatto non lo riguardasse.»
Sebastian piegò un angolo della bocca in una parvenza di sorriso e tornò a concentrarsi sul panorama alla sua sinistra. Quel ragazzo, forse, non avrebbe mai smesso di sorprenderlo.
Per un po’ nessuno parlò e Sebastian iniziò a sentire gli occhi pesanti e il sonno ripresentarsi con prepotenza.
«Sebastian» proruppe Nick all’improvviso, «io lo so che ci tieni a lui-»
«Risparmiami la paternale» lo interruppe l’altro, «ci ha già pensato tua moglie.»
Duvall ridacchiò, gettando uno sguardo adorante al compagno addormentato al suo fianco.
«Jeff magari ha dei modi un po’… inappropriati» concesse, «ma ti garantisco che è animato dalle migliori intenzioni.»
Sebastian sbuffò. «Certo, farmi girare le palle. Ci riesce benissimo.»
Avvertì il sospiro avvilito di Nick e roteò gli occhi, preparandosi alla sfuriata che avrebbe seguito il “come hai osato offendere il mio amorino cicci-picci”. Era maledettamente frustrante.
«Jeff e Thad sono amici da un tempo infinito, Sebastian» riprese, «non puoi davvero pensare che lui ti conceda il suo beneplacito senza essersi prima accertato delle tue intenzioni.»
«È questo il problema, Duvall» chiarì Sebastian, «non ho bisogno del suo lasciapassare e non aspetterò certo di averlo. Se Harwood è quello che voglio, me lo prendo.»
Tacque, metabolizzando il significato di quelle parole e attendendo che anche Nick facesse altrettanto. Era indubbiamente la verità, ma non avrebbe voluto essere così brusco nel buttarla fuori.
«Lo vuoi?» Domandò l’altro.
Sebastian si morse un labbro. «Io.. sì» confessò. «E lui vuole me, quindi, cortesemente, evita di farmi notare quanto io sia egoista e prepotente.»
«Non era mia intenzione farlo» negò Nick, «so perfettamente che Thad è interessato a te, Sebastian. Siamo i suoi migliori amici, ricordi?»
L’altro sospirò pesantemente. «E allora perché stiamo ancora qui a parlarne?»
«Perché sono mesi che Thad ti muore dietro» spiegò, incrociando nuovamente il suo sguardo, «ma tu non hai mai mostrato di essere interessato a lui. Perdonaci se la cosa ci ha sorpreso.»  
Sebastian non rispose, si limitò ad abbassare il capo ed incontrare i lineamenti delicati di Thad. Forse era vero, stava sbagliando tutto con lui. Thad era esattamente il suo opposto, non avrebbero mai potuto costruire nulla di concreto con quelle basi.
«E comunque» continuò Nick, «per quello che può valere, ce l’hai.»
L’altro sbatté un paio di volte le palpebre, perplesso. «Cosa?»
Nick ridacchiò. «L’approvazione di Jeff. E anche la mia.»
Sebastian si morse l’interno della guancia per non ridere. «Credevo di averti detto che me ne infischio di quello che pensate voi.»
Non poteva vederlo in viso, dal momento che era seduto dietro di lui, ma Sebastian era sicuro che in quel momento l’espressione di Nick comprendesse un enorme sorriso compiaciuto.
«Lo hai fatto, è vero» argomentò sapientemente, «ma sappiamo entrambi che in realtà muori dalla voglia di sentirti dire che le cose tra voi possono funzionare.»
«Quanta saggezza» borbottò Sebastian. «Dovresti fare il moralizzatore, sai? Pagano bene.»
Nick scosse il capo e Sebastian si sentì inspiegabilmente più sollevato. Forse si stava solo facendo troppi problemi.
Thad continuava a dormire contro la sua spalla e Sebastian si chiese come sarebbe stato passargli un braccio dietro alla schiena e attirarlo a sé.
Fu innaturalmente semplice farlo. Sentire la consistenza del corpo di Thad contro il proprio e avere la certezza di essere nel posto giusto al momento giusto. Forse Thad non se ne sarebbe neanche accorto, ma non appena Sebastian gli cinse il braccio intorno alla vita e avvertì l’altro mugugnare soddisfatto, seppe che un’altra cosa era finalmente andata a posto.
Alzò lo sguardo allo specchietto retrovisore, incrociando immediatamente gli occhi di un Nick particolarmente sorridente.
«Stai zitto, Duvall» mormorò, sorridendo a sua volta.
 







Noticine carine carine.
Eccoci giunti alla fine. Da questo momento in poi, manca solo l’epilogo per salutare definitivamente questa storia. La cosa non mi sta facendo sprofondare in un baratro di disperazione e malinconia, assolutamente no.
Sono in ritardo e mi scuso profondamente. Avevo detto che l’aggiornamento sarebbe slittato di un paio di giorni, ma alla fine ho preferito rimandarlo direttamente a lunedì per mantenere una parvenza di regolarità.
Questo capitolo è stato difficile da scrivere perché avevo tante idee ma non sapevo bene come metterle su carta. I Warblers, Sebastian e Thad, i Niff, lo scioglimento della vicenda, il coso di vetro (a proposito, sorpresi? L’avevo detto io che aveva senso xD)… doveva rientrare tutto in questo capitolo e doveva farlo anche in maniera decente. Spero di non aver deluso nessuno, so che in molti aspettavate che la storia si risolvesse e, alla fine, mettere la soluzione in bocca a Jeff mi è sembrata la cosa più naturale.
Non vi nascondo che Sebastian mi ha parecchio fatto penare, comunque, ma questo è un classico ormai xD
Ad ogni modo, la dedica di questo capitolo è divisa in due parti:
Innanzitutto, un grazie immenso alla meravigliosa Vals che, oltre ad essere quello che è, mi ha autorizzata a sparpagliare in questo capitolo alcuni pezzi del nostro delirare. Sì, messaggiare con lei, fingendo di essere Sebastian e  Thad, a volte è particolarmente ispirante. In particolare, e a questo ci tengo, la frase “volevo solo…sentirti, cazzo. Sembrava che quello fosse l’unico modo per averti un po’ per me” è di sua proprietà, ma io l’ho adorata a tal punto da doverla inserire per forza!
La seconda parte della dedica, e chiamatemi pure pazza, e per la mia gatta malaticcia che in questi giorni mi sta facendo preoccupare in maniera immane. Ciccina, fai la brava che mammina ti vuole tanto bene.
Non ho altro da aggiungere, se non un enorme ringraziamento a tutti coloro che si fermano, anche non con una recensione, a farmi sapere cosa ne pensano della storia. Sto ricevendo davvero tante gratificazioni e non posso che esserne lusingata e sorpresa. Grazie mille a tutti!

Vi ricordo i soliti link utili a cui trovarmi: Facebook e Twitter

Angolino pubblicità: se qualcuno volesse leggere un paio di Thadastian divertenti e adorabili, vi linko quelle scritte della mia Vals che, a mio parere, meritano: Checkmate e Sleepwalking

A lunedì prossimo,
Thalia.


   
 
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