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Autore: Midori_chan    12/06/2012    1 recensioni
CESARE BORGIA/ MICHELOTTO CORELLA
Si svegliò con il calore sulla schiena, ma ricordava perfettamente che l’ultimo suo sguardo era andato ad un cielo terso di nuvole bianche di neve. [...]
Il respiro era calmo e regolare, i passi erano lontani, il momento si stava avvicinando e lui era pronto. [...]
Cesare Borgia era il suo demone, nessuno lo odiava quanto lui e nessuno lo amava quanto lui, viveva per grazia di un equilibrio impostogli proprio da Cesare. [...]
Uno degli uomini gli afferrò i lunghi capelli mori e iniziò a trascinarlo fuori dalla stanza; il Corella non riusciva più a dibattersi quanto la dignità avrebbe richiesto, il veleno aveva fatto il suo corso e non si sentiva più le membra, i muscoli erano tavolette d’argilla e la carne cotone impregnato d’olio.
Genere: Azione, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Bheeeeeè, ecco il secondo ed ultimo capitolo di questa storia che mi ha fatto penare, ma l'ho amata e sono contenta che mi sia stata proposta di scriverla.
Ho incominciato ad adorare Michelotto, spero piaccia anche a voi, per me sarà il mio personaggio meglio riuscito :D
Borgia...uhm, Cesare è carino anche nella sua stronzaggine **
Questa è la fine di un bel progetto per i miei gusti e spero di trovare qualcos'altro di interrassante da scrivere tramite "Fanfiction su commissione"

  Alla prossima, Mid_

Twitter/Faccialibro


||Il boia del Valentino||
II

 

 






Era così da Pisa, così dal loro primo incontro, dal primo sguardo: quando Cesare ordinava Michelotto eseguiva, non che ha quest’ultimo dispiacesse.
Il Corella si conosceva, sapeva di essere un uomo nato per servirne un altro ed era meraviglioso essere assoggettato al Borgia invece che a qualche d’uno senza lo stesso potere e lignaggio.
Aveva messo la sua vita nelle mani di quell’uomo, gli aveva permesso di controllarlo, di possederlo, ma nulla riceveva in cambio e nulla desiderava.
A volte gli bastava l’odore del sangue, a volte preferiva la consistenza di un osso spremuta dalla sua sola forza, altre volte l’opprimente peso del suo corpo sopra di lui e dentro di lui.
Il Borgia disponeva del suo assassino quando voleva, ma se desiderava altri li aveva; il Corella no, il suo fisico doveva appartenere solo e soltanto al nobile o le conseguenze sarebbero state orribili.
Questo temeva il giovane, perché anche se era un apatico omicida l’unica cosa che lo spaventava era Cesare; era sicuro che il suo Signore sapesse delle violenze subite ed era per questo che si lavava con inusuale cupidigia e lentezza atte a ritardare l’incontro.
-Signore, vi sentite poco bene, volete che vi lavi io?-, Michelotto, dentro il bacile, non rispose al servo, ma lasciò l’acqua raffreddarsi.
Si passò le mani sopra i lividi scuri, quelli della prigionia e sospettò che altri ne avrebbe avuti dopo la sua visita nelle stanze del Signore.
Il Borgia non era altro che fango impastato con sangue, come i mostri della storia romana così era lui: superbo e capace di tutto, anche di uccidere il suo cane fedele se lo avesse tradito.
Arrivò il momento in cui la veste di cotone rossa venne posata sul dorso ancora umido dell’assassino e non poté più rimandare l’inevitabile confronto.
Percorse il corridoio sotto lo sguardo del moccioso che lo aveva aiutato a lavarsi e vestirsi, poi arrivato alle scale venne lasciato solo.
Raggiunto il piano superiore capì di trovarsi nella tenuta estiva del Signore, anche se la stagione non era quella giusta per essere in quel luogo.
Le stanze arredate con gusto sfilavano sotto i suoi occhi, stanze, quelle, che aveva aiutato a decorare rubando opere d’arte, armi particolari, teli d’oriente e spezie delle terre sconosciute oltre lo stretto di Gibilterra. Il suo padrone sedeva su di uno scranno ammantato di nero, superbo risaltava con la sua veste da camera di un bianco pulito.
-Signore-, disse Michelotto inchinandosi al suo cospetto.
-Tu, mio adorato servitore, avvicinati e bacia i miei piedi-, parlò gentile, come quando si rivolgeva a qualche nobile suo pari, ma quel tono nascondeva un ordine ben preciso. Il Corella fece come ordinatogli, inginocchiandosi davanti le gambe coperte con cura e abbassando la testa con umiltà e sottomissione, baciò la caviglia forte poco più chiara della pelle esposta al sole del collo e del viso.
Il calcio non lo colse alla sprovvista, aveva sentito i muscoli contrarsi per prepararsi al movimento, ma non se ne sottrasse consapevole di meritare tale punizione. Il colpo lo allontanò facendolo piegare su se stesso, la mano sporca di sangue per tentare di fermarne la fuoriuscita dal naso.
-Perdonatemi Signore-, biascicò l’assassino, ma il tono non suonava affatto sottomesso come il Borgia desiderava.
-Pensate di meritare il mio perdono?-, gli domandò alzandosi autoritario mostrando la sua altezza.
L’altro non rispose, si asciugò la bocca sulla quale colava il liquido scuro e vischioso, gli occhi a terra.
Il Signore si piegò e con un fazzoletto pulì il viso di Michelotto per potergli afferrare il viso senza macchiarsi la veste.
-Un altro uomo ti ha toccato, ti ha posseduto…-, argomentò la sua ira.
-E’ stato contro il mio volere e sotto sostanze inebrianti, mio Signore-, provò a rabbonirlo il Corella.
-Ti sei lavato con cura?-, chiese Cesare lasciandogli il mento, camminò fino al grande baldacchino e vi si adagiò sopra.
-Si, padrone-
-Allora toccami con la tua bocca-, disse indicandosi con un dito l’inguine.
Poteva non obbedire? Voleva non obbedire? Perché alla fine il problema era quello, lui voleva, a Michelotto essere schiavizzato piaceva, se ne compiaceva, vi si crogiolava, ma non lo avrebbe mai dato a vedere.
Si alzò che ancora si tamponava il sangue, il sapore ferroso di esso si mischiò presto con quello amaro del suo Signore.
Il Borgia non emise neppure un sospiro e non sembrava trattenersi, semplicemente non era uomo a cui qualcosa del genere bastasse; il nobile allungò una mano a stringere i glutei dell’assassino, sodi e forti erano contratti ma appena il padrone vi pose la mano sopra i muscoli si sciolsero lasciando entrare con facilità il dito al loro interno.
Tanto era freddo Cesare tanto lo era Michelotto, quasi solo per competizione, ma anche per nascondere quella sua natura, per non far capire al suo Signore che a lui quella violenza piaceva, altrimenti sapeva che quello avrebbe smesso non più compiaciuto di poterlo costringere in tali azioni.
L’inserimento di un altro dito fecero gemere il moro più piccolo, se ne pentì subito poiché l’altro lo spinse via.
Il Corella rimase sdraiato sulla schiena, il respiro corto che cercava di nascondere con una mano e il corpo semi nudo con la veste arrotolata fino al petto, i capezzoli scuri visibili.
Cesare si voltò a guardarlo, sembrava perfino disgustato,- Vestiti, tra poco ti mostro ad una persona-, aveva detto improvvisamente, ma le sue parole contrariavano i suoi movimenti; con uno scatto veloce era entrato nel corpo dell’altro, le gambe alzate sopra le sue spalle per entrare più in profondità: era una punizione.
Quanto amava essere punito Michelotto.
 
 
Aveva ancora il sapore del suo Signore nella gola, sdraiato sul letto era solo, l’altro lo aveva lasciato da qualche minuto per andare a ricevere l’ospite di cui aveva parlato. Lì, sul quel materasso morbido, il Corella aveva tempo di pensare.
Doveva inventarsi un modo per farsi perdonare. Gli venne in mente un’unica cosa: la prossima missine sarebbe dovuta andare perfettamente, senza intralci, liscia come l’acqua che passava sotto il Ponte Vecchio di Firenze.
Mentre si massaggiava il naso gonfio e ancora dolorante, il ragazzotto che lo aveva servito nelle ultime ore si presentò nella stanza con l’intenzione di condurlo dal suo Signore.
Sentiva nuovamente male ai muscoli, ma lo seguì attraverso gli spazi chiusi del cortile, del portico e della serra.
Una luce primaverile invase la sua visuale e un calore contrario alla stagione invernale lo prese.
Com’era possibile che Borgia fosse tanto potente da ricreare la primavera nel suo studio?
Dalle porte finestra, il Corella, percorse con lo sguardo la stanza dall’altra parte del vetro: c’era il suo Signore e un uomo dall’aspetto imponente quanto Cesare, suo padre Rodrigo.
Il suo padrone lo chiamò con un movimento elegante della mano e lui, servile, fece come ordinatogli.
Se guardava Rodrigo aveva la sensazione di poter scorgere l’aspetto futuro del suo Signore: ancora forte, ancora potente, temibile e rispettabile.
-Così è questo il tuo cagnolino…-, lo osservò attentamente l’uomo maturo, Michelotto se ne stava ritto poco distante dalla sedia raffinata con in volto la sua maschera migliore: l’indifferenza.
La stessa faccia che aveva conquistato Cesare, quella che gli aveva fatto capire con una prima occhiata che quel ragazzo era diverso da tutti gli altri.
 
Il ragazzo dai capelli mori sedeva a terra, una gamba alzata, dietro una colonna porosa; teneva in mano un libro, con la copertina di cuoio, chiuso e fissava la parete davanti a lui. Aveva lo sguardo vacuo, perso in qualche pensiero importante, così non si accorse degli occhi curiosi di un giovane influente.
-Sei quello che  è arrivato da poco, Miguel da Corella?-, domandò imperioso appoggiandosi al muro davanti al ragazzo.
-Se sapete la risposta…-, distolse gli occhi il giovane.
Quell’ala dell’università era sempre vuota, a maggior ragione durante la visita del principe fiorentino Lorenzo De Medici; a Miguel non interessava stimarlo e al quel ragazzone che si trovava davanti era stato vietato dal padre.
-Cesare Borgia, immaginavo che prima o poi avrei fatto il vostro incontro-, continuò il moro alzandosi con un po’ di fatica poiché era stato a lungo in quella posizione.
-Che atteggiamento è mai questo?-, gli si avvicinò con un ghigno, era fin troppo incuriosito da quell’espressione sempre annoiata e indifferente, più del normale, era fuori dalla sua natura comportarsi in modo così interessato per delle persone.
-Dovrei inchinarmi?-, gli rispose coraggioso e il ghigno sparì dal volto bello e autoritario di Cesare, simbolo del suo potere futuro, diventando cemento.
Gli afferrò il colletto della camicia bianca e lo spinse addosso alla colonna; Miguel tossì sorpreso dal movimento repentino, cercò di liberarsi da quella stretta forte, ma non ci riuscì, solitamente la sua forza risaltava eppure quell’uomo era forte, molto forte.
-Cosa diav…-, non riuscì a maledire l’altro che quello gli infilò la lingua in bocca, zittendolo.
 
-Insolente il tuo cane, non si è neppure inchinato-, si lamentò il grande rivolto al figlio.
-Esegue gli ordini del suo padrone, vero Michelotto? Inchinati a mio padre, prostrati ai suoi piedi, mostrati servile come solo tu sai fare-, gli ordinò Cesare.
Il Corella si inginocchiò, allungò le mani alla caviglia ripetendo il gesto che aveva già fatto con il suo padrone.
-Carino-, sorrise Rodrigo tirandogli i capelli per fargli alzare il viso a guardarlo e l’altro, sottomesso e abbassato, mostrava ancora il suo solito viso vuoto.
-Capisco perché ti sei voluto prendere questo cucciolo, per quanto diversi, io e te, rimaniamo comunque padre e figlio-, rise di gola alzando il mento  dell’assassino.
-Perché sei qui, padre, cosa vuoi chiedermi?-
-Ho bisogno di questo tuo assassino per una questione-, rispose accarezzando distrattamente il viso di Michelotto.
Calò il silenzio per alcuni secondi, Cesare aveva giunto le mani sotto il mento pensieroso e circospetto.
-Perché dovrei darti qualcosa che è mio, sei una persona che può avere tutto, perché vuoi lui?-, quasi soffiò come un serpente velenoso.
-Figlio, dovresti obbedire a tuo padre…-, iniziò il nobile alzandosi, la mano si strinse nuovamente nei capelli mori costringendolo ad alzarsi con lui.
Anche Cesare si mise in piedi, pari altezza del padre e lo guardò torvo, dubbioso dell’atteggiamento così interessato che mai aveva mostrato.
-Cosa vuoi veramente da lui?-, chiese movendo la testa in direzione del suo cagnolino.
-Vorrei metterlo dentro un’arena a combattere con un ragazzino che mi da fastidio, come si fa con gli scorpioni o i polli-, rise abbassandosi all’altezza del viso dalla carnagione olivastra, i capelli neri tirati sempre di più come in una minaccia silenziosa.
-E’ ancora quel fiorentino, quel ragazzino che ha salvato Lorenzo a discapito tuo? Mi dispiace, ma Michelotto rimane qui, non servirà per qualche inutile battaglia-, si risedette credendo la questione chiusa.
-Non fare arrabbiare il tuo vecchio! Ho detto che mi serve e lo avrò. Conosco la sua fama, è forte e io devo vincere contro quel marmocchio impertinente. Dannato il giorno il cui in cui è nato!-, si infuriò e scagliò il giovane sulla scrivania per descrivere con più veemenza la sua ira.
Il Corella non proruppe neppure in un singulto, levò il viso verso il suo Signore che ghignò.
 
 
Miguel cercava di evitare il Borgia, non voleva invischiarsi con quell’influente ragazzino viziato, gli avrebbe causato solo problemi, ma l’altro era dell’opinione contraria.
Un giorno, sempre in quell’ala in disparte del grande edificio, dove il Corella si nascondeva dagli sguardi altrui, un gruppetto di ragazzi più grandi di lui si intromisero nel chiostro.
Il giovane alzò lo sguardo, un po’ annoiato e un po’ infastidito, in direzione di quelli, mentalmente sperò che non lo disturbassero, ma già il suo corpo era in piedi per sfogare lo stress di quei giorni.
-Guardate, c’è il tipo a cui piace farselo mettere in quel posto-, rise quello che sembrava il capogruppo.
Miguel sorrise, come accondiscendente e appena gli fu abbastanza vicino scattò agile.
Non ricordava di aver mai fatto alcun addestramento, forse lo aveva semplicemente nel sangue.
Il calcio arrivò alto, dritto sul naso e il capo dei gruppetto cadde a terra insanguinato, il restante degli “idioti” si preparava a vendicarsi dell’atto.
Erano quattro e quattro furono i corpi riversi a terra gementi con qualche non molto grave ferita.
Il Corella si girò con tutta l’intenzione di andarsene e stava muovendo un passo quando il primo ferito gli afferrò il piede facendolo cadere; gli salì sulla schiena per fermarlo a terra spingendogli il viso contro la pietra.
Con un ringhiò strozzato Miguel alzò il viso e vide Cesare sorridere, lo videro anche tutti gli altri e molto più velocemente di come erano venuti se ne andarono.
 
-Padre, padre…-, scosse la testa, - Non puoi venire in casa mia a darmi ordini e pretendere il mio cagnolino, lo capisci?-, aveva parlato in modo irriverente, in modo sfrontato anche per un figlio, ma Cesare non aveva paura del genitore, ne delle conseguenze, lo aveva già più volte, in passato, sfidato e sempre ne era uscito vincitore.
-Mi stai forse cacciato?-
-Ti sto invitando ad andartene. Se vuoi rimanere fallo, ma sto per prendermi il corpo di questo mio assassino, perché tutta questa situazione mi ha eccitato-, fece il giro del tavolo pregiato, mettendosi accanto al padre che aveva lasciato i capelli riccioluti del Corella.
-Mi hai convito a rimanere, ho proprio voglia di scoprire se quel viso rimane impassibile anche durante il sesso-, disse Rodrigo spostando la sedia in una posizione più favorevole e sedendosi con le gambe accavallate e le braccia incrociate.
Michelotto, piegato in quella posizione, sentì la durezza del suo Signore premergli in mezzo alle natiche; si aggrappò all’estremità opposta della scrivania e il Borgia più giovane gli sollevò la veste.
L’assassino guardava dritto davanti a lui e quasi sorrise alla vista del ragazzino, che lo aveva aiutato in quei giorni, nascosto dietro una colonna che li guardava.
Aprì un poco la bocca quando Cesare iniziò a strofinarsi sulla sua apertura per indursi maggiormente e la richiuse con uno scatto quando lo penetrò senza preavviso.
C’era il silenzio più assoluto nella stanza, solo il suono erotico dei loro corpi faceva da sottofondo.
Michelotto infilò le unghie nel legno, il padrone lo avrebbe punito, ma ora non poté farne a meno; sentì il suo Signore soffiare abbassandosi di poco sulla sua schiena nuda e gli fece salire dei brividi fino a sotto il collo.
Con il passare dei minuti, invece di regolare i movimenti, il Borgia cresceva ancora nelle sue viscere, eccitandosi sempre di più; artigliò i riccioli scuri e costrinse il corpo sotto il suo ad inarcarsi flessuoso.
Il giovane  sentiva la sua erezione sbattere contro il tavolo e questo gli procurava stilettate di dolore, dovute anche al fatto di non essere toccato.
Ma l’assassino era bravo a gestire il dolore, quello che lo metteva a disagio e gli creava problemi era il piacere, per questo  ringhiò basso, come un vero cane, quando Cesare passò una mano prima sul suo capezzolo e poi sulla sua erezione.
Il giovane Borgia lo aveva costretto ad alzarsi dal tavolo, lo stringeva tenendolo in piedi, non si muoveva più eppure continuava a rimanergli arpionano delle viscere.
Quasi gli faceva da seggiola, il Corella aveva i muscoli tremanti ancora intorpiditi per il troppo uso delle ultime settimane.
-Padre a te non piacerebbe un uomo che non piange sotto di te, è inutile per te questo cane-, parlò con disprezzo, verso chi o cosa però non si comprese.
-Forse hai ragione tu, ma mi hai incuriosito, il suo corpo è conturbante-
Cesare sbuffò fiato caldo tra i capelli del suo assassino e lo lasciò andare nuovamente mezzo disteso sulla scrivania; vi uscì con ancora il membro eretto e pulsante.
-Finisci pure, figliolo, me lo prenderò subito dopo…-, sorrise il più grande alzandosi tranquillamente ed uscendo dalla stanza.
Il Corella continuava a rimanere in quella posizione, indeciso su come comportarsi in quel frangente e parve fare bene: il suo Signore gli rientrò violentemente dentro deciso a concludere.
-Fammi sentire la tua voce-
-Signore…-, si lamentò soffocato.
-Ho detto-, parlò spingendosi con più forza,- fammi sentire la tua voce!-
L’assassino chiuse gli occhi, si concentrò sulle sensazioni, ma era nuovo per lui gemere e sospirare, ricordò la prima volta che Cesare l’aveva posseduto e gli sembrò così maledettamente simile a quel momento.
Aprì la bocca con in muto gemito, le guance gli si colorirono quando gli scappò un lamento stridulo.
 
-Vedi, questo dolore che senti ora? Sarò solo io a procurartelo, non contraddirmi o potrei ucciderti-
 
-Ti darò a mio padre-, disse dopo essersi riseduto sulla sedia, il Corella si stava ancora sistemando dopo che il suo Signore gli era venuto dentro.
-Padrone, non disubbidirò così ai suoi ordini?-
-Si, lo farai e sarò costretto ad uccederti…-
 
Il tramonto era appena calato alle spalle della torre di Pisa quando Miguel riuscì a tirarsi su dal letto.
Aveva passato l’intero pomeriggio sotto il corpo del Borgia; aveva perso la sua dignità, aveva perso il suo orgoglio e la sua libertà.
Era stato inutile combattere per ottenere il comando, quell’uomo era troppo forte, aveva un carattere imponente e da sovrano.
-Ora mi appartieni-, aveva pronunciato Cesare mentre si appropriava del corpo del giovane.
 
-Allora, Signore, uccidetemi ora. Credo di poterlo pretendere dopo tutti i servigi svolti per voi-, chiese sempre con il viso pieno di indifferenza.
-Tu pretendi?-, iniziò a ridere l’uomo guardandolo di sottecchi da dietro alcune carte che stava esaminando.
-O mi uccidete voi o lo farò io stesso-, era deciso in quello che diceva, preferiva la morte al tradimento.
-Vattene ora, sono stufo!-, fu l’ordine che ne seguì.
Il Corella si abbassò e prese dall’interno del suo stivale in cuoio un pugnale; levò il braccio e la mano con la lama.
-Vuoi farlo qui? Mi sporcherai l’ufficio-
-Una volta morto potete punirmi, se preferite, disse atono passandosi l’argenteo pugnale sulle vene scure.
Michelotto grugnì appena e chiuse gli occhi in attesa.
-Dannato idiota!-, gli urlò da quello che sembrava un posto lontano.
 
Aprì gli occhi confuso, non sembrava l’inferno ma il paradiso quello in cui si trovava: le coltri bianche e vaporose come le nuvole, la luce accecante e il soffitto affrescato con immagini di angeli.
Un colpo forte gli arrivò in pieno viso.
-Stupido, come hai potuto fare una cosa del genere?!-, il suo Signore sembrava del tutto sconvolto, arrabbiato e forse preoccupato. Si sicuramente si trovava in paradiso se Cesare Borgia era angosciato per lui, anche se non si capacitava del perché si trovasse lì, pensava bene di doversi ritrovare nell’infimo e bruciante Ade.
-L’ho fatto perché non volevo darmi ad altri uomini, anche se era vostro padre, anche se eravate voi ad ordinarmelo. Credo di amarvi dalla prima volta che vi ho visto-, parlò Michelotto credendosi ormai morto.
Cesare si appoggiò sull’addome del suo assassino accarezzandogli piano il viso.
-Sei solo il mio servo-
-Si, si è vero-
 

 
   
 
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