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Autore: Beauty    15/06/2012    7 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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- Oh, signor Kingston!- esclamò l’oste, sorpreso, vedendo entrare Henry. Il giovane non lo guardò nemmeno, rimanendo in piedi sulla soglia della porta del Leone d’oro. - Non mi aspettavo di vedervi qui anche il giorno di Natale - continuò l’uomo, mentre Henry si toglieva il mantello, scrollandosi di dosso la neve bagnata che non aveva smesso di cadere dalla notte precedente.

- Perché, non siete aperti, forse?- fece il giovane, secco, scoccandogli un’occhiata ben poco amichevole.

- Ma certo, certo!- si affrettò a dire l’oste. Poi, inarcando un sopracciglio:- Specialmente per chi ha intenzione di saldare il conto…

- Come dite?

- Avete ben sei mesi di credito, signor Kingston - disse l’oste, sporgendosi in avanti sul bancone.- Se non pagate sarò costretto a…

Prima che potesse finire, Henry estrasse da una tasca del mantello un sacchetto di monete, scaraventandolo con malgarbo sul ripiano del bancone. L’oste l’osservò sbatacchiare sul legno facendo tintinnare le monete.

- Eccoli, i vostri soldi!- ringhiò Henry, con una smorfia di disgusto.- Tenete pure il resto…

Tutti i pochi clienti che erano presenti si erano voltati a guardarlo, ma il giovane non se ne curò, avviandosi a passi pesanti verso il primo tavolo libero.

- Portami qualcosa da bere - fece, senza alzare lo sguardo.- E che sia qualcosa di forte…

Udì i passi dell’oste allontanarsi. Prima l’avrebbe sbeffeggiato e insultato, Henry lo sapeva, ma ora che aveva saldato il suo debito non si azzardava più a dirgli alcunché.

Henry aveva pagato tutti i suoi debiti, tutti, ricompensando i creditori fino all’ultimo centesimo; sapeva di essere salvo, ma avrebbe mille volte preferito la rovina e la galera, piuttosto che aver compiuto quel gesto orribile.

Erano giorni che ci pensava; si era pentito, si era pentito fino in fondo di quel che aveva fatto, e avrebbe dato qualunque cosa pur di tornare indietro e non ripetere quello sbaglio.

Catherine…

Il viso di sua sorella gli appariva di fronte agli occhi in continuazione, quasi come se volesse perseguitarlo, punirlo per averla venduta come un pezzo di carne da macello. Henry tentava di convincersi che non aveva avuto altra scelta, che in fondo l’aveva fatto anche per lei, per salvarla dalla vergogna, ma la sua coscienza si rifiutava di credere ad una simile menzogna.

Il giovane continuava a tenere gli occhi bassi, ma si accorse che l’oste gli aveva posato di fronte un boccale di birra.

Catherine, la sua sorellina…presto sarebbe stata in balia di quel verme di Lord William, e per che cosa?

Tutto per questa porcheria!, pensò Henry, trattenendosi a stento dallo scaraventare a terra il boccale e mandarlo in mille pezzi. Si prese il capo fra le mani, affondando le dita nei capelli biondi. Era tutta colpa sua. Era stato un idiota, un incosciente, non aveva avuto rispetto per la sua famiglia, per suo padre che peggiorava di giorno in giorno, per la piccola Rosalie che l’aveva sempre ammirato…e per Catherine, che aveva sempre cercato di aiutarlo, sempre, anche quando tornava a casa ubriaco la sera, anche quando aveva perso a carte l’intero patrimonio di suo padre…

Cedendola a Lord William, aveva creduto di farle un favore; l’avrebbe salvata dalla vergogna, si era detto, l’avrebbe riscattata agli occhi della gente dalla colpa che aveva compiuto. Ma si era sbagliato. Per questo, sarebbe stato sufficiente un duello.

O un matrimonio.

Adesso, Henry si rendeva perfettamente conto di come stavano le cose. Sua sorella aveva rifiutato una marea di pretendenti, e ora si era donata ad un uomo. Se aveva compiuto questo gesto, allora, non c’era dubbio che l’avesse fatto per amore. Nonostante lui l’avesse disonorata, Catherine amava l’uomo a cui si era concessa.

E ora, avendola ceduta a quell’infame di Lord William per salvare la propria, inutile, schifosa pelle, Henry l’aveva condannata due volte: moglie di un uomo spregevole e per di più separata da quello che era il suo amore.

Mi dispiace tanto, Cathy…

- Ehi, avete sentito?- la frase biascicata ad alta voce da uno dei clienti lo distolse dai suoi pensieri; alzò lo sguardo verso il tavolo da cui era provenuta la domanda, scorgendo quattro uomini che bevevano e giocavano a carte.

- Hanno trovato un altro morto…- disse uno di loro, rispondendo alla propria domanda.

- Un altro morto ammazzato?- fece un secondo. Il primo annuì.

- Nella foresta, sbranato vivo pure questo.

- Chi era, si sa?- chiese il terzo.

- Un riccone del villaggio qui vicino, uno che commerciava in spezie. Sai, quello spilungone che una settimana fa stava giocando a carte con Lord William Montrose, ricordi?

Henry, a sentire quell’ultima frase, aggrottò le sopracciglia. Lord William conosceva la vittima…

- E’ il sesto…- mormorò il secondo.

- Io dico che c’è qualcosa, in quella foresta!- esclamò d’un tratto il quarto, con una punta d’ira.

- Qualcosa di mostruoso, una bestia che sbrana i poveri malcapitati che si perdono nel bosco!

- Ma non dire fesserie!- lo rimbrottò il terzo.

- Ah, io dico fesserie? Datemi retta, io dico che in quella foresta c’è qualche essere demoniaco, un mostro che si diverte a sbranare gli uomini…Lo stesso che ha sbranato il Conte DeBourgh e il Marchese Van Tassel, e anche quell’altro…come si chiamava…il quarto che è morto, quel proprietario terriero…ah, sì, Whitaker!

Whitaker. Il nome fu come un eco nella mente di Henry.

Sì, si ricordava di Whitaker. O meglio, ricordava i commenti che si erano fatti su di lui.

- Povero Whitaker…!- avevano continuato a dire al Leone d’oro, quando lui non era ancora morto.

- Stavolta non so proprio come se la caverà…

- Lord William l’ha rovinato…

Lord William!

Henry sentì il sangue salirgli alle tempie. Ora ricordava. Whitaker aveva fatto la sua stessa fine, aveva perso una fortuna a carte, giocando contro Lord William, e Henry rammentava anche di aver sentito qualcosa in merito ad un rifiuto di pagamento, o qualcosa di simile. Ma questo non importava.

Lord William aveva conosciuto due delle vittime, e aveva giocato a carte con loro. Non solo, ricordò Henry improvvisamente, era certo di aver visto Lord William allontanarsi in compagnia del Marchese Van Tassel, prima che questi venisse trovato ucciso…

E, pensò Henry, con un po’ di fortuna non sarebbe stato difficile trovare una connessione anche con il Conte DeBourgh e le altre vittime…

Non ne era certo, ma ora il suo sesto senso gli stava urlando di stare attento.

Perché, forse, Lord William nascondeva un segreto…

 

***

 

Catherine si svegliò presto; era sempre stata mattutina, quindi non fu difficile, per lei, alzarsi. Fuori nevicava; la ragazza sorrise, alla vista dei fiocchi di neve. L’ultima volta che c’era stata neve a Natale, lei ed Henry erano molto piccoli e Rosalie non esisteva ancora. Da quella volta, aveva sempre sperato che a Natale nevicasse, ma non l’aveva mai fatto; fino a quel giorno.

Si vedeva che doveva essere un Natale speciale.

Si alzò in fretta dal letto, gettando lontano da sé le coperte con un gesto allegro. Si diresse verso l’armadio e ne estrasse l’abito che, dopo molti dubbi e indecisioni, aveva deciso di indossare per quel giorno. Si trattava di un vestito bianco, non pesante ma sufficientemente adatto al clima invernale; le lasciava le spalle leggermente scoperte, mentre le maniche lunghe terminavano con una sottile striscia di pizzo ai polsi. Intorno alla vita era avvolta una sciarpa color crema, che le cingeva i fianchi lasciando che un lembo pendesse lungo la gonna.

Catherine fece per acconciarsi i capelli in una treccia, ma improvvisamente ricordò che, una volta, Adrian le aveva detto che gli piaceva molto quando teneva i riccioli corvini sciolti sulle spalle. Decise quindi di lasciarli così com’erano; ultimamente, sentiva sempre più forte il desiderio di fare piacere al padrone di casa. Catherine non sapeva perché, ma ogni volta che lui le parlava sentiva il cuore accelerare i suoi battiti, e sempre più spesso si ritrovava a ricercare il suo sguardo, quando chiacchieravano, quando cenavano insieme, quando leggevano…

Tutta l’avversione e l’astio che aveva provato nei suoi confronti i primi tempi si erano come dissolti; alla ragazza sembrava quasi che quei giorni facessero parte di un brutto sogno, dal quale, fortunatamente si era risvegliata.

Oggi è Natale, si disse. E dev’essere un bel giorno…

Diede un ultimo colpo di spazzola alla chioma corvina, quindi uscì dalla stanza e prese a scendere velocemente i gradini dello scalone.

Trovò i domestici nell’atrio, Ernest e Peter intenti ad armeggiare con palline e festoni, Constance che li osservava, in disparte, un po’ pensierosa.

- Buon Natale!- salutò Catherine, finendo di scendere le scale.

- Buon Natale, Cathy!- augurò Peter, frugando in un vecchio baule colmo di decorazioni.

- Buon Natale - fece Ernest, appendendo una pallina all’albero.

Catherine osservò l’abete; il giorno prima, lei ed Ernest erano stati quasi tutta la mattinata nella foresta, alla ricerca di un albero di Natale adatto. Alla fine, la scelta era caduta su di un abete non molto alto ma con folti e lunghi rami, l’ideale per appenderci delle decorazioni.

La ragazza si chinò sul baule, prendendovi due o tre palline bianche e argentate.

- Buon Natale, Constance - augurò.

- Buon Natale…- borbottò la donna, senza sorridere.

- Che c’è? Qualcosa non va?- domandò Catherine.

- No, è solo che…Il padrone lo sa, di tutta questa storia dell’albero?

- Beh…veramente no - ammise la ragazza.

- Ma…non pensi che sarebbe stato il caso di chiederglielo?- incalzò Constance, guardando Peter tentare di decorare l’abete con un festone e avvolgendosi quest’ultimo intorno alla vita.

- E a che pro?- fece Catherine.- Non penso che a Natale si debba chiedere il permesso per addobbare l’albero.

- Beh, veramente, sì - insistette Constance.- Insomma, qui non facciamo nulla senza l’autorizzazione del padrone e…Cathy, ricorda che nessuno, in questo maniero, festeggia il Natale da dieci anni, ormai!

- Ma…intendi dire che non lo festeggiate proprio?- fece Catherine, incredula.- Cioè, niente regali, niente di niente?

Constance scosse il capo. Anche Peter ed Ernest assunsero un’espressione seria.

- Il Natale, qui, è sempre stato un giorno come un altro - spiegò il vecchio.- Il padrone non ha più voluto festeggiarlo da quando…- Ernest si bloccò, come alla ricerca delle parole adatte.

- Da quando?- incalzò la ragazza.

- Da quando suo padre è scomparso - concluse Constance, scoccando ad Ernest un’occhiataccia che Catherine non faticò ad intercettare.

Era da un po’ di tempo che la ragazza aveva l’impressione che tutti, perfino Peter, le stessero nascondendo qualcosa. Aveva provato più e più volte a capire di cosa si trattasse, ma si era sempre trovata di fronte ad un muro di mattoni. Tuttavia, non voleva guastare l’atmosfera festosa con una serie di domande a raffica, quindi fece finta di nulla.

- Beh, forse è ora che ricominci - dichiarò.- Io sono sicura che a suo padre avrebbe fatto piacere. E in ogni caso, non preoccupatevi, me la vedrò io, con lui - aggiunse, notando lo sguardo poco convinto di Constance.

Ripresero ad addobbare l’albero, chiacchierando del più e del meno, fino a che Ernest non estrasse dal baule una scatolina dorata. Il vecchio l’esaminò per qualche istante, quindi l’aprì; subito, da essa cominciò ad uscire una melodia ritmata e allegra, come quella delle danze delle feste di paese a cui Catherine partecipava quando ancora lei e la sua famiglia stavano in città.

- E’ un carillon!- esclamò la ragazza.

- Orecchiabile, questa canzone - commentò Peter, mentre già cominciava a non riuscire più a stare fermo.

- Che fai, Peter? Ti metti a ballare?- scherzò Catherine; poi, senza attendere risposta, prese le mani del ragazzino fra le sue.- E apriamo le danze, allora!

Cominciarono a volteggiare, preoccupandosi poco di seguire il ritmo, ridendo come due bambini. D’un tratto, Peter si fermò e, fattosi serio, si esibì in un inchino a cui la ragazza rispose con una breve e infantile riverenza. Ripresero a ballare, atteggiandosi a dama e cavaliere, fatto che strappò ad Ernest un breve risata.

- Ma cosa ridi?!- lo rimbeccò Constance.- Cerca di rimanere serio e fai smettere subito quella musica, piuttosto!

- Oh, andiamo, Constance! Guarda come si divertono!- disse Ernest, indicando Catherine e Peter che volteggiavano, ridendo come matti.

- Ma sono solo io, qui, ad avere un po’ di buon senso?! Non sappiamo se il padrone è d’accordo, se si accorge che stiamo…

- E dai, mamma, lasciati andare!- la incitò Peter, interrompendo per un attimo quella folle danza.

- Giusto, Constance, lasciati andare!- ripeté Catherine, prendendo una mano della donna e tirandola verso di sé. Constance lanciò un gridolino di sorpresa, mentre la ragazza, ridendo, la trascinava con sé in una serie di piroette.

- Oh…! Oh, santo cielo! No, Cathy, non…! Oh, cielo!- alla fine, anche Constance iniziò a ridere come una bambina, lasciandosi travolgere dal ballo.

Peter batté le mani, unendosi insieme ad Ernest alle risate; d’un tratto, però, il ragazzino sbiancò, e corse immediatamente a chiudere il coperchio del carillon, facendo così cessare la musica. Le due donne si bloccarono di colpo.

- Peter, ma perché hai…?- iniziò Catherine, ma all’improvviso si accorse che gli altri domestici stavano guardando, immobili, lo scalone. La ragazza si voltò, vedendo la figura del padrone in piedi di fronte a loro.

Era vestito di nero, come al solito, e indossava sempre lo stesso mantello scuro con il cappuccio abbassato; era evidente che non si aspettava feste, pensò Catherine.

- Che succede qui?- fece, osservando l’intero salone.

Non sembrava innervosito, solo sorpreso, ma Constance emise comunque un gemito soffocato.

- Mi dispiace, padrone…- pigolò.

- Che succede qui?- ripeté Adrian, terminando di scendere i gradini.

Catherine si schiarì la voce, lisciandosi le pieghe del vestito.

- Buon Natale, Adrian - disse.

Lui parve ancora più sorpreso.

- Io…oh, beh, io…buon Natale…- mormorò infine.- Cosa state facendo?

- E’ colpa mia, Adrian - disse la ragazza.- Sai, ho pensato che sarebbe stato carino, un albero di Natale…ti dispiace?

- Cosa? No, io…non mi dispiace affatto - disse, guardando l’albero ancora non completamente addobbato.- E’ stata una tua idea?

- Sì - disse Catherine.- Ho saputo che voi qui non festeggiate mai il Natale, ma mi sono chiesta se…se per caso quest’anno non volessi fare un’eccezione e…vuoi fare un’eccezione?

Il padrone la guardò, con il suo solito sorriso a denti aguzzi, ma sincero.

- E eccezione sia!- acconsentì.

I volti di Peter ed Ernest si illuminarono; Catherine credette che Constance stesse per svenire dallo stupore.

- Grazie, Adrian!- sorrise la ragazza, radiosa.- Che ne dici, ti va di aiutarci a finire di addobbare l’albero?

Ormai mancava davvero poco, solo qualche decorazione; all’inizio, i domestici erano visibilmente a disagio per la presenza del mostro, ma dopo poco cominciarono ad abituarcisi, riprendendo a chiacchierare allegramente. Catherine e Adrian terminarono di appendere le varie decorazioni, finché non ne rimase soltanto una, un piccolo angelo di porcellana bianca.

Catherine lo prese con attenzione, cercando di appenderlo all’unico ramo rimasto libero, ma era troppo in alto.

- Cielo, quanto vorrei avere qualche centimetro in più!- sbuffò la ragazza.

Il padrone le si avvicinò.

- Aspetta, ti aiuto…- disse.

Sfiorò lievemente una mano della ragazza con una delle sue zampe artigliate, aiutandola ad arrivare fino al ramo. Quando Catherine ebbe sistemato l’angelo, tuttavia, nessuno dei due lasciò la mano dell’altro; le riabbassarono contemporaneamente, e la ragazza abbandonò il proprio palmo nella mano artigliata di Adrian.

Catherine distolse lo sguardo, sentendosi avvampare.

Constance, Ernest e Peter interruppero ciò che stavano facendo, sporgendosi a guardarli; sulle labbra della donna si dipinse un sorrisetto malizioso.

- Grazie…- mormorò piano Catherine.

- Di niente…- rispose il padrone, con un sorriso sghembo.

Non appena si accorsero che i domestici li stavano fissando, si riscossero immediatamente.

- Oh, ma che sbadata!- esclamò la ragazza.- Non vi ho ancora dato i vostri regali.

Detto questo, si chinò ed estrasse da sotto l’albero tre pacchi che aveva nascosto la sera prima.

- Constance, Ernest, Peter, tanti auguri di buon Natale!- disse, distribuendo i regali ad ognuno dei domestici.

- Wow, grazie, Cathy!- esclamò Peter, iniziando a lacerare la carta del proprio pacchetto.

- Non dovevi…- fece Ernest.

- Oh, cielo, che vergogna, io non ho niente per te…- fece Constance, aprendo il proprio regalo.

- Non fa niente…Non è granché, lo so, ma ho fatto del mio meglio. Spero che vi piacciano.

Ai domestici piacevano; erano abiti, ma per loro, che da tempo immemorabile, ormai, non indossavano altro che vestiti stracciati, parvero come pentole d’oro. Catherine aveva regalato a Peter tre sciarpe, una rossa, una verde e una blu, e ad Ernest due camicie di lino bianche; quanto a Constance, per lei la ragazza aveva cucito tre abiti, due molto semplici, e il terzo rosso fuoco con ricami di pizzo e la gonna di seta.

- No, questo…questo è…è troppo per me…- disse, rimirandolo.- Catherine, davvero, grazie, io non…mamma mia, credo che non avrò mai il coraggio di indossarlo, talmente è bello…

Catherine rise; anche Adrian sorrise, avvicinandosi a lei.

- Ecco a cosa ti serviva, quella stoffa…

Non c’erano regali per lui, ma il mostro non se ne prese a male.

Sei tu il regalo più bello, pensò, guardando Catherine che, sorridente e vestita di bianco, in quel momento gli parve come un angelo.

Ecco cos’era Catherine: un angelo. Un angelo che era arrivato a portare un po’ di luce nella sua vita buia. Adrian si rendeva conto di non aver accettato subito quel dono che il cielo aveva voluto mandargli, e non passava giorno senza che non si pentisse per quello che aveva fatto a quella ragazza.

Prima che lei arrivasse, lui era una bestia. Sì, una bestia. Era conscio di essere un mostro, ma, dopo dieci anni, lo era divenuto anche all’interno, non solo esteriormente. Da dieci anni viveva rinchiuso nel suo stesso castello, solo, senza altra compagnia se non quella di tre domestici che a malapena gli rivolgevano la parola, tanto si era fatto temere. Era una bestia, prima che Catherine arrivasse, lui non distingueva nemmeno più cosa provava: le sue emozioni erano un groviglio insensato di sentimenti, ormai non riusciva più a capire cosa provasse veramente, o se fosse ancora in grado di provare qualcosa.

Adrian non ricordava neanche perché l’avesse tenuta prigioniera, perché l’avesse maltrattata in quel modo, quando lei non aveva fatto altro che consegnarsi a lui per salvare suo padre…Ma in quei momenti, era come se non fosse più Adrian, il mostro si era impossessato di lui, era la bestia che dettava legge: la bestia gli ordinava di urlare contro Catherine, era la bestia che voleva che lui la maltrattasse…ma era stata anche la bestia che, quella notte, si era scatenata contro i due tagliagole che stavano per farle del male.

Ma da quella notte, qualcosa era cambiato: la bestia a volte riusciva ancora a prendere il sopravvento, ma col tempo lui aveva imparato a dominarla…e, grazie all’aiuto di Catherine, Adrian sentiva di aver sconfitto per sempre il mostro. Quando Catherine gli era vicino, lui sentiva che le emozioni ricominciavano a prendere forma: quando parlava con lei, quando lei gli sorrideva, o semplicemente quando la guardava, cominciava a dare un nome a quello che provava, prima simpatia, poi amicizia, affetto…amore.

Amore. Sì, con il tempo si era reso conto che era amore, quello che provava per Catherine. Non che sapesse molto di cosa voleva dire amare: quando la sua vita era finita per sempre, lui aveva vent’anni, si era invaghito di qualche fanciulla, aveva avuto qualche avventura, e l’unica persona a cui sentiva di aver mai voluto bene era suo padre, benché, prima di scoprire chi fosse in realtà, si fosse sentito molto vicino anche alla sua matrigna.

Ma non aveva mai amato nessuno come amava Catherine.

Lei non era solo bella, era anche dolce e intelligente; era stata la prima persona, dopo tanto tempo, che avesse saputo accettarlo, che avesse dimostrato un po’ di affetto nei suoi confronti…che avesse saputo guardare oltre la sua mostruosità.

Quello che era successo poche settimane prima, quell’abbraccio inaspettato, li aveva avvicinati molto. Adrian temeva che lei provasse ancora ribrezzo per lui, e per questo cercava sempre di aspettare che fosse lei ad avvicinarsi, a toccarlo, benché a volte la tentazione era per lui così forte da divenire insopportabile. Il padrone assaporava fino in fondo i momenti in cui le porgeva la mano per aiutarla a scendere da cavallo, e quando, cenando vicini, la mano di lei sfiorava casualmente una delle sue zampe mostruose.

Ma erano quando leggevano insieme, seduti l’uno accanto all’altra, che si sentiva veramente felice. Gli piaceva osservare senza essere visto il suo bel viso concentrato nella lettura. Spesso, in quei momenti, immaginava come sarebbe stato posarle un lieve bacio sulla spalla, o accarezzarle piano una guancia, tracciando il suo profilo e insinuando le sue dita artigliate fra i capelli corvini della ragazza. Era sicuro che lei ne sarebbe stata inorridita, che l’avrebbe respinto con orrore; ma non poteva impedirsi di immaginare quanto sarebbe stato bello, per una volta, una sola volta, tenerla fra le braccia e posarle un bacio sulle labbra.

Lei avrebbe provato ribrezzo…all’inizio. Forse, ora no.

Adrian lo sperava con tutto il cuore; voleva che Catherine rimanesse con lui, per sempre, non da prigioniera, ma con la volontà di rimanere…rimanere al suo fianco, perché lo amava.

I domestici avevano ripreso a chiacchierare; Peter aveva riacceso il carillon.

- Che cos’è?- domandò Adrian, ascoltando quella musica vivace.

- Non lo so, ma a me piace un sacco - rispose Catherine, allegra.- E anche a Constance.

- A me?- fece la donna, sgranando gli occhi.

- Certo, poco fa ti sei esibita in veste di ballerina!- scherzò Ernest.

- Ma per piacere…- borbottò lei.

- Forza, Constance, vogliamo il bis!- rise Catherine.

- Sì, mamma, dai!

- No, no, no, non se ne parla nemmeno, e poi io…

- E su!- Ernest si fece avanti, trascinando la donna al centro del salone.

- Cosa?! No, ma che scherziamo?! Io non ballo con te, non voglio averti sulla coscienza se ti rompi un femore…

Ernest non l’ascoltò, cominciando a trascinarla in una danza non molto veloce, a causa dell’età di lui e della resistenza di lei. Catherine fece una breve risata, quindi si voltò verso il padrone.

Gli prese una mano artigliata.

- Balliamo anche noi, che ne dici?

- Cosa? Io…non so ballare, mi dispiace - ammise il mostro, stringendosi nelle spalle.

- Beh, neanch’io. Siamo una coppia perfetta, non ti pare?

Alla fine, Adrian si lasciò convincere.

Iniziarono un valzer strano, fuori tempo, senza seguire i passi della danza, ma a loro non importava. Catherine si divertiva un mondo, ridendo della propria goffaggine; alla fine, esausta per il troppo danzare e il troppo ridere, appoggiò il capo contro il petto del padrone.

A quel gesto, Adrian iniziò a sperare più vivamente.

 

***

 

Rosalie si faceva tirare; Lady Julia la strattonava per un braccio, ma senza forza, quasi stesse trasportando un sacco di patate.

Rosalie aveva tentato più volte di rivedere suo padre, ma invano. La porta della sua stanza era sempre chiusa a chiave; tuttavia, la ragazzina lo sentiva gemere e tossire tutta notte, e ogni giorno che passava era sempre più in ansia per lui.

Aveva tentato di raccontare quello che aveva scoperto su Lady Julia, ma invano; la matrigna la teneva chiusa nella sua stanza dalla sera prima, e quelle due o tre parole che era riuscita a spiccicare con Lydia erano subito state liquidate come sciocche fantasie.

Lady Julia aprì la porta d’ingresso; subito, il vento gelido dell’inverno nevoso entrò nella casa.

- Devi andare nella foresta - le disse la matrigna.- Mi occorrono delle bacche.

- Bacche? Per che cosa?- fece Rosalie, diffidente.

- Per le medicine di tuo padre. Prendine quante più riesci.

- Come pretendete che trovi delle bacche in mezzo alla neve?

Per tutta risposta, Lady Julia la tirò per un orecchio.

- Credi che non sappia quello che faccio o che dico, ragazzina? Su, forza, muoviti!- e la spinse verso la porta.

- Signora Kingston!- chiamò Lydia, scendendo in fretta le scale.

- Cosa c’è?- ringhiò Lady Julia.

- Non pensate che sarebbe il caso che smettesse almeno di nevicare? La signorina Rosalie potrebbe prendersi una polmonite, se…

- Mio marito è malato, vecchia - disse Lady Julia.- E’ grave, quelle bacche mi servono il più presto possibile.- Tornò a rivolgersi a Rosalie.- Se vuoi aiutare tuo padre, mocciosa, allora muovi le gambette e vai nella foresta!- detto questo, le diede in mano un cestino vuoto.

Rosalie lo prese, stringendolo forte fra le mani.

- E va bene!- acconsentì, afferrando la maniglia della porta.

- Aspettate, signorina!- fece Lydia, avvicinandosi.

Rosalie vide che la vecchia balia aveva in mano uno strano involucro rosso; quando lo sciolse, questo divenne una mantella con il cappuccio, che Lydia le avvolse intorno alle spalle.

- State attenta, signorina - si raccomandò.- Non lasciate mai il sentiero, e guardatevi dagli sconosciuti…

La ragazzina annuì, seria.

- Abbiamo finito?- fece Lady Julia, impaziente, spingendo la figliastra fuori dalla porta.

Rosalie riuscì appena a intravedere gli occhi colmi di preoccupazione di Lydia, prima che la porta in legno di quercia di casa sua si chiudesse con un tonfo.

 

***

 

Rolf e gli altri cani annusarono avidamente il colletto di pizzo bianco che il loro padrone gli porgeva. Lord William ghignò soddisfatto, mentre i cani ululavano e iniziavano a correre verso la foresta.

Lady Julia gli aveva fornito il colletto della sua figliastra per meglio facilitare la caccia ai suoi cani. Presto avrebbero stanato la preda, pensò Lord William.

Presto Catherine sarebbe stata sua.

 

***

 

Rosalie inspirò l’aria gelida del mattino, stingendo più forte il cesto di vimini fra le dita già intirizzite. Se davvero quelle bacche servivano per suo padre, allora poco importava che Lady Julia fosse una strega e che lei dovesse camminare in mezzo alla neve, le avrebbe trovate.

Si mise il cappuccio rosso per proteggersi dalla neve che continuava a cadere, e si addentrò nella foresta.

 

***

 

Catherine scivolò nella biblioteca, chiudendosi la porta alle spalle.

- Perché mi hai portato qui?- domandò Adrian, in piedi di fronte a lei.

La ragazza si avvicinò al tavolino, sul quale era poggiato un piccolo pacco. Lo prese e lo porse al padrone.

- Volevo darti il tuo regalo.

Il mostro rimase un attimo interdetto, quindi lo prese con un sorriso.

- Pensavi che mi fossi dimenticata di te, vero?- ridacchiò Catherine.

- Grazie, Catherine, io…

- Aspetta a ringraziarmi. Prima, aprilo.

Il padrone ubbidì, aprendolo con cura.

Era un libro.

Non un libro normale, perché le pagine erano cucite insieme con ago e filo, ed erano tutte bianche.

- E’ un libro. Cioè, una specie - spiegò Catherine.- Vedi, non sapevo cosa regalarti, poi ho pensato che a te piacciono molto i libri. E così, ecco qui. Questo è un libro tutto tuo, puoi scriverci quello che vuoi. Lo so, è un’idea sciocca, ma…

- Non è affatto un’idea sciocca. Mi piace molto - sorrise il padrone.- E…e spero che vorrai scriverlo insieme a me…

- Con molto piacere, se vorrai - Catherine lo guardò sorridendo.

Calò il silenzio, ma un silenzio amichevole, non carico di tensione come i primi tempi. La ragazza si avvicinò alla finestra, osservando la neve cadere. Adrian poggiò il libro sul tavolino, sentendo che il nervosismo stava aumentando.

Guardò la ragazza. Catherine, con quell’abito bianco, illuminata dalla luce della neve, era una visione stupenda.

- Sei bellissima…- sussurrò.

La ragazza si voltò a guardarlo, arrossendo vistosamente.

- Grazie…- mormorò.

Catherine si accorse che Adrian era come in difficoltà, quasi stesse cercando di dire qualcosa che non sapeva esprimere. Teneva gli occhi bassi, senza guardarla.

- Adrian…- chiamò, un po’ preoccupata.- Adrian, va tutto bene?

- Sì…sì, io…- balbettò, poco convinto.- Sì, sto bene…

La ragazza sapeva che non era vero. C’era qualcosa che lo turbava, era evidente. Mosse qualche passo verso di lui.

- Adrian, se c’è qualcosa che ti turba, a me puoi dirlo, se vuoi - disse.

- Io…in effetti, c’è una cosa che vorrei chiederti…- mormorò il mostro, sempre tenendo gli occhi bassi.

- Ti ascolto - lo incoraggiò la ragazza.

Adrian prese un bel respiro, quindi si decise a parlare.

- Catherine - disse, guardandola con i suoi impenetrabili occhi azzurri.- Catherine, vuoi sposarmi?

 

Angolo Autrice: Scommetto che questa non ve l’aspettavate…XD!

Ok, scherzi a parte, il mantello di Rosalie è un chiaro riferimento a Cappuccetto Rosso…nel prossimo capitolo, vedremo cosa succederà alla piccola Rose e come risponderà Cathy…

Un avviso: chiedo scusa a tutti voi, ma cause di forza maggiore mi terranno lontana da EFP per un po’, e dovrei riuscire a pubblicare il prossimo capitolo solo verso il 10 luglio. Vi chiedo di nuovo scusa, e spero che avrete la pazienza di continuare a seguirmi, vi assicuro che ho tutta l’intenzione di finire questa ff e che pubblicherò il prossimo capitolo appena mi sarà possibile.

Ringrazio molto tutti coloro che leggono, castilla e Flaren per aver aggiunto questa ff alle seguite, Black Fairy per averla aggiunta alle preferite e per la sua recensione, LaFenice per averla aggiunta alle ricordate, ed Ellyra per aver recensito.

Chiedo scusa ancora e spero di ritrovarvi tutti qui!

Ciao a tutti!

Dora93

  
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