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Autore: Hypnotic Poison    30/12/2006    9 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Ten – Over the hills and far away

 

 
 
 
 
 
 
 
 
« Possiamo constatare quanto sia stato un completo fallimento. »
« Su, fratellino, non essere sempre così negativo, » una risata strafottente rimbombò per lo stanzone, « Io direi che è stato… esplosivo. »
Un paio di occhi blu come il mare si assottigliarono irritati: « Lo scopo era di osservare l’obiettivo senza farsi notare, stimare la situazione per poter determinare la procedura ottimale e andarsene in fretta. Sbaglio o non è andata proprio così? »
Una terza voce, più allegra ma meno irriverente, s’interpose al dibattito: « Guarda il lato positivo, abbiamo appurato fin dal principio che gli abitanti del posto non sono molto… pacifici. »
« E che le nostre stime sul loro progresso erano decisamente sbagliate, » concluse un quarto, dal tono grave e quasi annoiato, « Sono un popolo molto più retrogrado di quanto ci potessimo auspicare, il che può dimostrarsi un’arma a doppio taglio per la riuscita del nostro progetto. »
« Visto, fratellino, » ghignò di nuovo il secondo, « Se avessimo perlustrato in segreto non avremmo ottenuto tutti questi risultati. »
Un sospiro, poi un sottile ringhio: « Non perdere di vista il fulcro della questione, Kert. Per quanto possa risultarti complicato, a capo della missione ci sono io, e gli ordini vanno rispettati. »
Abbandonò il salone a larghe falcate, cercando di ignorare la risata tonante che lo seguì lungo i corridoi bui, e si diresse verso quella che aveva conclamato come la sua stanza. Il Sole stava spegnendosi lentamente dietro l’orizzonte, così diverso da quello cui erano abituati i suoi occhi, e si soffermò un istante a scrutare da dietro il vetro appannato della finestra.
Parte di lui non riusciva a credere che l’aria che stava respirando era la stessa che i suoi antenati avevano condiviso milioni di anni prima, che era davvero la Terra quella sui cui si stavano posando i suoi piedi; gli erano bastati però pochi respiri per cogliere tutte le differenze con Gaia, il loro pianeta quasi perfetto, così pulito e confortevole.
Com’era possibile che quella nuova razza avesse sfruttato in maniera così becera la loro preziosa casa?
Un fruscio di tessuti attirò la sua attenzione prima che un paio di braccia esili si chiudessero intorno al suo torace: « Adesso sei contento che sia venuta anch’io? »
« Tutt’altro, » sbuffò, poggiando le mani sopra quelle più pallide, « Temo che sarà molto più complicato di quanto programmato. Avrei preferito tu rimanessi al sicuro. »
« Non preoccuparti, » la stretta si fece più intensa, mentre il calore che gli si propagò dalle scapole gli fece capire che aveva poggiato il viso contro di lui, « Prometto che non mi stancherò troppo. E poi vorrà dire che sono davvero necessaria e che è un bene che ci sia anch’io, no? »
Si voltò e prese il volto tondo tra le dita, specchiandosi negli occhi scuri: « Cerca di non farmi preoccupare. »
« È quasi tecnicamente impossibile. »
Rise e avvicinò la bocca alla sua: « Sai cosa voglio dire. »
Le braccia gli si chiusero dietro la nuca e una risatina vibrò contro le sue labbra: « Dimmi che mi ami e basta. »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Ichigo si afflosciò ancora di più nella vasca da bagno, il naso a sfiorare la superficie schiumosa dell’acqua. Non aveva smesso di tremare da quando gli altri se n’erano andati, più o meno rumorosamente, e aveva subito accolto il suggerimento di Ryou di rilassarsi e riscaldarsi in uno dei suoi luoghi preferiti dell’intera casa.
Soffiò piano per allontanare un cumulo di bolle che la stavano pizzicando e strinse le mani tra le cosce; non aveva ancora fatto del tutto pace con la voglia che le era rispuntata sulla pelle, e meno che mai se la sentiva di vederla quella sera.
Le girava talmente tanto la testa che le pareva i pensieri stessero cercando di uscirne, tanto erano sovraffollati. Solo tre giorni prima aveva indossato l’abito bianco, la sua più grande preoccupazione era stata non svenire dall’ansia lungo la camminata fino all’altare, e ora si ritrovava a dover nuovamente comprendere di dover lottare contro nemici provenienti da un pianeta lontanissimo.
Con una bimba di quattro mesi, stavolta.
Sibilò ancora e s’immerse completamente, desiderosa solo dell’ottundimento causato dall’acqua. Le sembrò provvidenziale, in quel momento, quella decisione, quell’istinto di non aspettare a celebrare la sua unione con Ryou. Come se una parte di sé l’avesse sempre saputo, perché era così, era ovvio, era stata semplicemente lei a decidere che la ricomparsa della voglia non volesse dire nulla.
Però non sapeva dove avrebbe trovato il coraggio di affrontare tutto.
Rimase sott’acqua finché non sentì i polmoni sul punto di esplodere, poi si risciacquò velocemente e si avviluppò nell’accappatoio che aveva preventivamente agganciato al termosifone.
L’intera casa era più silenziosa del solito quando uscì sul corridoio, e poté udire con chiarezza il ticchettio della tastiera che proveniva dallo studio. Vi si diresse a piedi nudi e rimase in silenzio a sbirciare dallo spiraglio lasciato aperto; più che mai la vista le parve familiare, Shirogane con le luci al minimo e la schiena curva sui larghi schermi dei computer, le sopracciglia leggermente aggrottate in un’espressione di pura concentrazione mentre il suo cervello lavorava frenetico per trovare le risposte necessarie, o forse per sentirsi meno in colpa.
La sua capacità di concentrarsi totalmente nel lavoro, estraniandosi dalla realtà circostante, era al contempo invidiabile e insopportabile.
Ichigo batté le nocche sulla porta e gli si avvicinò, abbracciandolo da dietro per quanto le permettesse la sedia.
« Hey there, ginger, » l’accolse lui con un sospiro stanco, « Come ti senti? »
Lei strusciò la guancia contro quella di lui, strappandogli uno sbuffo alle ciocche bagnate che lo colpirono: « Meglio, » mentì sottovoce, « Mi sta tornando fame. »
« Ordiniamo quello che vuoi, » la prese gentilmente per un braccio e la tirò per farle aggirare la poltrona e sedere sulle sue gambe, « Personalmente vorrei un paio di birre. »
La rossa rise e gli si rilassò contro, inspirando il profumo del suo dopobarba. Ryou aveva ancora la traccia di abbronzatura e le sembrò strano notarlo, come se non fossero tornati solo quella mattina dal loro weekend insieme; era così stanca che le sembrò lontano una vita, un ricordo già sbiadito e inafferrabile.
Lui fece scivolare la mano lungo il suo ginocchio, sotto le pieghe dell’accappatoio: « Ti devi vestire, o ti verrà di nuovo freddo. »
Ichigo però rimase lì, appollaiata su di lui come un piccolo koala, il viso sempre nascosto contro al suo collo.
« Non so come fare, » ammise in un sussurro dopo qualche secondo, avvertendolo irrigidirsi un po’ di più ed espirare lentamente, « So che devo farlo, è come una voce che non posso ignorare, ma… non so come, questa volta. »
Le labbra di Shirogane si posarono più decise contro la sua tempia: « Per quanto mi disturbi ammettere che ci serva il loro aiuto, Purin ha ragione nel dire che questa volta gli Ikisatashi sono dalla nostra parte. Lo sai anche tu quanto sono forti, e non c’è nulla che ci faccia presuppore non siano migliorati, con il tempo. »
« A confronto nostro, » mugolò contrariata la rossa, odiandosi direttamente per quel pensiero, « Lasciamo perdere il dover combattere, non mi ricordo neanche l’ultima volta che sono andata in palestra. »
Ryou sbuffò e la scostò appena così da poterla guardare negli occhi, togliendole l’asciugamano arrotolato in cima alla testa per passare le dita tra la sua chioma: « Non succedeva spesso nemmeno prima, ginger. »
Lei si limitò a fare una smorfia, sfiorandogli distratta la voglia chiara sul collo.
« Non avevi paura, quando l’hai fatto? »
« Certo. Ma non avrei mai potuto iniettare qualcosa a delle sconosciute senza averlo provato prima io. »
« Avrei qualcosa da ridire anche su questo, » Ichigo si lasciò scappare una mezza risata, poi chiuse gli occhi e poggiò la fronte contro la sua, ammettendo in un pigolio, « Ho paura. Una paura folle. È come se avessi due istinti, dentro di me, quello del gatto Iriomote e quello di madre e… non riescano a mettersi d’accordo. »
« Per quello che vale, lo sai che non sarai mai sola, vero? »
« Lo so, » la rossa gli prese il viso tra le mani e si avvicinò un po’ di più, « Ma ciò vuol dire che mi preoccupo anche per te. »
Lui sfiorò il naso di lei col proprio: « Non mi sono mai messo nei guai. »
« Mmmh, » lei gli lanciò un’occhiata poco divertita, « Allora era un’altra testa bionda, durante… l’ultima volta. »
« Don’t think about that, » Ryou fece scorrere la mano più in alto lungo la sua coscia, così da stringerla, « Non pensare a cos’è successo. Pensa solo a concentrarti su questo momento, e a superarlo. Insieme. »
Ichigo sbuffò, poi piegò un sopracciglio in un’espressione divertita: « Pensavo di aver sposato un musone fatalista e pessimista. »
« Se preferisci quella versione, ragazzina, basta chiedere. »
Lei ridacchiò e intrecciò le braccia dietro al suo collo, baciandolo e facendo aderire i loro corpi il più possibile, cercando in lui il calore necessario a scioglierle il freddo dal petto. Sapeva che la tempesta nel suo cuore non sarebbe passata molto facilmente, ma almeno per quella notte avrebbe smesso di pensarci.
 
 
 
 
« Tu lo sapevi? »
Seduta sul suo letto con le gambe a penzoloni dal bordo e la mano stretta nella sua, Purin guardò Taruto da sotto la frangetta bionda, disegnando distrattamente sul braccio del ragazzo con la punta di un dito.
« Non tutto, » ammise lui a bassa voce, « Io dovevo ancora mettermi in pari con gli studi, e con l’Esercito… i miei fratelli mi avevano raccontato qualcosa, ma ovviamente certe informazioni erano più confidenziali. Sono rimasto indietro anche per… controllare che non arrivassero nuovi messaggi e per avere un contatto diretto con il Comando Generale. »
« Non sapete proprio niente di chi sia arrivato? »
« No, » Taruto sospirò pesantemente e lanciò la testa all’indietro, incassandola nelle spalle, « Pai è inavvicinabile, credo abbia cercato di smontare l’intero sistema di radar e comunicazione per capire perché non ci siamo accorti di niente. Da quanto ho capito, lui e Shirogane hanno anche hackerato non so cosa per ottenere i video di quei tizi e studiarli meglio. »
Purin si concesse una risatina a quella rivelazione: « Io e Retasu nee-san non abbiamo avuto il coraggio di scendere in laboratorio, infatti. »
« Avete fatto bene, ho seriamente temuto che il biondino potesse accoltellarci. »
« Povera nee-san, » lei si corrucciò, sfiorandosi distratta la voglia sulla fronte, « Non l’ho mai vista così disperata. Io mi preoccupo per i miei fratellini, però lei… non vorrei proprio essere nei suoi panni, ma la dobbiamo aiutare. Non abbiamo altra scelta. »
Taruto la scrutò in silenzio, cogliendo negli occhi marroni quella scintilla di positiva determinazione che l’aveva sempre caratterizzata e che lui aveva sempre ammirato, in lei.
« Come fai a sapere sempre qual è la cosa giusta da fare? » le chiese di scatto, senza rifletterci troppo sopra, e Purin si strinse nelle spalle:
« Non ho detto che dobbiamo combatterli per forza, su questo sono d’accordo con Retasu nee-san. E te l’ho anche già detto(*), preferirei non dovessimo scontrarci in nessuna stupidissima guerra… ma è anche nostro compito doverli affrontare, proteggere la Terra come meglio possiamo. E cercare di convincerli che questo metodo non è quello giusto. »
Gli rivolse un sorriso, poi balzò giù dal letto e si stiracchiò poco elegantemente: « Mannaggia, sono davvero esausta. E non ho per niente voglia della chiacchierata di domattina al Caffè. Già sento gli strilli di Minto. »
« Kisshu non era ancora tornato quando sono passato al Caffè, » commentò lui lugubre, « Mi devo preoccupare? »
« Credo che la nee-san sia abbastanza crudele da evitare di proposito di colpire punti vitali per prorogare la sua vendetta, » Purin rise un po’ ironica, prima di fare una smorfia, « Non credo andrà molto bene, al nii-san… »
Taruto non poté evitare di pensare che un po’ gli stesse bene, al fratello, visto che predicava sempre molto bene riguardo l’onestà e gli affaracci altrui quando poi lui stesso s’infilava in casini molto più grossi, ma decise di non dire nulla. Si alzò anche lui e osservò Purin di sottecchi, tossicchiando leggero.
« Sei… sicura che non vuoi che rimanga, per… hai sentito cos’ha detto Akasaka-san, sarebbe meglio non stare da soli e… »
La biondina abbozzò un sorrisetto appena più malizioso del solito e strusciò il naso contro al suo, causandogli un evidente rossore sulle guance: « Apprezzo l’offerta, ma va bene così. Dubito che gli alieni sarebbero interessati ad attaccare questa zona, visto che non c’è molto intorno, e poi… sarebbe un po’ prematuro, non trovi? »
Ci mancò poco perché le orecchie di Taruto cominciassero ad emettere fumo: « N-n-non il quel senso! » sberciò in tachicardia, « M-m-ma s-so-solo pe-per… »
Purin rise e si tirò in punta di piedi per schioccargli un bacio: « Non preoccuparti. E poi prima vorrei spiegarlo bene ai miei fratelli, così smettono di impicciarsi. »
Lui si limitò ad annuire, la gola completamente chiusa, analizzando che effettivamente l’ultima cosa che potesse essergli utile in quell’istante erano quattro maschi adolescenti in atteggiamenti protettivi verso la loro sorella maggiore.
Le diede un ultimo bacio, ben conscio che lei potesse percepire il calore del suo viso, e si teletrasportò al Caffè, invaso da un silenzio estremo che sottolineava come non ci fosse nessuno, nemmeno Pai. Sospirando, Taruto si avviò verso la cucina: con un po’ di fortuna, Akasaka non aveva portato tutti gli avanzi a casa di Ichigo.
 
 
 
 
Quando effettivamente riapparve, qualche ora dopo, suo fratello già tra le lenzuola, Kisshu si chiuse la porta della camera da letto alle spalle con un pesante tonfo e ringhiò minaccioso: « Non dire niente, Taruto. Non una parola. »
Si spogliò e si infilò a letto con rabbia, un braccio a coprire gli occhi, ignorando il borbottio offeso del minore che si limitò ad avvolgersi nel lenzuolo e dargli le spalle.
Non sapeva nemmeno lui come se lo sarebbe aspettato, in fondo, di dover alla fine vuotare il sacco con i terrestri sul piccolo, banale, insignificante dettaglio mancante del loro ritorno sulla Terra. Sì, aveva previsto che le ragazze – soprattutto alcune – si sarebbero arrabbiate, ma a volte sottostimava la potenza della rabbia che potevano provare.
Soprattutto quella più di suo interesse.
Minto si era letteralmente arroccata a casa di Zakuro non appena avevano lasciato Ryou e Ichigo; aveva tentato di seguirla, di bloccarla, di parlarle, ma la mora aveva rifiutato qualsiasi suo tentativo di avvicinamento, ignorandolo fino all’automobile della modella, su cui era salita senza fiatare, e quasi usando l’amica come scudo. Lui aveva pensato di precederla a destinazione, ma, vedendo l’occhiataccia che Zakuro stessa gli aveva rivolto una volta accomodatasi accanto alla mora, aveva deciso che non era decisamente il momento adatto per testare ulteriormente la sua pazienza.
Aveva così passato le ore successive a vagabondare per la città per sbollire la propria, di rabbia – detestava con passione essere ignorato, per di più sapendo che sarebbe arrivata una litigata epocale, e non poteva cancellare quel sottile senso di colpa e di stupidità a non aver ammesso certe cose prima, perché poteva essere stupido ma non così tanto – alla ricerca di un luogo con un minimo di solitudine.
Non aveva avuto molto successo, visto la maniera in cui gli si stavano ancora attorcigliando le budella.
C’erano troppe cose che erano andate storte perché potesse prendere sonno. Chi diavolo erano i tizi che avevano deciso di replicare la loro avventura di sette anni prima? E com’era possibile che nemmeno i loro sistemi si fossero attivati, che chiunque fosse, fosse riuscito ad arrivare senza che se ne accorgessero?
Una vecchia ma mai dimenticata sensazione d’ansia gli risalì dal petto, lì dove la cicatrice gli tirava la pelle. Qualunque cosa fosse, non sarebbe potuto andare peggio di com’era andata.
O almeno fu quello che si augurò.
 
 
 
 
Retasu soffiò piano sulla tazza di tè nero, alla ricerca della dose giusta di ricarica per svegliarsi. Non ricordava l’ultima volta che aveva dormito così male – o così poco – e nonostante si fosse sciacquata la faccia tre volte con acqua gelida, non riusciva a scacciare la pesantezza dalle sue palpebre.
Sospirò e si mosse in silenzio attorno alla cucina, era davvero presto e non voleva svegliare i suoi genitori o suo fratello prima del previsto, anche perché sarebbe stato abbastanza complicato dover spiegare cosa stesse succedendo e perché lei avesse quella ruga di preoccupazione stampata in fronte. Si riempì una ciotola con un po’ di yogurt e mezza banana e, reggendo tutto con estrema cautela, si rintanò di nuovo in camera sua, dove non avrebbe dovuto indossare una maschera di tranquillità.
Ci aveva provato, la sera prima, a consolare Ichigo il più possibile, a smorzare l’impeto combattivo di Minto, ma non appena era rimasta sola si era sentita soggiogata dal panico al pensiero che stesse per ricominciare tutto.
Aveva odiato combattere la prima volta, aveva odiato ciò che era successo alla fine, il costo che avevano dovuto pagare per rendersi conto di quanto quella guerra fosse futile. Certo, da un punto di vista potevano dire di aver ottenuto il lieto fine, ma lei non era mai stata d’accordo con il percorso per arrivarci fin dal principio.
Non avrebbe mai più voluto rivedere quello sguardo in un paio di occhi ametista; sapere che avrebbero combattuto dalla stessa parte, adesso, la rendeva ancora più nervosa, perché se per caso fosse successo qualcosa…
Scosse la testa e si costrinse a non lasciare che la propria mente si avventurasse per quei pensieri, che erano solamente controproducenti. Si strafogò della sua colazione per i cinque minuti successivi, guardando distratta fuori dalla finestra la luce che si faceva lentamente più intensa.
Cercando di ignorare che, forse ironicamente, era anche la prima volta che discuteva con Pai e non era molto certa su come comportarsi. C’era da dibattere anche se discutere fosse il verbo giusto, dato che dopo la serata a casa Shirogane si era limitata a rifiutare la sua offerta di un passaggio a casa e a dirgli che aveva bisogno di un po’ di tempo da sola (aveva mentito, non aveva voluto rimanere per conto suo ma non era completamente a suo agio con la bugia che i tre alieni avevano mantenuto per tutto quel tempo).
Sospirò e lanciò un’occhiata al proprio cellulare, rimasto silenzioso per la maggior parte della serata, ognuna delle ritrovate Mew Mew probabilmente persa nei propri pensieri. C’era un messaggio da parte dell’alieno, quello che meglio si era applicato, ovvio, ad utilizzare la tecnologia umana, semplice come erano sempre stati i precedenti.
Se necessario chiama.
Con il punto alla fine della frase come al solito, che ad altri avrebbe potuto apparire minaccioso e che invece lei interpretava come un’ovvietà, perché era così che si chiudeva un periodo in maniera corretta.
Perché effettivamente l’unica arrabbiata era lei.
Sapeva che aveva ragione ad essere indispettita, ovviamente, ciò che gli Ikisatashi avevano confessato solo la sera prima era stato davvero troppo grosso, ma non era nella sua indole tenere il muso o non essere del tutto a posto con una persona. Ed esserlo con Pai le provocava ancora più disagio.
All’improvviso si lasciò scappare uno sbuffo divertito: si stava preoccupando non per la minaccia interplanetaria che nuovamente incombeva su di loro, ma perché non sapeva come comportarsi con il proprio ragazzo dopo un dissapore, che razza di priorità le stavano sorgendo?
Terminò in fretta la propria colazione e si rifugiò in bagno proprio mentre sentiva trillare la sveglia dei suoi genitori. Avrebbe dovuto stare attenta, da lì in poi, a non lasciare scoperta la sua voglia – perché a lei doveva capitar proprio un punto così sconveniente?! – e fu silenziosamente grata che almeno con l’arrivo dell’autunno ciò avrebbe potuto essere un poco più semplice. Si lavò, pettinò, e vestì in fretta, rispondendo a monosillabi più o meno vivaci alle domande di routine di sua mamma e adducendo come scusa della sua visibile stanchezza solamente il carico di lavoro dell’università. Sapeva benissimo di essere pessima a mentire, ma almeno i suoi genitori le avevano sempre concesso la cortesia di non impuntarsi troppo ad impicciarsi, se vedevano che non era dell’umore giusto.
Solo quando nuovamente la casa fu silenziosa, ogni altro componente della famiglia Midorikawa andato per la propria giornata, Retasu si concesse un sospiro pesante e agguantò il telefono. Era in ogni caso davvero presto, non si sarebbero dovuti trovare al Caffè per minimo un altro paio d’ore, e lei era ben conscia di non essere come Ichigo o Minto: non era capace di tenere il muso, non sarebbe riuscita a concentrarsi se prima non avesse risolto i suoi dubbi.
Riuscì appena a sbloccarlo, però, che il cellulare si mise a ronzarle in mano. Non rispose, ma scese le scale lentamente per andare ad aprire la porta.
Ringraziò che il suo vicinato non fosse particolarmente impiccione, perché l’aria del mattino era parecchio fresca, eppure Pai stava sulla soglia con solo una t-shirt leggera e l’aria da cane bastonato.
« Di solito a quest’ora… » iniziò titubante, e la verde annuì, facendosi da parte per concedergli di entrare.
L’alieno si portò al centro esatto della stanza, l’addestramento militare ben visibile nella posa rigida della spina dorsale, e nuovamente si voltò verso di lei come un imputato davanti al giudice.
« So che vi dobbiamo delle scuse. Ma ciò che più mi preme è chiedere scusa a te. »
La verde sospirò e si strinse il cardigan di cotone attorno al torso: « Pensavo avessimo deciso che… se fosse stato necessario, ci saremmo detti le cose. »
« Non sapevamo se sarebbe successo davvero. »
Si sorprese di se stessa quando gli rispose con uno sbuffo seccato: « Non è continuando a ripeterlo che s’aggiusterà tutto, Pai. »
L’alieno annuì e fece un passo avanti per prenderle le mani: « Lo so. Però ritieni sarebbe stato utile informarvi di una possibilità che, per quanto ne sapevamo, poteva rivelarsi assai remota? Pensi che sareste riuscite a vivere in totale incertezza? Non avremmo saputo in ogni caso se e quando sarebbero arrivati, nessuno dei nostri sistemi è riuscito a intercettarli prima del loro sbarco sulla Terra. »
Retasu si corrucciò, non apprezzando il momento di razionalità che avvertì provenire da quel discorso: « Non è comunque… ci saremmo preparate, avremmo potuto… che ne so, allenarci, riprendere coscienza dei nostri poteri, non… »
« I vostri poteri si sono riattivati solo con il ritorno di Taruto, ricordi? » Pai cercò di incrociare il suo sguardo, abbassando di un tono la voce, « Tre mesi fa. Vi abbiamo dato un anno e mezzo di tranquillità, invece. »
Lei si morse il labbro e scostò le mani, agitandole davanti al volto: « D’accordo, ma… non è comunque un buon motivo per mentirmi per tutto questo tempo! »
Il ragazzo si avvicinò di nuovo e questa volta le accarezzò le guance con i pollici: « Lo so, Retasu. Non c’è nulla che possa cancellare questo fatto, ma vorrei provaste a capire il perché. »
La verde sospirò di nuovo, detestando il fatto che le iridi ametista le sembravano più sincere che mai: « Di chi è stata l’idea? » borbottò.
Pai si meravigliò, ancora una volta, dei dettagli che lei non mancava mai: « Mia. Me ne assumo tutta la responsabilità, come comandante di questa missione. Kisshu, e Taruto soprattutto, avrebbero voluto rivelare almeno in parte delle cose, ma non gliel’ho permesso. »
Lei avvertì un moto di disagio al rigore militare cui lui stesso si sottoponeva e al fatto che il suo discorso le pareva ogni secondo più sensato. Una parte di loro aveva sempre saputo che il loro ruolo di Mew Mew non avrebbe mai potuto essere un evento unico, ma era anche cosciente che non sarebbe riuscita a vivere una vita normale con il minimo sentore di una minaccia incombente. Forse non si sarebbe nemmeno mai lasciata andare come aveva fatto, non le sarebbe parso genuino ma solo forzato dall’angoscia di perdere del tempo, dal vecchio ricordo di un e se? che non avrebbe voluto ripetere.
« Perdonami, Retasu, » insistette lui sottovoce, poggiando la fronte contro la sua, « Il nostro intento non era malevolo. »
In risposta, Retasu si tirò in punta di piedi e gli strinse le braccia al collo, cercando consolazione nel suo abbraccio.
« Non mentirmi più, » gli sussurrò con una punta di convinzione aggiuntiva, e avvertì le mani dell’alieno stringerla più forte.
 
 
 
 
I colori delle pareti del locale sembravano spenti, con l’atmosfera che vi regnava. Quasi tutte le imposte erano serrate, e un cartello con su scritto Chiuso per riparazioni campeggiava davanti al vialetto d’ingresso.
« Ho detto alle altre ragazze che era scoppiata una tubatura in bagno, » spiegò Keiichiro quando Pai e Retasu fecero il loro ingresso, « E che quindi saremo rimasti chiusi per qualche giorno. »
Purin, Taruto, Ichigo e Ryou erano già seduti ad un tavolo nel centro della stanza, l’unico senza sedie rovesciate sopra; una delle poche lampade accese illuminava l’area e si rifletteva tenue sulle tazze di tè che fumavano lente. Bastò un’occhiata alla rossa, che ogni tre secondi controllava Kimberly nel passeggino, perché Retasu capisse che probabilmente aveva dormito meno di tutte.
« Kisshu nii-san è ancora al piano di sopra, » spiegò Purin sottovoce, sforzandosi di fare un sorriso di benvenuto, « Minto nee-san e Zakuro nee-san stanno arrivando. »
« Preparate i tappi per le orecchie, » commentò lugubre Taruto, ricevendo da sotto il tavolo un calcio nello stinco da parte della biondina.
Keiichiro si prodigò a rifornirli di altro tè, caffè, e dolci da colazione nell’attesa, passata in un silenzio interrotto solo dai rumori di cucchiaini e forchette. Dopo cinque minuti, il rumore di tacchi sul selciato annunciò l’arrivo delle ultime due Mew Mew mancanti, e dovette essere percepito da Kisshu stesso, che scese le scale nello stesso momento a passi pesanti.
Fu come se una nuvola ancora più grigia fosse scesa sul Caffè: né Zakuro né Minto dissero una parola, la seconda ignorando totalmente l’alieno dai capelli verdi anche quando questo prese posto a tre sedie da lei fissandola con tanta determinazione da pensare che avrebbe preso fuoco.
« Bene, » Keiichiro si schiarì la gola, « Preferirei che le circostanze fossero differenti, ma abbiamo un po’ di cose di cui parlare. »
« Dillo ai nostri amici, » sibilò Zakuro, lanciando un’occhiata rovente a Pai, che rimase immobile e rigido sulla sua sedia.
Shirogane tossì e si arruffò i capelli, sporgendosi un po’ in avanti: « Abbiamo ottenuto i filmati mostrati al telegiornale e raccolto altri video presi da altre angolazioni. Per il poco che sappiamo, confermiamo che i nostri nuovi ospiti non provengono da qui. E che l’arma di uno di loro pare funzionare ad aria compressa. Mi sembra chiaro che… » prese un gran respiro e guardò Ichigo con la coda dell’occhio, « La squadra Mew Mew deve tornare in azione. »
« Yeee… » Purin si lasciò andare in una flebile esclamazione di allegria che però si spense subito al mancato coinvolgimento delle amiche, così Pai prese la parola:
« Credo sia ormai evidente a tutti che il nostro ritorno qui è anche stato dettato dalla volontà di aiutarvi, ma vorrei reiterare il fatto che siamo completamente dalla vostra parte e che, se necessario, combatteremo insieme a voi. »
« Ma che gentili, » sussurrò velenosa Minto, spezzettando un biscotto in una polverina, « Se necessario, mi parevano decisamente intenzionati. »
Il viola espirò più deciso e continuò: « Non sappiamo molto della tecnologia e dei poteri dei Geoti, ma riteniamo sia possibile supporre che non debbano essere molto diversi dai nostri. Il fatto che usino armi, però, ci fa credere possano non condividere – almeno non tutti – le capacità che noi abbiamo di manipolare la terra, o l’elettricità. Vista la facilità con cui sono scomparsi, parrebbero utilizzare anche loro il teletrasporto. »
« Quindi cosa ne pensate? Sono più o meno forti di voi? » Ichigo parlò solo in quel momento, con voce roca e stanca.
I tre Ikisatashi si scambiarono un’occhiata veloce, e fu sempre il maggiore a rispondere: « Purtroppo non posso rispondere finché non li avremo incontrati dal vivo. »
« Grandioso, » Minto fece schioccare la lingua, « Quindi, fatemi ricapitolare. Il vero motivo per cui siete venuti qui è perché volevate difenderci dall’ennesima invasione dei vostri quasi-compatrioti. E dunque, a rigor di logica, dopo la felice riuscita del vostro piano confidenziale, ve ne ritornerete da dove siete venuti, non avendo davvero più niente da fare. Sempre che non ci sia qualche altro segretuccio in giro. »
All’affermazione acidamente sarcastica della mora, che si poggiò contro lo schienale della sedia a braccia incrociate, sul Caffè scese il gelo. Zakuro e Ichigo si scambiarono un’occhiata di nascosto, notando con chiarezza come Retasu impallidisse e Purin si corrucciasse.
« Non è una cosa che abbiamo mai detto, » scandì lentamente Pai, e la mora fu l’unica che lo schernì irritata:
« Mi sembra appunto quello il problema. »
Si alzò con un potente stridio della sedia contro al pavimento e afferrò cappotto e borsa senza aggiungere altro, voltando i tacchi e marciando verso la porta sul retro; Kisshu reagì con tre secondi di ritardo, scattando dalla sedia rischiando di rovesciarla e quasi correndole dietro.
« Tortorella, aspetta. »
Lei non si degnò nemmeno di dargli un minimo d’attenzione, anche se l’eco dei suoi passi si fece più pesante.
« Hai finito di ignorarmi!? »
Per tutta risposta, la mora aprì la porta con più forza del solito e se la lanciò alle spalle probabilmente in un tentativo di sbattergliela sul naso.
« Minto. Non ho mai inseguito una femmina in vita mia e non ho intenzione di iniziare adesso. »
L’occhiata di spregio e scetticismo che gli lanciò da sopra la spalla lo costrinse ad alzare gli occhi al cielo e sospirare, prima di decidere che fosse giunta l’ora di usare metodi un po’ più approssimativi. Le si teletrasportò davanti, bloccandola, e, prima che lei potesse formulare l’insulto che le si stava formando sulle labbra, l’afferrò per le spalle e spostò entrambi nella camera da letto che condivideva con il fratello.
« Ora mi ascolti. »
« Che razza di modi sono questi?! »
« Quelli a cui mi costringi facendo la testarda cocciuta! »
« Non ti azzardare, » gli sibilò stringendo gli occhi, « Ho tutto il diritto di non volerti ascoltare visto che tanto mi hai sempre riempita di frottole! »
« Questa è una stronzata e lo sai benissimo, » replicò gelido lui, « Solo perché ho dovuto omettere una cosa, non vuol dire che… »
« Oh, no, no, » Minto gli si avvicinò, puntandogli il dito contro, « La sera in cui sono spuntati i marchi, te lo ricordi cosa ti ho chiesto? Ti ho chiesto di giurare che non ne sapevi niente, e tu mi hai raccontato una palla! »
Il verde si limitò a fare una smorfia: « In realtà non ho mentito. Non ho detto di non saperne niente, ho detto che non ti avrei mai messa in pericolo volontariamente. Il che è la verità. »
Ci furono un paio di secondi di silenzio prima che la mora scoppiasse in una risata isterica e si allontanasse, le mani che prudevano dalla voglia di prenderlo a ceffoni: « Mi stai prendendo in giro!? »
« Tortorella, andiamo, se mi lasciassi spiegare… »
« Non c’è niente da spiegare! » strillò lei, sbattendo un piede a terra, per una volta incurante degli amici al piano inferiore, « Non mi hai omesso che… che ti fa schifo la danza o che hai avuto sette fidanzate prima di tornare qui, ma una cosa ben più importante, Kisshu! E non riesci nemmeno a prenderla sul serio ora! »
Tra sé e sé l’alieno pensò che entrambe le proposte gli sarebbero parse altrettanto gravi, visto il caratterino della mora, ma si costrinse a non dire una parola.
« Tu mi dici che… che sei… e poi mi tieni segreto questo! »
« Stai dicendo che non ti fidi, è questo che vuoi dire? »
« Congratulazioni, non pensavo fosse un pensiero così complesso. »
Kisshu inspirò a fondo per riuscire a calmarsi: « Tortorella, per quanto stia sul cazzo pure a me, a volte nella vita devi rispettare degli ordini. E non è stata una mia idea quella di non dirvi niente. »
Minto si corrucciò, una vampa di curiosità negli occhi, e si strinse le braccia al petto: « Che vuoi dire? »
« Era un ordine di Pai, che è ancora un mio stracazzo di superiore, ma l’ordine veniva da ancora più in alto. Cosa pensi, che dopo tutto il casino che abbiamo combinato sia stato così facile convincerli a rimandarci qui? » il verde sbuffò e si passò una mano tra i capelli, « Il Comando Generale ci ha lasciato andare solo dopo molte e ripetute assicurazioni che non avremmo richiesto nessun tipo di aiuto. Ci siamo solo noi a pararvi il culo. È una missione così segreta che neanche esiste. »
Lei computò la frase per qualche istante, poi abbassò la voce: « E credi che questa cosa mi faccia sentire meglio? »
« Che abbiamo rischiato che l’intero governo del nostro pianeta ci mandasse a quel paese per venirvi ad aiutare? Magari un pochetto. »
Ci volle qualche secondo, poi Minto sbuffò sarcastica con una punta di veleno: « Non sei certo tornato per me. »
Kisshu ringhiò sottovoce: « Questo cosa cazzo c’entra ora? »
La mora non rispose, facendo solo spallucce mentre gli occhi le si inumidivano e lei scostava lo sguardo. L’alieno si premette una mano sulla faccia, espirando lentamente. Era perfettamente cosciente di essere testardo, ma quando Minto ci si metteva era come un fiume in piena.
« D’accordo, tortorella, è vero. Ma non vedo come abbia importanza dopo quasi un anno, » approfittò del suo rimanere muta per avvicinarsi e posarle le mani sulla vita, « Soprattutto dopo tutto quello che ti ho detto e che ti ho raccontato della vita su Duuar. »
Lei persistette a tenere il viso aggrottato in una smorfia di rabbia: « Hai dimenticato la cosa più importante. »
« Non credo, » Kisshu scosse la testa e la strinse un po’ più forte quando la percepì cercare di allontanarsi, « La cosa più importante è che ho intenzione di proteggerti, a qualunque costo. »
Minto s’irrigidì sotto i suoi palmi e fece uno strano verso dal naso: « Non ci provare, Ikisatashi, » borbottò contrariata, ma non oppose troppa resistenza quando lui la spinse contro di sé e le poggiò il mento sulla testa.
 
 
 
 
Al piano di sotto, gli altri stavano facendo del loro meglio per ignorare i tonfi e le voci attutite del litigio.
« Secondo me non ne usciamo in fretta. »
Purin si allungò per riempirsi di nuovo il piattino, lanciando uno sguardo verso al soffitto, e Ryou si massaggiò le tempie con forza.
« It just gets better and better… »
Zakuro gli allungò una tazza di caffè nero, poi guardò lei stessa all’insù non appena le voci si attutirono.
« Vado a chiamarli, » decise poco dopo, alzandosi e incamminandosi convinta verso le scale; non dovette fare molti passi, però, perché nello stesso istante Kisshu e Minto riapparvero nella stanza, lei sempre con un cipiglio deciso ma meno pronunciato di prima.
« Se avete finito il vostro teatrino, avremmo altre cose di cui discutere… »
« Oh, sta’ zitto, Shirogane, ce ne sarebbe anche per te. »
Non appena si furono tutti riaccomodati, il biondo sospirò e fece un cenno verso Keiichiro, che sollevò una cassetta di metallo da cui penzolava un lucchetto aperto.
« Ikisatashi-san ha ragione nel dire che dovremo cercare di evitare un combattimento. Ma in ogni caso, lo dovete fare nel modo più sicuro, » aprì la scatola, rivelando i cinque fermagli da Mew Mew, « Questi appartengono a voi. »
« Non mi era mancato, » sbuffò ironica Ichigo, allungandosi per afferrarne uno e al tempo stesso passandoci un dito sopra con una punta di malinconia.
Keiichiro le sorrise, poi si frugò in tasca: « C’è anche qualcos’altro, Ichigo-chan… »
Un lampo rosato, uno squittio fortissimo, e poi qualcosa di morbido e peloso che le si schiantò contro la guancia: « Ichigo, Ichigo, pii! »
« Masha! » la rossa agguantò il robottino e continuò a frizionarselo contro il viso, « Tu sì che mi sei mancato davvero! »
« Mancato, mancato, pii! »
Volteggiandole un paio di volte sopra la testa, Masha prese poi a frullare da ciascuna delle ragazze, ricevendo coccole in debito da parecchio tempo.
« Gli abbiamo aggiornato il software e potenziato l’hardware, » commentò intenerito Keiichiro, guardando Purin strusciarsi il robot contro al naso, « Ora dovrebbe essere in grado di trasmettere immagini molto più chiare e in presa diretta, oltre che a registrarle in una memoria espansa. Non sappiamo se i Geoti siano in grado di creare chimeri, ma può ancora catturarli, se necessario. »
Taruto guardò confuso il pupazzetto rosa, che lo ignorò per andare ad appollaiarsi sulla spalla di Ichigo: « Una volta impazziva quando eravamo nei paraggi. »
« Ovviamente l’abbiamo resettato per evitare che allerti della vostra presenza, Taruto-san, » spiegò con un sorriso il moro, « O sarebbe stato controproducente. »
« Amici, pii! »
« Mi sta già più simpatico, l’aggeggio. »
Ichigo lanciò un’occhiataccia a Kisshu quando si sporse per tirargli un po’ la codina, poi sospirò e si scambiò uno sguardo con le amiche: « Che ne dite… facciamo una prova? »
« Sìììì! » Purin scattò su dalla sedia con energia, brandendo in mano il suo ciondolo, « La squadra torna in azione! »
« Teoricamente quella sarebbe la mia battuta. »
« Allora forza, capo! »
Ryou sospirò e guardò velocemente Ichigo, che cercò di sorridergli incoraggiante prima di alzarsi e raggiungere la biondina in mezzo alla sala. Retasu si unì con un timido sorriso, e infine Zakuro quasi trascinò Minto con sé.
L’americano le guardò un altro istante, ricordandosi la prima volta che si erano trovate tutte e cinque dentro al locale, e fece schioccare la lingua con fare ironico: « Squadra Mew Mew… bentornate. »
Fu quasi un richiamo istintivo che fece loro stringere i loro pendagli ed esclamare Metamorfosi! all'unisono; cinque lampi di colori diversi riempirono la stanza, e in pochi secondi le cinque custodi della Terra si ripresentarono agli occhi dei loro vecchi nemici.
« Ehilà, » fischiò Kisshu con malizia e un sorrisetto divertito in volto, « Non me lo ricordavo così divertente questo spettacolino. »
Retasu divenne bordeaux mentre tentava invano di tirare su il bordo superiore del suo costume, decisamente più sfacciato con le forme più adulte, mentre Minto gli lanciò uno sguardo d’astio per il commento inappropriato e Zakuro fece sfrigolare la sua frusta. L’unica che sembrò contenta dell’apprezzamento fu Purin, che continuava a girare sul posto per controllarsi la codina pelosa: 
« Accidenti, mi ero scordata quanto fosse figa! Guarda, Taru-Taru! Non è meravigliosa? »
« Lo prenderò come un complimento, » commentò Ryou al suo posto, notando che il più giovane degli Ikisatashi aveva assunto una strana espressione vacua e, al tempo stesso, non potendo ignorare il sonoro crampo allo stomaco nel rivedere Ichigo interamente in rosa e con gli attributi felini.
« Potevi ingegnarli a essere un po’ più coprenti, però… » borbottò la rossa stessa, il cui costume le pareva un po’ troppo striminzito attorno al seno.
« Io non mi lamento. »
« Tu vuoi morire, Kisshu. »
« Non avete proprio senso dell’umorismo, voi ragazze. »
« Ho due orecchie da lupo che mi spuntano dalla testa perché nuovamente devo combattere un’invasione aliena, » lo gelò Zakuro con un’occhiataccia elettrica, « Non ci trovo molto da ridere. »
Il verde si mosse sulla sedia, a disagio con il malumore della mewlupo: « Siate positive, non è andata così male la prima volta, vi siete trovate pure dei fidanzati. »
« Tu sei ancora in prova, » cinguettò gelida Minto, ricontrollandosi per la terza volte le piume della coda mentre Pai folgorava il fratello con lo sguardo e con una scossa al minimo voltaggio necessario per fargli rizzare i peli sul braccio.
« Ma por… certo che siete crudeli! »
« Kisshu nii-san ha ragione però, » gongolò Purin, avvicinandosi a Taruto – che ancora non aveva fiatato – con un sorriso divertito e facendogli una piroetta davanti, « Allora che ne pensi?! »
« Che sei uno schianto, scimmietta, ecco perché si sta strozzando con la sua stessa saliva, » s’intromise indomito Kisshu per l’ennesima volta, facendo voltare il fratello minore con così tanta furia verso di sé che lo scricchiolio delle vertebre del suo collo fu molto chiaro.
« D’accordo, ci possiamo riconcentrare? » esclamò Shirogane, « Ci sono ancora un paio di dettagli da discutere. »
« Primo fra tutti, un piccolo problema tecnico con il quartier generale, » s’accodò Keiichiro, « Il Caffè era utile a fornirvi una copertura quando eravate più giovani, anche verso le vostre famiglie e i vostri amici, ma ora che siete adulte la situazione è un po’ cambiata, la vostra disponibilità diversa. E la presenza di altre cameriere rende la questione un po’ più… complessa. »
« Facile, liberiamocene, » sentenziò Ichigo, che stava giocherellando con Kimberly per abituarla al fatto che ora sua madre aveva due orecchie da gatto in testa e occhi e capelli di colori diversi, ottenendo un sonoro schiarirsi di gola da parte di Ryou.
« Vorreste forse che tornassimo e prendessimo il loro posto? » domandò gelida Zakuro, e il moro scosse la testa:
« Concordo con Ichigo-chan che sarebbe più adeguato… sollevare Tamiko-san, Kayio-san e Chieko-san dalle loro responsabilità, così da non dover trovare giustificazioni sempre più complesse in caso di necessità improvvise. Pensavamo di lasciare il Caffè chiuso per il prossimo mese o giù di lì, così da poter difendere un poco il dover lasciarle andare, per poi rimpiazzarle con… il personale giusto. »
Voltò appena il viso, con il solito sorriso elegante, verso i tre Ikisatashi. Ci volle qualche secondo, poi Kisshu, nuovamente, parlò per conto degli altri due: « Che cavolo stai dicendo? »
Shirogane replicò con un sorriso maligno: « Chiamalo guadagnarsi l’affitto visto che stai a scrocco da una vita. » (**)
« Senti - ! »
« Credo che sia la strategia giusta, Akasaka-san, » s’intromise Pai, pur non del tutto convinto, « Dopotutto sarebbe solo una copertura. »
« Sì ma il lavoro è reale, » ghignò Purin, sedendosi pesantemente su Taruto e abbracciandogli il collo, « Ah, saremo doppi colleghi, che meraviglia! »
« Non ci si apparta in orario di lavoro, sappilo. »
« Shirogane, ma ti sembra…?! »
Keiichiro rise gentilmente insieme agli altri della faccia sconvolta del giovane alieno, e annuì: « In questa maniera ci sarà più facile gestire qualsiasi emergenza. Ovviamente vi ringraziamo della disponibilità. »
« Sembra più un ricatto. »
« Kisshu, smettila di lamentarti sempre. »
« Faremo arrivare le vostre divise a breve, » aggiunse Ryou con una punta di divertita malignità, « E un mese mi sembra più che sufficiente per imparare il mestiere. »
« Vi insegnerò tutto io! » trillò Purin, scattando in piedi ed afferrando Taruto per un braccio, « Anzi, iniziamo subito, forza! Per prima cosa, il ripiano dei dolci segreti! »
« The what? »
« Purin, c’è ancora da - »
« Sono parecchio interessato, » Kisshu si alzò e la seguì verso la cucina, non mancando prima di lanciare uno sguardo furbo a Minto, « Tortorella, sei sicura che non vuoi tornare pure tu? Non mi dispiacerebbe rivederti con quell’uniforme tutta pizzi. »
« Cammina. »
« Aspettate, prima voglio fare una cosa! »
« Purin, ti prego, scendi dal corrimano. »
 
 
 
 
Nel corridoio filtravano sottili raggi di luce opaca che coloravano il pulviscolo nell’aria di un sottile alone dorato, intensificando la sensazione che quel luogo fosse sospeso in un passato indefinito. A passi lenti, tentando di fare il minimo rumore possibile sopra alle risate che provenivano dal salone, si affrettò verso la stanza principale, avvolta invece da quanta più oscurità possibile. La figurina esile sembrava scomparire tra le coperte, e lui attese qualche secondo sulla soglia per accertarsi che non si fosse riaddormentata.
« Kert mi sembra di buon umore. »
Sorrise dell’ironia e si sedette a bordo del letto, scostando appena il lenzuolo per sfiorare la fronte sudata: « Come stai? »
« Vorrei staccarmi la testa dal collo, » gemette, « Oh, Rui, è tutto così… amplificato qui. »
« Riposati oggi, » la rassicurò, impedendole di protestare, « Non voglio che ti stanchi, non servirebbe a nulla. »
« Lo so, » si voltò e affondò di più il viso contro al cuscino, mugolando piano, « Però mi sento inutile. E un peso. »
« Né l’uno né l’altro. »
« Tuo fratello la pensa diversamente. »
« Come se badassi alle sue opinioni, » rise sottovoce e le baciò la fronte, « Ciò che conta è che tu stia bene. Al resto penseremo poi. »
Il sospiro stanco doveva suonare come una risposta affermativa, ma tradì solamente apprensione.
« Promettimi che starai attento. »
« Quando mai non lo sono stato? »
« Allora promettimi che terrai tuo fratello a bada. »
« Quello è impossibile, » avvertì rumori più decisi dalla fine del corridoio e fece per alzarsi, « Torno più tardi, se ti serve qualcosa avvertimi. »
Gli tenne stretto il polso per baciarlo meglio un altro paio di secondi, provocandogli uno sfarfallio deciso nel petto. Le rimboccò le coperte fin sotto al mento quando si riaccoccolò tra i guanciali, e camminò con altrettanta leggerezza di nuovo verso il salotto, adocchiando i suoi tre compagni accasciati più o meno ordinatamente sui divani di pregiata fattura ma dall’aspetto trasandato.
« Come sta la nostra principessina? »
La nota di acido sarcasmo gli fece scoccare un’occhiataccia che sapeva non avrebbe sortito molto effetto: « Non cominciare, Kert. »
« Mi stavo solo preoccupando, » non c’era neanche un briciolo di sincerità in quella affermazione, detta con un sorrisetto maligno, così decise che fosse meglio ignorarlo del tutto.
« Zaur, qual è lo stato delle planimetrie? »
« Complete al 95 percento. Le fonti energetiche di questo pianeta sono abbastanza obsolete, ci vuole tempo perché i nostri macchinari si ricarichino. »
« Tempo stimato di completamento? »
« Trentacinque minuti. Minuto più, minuto meno. »
 
 
 
 
In silenzio, Retasu, di nuovo in abiti civili, accompagnò Pai lungo le scale del laboratorio, cercando di non sorridere troppo vistosamente. Non poteva non condividere il pensiero di Purin all’idea di lavorare ancor più fianco a fianco con l’alieno, di poter passare ancora più tempo insieme, anche se era cosciente, vista la ruga sulla fronte di lui, che lui non era esattamente della stessa opinione.
« Non è così male, sai, » gli disse divertita, « Se ci riesco io… »
« Tu sei molto più abituata ad avere a che fare con gli umani di me, » replicò secco l’alieno, con un evidente tensione nelle spalle, « E ad essere gentile. »
Retasu non riuscì a contenere la risatina e gli mise una mano sul braccio: « Nemmeno Zakuro-san era particolarmente orientata ai clienti, ma è sopravvissuta. Andrà bene, vedrai. Magari puoi stare alla cassa e lasciare che Kisshu e Taruto si occupino degli ordini. »
« Così che mio fratello possa flirtare con tutte le clienti donne? »
« Solo se Minto-chan non c’è. E poi se fa migliorare il business… »
Pai la guardò, molto poco divertito dal suo spirito, e poi sospirò, soffermandosi davanti alla porta del laboratorio: « Dite ad Akasaka che non ho intenzione di indossare cose ridicole. »
« La mia uniforme non è ridicola! È solo… »
« Corta ed eccessivamente decorata? »
La ragazza non poté obiettare quell’affermazione, ma notò con una certa soddisfazione l’accento sul corta: « Sono sicura che Akasaka-san abbia trovato qualcosa di appropriato anche per voi. »
L’alieno sospirò pesantemente, però allungò una mano per posarla nell’incavo della schiena di lei per tirarla contro di sé: « Tieni Purin e la sua palla lontano da me. »
Retasu ridacchiò e si rilassò contro al suo petto, godendosi quel momento di tenerezza spontanea finché non sobbalzò a causa di un frastuono dal piano di sopra, seguito poi dalla risata sguaiata di Purin e dal pianto disperato di Kimberly. Se possibile, la nube di malumore s’intensificò ancora di più attorno all’alieno, che grugnì esasperato, bramando la porta rinforzata del laboratorio che rendeva la stanza molto più silenziosa.
« Guardate che il tubo rotto è solo una copertura, non dovete sfasciarmi il locale per davvero. »
La voce di Ryou rimbombò dall’inizio delle scale, fin dove accompagnò Ichigo, che cullava la bimba nel tentativo di calmarla.
« Deve mangiare, » illustrò come se fosse palese a Pai mentre scendeva i gradini, lanciandogli al contempo un’occhiataccia.
Retasu si allontanò dall’alieno, le cui dita avevano avuto uno scatto attorno alla sua vita: « In… laboratorio? »
La rossa fece una smorfia disgustata e lo oltrepassò come se niente fosse: « Io in camera di Kisshu non ci vado, non credo la tua sia un’opzione valida. »
L’amica trattenne un’altra risatina, afferrandogli una mano per trascinarlo verso il percorso inverso a quello compiuto pochi minuti prima.
« Vado in stanza, » borbottò Pai, « Ho bisogno di cinque minuti di solitudine. »
Retasu annuì comprensiva e divertita: « Ti porto un tè, d’accordo? » bisbigliò, occhieggiando Minto, di nuovo seduta al tavolo, la cui profonda ruga sulla fronte era visibile fin da lì, « Credo che anche Minto-chan ne abbia bisogno. »
 
 
 
 
« Non potremmo muovere un po’ di più il culo? » un paio di occhi dorati saettò annoiato verso l’altro lato della stanza, « Mi stanno andando in cancrena le gambe. »
« Sei stato tutta mattina in panciolle sul divano, potevi allenarti insieme a noi. »
« Da che parte stai, Pharart!? »
« Da nessuna, Kert. »
« I macchinari non hanno ancora terminato. »
« Non sarebbe la prima volta che andiamo all’avventura! Cosa sarà mai un misero due percento rimanente… quanto siete noiosi. »
« Ricognizione, per ora. Con cautela. Questo è il piano, » gli occhi color del mare incrociarono i fratelli nell’ennesimo tentativo di tenerli a bada, « Abbiamo già avuto abbastanza sorprese durante il primo tentativo, preferirei correre meno rischi possibili. »
« Sono dei primitivi, cosa pensi possa succedere? »
« Vuoi rischiare di essere liberato dai tuoi incarichi fin da subito? »
« Non ti scaldare, fratellino, » lo sbuffo era tutt’altro che sincero, « Stavo solo suggerendo di sbrigarci. »  
L’altro aggrottò appena la fronte per mantenere la calma: « Il registro è stato aggiornato e i dati pronti a essere trasmessi. Zaur, aspettiamo solo la tua conferma per cominciare. Kert, lascio a te la scelta del luogo. »
Un viso dai tratti fin troppo simili ai suoi si colorò con un sorriso beffardo: « Andiamo a fare quattro salti. »
 
 
 
 
Minto sbuffò sonoramente, sfogliando le pagine della larga agenda e verificando le informazioni contro quelle registrate nel cellulare di lavoro di Zakuro. Non che avesse molta voglia di lavorare, in quel momento, ma lo preferiva allo stare con le mani in mano ad aspettare che succedesse qualcosa. Né aveva particolarmente voglia di mischiarsi agli altri, che, come al solito, rumoreggiavano troppo per i suoi gusti; ne capiva il motivo e il senso, ma riteneva che mettere Taruto e Purin a lavorare insieme ufficialmente fosse una pessima idea.
Almeno non sarebbe toccato a lei dover avere a che fare con adolescenti in piene tempeste ormonali.
Alzò gli occhi solo per lanciare un’occhiata alla testa scura che spuntava dalle porte a saloon della cucina, fin troppo contento per la situazione in cui vertevano: le dava estremamente fastidio che a lui sembrasse possibile dimenticare le discussioni – e che discussioni – in cinque nanosecondi e passare alla cosa successiva come se avessero parlato del meteo, star lì a ridersela con Purin e strafogarsi di pasticcini come se non fosse successo nulla.
Sbuffò un’altra volta, fu distratta dal ronzio del cellulare personale di Zakuro, su cui a volte la manager dirottava email o SMS di lavoro per essere sicura che fossero ricevuti. Lo prese quasi in maniera automatica, e la ruga tra le sue sopracciglia si fece più profonda quando lesse chi era il mittente. Cercò però di rimanere abbastanza impassibile quando si avviò verso l’amica, impegnata con Shirogane in una conversazione di cui poteva intuire i toni scontenti, in fondo al corridoio.
« Ti è arrivato un messaggio, » si limitò a esclamare, porgendole il telefono.
Zakuro stessa non tradì nessuna emozione, come al solito, ringraziandola sottovoce mentre leggeva il contenuto del testo e lanciava solo uno sguardo fugace al biondo, che fu abbastanza per far girare la mora sui tacchi per cedere al dirigersi in cucina. Non aveva nemmeno voglia di stare a discutere di ciò che quei due avevano sempre tramato nell’ombra, troppo di malumore per soffermarsi anche sul rapporto che la modella aveva con Shirogane e che – lei lo sapeva – per certi versi era molto più saldo di quello che aveva con lei.
« Minto-chan, la vuoi una tortina alla crema? » l’accolse Purin con la solita allegria (c’era voluto molto a convincerla a sciogliere la trasformazione e farla smettere di appendersi per la coda a ogni improvvisato sostegno), « Sto illustrando il menù a Taru-Taru e al nii-san così sanno cosa aspettarsi. »
« Mi sembravano entrambi molto pronti sulla scelta di portate, » replicò lei piatta, declinando i trigliceridi extra per un bicchiere d’acqua.
« Era necessario un ripassino, » Kisshu si allungò per afferrare una mini crostata di frutta, ma Minto fu più veloce di lui e glielo tolse dalle mani, senza trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia:
« C’è della pesca qui, » lo ammonì come si fa con un bambino, « Gradirei non doverti portare in ospedale, in questo momento. »
Il verde ghignò e la seguì fuori dalla cucina, agguantandola nuovamente per la vita per stringersela contro: « Vedi che mi vuoi ancora bene. »
La mora sentì un deciso pizzicore sulle guance e si guardò attorno, divincolandosi contemporaneamente, per controllare di non essere troppo in bella vista: « Smettila, » sussurrò irritata, « Non è il momento. »
Kisshu allentò la presa ma tenne comunque le dita incrociate dietro la schiena di lei: « Non è neanche il momento di tenermi il broncio. »
Minto fece schioccare la lingua, facendo due passi all’indietro così che fossero ancora più nascosti dal muro: « Non credere di poter essere perdonato tanto facilmente. »
« Per carità, » lui rise, « Però almeno smetti di essere arrabbiata. »
« Lo decido io quando, » sibilò lei, « E comunque non avete ancora risposto alla mia prima domanda. »
Ci volle qualche secondo perché Kisshu capisse a cosa si stesse riferendo, e quando lo fece non riuscì a non sospirare: « Tortorella, lo sai benissimo che non mi aspettavo che questo sarebbe successo, » sottolineò il questo portandola un po’ più vicina nonostante la smorfia che la vide fare, « Forse non posso dire lo stesso dei miei fratelli, ma non è importante. D’accordo, il catalizzatore del nostro ritorno sulla Terra è stata la previsione di un attacco dei Geoti, ma ci stavamo già pensando, e lo sai. Quindi perché mai vorremmo tornare indietro? Ora più che mai? »
Lei si strinse nelle spalle, ben poco decisa nel suo essere stoica: « È casa vostra… »
« Fidati, non è una casa a cui penso con affetto. Non dopo quello che ci hanno fatto passare. »
Minto fece per rispondere, ma fu interrotta dal pianto disperato di Kimberly che s’intensificava ad ogni passo pesante di Ichigo sui gradini.
« Non riesco a farla addormentare, » esclamò stanca, rivolta a Ryou che le stava andando incontro, « E non dire che è perché sente che sono nervosa. »
Il biondo non fiatò, prese la bimba in braccio e iniziò a cullarla piano, sussurrandole all’orecchio per calmarla mentre la rossa cercava ristoro in cucina. Masha le svolazzò subito contro la guancia, facendola ridere, seguito da Zakuro che le mise una mano sulla spalla con tenerezza:
« Tutto okay? »
« Sì, » Ichigo terminò in un sorso un bicchiere pieno d’acqua e sospirò pesantemente, « È solo tutto… troppo in questo momento. »
« Sono d’accordo, » commentò piatta la modella, prima di rivolgerle l’accenno di un sorriso, « L’unica cosa da fare è mantenere la calma. »
« Lo so, nee-san, però… » esalò piano e tentò di scherzare, « Andrà meglio quando Kimberly dormirà un po’ di più. »
Zakuro annuì comprensiva, porgendole l’ultimo dei pasticcini rimasti. Ichigo fece appena in tempo ad ingollarlo che un trillo sommesso s’alzò dal piano inferiore, prima che anche Masha iniziasse a pigolare allarmato:
« Attenzione, attenzione, pii! »
Ichigo sbiancò visibilmente, e anche Purin lasciò cadere il cucchiaio con un rumore sordo nel lavello, mentre Taruto si corrucciò: « Che razza di allarme sarebbe attenzione? »
Ryou marciò in quel momento nella stanza, seguito dagli altri due alieni, Minto e Retasu: « Masha deve ancora calibrare completamente la traccia dei nostri nuovi ospiti. La cosa perfetta sarebbe riuscire ottenere una loro traccia genetica. »
« Meraviglioso. »
« Quindi come… facciamo a sapere esattamente di che si tratta? »
Fu Keiichiro a rispondere a Purin, affrettandosi per le scale del laboratorio con in mano un tablet su cui scorrevano furiosamente colonne di dati: « Sono loro. Il sistema è riuscito a verificare la loro presenza a Shinjuku Gyo-en. »
« È un attacco? »
« Non saprei, » il moro scosse la testa e guardò Ichigo, quasi dispiaciuto, « Però… »
« Però dobbiamo andare, » lei si scambiò uno sguardo con le amiche, « Pronte? »
« Per quanto si possa. »
Le ragazze si trasformarono nuovamente, riempendo la cucina di luce colorata, e Ryou lanciò loro uno sguardo d’ammonimento, soffermandosi un istante di più su Ichigo: « Mi raccomando. Teniamoci in contatto costante attraverso Masha. »
Lei tentò di sorridergli in maniera incoraggiante, seguendo gli altri verso il salone: « Ci vediamo dopo. »
Lo strappo del teletrasporto, e in un battito di ciglia avvertirono l’aria fresca di inizio autunno sulla pelle nuda.
« Così è molto più comodo che dover correre ogni volta! » esclamò MewPurin, cercando di stemperare un po’ la tensione che sentiva provenire dalle sue compagne.
« Non sappiamo dove siano, » replicò Pai secco e a voce bassa, le spalle tese, « Quindi attenzione. L’effetto sorpresa è dalla nostra parte. »
MewIchigo si girò a fissarlo per un istante, socchiudendo gli occhi: « Dobbiamo fare un discorsetto su chi sia il capo, qui. »
Lo sorpassò senza aspettare risposta e aprì la strada lungo il sentiero del parco, nonostante l’angoscia che sentiva ribollirle in petto.
« Ichigo, mi senti? » la voce di Keiichiro le arrivò più nitida che mai dal robottino che svolazzava frenetico accanto a lei, « Sono a circa duecento metri alla vostra sinistra. »
« D’accordo, » quasi d’istinto, fece apparire la sua campanella, stringendola saldamente tra le dita e meravigliandosi un poco di quanto le apparisse familiare.
I suoi geni del gatto Iriomote fremevano in sottofondo, un basso ronzio che le riempiva le vene e le tendeva ogni nervo, spingendola, chiamandola, e rassicurandola al tempo stesso. Le sembrava di poter percepire ogni singolo dettaglio attorno a sé, il rumore dei respiri delle sue compagne, i loro DNA che risuonavano con il suo; la calma di quel parco le sembrava una nota stonata, la metteva ancora di più sull’attenti.
« Non sembra che stiano attaccando, » mormorò MewZakuro, a due passi da lei, i tacchi degli stivali che graffiavano il selciato.
« L’ultima volta non hanno attaccato finché non sono stati provocati, » concordò speranzosa MewRetasu, « Forse non… hanno intenti davvero bellicosi. »
I tre Ikisatashi, a guardare le spalle delle ragazze, si scambiarono un’occhiata dubbiosa, ma Pai intimò ai due fratelli di non proferire parola.
Svoltarono lungo il sentiero, e i sensi di tutte e cinque le Mew Mew iniziarono a formicolare contemporaneamente: i quattro personaggi che avevano visto nel video erano lì, davanti a loro, in carne e ossa.
Le loro fattezze ricordavano decisamente più quelle degli Ikisatashi che degli umani, con la pelle pallida, le orecchie a punta, e i canini più affilati. Ma le armi che portavano in spalla risultavano molto più minacciose di quelle mostrate dai loro vecchi nemici.
Due di loro, notò MewIchigo, si assomigliavano moltissimo, avrebbe giurato che fossero fratelli, anche se fino da dove sostava poteva notare il netto contrasto tra un paio di iridi blu come l’oceano e un altro di un vibrante oro. Gli altri due, invece, non avrebbero potuto essere più dissimili, uno dai chiarissimi capelli biondo scuro che scendevano fino a coprirgli gli occhi verdi, e l’altro con occhi e capigliatura così scuri da sembrare più neri del nero stesso.
« Cosa stanno facendo? » domandò sottovoce MewPurin, e MewIchigo scosse la testa: armi a parte non sembravano minacciosi, stavano confabulando, quello biondo si era piegato per toccare il terreno, forse Retasu non aveva tutti i torti, e…
Senza pensare oltre, prese un respiro profondo e fece qualche passo in avanti, esclamando ad alta voce: « E-ehi voi! Non so che intenzioni avete, ma la Terra non è vostra da prendere! »
« Ehi voi, gattina, ma fai sul serio!? »
Lei ignorò il mormorio irritato di Kisshu e si concentrò sul risultare il più sicura possibile mentre squadrava con intensità i quattro. Essi si girarono con estrema lentezza verso di loro, osservandole con sguardi carichi di curiosità, finché quello biondo – MewMinto notò che aveva arco e frecce legati dietro la schiena – si tirò in piedi e alzò un sopracciglio:
« E voi chi sareste? »
Fu in realtà un rantolo a metà tra l’eccitato e il preoccupato a rispondergli, proveniente da un gruppo di ragazzine che stavano attraversando il parco: « Ma quelle… sono le Mew Mew! »
« Sono tornate! »
« Ma quindi…?! »
MewIchigo poté percepire distintamente il sibilo della parolaccia scandita da Ryou attraverso gli altoparlanti di Masha quando il vociare delle studentesse si propagò confuso anche agli altri presenti nel parco che fino a quel momento non si erano accorti di nulla, e quando tutti i cellulari cominciarono a venire rivolti verso di loro.
« Le che? »
I quattro alieni si scambiarono delle occhiate perplesse, prima che quello dagli occhi dorati – con una zazzera di capelli grigio-azzurri rasati solo da un lato e la corporatura più robusta di tutti – si lanciasse in una risata roca e sguaiata: « Che razza di posto è questo? Prima quei buffi tizi con i copricapi blu, adesso delle… femmine svestite che cercano di fare la voce grossa? »
« Noi siamo le protettrici della Terra, » insistette MewIchigo, i peli della coda che le si rizzarono d’istinto, « E siamo qui per rimandarvi indietro! »
« Rui, mi hanno già annoiato. »
L’alieno dagli occhi blu, che evidentemente rispondeva a quel nome, posò una mano sul braccio dell’altro come a dirgli di fermarsi, mentre scrutava con sorpresa gli altri tre alieni dietro allo strambo gruppetto:
« Mi chiedo piuttosto cosa ci facciano dei Duuariani qui. »
Pai si fece avanti, il ventaglio al fianco ma ben stretto tra le dita: « Duuar è alleato della Terra, ora. L’umanità si è moltiplicata su questo pianeta, appartiene a loro. »
« Idiozie, » sputò l’alieno più grosso, « Il Pianeta Azzurro è della nostra gente di diritto. »
Rui fece un passo avanti, continuando a scrutare i suoi simili: « Abbiamo ricevuto solo sprazzi di comunicazioni da voi. Ci era parso di capire che avevate intentato voi stessi la riconquista della nostra patria primigenia. »
« La storia è un po’ lunga, » ghignò Kisshu, avanzando anche lui, così da porsi leggermente davanti a MewMinto e MewPurin, « Se avete voglia di fare due chiacchiere pacifiche… »
« Non siamo qui per negoziare, » ringhiò riottoso quello grosso, « Soprattutto non con degli evidenti traditori del proprio popolo. »
« Non abbiamo tradito un bel niente, » s’intromise di slancio Taruto, « Duuar e la Terra sono sorelle, e il nostro pianeta - »
« Mi state annoiando, » lo gelò l’altro alieno, voltandosi svogliato verso Rui, « Duaar non c’entra niente, se fosse vero il loro interesse di difendere la Terra avrebbero mandato più di questi tre. »
Rui si scambiò un’occhiata veloce con gli altri due componenti del gruppo, quello dagli occhi neri che annuì impercettibilmente.
« Io sono il colonnello Ikisatashi Pai, » parlò direttamente a Rui, che aveva dedotto essere a comando dalla maniera in cui sembravano sempre rivolgersi a lui, « E sono a capo di questa spedizione - »
« Spedizione! » sbuffò scocciato l’alieno dagli occhi dorati, con un evidente ghigno derisorio, « Siete solo tre possibili disertori. »
« Voi siete solo quattro, » commentò Kisshu con altrettanto astio, i sai che brillarono tra le dita, « Scommettiamo che vi facciamo il culo anche così? »
« Non sai con chi hai a che fare. »
« Vuoi vedere? »
Nuovamente, Rui gesticolò al suo compagno di stare fermo: « Per quale motivo Duuar avrebbe dovuto allearsi con la Terra? Il nostro intero popolo ha sempre voluto ritornare a casa. Ciò che dite non ha senso. »
« Certo che non ce l’ha, » rincarò l’altro, sempre più sferzante, studiando il gruppetto di umane e Duuariani con crescente curiosità, « Te lo dico io cos’è successo, delle belle paia di gambe e dei bei faccini hanno convinto a disertare. Non sarebbe certo la prima volta. Dico bene? »
Il viso di Pai non tradì nessuna emozione, anche se non poté evitare di spostarsi pochi millimetri di più davanti a MewRetasu: « La nostra prima spedizione sulla Terra ci ha portati alla scoperta di una sostanza che ha radicalmente cambiato la situazione su Duuar, causando la rinascita del pianeta stesso. »
Stavolta fu l’alieno biondo a farsi avanti, con gli occhi verdi spalancati di curiosità: « Che stai dicendo? »
« Oh, ma li state ascoltando davvero? » sbuffò quello grosso, « Non siamo qui per farci raccontare favolette! Siamo qui per un motivo ben preciso! »
Gli eventi si susseguirono molto in fretta: una delle ragazzine che ancora stava registrando la scena fu la prima a gridare quando vide l’alieno imbracciare la lunga arma argentata; nello stesso istante, Pai gridò loro di allontanarsi e ingigantì il suo ventaglio così da parare la grossa bolla d’aria che venne sparata verso il loro gruppo. Contemporaneamente, Kisshu e Taruto agguantarono le Mew Mew e balzarono all’indietro per allontanarsi il più possibile, ma nonostante la protezione di Pai l’onda d’urto li investì lo stesso, sbattendoli con violenza contro i tronchi.
« State bene!? »
« Ufff… micetta, pensavo avessi partorito da un bel po’. »
MewIchigo si rialzò con il viso in fiamme e delle foglie tra i capelli, lanciando a Kisshu un’occhiata omicida mentre rispondeva a Shirogane attraverso Masha: « Sì… direi che siamo interi. »
« Che fine hanno fatto? » domandò MewPurin, stordita, guardandosi attorno, e grattandosi un orecchio, che fischiava per il rimbombo di quell’attacco. Il colpo d’aria non era stato abbastanza potente da divellere gli alberi, ma era riuscito comunque a sradicare qualche siepe e a dispergere ovunque pezzi di selciato.
« Sono spariti non appena quel tizio ha sparato, » commentò truce Shirogane, « Masha ha registrato tutto, possiamo esaminare le immagini non appena tornate qui. »
Kisshu tirò in piedi MewMinto e guardò di sfuggita gli umani lì attorno, che MewRetasu aveva raggiunto per assicurarsi che stessero bene, visto che i sassolini del percorso, spinti a tutta velocità, avevano agito da schegge impazzite.
« Ci conviene filare, » commentò, « Mi sa che abbiamo attirato un po’ troppo l’attenzione. »
« Forse se non avessi provocato quello scimmione…! » si lamentò la mora, scrutandosi il braccio che si era graffiato contro la corteccia ruvida.
« Kisshu ha ragione, » tagliò corto MewZakuro, tendendo le orecchie verso il rumore di sirene all’orizzonte, « Meglio andarsene. »
« Questa me la segno. »
« Kisshu, per favore, taci. »
 
 
 
 
« Kert! Quante volte te lo devo dire, non sparare senza un mio ordine! »
L’alieno dagli occhi dorati sbuffò sonoramente e si gettò con poca grazia sul divano consunto: « Quelle pulci fastidiose mi avevano scocciato… avevamo già cianciato abbastanza! »
« Non mi interessa, tu devi aspettare le mie direttive! »
« Non se le tue direttive prendono troppo tempo. »
Quasi volando a raggiungerlo, Rui lo afferrò per il colletto della maglietta, strattonandolo verso l’alto: « Kert… solo perché sei mio fratello… » ansimò d’ira, « Vedi di non oltrepassare il limite. »
Prima che la situazione degenerasse, visto il sorrisetto ironico sul viso dell’alieno di nome Kert, il biondo prese per le spalle Rui, convincendolo a mollare la presa: « Lascialo perdere, non vedi che è tutto agitato perché finalmente l’hanno mandato in una missione importante? E poi lo sai che ancora lo turba dover sottostare agli ordini del suo fratellino. »
« Grazie mille, Pharart, » gracchiò Kert roco.
Rui prese un respiro profondo e squadrò tutti e tre i compagni: « Non stiamo combattendo i nostri fratelli, e l’ultima cosa che può esserci utile è avere Duuar contro di noi. Dobbiamo agire con cautela. »
Il compagno dagli occhi neri annuì e commentò atono: « E dobbiamo ottenere delle informazioni su queste… Mew Mew. »
« Almeno sono un bel panorama. »  
Il comandante ignorò il commento del fratello e si passò una mano tra la frangia azzurra: « È necessario informare il Consiglio di questi sviluppi inaspettati. Fino a una loro risposta, non voglio sentire un fiato. »
Lanciò un’ultima occhiata d’avviso a Kert, e si avviò lungo il corridoio buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Ad esempio, episodio 51, quando Taruto è già… beh, glissiamo xD
 
(**) Grazie Re-Turn! che mi ha dato ispirazione

 

   
 
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