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Autore: LeftEye    12/06/2012    5 recensioni
Cercò di riportare alla mente cosa avesse visto nel sonno di tanto sconvolgente da farlo svegliare di soprassalto, ma tutto ciò che vedeva ancora del sogno erano degli occhi rossi.
Tanti occhi rossi.
E anche… ora ricordava! Una giovane donna.
***
Fanfic corretta e modificata! Il pianeta Vegeta è alle prese con un virus che trasforma tutti in zombie, come andrà a finire?
Genere: Avventura, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Nuovo personaggio, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Livello sette: immobilità

 

 

 

 

Bulma Brief si riteneva una donna affascinante e brillante.
Più che vero: era difficile, in una persona, conciliare intelligenza e bellezza, ma lei ce l’aveva sempre fatta, con successo.
Se andava ad una conferenza sulle nuove tecnologie da introdurre sul mercato, o a ritirare un premio per qualche sua nuova strabiliante scoperta, se ne tornava a casa con tre o quattro inviti a cena e, il giorno dopo, riceveva almeno una decina di mazzi di rose; al lavoro, se aveva bisogno di aiuto, immediatamente accorrevano da lei tutti gli impiegati del suo piano.
Ah, sì, la vita sulla Terra era proprio fantastica!
Peccato che, un giorno, avesse deciso di seguire suo padre in una spericolata avventura nell’Universo e fossero finiti prigionieri di una squadra di Saiyan, i quali li aveva portati sul loro pianeta dove, fortunatamente, si erano salvati la vita dichiarando di essere entrambi scienziati: da allora, erano diventati ricercatori per conto di Lord Freezer che, a quanto pareva, non era un Saiyan ma li governava comunque.
Si trovavano lì da ormai due anni, e nessuno sulla Terra aveva più avuto notizie di loro; la persona che più mancava a Bulma, e sicuramente anche a suo padre, era la madre, Bunny, per cui aveva un grande affetto nonostante avesse un carattere a volte un po’ troppo petulante.
Già, la bella ed intelligente Bulma non aveva tantissimi amici, troppo impegnata com’era con il suo lavoro; usciva con qualche collega di tanto in tanto ma, quando si sentiva triste, quando aveva un problema, non sapeva a chi rivolgersi; intorno a lei vedeva solo gente che voleva accalappiarsi la sua simpatia per ricevere qualche favore o qualche prestito e brillare della sua luce riflessa.
C’era Yamcha, il suo ragazzo, sempre assente, quel fedifrago: sì, era a conoscenza del fatto che la tradiva, lo sapeva eccome, tuttavia non aveva mai trovato la forza per troncare il rapporto, anche se non ne capiva il motivo. Forse perché erano insieme da così tanti anni, ormai, da ancora prima che il suo volto geniale apparisse nelle riviste di moda più di quello di una modella.
Ironia della sorte, si fidava di lui e aveva perfino iniziato a tollerare le sue scappatelle, facendo finta di niente e smettendo pure di soffrirne.
La fiamma dell’amore si era spenta e Bulma vedeva in lui solo un fratello; qualche mese prima della sua partenza avevano smesso di fare l’amore e, quando Yamcha la baciava, non sentiva più quei brividi lungo la schiena, non vedeva più le stelle.
Da quando era stata fatta prigioniera dei Saiyan la sua vita era cambiata radicalmente: certo, non aveva mai subito maltrattamenti, se non verbali; aveva una stanza comoda dove dormire, e addirittura la pagavano, ma la cosa che le dava fastidio era il fatto di non essere più presa in considerazione come lo era sulla Terra.
Insieme a lei lavoravano alcuni degli studiosi e scienziati più intelligenti dell’Universo, dunque l'ultima arrivata era vista semplicemente come uno dei tanti cervelli.
Ma lei era Bulma Brief, dannazione!
Detestava quella situazione e molti dei suoi colleghi la superavano in genialità: era davvero umiliante.
Alla fin fine, tuttavia, si era visto chi fosse il più furbo all’interno di quei laboratori: chi era sopravvissuto?
Lei.
Solo lei.
Era successo due giorni prima: si trovava al lavoro, come al solito, ma era in pausa e così era uscita nel parco per fumare una sigaretta. Era una giornata di sole, una di quelle in cui non ti aspetteresti mai che possa succedere qualcosa di brutto; invece, proprio mentre stava rientrando, aveva visto arrivare correndo un gruppo di persone e la prima impressione che aveva avuto era che sembravano gli zombie di un video musicale che aveva visto da piccola, sulla Terra.
Sgranò gli occhi e si accorse con terrore che erano tutti sporchi di sangue; doveva essere successo qualcosa di molto grave in città: forse un incidente, o un'esplosione.
Ma quelle persone continuavano a correre nella sua direzione, ad una velocità pazzesca e non sembravano… umani.
Tra loro e Bulma si trovava il giardiniere, che stava tagliando l’erba con la falciatrice elettrica: aveva delle cuffie protettive sulle orecchie e non si era accorto del gruppo.
Lei non pensò neanche di allontanarsi, non subito: era troppo curiosa di sapere cosa volessero.
Lo scoprì dopo pochi secondi.
Uno di loro si era gettato sul giardiniere, azzannandogli il collo, un altro incrociò il percorso della falciatrice e gli venne staccato un braccio, ma parve non accorgersene nemmeno; gli altri, avevano proseguito la loro corsa proprio nella direzione di Bulma.
Lei aveva lasciato cadere a terra il mozzicone di sigaretta ed era corsa all’interno dell’edificio.
«Ci stanno attaccando!» aveva gridato nell’entrata. «Sbarrate le porte!»
Alcuni dei presenti si erano voltati a guardarla, stupiti, altri avevano fatto spallucce, prendendola per pazza, ma una delle guardie le aveva dato retta e si era precipitata a chiudere a chiave tutte le entrate, tirando fuori delle armi, in quanto non c'erano Saiyan nell'edificio e nessuno dei presenti avrebbe potuto combattere a mani nude.
Bulma non era rimasta a guardare: era andata al piano inferiore per avvertire i suoi colleghi, cercando di non farsi prendere dal panico, ma era terrorizzata: che diavolo stava succedendo? Chi erano quei mostri?
Tutti i ricercatori e gli assistenti si erano precipitati di sopra per vedere cosa stesse succedendo, ma lei era rimasta giù, tremante, con gli occhi puntati verso le scale; quando aveva sentito dei vetri infrangersi aveva sussultato e si era morsa le labbra per non urlare, ma con il briciolo di lucidità che le era rimasto si era messa a cercare un posto dove nascondersi.
I ripostigli erano un luogo troppo prevedibile, gli armadietti troppo piccoli; si mise a singhiozzare, mentre le urla al piano superiore aumentavano, poi aveva alzato lo sguardo e aveva visto i condotti di aerazione.
Quei cunicoli stretti, sporchi e pieni di insetti le avevano salvato la vita. Ci si era rintanata per un giorno e mezzo finché, spinta dalla fame e dalla sete, aveva deciso di scendere. In ogni caso, sarebbe morta o disidratata o uccisa da uno di quegli zombie, ma fortunatamente, essi se ne erano andati molto presto.
Probabilmente le sostanze chimiche vaporizzate nell’aria li disturbavano, perché all’interno dei laboratori non c’erano segni del loro passaggio, a parte un incredibile disordine e molti oggetti rotti.
Il vero inferno lo avevano fatto di sopra: ci si era avventurata solo il giorno prima, ed era ritornata di sotto immediatamente, presa da un attacco di nausea.
L’intero ingresso era invaso dall’odore di morte e non aveva di come avesse potuto uscire da lì senza svenire alla vista di tutto quel sangue.
Era sopravvissuta durante quei giorni con il cibo disgustoso e le bibite ipercaloriche dei distributori automatici, ma si sentiva sempre affamata, perché cercava di risparmiare le provviste il più possibile.
Il lato positivo era che finalmente sarebbe dimagrita di qualche chilo, quello negativo che, dato che le sue scorte erano composte di burro, sale e cioccolato, le sarebbero venuti la cellulite e i brufoli.
Un altro lato negativo, era che non sapeva cosa fare: era disarmata, completamente indifesa di fronte a quegli zombie e sola.
Aveva sperato che qualcuno venisse a cercarla, ma nel giro di quattro giorni non si era fatto vivo nessuno e lei cominciava a temere che in città non fosse rimasto alcun sopravvissuto.
Con tutta probabilità, quei mostri non erano soli, ce ne dovevano essere degli altri.
Ma possibile che fossero talmente forti da uccidere anche gli abitanti Saiyan?
Dov’erano finiti tutti?
Con quel pensiero fisso nella mente, spesso in quei giorni Bulma non era riuscita a trattenere i singhiozzi e si era abbandonata a pianti disperati, fino a quando, il quarto giorno, si diede una pacca in testa, si alzò in piedi ed esclamò:
«Ma che diavolo sto facendo?! Io sono Bulma Brief, la donna più geniale della Terra! Devo trovare il coraggio di andarmene di qui e cercare dei Saiyan: loro sono di sicuro abbastanza forti da proteggermi!»
Forse un segno del destino volle che proprio quel giorno lei trovasse la sua via di salvezza.
Si trovava in piedi, al centro della stanza dove si era rifugiata, e stampato sul suo volto c’era ancora quell’espressione trionfante, in seguito al suo monologo d’incoraggiamento, ma mentre sghignazzava tra sé e sé, sentì dei rumori al piano di sopra.
Sussultò e istintivamente si acquattò per terra, guardandosi intorno alla ricerca di un oggetto da usare come arma impropria, e lo sguardo si fermò sulla gamba rotta di un tavolo; l’afferrò e scivolò accanto alla porta, rannicchiata il più possibile contro la parete.
Quando sentì dei passi scendere le scale il suo cuore si mise a battere all’impazzata e le sue mani a sudare, ma strinse ancora più forte il paletto di ferro.
Udì i passi farsi sempre più vicini e, quando la porta si aprì, lei chiuse gli occhi e colpì alla cieca, ma a metà del tragitto la sbarra di ferro si bloccò.
«Dannazione!» esclamò una voce maschile.
Bulma aprì gli occhi lentamente, ancora spaventata, e si trovò di fronte ad un Saiyan molto basso rispetto alla media della sua razza, con i capelli sparati in aria e un cipiglio inviperito.
«Dannazione!» esclamò di rimando lei, rendendosi conto di aver cercato di colpire forse l’unico sopravvissuto della città.
Poi, dietro di lui, notò una bambina, era una Saiyan ma, diversamente dall’uomo, sembrava terrorizzata quanto lei.
«Scusa!» esclamò dispiaciuta. «Credevo fossi uno di quei mostri!»
   
 
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