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Autore: Cassie chan    15/06/2012    19 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. '
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Piccola premessa a suo modo necessaria: questo capitolo come sempre mi capita è abbastanza lungo. Purtroppo devo ancora elaborare il significato dell’espressione “dono della sintesi”, ma sto cercando di migliorare. All’inizio avevo pensato di dividerlo in due, ma alla fine significava spezzare qualcosa che ancora nella mia mente, concepisco come unito. Quindi a chi ancora segue questa storia, chiedo scusa da adesso per il tempo che perderete leggendo…L

 

NEI CAPITOLI PRECEDENTI:

Draco ed Hermione sono riusciti a fuggire dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton, che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione, ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno, le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco. Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di recarsi in un luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza sapere che la ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff, Raissa, che le ha detto che l’unico modo per tornare libera, sarebbe concentrarsi sull’amore che Draco nutre per lei. E per farlo, le mostra i ricordi che Draco ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora fosse accaduto qualcosa a Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta rivivendo i ricordi di Draco, essi sembrano scomparire nel nulla. Al suo risveglio, Hermione apprende che cosa Draco sta facendo: si è rivolto ad un demone, Adamar, per ottenere i poteri necessari per difendere Hermione e Serenity da Astoria. Il prezzo per tale demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa, la cosa più preziosa che ha, per questo essi sono scomparsi. Se Draco fallisse la prova oppure decidesse di ritirarsi dalla stessa, Adamar gli restituirebbe i suoi ricordi. Ad Hermione, non resta che aspettare che Draco ritorni. Insidiata da Dimitri il fratello di Raissa ed oramai vicina a perdere le speranze, una sera di pioggia, Hermione distingue un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa di Pansy. È Draco che misteriosamente è riuscito a tornare. I due finalmente si riuniscono e passano la notte assieme. Intanto nel futuro, dopo cinque anni, Hermione è tornata a casa di Pansy Parkinson assieme a Seth e a suo figlio Alex. Pansy, che adesso è sposata con Dean, però, non sa dove Draco sia. Non lo vede anche lei da cinque anni. Hermione affranta perde l’ultima speranza di trovarlo.

 

 

 

 

Capitolo 35 – Decaying rosebud

 

Ai luoghi della memoria non è concessa amnistia dal tempo.

Anzi, forse lo subiscono molto di più di qualsiasi altro posto esistente al mondo. È un dissidio incolmabile come un denso fluido che galleggia sull’acqua: un luogo della memoria sarà sempre diviso a metà. Gli occhi vedono come è cambiato, il cuore si muove nel diniego di ciò che resta tutto uguale. E quasi strizzi la vista per dirti che deve esserci altro, ancora qualcosa del tempo sepolto. Invece non c’è più niente.

Pansy è cambiata: dalla ragazza acidula e cinica che conoscevo si è trasformata in una creatura più malleabile e meno dispoticamente concentrata su sé stessa. Forse, anche prima di essere la mamma di Charisma, diventare la moglie di Dean ha influito molto nel processo. Del resto, tranne che nel mio caso, quando una diventa madre e moglie, tendenzialmente smette i panni adolescenziali dell’egocentrismo, diventando irrimediabilmente altruista.

Quindi sebbene Pansy amasse il suo giardino ed amasse ovviamente il gazebo di pietra in cui sostava con le sue amiche, ad un certo punto deve esserle sembrato inutile, scomodo. Uno spreco di spazio che poteva essere meglio dedicato alla sua famiglia.

Lì, io ho baciato Draco per la prima vera volta.

Al suo posto, ora c’è un’altalena di corda magica che non ha bisogno di essere spinta e che, in caso di caduta, ti accoglie su un tappeto di petali bianchi comparsi dal nulla.

L’incantesimo si attiva ad ogni fruscio dei miei piedi, mentre sicuramente Charisma ancora non tocca il suolo con i suoi minuscoli arti.

I petali volano via, leggeri nel tramonto, creando un contrasto sanguigno con il cielo rossastro. Splendono quasi rosei e poi spariscono alla mia vista.

“Credo che le ricordasse Zabini…”. La voce leggera di Dean mi raggiunge da un punto imprecisato alla mia destra. Gli sorrido stancamente, sospingendomi sull’altalena avanti ed indietro mentre lui si avvicina a me. Si appoggia alla struttura di ferro battuto con una spalla, gli occhi sabbia malinconiche onde rese brillanti dalla luce del sole morente.

“Come lo sai?” chiedo con un sospiro. Il profumo dei petali di rose è soffocante ma non riesco a fermarmi, continuo a spingermi avanti ed indietro. Dean scompare e riappare accanto a me.

“Stringeva le labbra quando veniva qui…”.

“E da lì hai capito? Come?” chiedo, fermandomi all’improvviso. Lo guardo implorante, come se dalla sua risposta potrei avere cose che io non so e non ho mai avuto. Quotidianità, ecco. Le piccole abitudini affastellate giorno dopo giorno, i riti inanellati continuamente: io e Draco non abbiamo fatto in tempo ad averli. Abbiamo avuto una passione bruciante, un amore inesausto, ma non abbiamo potuto assistere al momento in cui le farfalle nello stomaco si sarebbero riposate, dismettendo le ali.

Dall’innamoramento, intenso ma passeggero, non siamo mai arrivati all’amore, carsico nel sottosuolo di noi stessi.

Io non conosco Draco come Dean conosce Pansy.

Dean sorride leggero: “Stringe sempre le labbra quando qualcosa le dà fastidio… quando la incontrai a Parigi, aveva quell’espressione praticamente sempre. È difficile dimenticarsela, è molto simile a quella che avevi tu quando nominavo Ron…”.

“Davvero? Non me lo ricordo più…”.

“Ho una discreta esperienza” commenta Dean presuntuoso, incrociando le braccia “Vengo sempre dopo un cosiddetto grande amore…”.

“Cosiddetto, appunto…” sorrido amaramente, incassandomi nelle spalle “Pansy ti ama molto, spero che tu non l’abbia messo mai in dubbio…”.

Dean sorride, ha gli occhi profondamente persi nei suoi pensieri come se non guardasse me, il tramonto o il giardino, ma qualcosa che sta avvenendo solo nella sua testa e che probabilmente è lontanissimo anche nel tempo.

“No, non l’ho mai messo in dubbio…” acconsente con sicurezza stentorea, per poi proseguire con voce soffice: “Ma è difficile dimenticare quello che siamo stati per tutta la vita, Hermione. Amare Pansy mi ha reso un altro… credo che tu lo capisca meglio di chiunque altro. Sai quante volte al giorno sento dentro una lotta intestina tra quello che ero e quello che sono diventato? Tra il Grifondoro mezzosangue che avrebbe potuto amare solo una come lui, e il marito di Pansy Parkinson, la migliore amica di Draco Malfoy?”. La sua è una domanda retorica, ovviamente. Sa già che cosa risponderò. È una frattura come la cesura in un osso rotto che sento circa duecento volte al giorno.

“Quindi è normale che spesso la mente non mi viene dietro…” prosegue, socchiudendo gli occhi e stringendosi nelle spalle “E mi sembra più ovvio che il suo grande amore sia stato Zabini, piuttosto che io…”.

“E a me sembra più normale che con Draco sia finita, piuttosto che sia continuata…” aggiungo con un filo di voce, Dean mi poggia una mano sulla testa facendomi una carezza affettuosa. Riconosco le sue dita, la sua mano, la sua pelle, ed è assurdo pensare che mi abbia amato, che io abbia pensato di amarlo. Mi abbandono a quella dolcezza nostalgica che ora è solo fraterna.

“Sarebbe più normale che tra me e lui non sia mai successo nulla…” riprendo con un nodo in gola che strozza le mie parole “Poi vedo Alex e ricordo quello che è stato. Non posso più tornare indietro, Dean. Tu potresti?”.

“No… fa paura talvolta, anche se la mia situazione con Pansy è diversa … ma… no. Non ce la farei a tornare indietro.”.

“Mi capisci adesso?” riprendo, voltandomi finalmente a guardarlo. Dean ha gli occhi più chiari di quello che ricordo, mi fissano con espressione sofferta, tra una tenerezza difficile da smussare e una pietà impossibile da nascondere.

“L’ho sempre fatto…” Dean prende fiato e sospira profondamente, tutti i miei sensi improvvisamente si risvegliano. La sua espressione è cambiata. Il sole improvvisamente, da morto diventa rovente, e mi infiamma il viso. Dean abbassa lo sguardo e io rincorro i suoi occhi, esortandolo silenziosamente a parlare.

“Pansy non ti ha mentito…” dice con voce atona, a malapena muove le labbra “Lei non sa dove è Malfoy. Ha sofferto forse quanto te in questi anni. Era il suo migliore amico…”.

Deglutisco, la testa che pulsa ininterrottamente e il volto accaldato. Le mie mani stringono convulsamente la corda dell’altalena.

Dean sospira ancora, guardando il cielo: “Ma non ti ha detto una cosa… non so perché. Mi piace credere che non voglia farti soffrire… ma non li conosceremo mai fino in fondo, Hermione. Mai.”.

Mi si svuota la mente da ogni pensiero, come se affogassi. Mi aggrappo alla sua bocca e alle sue parole come se fossero pane ed acqua in una deserto di fame.

Dean si piega in ginocchio, giungendo alla mia altezza. Mi accarezza una spalla con dolcezza, poi chiude gli occhi e mi stringe una mano.

“Pansy mi ha raccontato tutto. Di quel giorno di cinque anni fa. Malfoy andò via di qui con Serenity… dopo che…”. Mi stringo nelle spalle, chiudendo le labbra, cercando di non ripensare a quanto avvenne quel giorno. Lo prego in silenzio di non proseguire, il pensiero del dolore di Draco mi spezza fiato e cuore e non lo posso sopportare ancora. Per fortuna Dean capisce e si interrompe dal ricordarmi quel maledetto giorno di cinque anni fa.

“Non andò via da solo…” lo aggiunge quasi senza voce, inconsciamente serro la sua mano nella mia “E anche di lei non sappiamo più niente da cinque anni… deve essere ancora con lui…”.

“Di lei?” pigolo spaventata, sbarrando gli occhi “Di chi stai parlando, Dean?”.

“Raissa… quel giorno Draco è andato via con Raissa. E crediamo che siano ancora assieme”.

 

 

Ai ricchi piace la seta viola.

Che in un momento del genere io riesca a pensare una cosa simile, non è una cosa che mi sorprende. Ho il cervello che se ne va sempre per conto suo nei momenti topici della mia esistenza. Non che questo lo sia, un momento topico intendo, ma pensare ad altro sarebbe quantomeno provvidenziale vista la mia attitudine ad infilarmi costantemente in situazioni senza uscita.

E questa è forse la regina madre delle situazioni senza uscita.

Astoria mi ha fatto vestire di seta viola, quando voleva farmi uccidere Draco. Pansy mi ha messo a disposizione una serie di pigiami tutti rigorosamente viola e tutti di seta, che io mi sono rifiutata categoricamente di indossare, e non a caso adesso indosso solo una camicia bianca da uomo che mi copre a malapena le gambe.

Concludere in modo netto che la seta viola è in cima alle preferenze d’abbigliamento facoltoso è la logica conseguenza del fatto che anche Dimitri Karkaroff ha una camicia di tale colore e tessuto.

Certo, capisco la seta, è un prezioso involto proveniente da un comunissimo baco, ma il viola… io lo detesto il viola, peggio di un’attrice alla prima di uno spettacolo teatrale.

Lo evito come c’è gente che evita gli specchi rotti, o i gatti neri, o le crepe sui marciapiede.

E non sono superstiziosa, figuriamoci! Mi trasmette solo disagio.

E vedermi parare in corridoio alle sette del mattino Dimitri con tale abbigliamento doveva essere un segnale divino, come se improvvisamente si fosse messo a piovere fuoco dal cielo. 

Ma, ovviamente, io che sono una persona razionale e ragionevole, non ci ho fatto caso. Sbagliando!

Ho solo cercato di allungare quanto più possibile la camicia che indossavo, per coprirmi almeno fino al ginocchio, faccenda sicuramente importante ma che mi ha distratto dall’apparizione del colore nefasto. Che poi, a rifletterci bene, anche se lo avessi visto bene il colore della sua camicia, figuriamoci se ne avrei ricavato un qualche presagio di sventura.

Ero, e sono, nel bel mezzo della mattina più bella della mia vita.

Ho gli occhi gonfi di sonno, i capelli spettinati, il labbro inferiore con un piccolo taglietto, un segno violaceo sul collo e la testa che pulsa come un martello pneumatico.

Eppure sono la donna più felice del mondo.

Ciò implica che ho la capacità visiva e cognitiva di una lumaca sgusciata.

Ergo, mi sono accorta a malapena di Dimitri, figuriamoci della sua maledetta camicia…!

Se mi fossi accorta anche solo della sua presenza, tanto per dirne una, probabilmente al momento non sarei rimasta con la mano ferma a mezz’aria e la bocca lievemente spalancata, mentre la garza imbevuta di disinfettante scivolava via dalle mie dita, ricadendo soffice sul letto su cui sono seduta a gambe incrociate.

E questa mattina sarebbe rimasta del colore dell’oro e della perla, invece che tingersi di un indaco fastidiosamente irritante.

E certamente non mi sarebbe stata fatta questa domanda, dopo la quale le vene del mio collo si sono pericolosamente gonfiate, facendomi riassumere la ben nota espressione da pesce palla… anche se poi, a conti fatti, non è che sia così inconsueto che io stia passando nell’arco di quattro secondi dal disinfettare amorevolmente lo zigomo tumefatto del mio quasi fidanzato-amante-compagno-frequentatore di letto-non-so-come-altro-chiamarlo-in-attesa-che-lui-definisca-esattamente-quello-che-siamo, meglio noto come Draco Lucius Malfoy, alla voglia spasmodica di aprirgli una serie di altri tagli sulla faccia, dove spargersi sopra del sale che fa molto stile “Attila flagello di Dio”.

Fare l’amore con l’uomo che amo, non cambia che l’uomo che amo sia sempre Draco Malfoy.

E non cambia che, dopo una manciata di minuti silenziosi, in cui si è lasciato passivamente curare da me che straragionavo ed inveivo con una serie di anatemi e maledizioni, abbia sospirato, abbia allontanato con la sua mano ingrata la mia e mi abbia guardato negli occhi con il livore di un cane a cui hanno tentato di rubare un osso. E già vedermi paragonare mentalmente ad un osso mi fa venire voglia di spalmargli la faccia di soda caustica.

Però la sensazione di trallalà in cui mi trovo al momento, mi ha impedito di reagire male, l’ho solo guardato con gli occhi dolcemente appannati, chiedendo: “Che cosa c’è?”.

E lui, seriamente, calmo come solo lui può esserlo (ossia nella sua testa ha già ucciso qualcuno in una dozzina di modi diversi), ha proferito stoico la domanda da maschio imbecille, insicuro, immaturo, illogico ed un’altra sequela di aggettivi che iniziano per “i”, ma che non sarebbero adeguatamente offensivi. 

“Sei stata a letto con Dimitri?”.

Cinquanta secondi dopo, Draco Malfoy aveva un nuovo livido sul braccio.

Ed Hermione Granger, la sottoscritta, era in giardino che camminava avanti ed indietro, indossando un stramaledetta vestaglia di seta viola.

 

 

Tutto inizia e finisce con il gelato fritto. 

Gelato fritto, avete capito bene.

Quando vivevo con Dean, non avevamo molti soldi. Certo, anche se era il solo a lavorare, aveva uno stipendio abbastanza decoroso, ma sicuramente io non ero una di quelle fidanzate che passa la vita sulle spalle del suo uomo. Anzi, ero più il tipo che, se avevo la necessità impellente di comprarmi qualcosa, preferivo ricavarla di risulta da qualcos’altro. Sono andata a tre matrimoni con lo stesso vestito, modificato in modi più o meno decenti dalla bacchetta di Ginny, pur di non ammettere che avevo bisogno di un nuovo abito. Dean mi rimbrottava, si arrabbiava, era anche capace di mettermi nel portafoglio di soppiatto delle banconote, ma allo stesso modo io gliele ridavo con tanti saluti. Ebbene, per questo mio esibito trionfo di parsimonia, c’era sempre ben poco con cui festeggiare a casa nostra: niente champagne, niente torte di compleanno se non striminzite ed al sapore di plastilina, niente coriandoli colorati.

Un giorno qualsiasi, Dean si alzò da letto dicendo che non aveva voglia di andare a lavorare, che faceva troppo freddo, che preferiva restare a letto. Mi arrabbiai, tirai le lenzuola cercando di farlo muovere, gli tolsi il cuscino, gli gettai un bicchiere d’acqua ghiacciata in faccia, ma niente. Anzi, per tutta risposta, ebbe anche il coraggio di afferrarmi per i fianchi e trascinarmi a letto, intimandomi di non muovermi. Mi dimenai per un’ora, dicendo che avevo delle cose da fare, anche se non lavorando era abbastanza non credibile. Alla fine mi arresi.

Restammo a letto tutto il giorno, senza fare assolutamente niente se non ridere e mangiare schifezze ordinate dal ristorante cinese che c’era vicino a casa, vedendo telenovele argentine sottotitolate di cui cambiavamo i dialoghi. Non ho mai riso tanto in vita mia ed anche se il giorno più bello della mia vita resta e rimane questo, quello è stato sicuramente il più spensierato. Non avevo davvero pensieri, preoccupazioni. Durò poco, certo, la mattina dopo Dean tornò a lavorare e io tornai a deprimermi, ma fu davvero un giorno speciale.

Speciale, senza che avesse granché per esserlo. Credo perché era Dean ad essere una persona speciale. Che io non l’abbia mai davvero amato e che ora sia persa di quel furetto maledetto, non cambia nulla. Mi ha insegnato il valore delle piccole cose, Dean. Il valore del gelato fritto, quando si è felici.

Su quel letto, pieno di briciole, mentre lo mangiava riempiendosi la bocca di morbido ripieno alla nocciola, mi disse solo sorridendo: “Non si è mai troppo poveri per un gelato fritto! Dovremmo farne un rito per quando accade qualcosa di meraviglioso! Tanto costa solo tre sterline!”. Sorrisi a mia volta, annuendo e commentando che meno male che le cose meravigliose accadono raramente, altrimenti il mio fegato sarebbe raddoppiato di volume nel giro di un paio di mesi. Mi baciò, ridendo.

Da allora, da quel momento, non ho più mangiato il gelato fritto. Non mi ritenevo mai abbastanza felice da doverlo mangiare, da dover celebrare quello che al massimo era un momento di serenità o di tranquillità. E poi è arrivata la notte scorsa.

Draco è tornato. Draco è vivo, è riuscito (anche se non so ancora come) a scampare da Adamar. 

Ma soprattutto Draco mi ama, io lo amo. E ho fatto l’amore con lui.

Ho passato quasi tutta la notte ad occhi spalancati, senza una minima traccia di sonno, guardando il soffitto che piano cambiava colore mentre la pioggia apriva il cielo. Ha albeggiato nel mio cielo d’intonaco e i miei occhi non si sono socchiusi per un secondo, perché quando vivi da sveglia un sogno qualsiasi immagine scoppi sotto le tue palpebre chiuse, avrà sempre la consistenza di un contentino. Draco era accanto a me addormentato, ogni tanto mi giravo a guardarlo, perché poteva anche essere volato via come un’impalpabile nebbia, poteva essere davvero un sogno che, adesso, pavidamente evaporava alla luce del sole. Il giorno è crudele, si sa, con i sogni innamorati della notte.

L’ho guardato per tutta la notte, mordendomi l’interno della guancia, senza battere le ciglia, una mano sotto il cuscino.

Lui dormiva e io lo guardavo.

Ha l’aria corrucciata anche quando dorme, aggrotta spesso le sopracciglia, biascica parole incomprensibili, si muove spesso scalciando. Timidamente, come se fosse uno sbaglio che lui adesso mi appartenga, al primo raggio di sole che spezzava il pulviscolo dell’aria della stanza gli ho accarezzato piano la guancia ispida di barba. Si è svegliato subito.

“S-scusami, non ti volevo svegliare…” ho biascicato stupidamente, stringendomi il lenzuolo al petto. Lui, senza nemmeno riaprire gli occhi, ha sorriso, attirandomi vicino a lui.

“Non mi sono mai addormentato…” mi ha detto, mentre mi adagiavo nell’incavo tra la sua spalla e il collo, chiudendo a mia volta gli occhi “Ma ho fatto riposare il mio ego ferito… è stato ritemprante sentire che mi mangiavi con gli occhi per tutta la notte…”.

Prima ancora che reagissi stizzita, negando e spergiurando, Draco mi ha letteralmente tappato la bocca baciandomi. Le mie labbra sono remissive come io non sono mai stata, e subito si sono piegate, aprendosi a lui. Ha scoperto, inventato, creato un metodo perfetto per impedirmi di parlare a vanvera e di argomentare per ore. Mentre scivolavo sotto di lui, le mani sul suo viso, si è riappropriato di me per la seconda volta ed è stato persino meglio della prima. La timidezza si è accucciata nel velluto della notte appena passata, risorgendo nuova come esperta conoscenza della sua pelle, della mia, di tutto quello che fa la geografia di un corpo. La luce del sole, che lentamente sorgeva, mi ha permesso di vederlo meglio, di sentirlo meglio, mentre stringevo tra le dita i suoi capelli che sembravano rilucere come la fiamma di un fuoco dorato. Le sue mani oramai scandagliavano insenature e penisole della mia pelle con il piglio spavaldo del veterano navigatore, riconoscendo sentieri e rotte come se gli fossero appartenuti da sempre. E io stessa ho scoperto di me stessa una dimensione nuova, riflessa in lui, che di minuto in minuto mi rende scevra da quella che sono sempre stata, avvicinandomi a chi volevo sempre essere.

Coraggiosa, temeraria, non superficialmente, ma davvero, dentro, nel profondo, senza che una sciarpa rosso-oro lo debba dire per me.

In giardino fa ancora freddo.

Mi siedo per terra, dietro una siepe di rose bianche e rosse. Ne tormento una con le dita, giocando con il tesoro di una goccia d’acqua che racchiude tra i petali. Stringo le ginocchia al petto, perché, per quanto ora io sia arrabbiata e stizzita, mi sento esplodere ed è come se mi dovessi tenere faticosamente tutta assieme, per impedirmi di schizzare via in mille direzioni differenti. Non era mai stato così, fare l’amore con qualcuno… non che io abbia una grandissima esperienza, sono stata solo con Dean e Ron. Ma con loro ricordo sempre di quanto fossi rapida, di quanto volessi che tutto finisse in fretta, di quanto mi imbarazzassero i loro corpi nudi, per non parlare del mio. Cercavo angolazioni e coni di luce impossibili, pur di non far notare i miei difetti. Con Draco, è tutto diverso.

Già, me lo immagino che direbbe lui: “Ovvio, sei stata solo con Weasley e Thomas, ci manca pure che ti metti a paragonare loro e me…”. Ma non è questione di paragonare loro, Draco è chiaramente esperto, si vede, mio malgrado, che è stato con molte donne. La questione è paragonare me: mi abituo a prendere, senza chiedere, pretendendo nulla di meno di quanto so che lui mi possa dare. E lui non se lo fa ripetere due volte.

Arrossisco come una scema a quei ricordi, poggiando la fronte sulle ginocchia. Ne sono perdutamente, disperatamente, inesorabilmente, innamorata persa. Anche se è un imbecille.

Mi sono svegliata di soprassalto dopo un’oretta scarsa, e il letto era vuoto. Le lenzuola erano gelide, ma la mia solita razionalità calma ha finalmente preso il sopravvento, suggerendomi che Draco probabilmente era sceso a fare colazione, oppure era andato da Serenity, o ad avvisare Pansy e Raissa del suo ritorno. Ho respirato profondamente, mi sono alzata da letto e ho aperto le tende chiuse: una dolcissima luce dorata mi ha avvolto, il sole è tornato. L’aria profumava ancora di pioggia, gemme di diamante sulle piante e sulle rose del giardino.

E in quel momento di assoluta perfezione, mi è tornato in mente il gelato fritto.

Non c’era nulla di maggiormente corrispondente all’aggettivo “meraviglioso” per descrivere quel momento.

In pochi secondi mi sono pienamente convinta che se non avessi mangiato immediatamente quel involto grasso e zuccherato, sarebbe imploso lo stesso pianeta Terra.

Mi sono infilata velocemente una camicia che era gettata sulla poltrona, registrando sommamente che era di Draco. Ed ecco, se uno poi ci ripensa, sono io che da sola mi infilo nelle peggiori delle situazioni per le mie considerazioni cretine: ora non sarei qui seduta per terra in giardino, se non avessi semplicemente ripensato al fatto che Draco aveva lasciato la sua camicia sulla poltrona. Assieme agli altri vestiti. Ergo, non poteva essere andato troppo lontano.

Presa da una smania paragonabile ai riti scaramantici di un giocatore di calcio, che indossa per mesi lo stesso paio di calzini fortunati e disgustosamente maleodoranti, sono uscita in corridoio con solo la camicia ed ovviamente la biancheria addosso, i capelli goffamente tirati su con un mollettone marrone, scalza per giunta, alla ricerca di Lyria, l’elfo domestico dei Parkinson. Stavo cercando di capire dove potessero essere le cucine, dato che non ricordavo di aver mai preso nota di dove fossero esattamente, quando improvvisamente un movimento alle mie spalle mi aveva fatto trasalire. E voltandomi, mi ero ritrovata Dimitri davanti.

Se quell’uomo non mi avesse mai fatto così tanta paura e soggezione, probabilmente avrei provato pena per lui. Non lo vedevo da ieri mattina, eppure sembrava diventato un’altra persona. Non aveva dormito sicuramente, e due profonde occhiaie gli velavano la pelle morbida sotto gli occhi bigi, e non più azzurro oltremare. I capelli ricci e neri erano scompigliati e spettinati, ma non nel modo solito che trasudava eleganza, ma appariva trasandatamente sconvolto. Persino la postura del suo corpo era cambiata, era curvo su sé stesso, come se reggesse un enorme fardello di colpa sulle spalle. Non provo e non ho provato pena per lui, ma preoccupazione, aveva persino gli abiti zuppi d’acqua come se avesse passato tutta la notte sotto la pioggia. Ed è stato automatico chiedergli sgomenta: “Che ti è successo?”. Non ho osato fare un passo nella sua direzione, memore della mattina precedente, mi sono incassata nelle spalle, ma quella maledetta domanda è uscita lo stesso. Perché? Perché sono un’idiota e in questo, io e Draco Malfoy siamo perfetti l’uno per l’altra.

Ed è stato in quel momento che il suo sguardo si è acceso per un secondo come prima, come un guizzo di luce in un mare di buio, sparute lucciole di azzurro. Mi ha guardato contraendo le labbra con ferocia, sembrava volersi prendere a morsi da solo, distruggersi come se ardesse su una pira da cui lasciarsi consumare con rabbiosa lentezza. Sono apparsa sul suo viso per quella che ero in quel momento: gli occhi colmi di luce, i capelli spettinati, il segno sul collo, le labbra rosse, l’espressione felice ed impaziente, le gambe nude.

E lì, ho capito. Ovvio. Ma troppo tardi.

“Ti sei divertita stanotte?” ha proferito gelido come una raffica di vento che spazzasse la tundra annientando vita e spargendo morte “Ti ha fatto gemere come una puttana in calore, vero? Era impossibile non sentirti…”. Non sono una puritana imborghesita, sono cresciuta con due ragazzi, ero il capo degli Auror, sono abituata ad un linguaggio ben peggiore di questo, ma non a quel tono. Assolutamente. Come se davvero lo avessi tradito. Come diamine poteva pensare che in qualche modo io non sarei tornata con Draco? E poi… possibile… che mi conosca da così poco e viva tutto questo, in questo modo?

Questo mi ha spaventato, ecco la verità. L’ossessione che lui sembra avere per me. Non è amore, è ossessione. Ed improvvisamente ho capito perché Raissa voleva andarsene da qui, prima che accadesse questo. Sembrava folle, pazzo, come se la gelosia e questo malaugurato senso di possesso lo stesse mandando al manicomio.

“In quale momento preciso della mia vita, ti ho dato il diritto di fare commenti del genere? O di pensarmi di tua proprietà? Perché sai, forse sono annebbiata, ed oggettivamente me lo sono scordata…” ho commentato duramente, incrociando le braccia, momentaneamente incurante anche del mio abbigliamento. Nello stomaco, corroso dall’acido di un nervosismo senza pari, si era sviluppato il calore di un nuovo coraggio, cresciuto e nutrito dall’amore per Draco prima, ma soprattutto dalla nuova fiducia in me stessa che lui ha indotto. Sono nuova, certo, sono diversa, ma sono tornata molto più simile alla ragazzina spavalda che ha lasciato Hogwarts per cercare gli Horcrux, che alla donna che viveva con Dean solo perché non sapeva stare da sola.

Quindi, ovviamente, in quel momento non ci sarebbe stata persona che mi avrebbe infastidito di più di Dimitri, altro che spaventarmi.

“Si chiama destino, Granger…” mi ha risposto lui con noncuranza, quasi annoiato “Già una volta ho lasciato che qualcun altro si mettesse in mezzo tra me e il mio destino, credi che lo farei anche questa volta?”. Non ho ovviamente capito a che diamine si riferisse, ma nemmeno mi interessava. Stava facendo evaporare la mia fantastica sensazione di entusiasmo e felicità. E dopo tutto quello che ho passato, non l’avrei permesso più a nessun altro. Ho sospirato insofferente, ho chiuso gli occhi scocciata e ho fatto per sorpassarlo, cercando di tornare nella mia camera: “Resta pure delle tue idee, Dimitri, che io resto della mia, ed alla fine vedremo chi aveva ragione… sai che c’è? Pensala come credi. Non mi interessa. Non mi importa… lui è tornato, è qui… ed è qui per me. Figurati quanto mi può interessare la tua idea fatalistica dell’esistenza, specie se contempla uno scenario in cui sono assieme a te… non si chiama destino, quello. Si chiama fantascienza…”.

E, mentre finalmente gli davo le spalle, completando quelle parole, ha fatto qualcosa che non mi aspettavo assolutamente. Ha riso. Pensavo che mi voltasse bruscamente, che mi desse persino uno schiaffo, ma che scoppiasse a ridere in modo così ingenuo ed autentico mi ha fatto sinceramente rabbrividire. Non è normale, ho pensato automaticamente, voltandomi ancora a guardarlo, mentre continuava a ridere sommessamente, una mano sulla bocca come se si volesse rispettosamente trattenere ma non ci riuscisse. Con quella risata liberatoria, è stato come se il manto opprimente che aveva addosso si fosse dileguato come neve sciolta. Era come se avesse recuperato il sonno, il senno e la forza. Ed ora, di nuovo, stranamente, il potere di quella situazione era fluito da me a lui: era di nuovo lui quello potente, come se si fosse attaccato al mio sangue e ne stesse succhiando via tutto il vigore e la gioia. Io ero ancora quella piccola, debole, senza bacchetta, per di più semisvestita. Lui era di nuovo il signore di tutto, fosse anche del mio corpo, che pure lo rinnegava, lo rifiutava e lo bestemmiava, ma lui, misericordioso, mi lasciava fare, accogliendo le mie intemperanze come un padre accoglie i capricci di una bambina viziata.

Mi ha soppesato lentamente con lo sguardo per un lunghissimo minuto, come se cercasse delle parole in gola che fossero sufficientemente forti da darmi il colpo che meritavo, ma che nella sua bocca erano dolcissime come delle caramelle al miele. Poi, sorridendo ancora, mi si è avvicinato di un passo, prendendomi la mano e stringendola tra le sue come se stesse per darmi una notizia che meritasse tutto il suo conforto. Ho cercato di divincolarmi, ma prima che lo facessi, le sue parole hanno paralizzato ogni mio movimento.

“Ti ha detto come è tornato? Come ha fatto a tornare?” ha soffiato dolciastro, portando le nostre mani unite al suo petto, avvicinandomi di più a lui “Non è qui per te… è qui per lei, è lei che lo ha fatto tornare… sai che c’è, questo è il destino, Granger… io non ho nessuno dall’altra parte che mi chiama a sé. Solo tu mi chiami a te… lui invece no. È tra l’incudine e il martello… e tu non vincerai mai. Vincerà sempre lei.”. Era stato facile capire, ovviamente. La mente aveva già trovato il nome. Il cuore, battendo sulle costole, invece, negò feroce.

“Dici di no?” ha sorriso lui, crudele, lasciando la presa della mia mano per chiudermi la vita con le braccia “E’ tornato per Helena. Non per te… l’ha incontrata, ma ti risparmio i noiosi dettagli. Eccotelo il destino, unisce loro due e separa lui da te. Io solo a questo mondo, tornerei sempre e solo per te. Io solo a questo mondo, farei sempre di te il mio motivo per restare…”.

Quelle parole… il motivo per restare… senza nemmeno rendermene conto, senza prestare la benché minima attenzione a tutto quello che mi aveva detto, quelle quattro semplici paroline hanno contratto le mie dita nella morsa di un pugno da graffiarmi i palmi con le unghie. Digrignando i denti, le narici che fremevano, ho sollevato il braccio velocemente pronta a colpirlo in pieno viso. Quelle parole… sono mie e di Draco. Non sono di nessun altro, tantomeno sue. E il fatto che le abbia usate… vuol dire… che ci ha ascoltato ieri sera.

Le nocche livide, l’ho visto carambolare dall’altra parte del corridoio finalmente lontano da me. Dopo aver descritto una buffa capriola in aria, è atterrato malamente al suolo, faccia sul pavimento. Di primo acchito, la rabbia, il respiro ansante, l’adrenalina, non mi ha fatto rendere materialmente conto che la mano non mi bruciava per nulla per il colpo dato. E soprattutto che, anche se sono il Capo degli Auror, sono più abituata a colpire con la bacchetta e non senza. Dunque, potevo certo fargli male, ma non così tanto da farlo addirittura rimbalzare così lontano da me. Quando poi il silenzio sconvolto che mi circondava è stato rotto da una voce abituata ad essere calma anche nella rabbia, ma che adesso faticava a non tremare, i capelli mi si sono drizzati sulla nuca e mi sono voltata lentamente su me stessa.

“Se non avessi avuto lei come motivo sufficiente per restare, adesso ne ho un altro, Karkaroff… tu… nemmeno se fosse lei stessa a chiedermelo, te la lascerei…” Draco ha fatto silenziosamente qualche passo, senza guardarmi, gli occhi grigi fissi su Dimitri che si rialzava da terra, pulendosi nervosamente il labbro spaccato. Aveva i capelli bagnati, segno evidente che era solo a farsi una doccia. A torso nudo, con addosso solo i jeans, sembrava la cosa più simile ad un miraggio che avessi mai visto. “Hermione è mia, in tutti i sensi che questa parola possa significare…”, la bacchetta nella sua mano non ha tremato per un attimo mentre diceva queste parole, io mi sono sentita così scossa da brividi caldi e freddi assieme che temevo di andare a pezzi “Se solo ti avvicini a lei, se solo le respiri ancora vicino, se solo anche pensi a lei, ti ammazzerò con le mie mani. La tua schifosa vita è mia, l’ho salvata una volta e te la posso togliere in qualsiasi momento. E per quanto riguarda Helena… nominala solo un’altra volta, maledetto bastardo, e ti farò fuori…”.

Tra l’incudine e il martello… ho pensato per uno sciocco attimo, prima di scuotere il capo, cancellando quel pensiero.

“Non avrei nemmeno saputo che esisteva se non fosse stato per te, Malfoy…” ha ribadito Dimitri, alzandosi ed estraendo la bacchetta “E tu non sai contro chi ti sei messo. Ti pentirai di aver chiesto il mio aiuto quel giorno…”. Così dicendo, un fascio di luce scarlatta è schizzato fuori dalla sua bacchetta, colpendo Draco in pieno viso. Ho urlato, spaventata, vedendo il sangue, ma ovviamente non si sono fermati. Hanno preso a combattere come due invasati, sparendo e ricomparendo come lampi, abbattendo statue e pezzi di muro, mentre io china per terra cercavo di ripararmi la testa con le braccia e maledicevo il solito fatto di non avere una bacchetta. Cercavo di seguire Draco, di intercettare il baluginare dei suoi capelli biondi, ma si muovevano troppo velocemente. Tossendo per la polvere sollevata e chiedendomi come non facessero Pansy e Raissa ad intervenire visto il fracasso, ho cercato di pensare ad una soluzione per fermarli, prima che Dimitri davvero facesse del male a Draco. Divide bellatores, le parole sono fluite da sole nella mia testa, era un Incantesimo antico, poco conosciuto, utilizzato dalle vecchie streghe delle taverne quando due ubriachi si azzuffassero. Non era molto potente, specie perché lo dovevo usare senza bacchetta, ma speravo che mi desse il tempo necessario per farli fermare. Mi sono alzata in piedi faticosamente, chiudendo gli occhi e cercando di concentrarmi al massimo, nonostante il frastuono dei colpi e la preoccupazione per Draco. Il mio potere magico, così represso nel mio corpo dall’inizio della condanna, è corso velocemente alle mie palme sollevate, facendomi sorridere, è stato come ritrovare un vecchio amico che smaniava dalla voglia di vedermi. Pronunciare la formula è stato come togliere il tappo ad una bottiglia di spumante. Respirando a fatica, ho visto finalmente Draco e Dimitri divisi, che si squadravano in cagnesco, separati da un bagliore lucido e biancastro che si frapponeva tra loro e che non riuscivano a superare. Dopo aver sommariamente constatato che Draco sembrava stare bene, a parte qualche taglio sul viso e sul braccio, e che Dimitri si reggeva in piedi (non che me ne freghi di lui, beninteso, ma non ci sto che Draco diventi un assassino), mi sono avvicinata a loro, tenendo sempre il contatto visivo con la barriera che li divideva per impedire che venisse meno.

“Che diamine stai facendo, Granger?! Togli subito questa maledetta cosa, prima che la faccia a pezzi!” ha urlato Draco, rosso in viso per la furia dello scontro, agitando la bacchetta contro il bagliore che lo rimandava indietro.

“Sta zitto tu!” ho urlato a mia volta, guardandolo di striscio dato che non potevo distogliermi dall’incantesimo “Apprezzo molto quello che hai detto, ma non ho bisogno di nessuno che mi difenda, non sono una proprietà, Malfoy. E scelgo da sola dove diamine devo andare e con chi diamine devo stare…”, sentendo la risata sommessa di Dimitri, soddisfatto per il nostro diverbio, mi sono accigliata e ho guardato di sbieco anche lui: “E ho sempre scelto Draco. Sarà sempre lui. Non si è trattato nemmeno di scegliere, Dimitri… non sei mai stato nulla per me. Spero stavolta di essere stata chiara… e se non lo sono stata, ricordati questo. Tu ammiri di me il mio potere, il fatto che io abbia creato uno Zahir, che l’abbia distrutto, che ne sia rimasta viva. Se non te ne vai subito da questa casa, se non lasci me e lui in pace, sappi solo che la prossima volta che ci incontreremo non sarò in queste condizioni…”, sospiro infondendo calore alla mia minaccia: “Io avrò una bacchetta, fosse anche rubata. E saprai che cosa significa mettersi contro il Capo degli Auror, specie se si chiama Hermione Granger.”.

In quel momento, finalmente nel corridoio sono arrivate sia Raissa che Pansy che hanno provveduto a disarmare Draco e Dimitri, un secondo prima che, cadendo in ginocchio, non riuscissi più a reggere la barriera tra loro. Raissa ha immediatamente afferrato il fratello per un braccio, portandoselo via, mentre Pansy ha urlato di tutto a Draco sullo stato del corridoio. E quando finalmente ci ha lasciati soli, a testa bassa, siamo tornati in camera. Borbottando contro Dimitri, mi sono messa a disinfettargli le ferite che aveva sul viso. E poi lui se n’è uscito con la domanda del secolo. “Sei stata a letto con Dimitri?”. E rieccomi all’inizio del cerchio, seduta vicino alle rose, mentre il sole oramai è molto più alto nel cielo.

Certo, mi sono offesa, che domande, non avrebbe un livido nuovo di zecca in faccia se non mi avesse fatto innervosire… la sua mancanza di fiducia è tipo un cazzotto in un occhio, ma ancora non ne sono sconvolta. Cavolo, non è che le cose vanno a posto da un momento all’altro, dopo del sesso francamente eccezionale. Io e Draco ci amiamo, tanto, e ci consuma. Ma la fiducia è ancora una strada lunga… e non a caso, lui ha pensato che fossi stata a letto con Dimitri. E io… bè, adesso che ho la testa vuota, penso con nettezza alle parole di Dimitri. Sull’incontro con Helena… sul fatto che Draco sarebbe tornato per lei. Certo, Dimitri potrebbe mentire, anche perché che io sappia, non c’è un modo concreto per parlare con un defunto se non la Pietra della Resurrezione, e dubito che qualcuno l’abbia mai trovata davvero. Ma chissà, magari esiste un modo che solo Adamar conosce… o Draco ha trovato un modo, forse l’ha salutata prima che…prima che succedesse qualcosa tra me e lui… come se le avesse chiesto un permesso…

Quel pensiero è gelido ed infido come una lucertola che si arrampica lungo la schiena. Se fosse davvero andata così, rifletto chiudendo gli occhi, mi starebbe bene? No. Certo che no. È come dire che lui le appartiene e io l’ho solo preso in prestito per la mia sciocca vita mortale… e Dimitri, mio malgrado, avrebbe ragione. Il destino che unisce, è il loro, non il nostro.

Mi asciugo con la punta delle dita una stupida lacrima che carambola fuori dal mio occhio sinistro, seguita subito da un’altra e da un’altra ancora. Stupida, che diamine piango a fare? Se Dimitri mi vedesse adesso, sarebbe convinto di averla avuta vinta. Smettila, Hermione. Smettila, dannazione. Inspirando forte, ricaccio indietro le lacrime e mi alzo malferma in piedi.

E Draco è qui, davanti a me, il cuore mi va in gola vedendolo. La luce del sole che crea ombre invitanti sulla sua pelle nuda, mentre è ancora a torso nudo come poco prima, il taglio sul viso che sanguina ancora, i capelli sporchi anch’essi di sangue e polvere di calcinacci, lo sguardo in attesa e le labbra dischiuse.

Allunga il braccio piano verso di me, rimanendo con il palmo sollevato, aspettandomi.

E se non è la forza attrattiva di un destino già scritto che la mia mano scivoli sulla sua, che si chiude subito a sigillarmi carne nella sua carne…

… io non so come altro si possa chiamare.

 

 

Credo che i vestiti diventeranno un optional stando con Draco Malfoy.

Ho chiuso la porta della camera alle mie spalle, dopo che lui piano mi ha presa per mano e condotto dolcemente indietro, e non so se sono stata io a cercare lui, o lui a cercare me. So solo che ho avuto bisogno di baciarlo, di toccarlo, di sentirlo contro di me a respirarmi addosso. Non siamo nemmeno arrivati a letto, rapido, veloce come non era stato stanotte, è entrato in me, mentre gli cingevo i fianchi con le gambe, la schiena contro la parete. È stato diverso, ancora. La voce è ancora arrochita nella mia gola per quanto il respiro sia venuto meno, per quanto mi sia venuto da urlare, gridare, e per quanto mi sia trattenuta. Sudata, senza forze, mi sono afflosciata su di lui, abbracciando le sue spalle.

La landa desolata conosceva di nuovo il suo legittimo re, così mi è sembrato di tornare ad essere.

“Non avrei dovuto farti quella domanda…” mi dice improvvisamente e gravemente, vibra il suo petto contro la mia schiena, dandomi dell’eco delle sue parole l’impressione della nota stentorea di un organo in una chiesa. Seduti per terra, sul tappeto cremisi, scivolati sul pavimento soffice senza farci male, sono tra le sue gambe, un braccio poggiato sul suo ginocchio piegato e la guancia su di esso. I miei occhi chiusi si riaprono, mentre soffio: “No, non avresti dovuto”.

La sua presa sui miei fianchi diventa più stretta.

“Me lo avresti detto se fosse successo sul serio?”. La sua voce è un bisbiglio lieve, fatico a sentirla.

“Certo”.

“E non ti è mai passato per la testa? Possibile?” le sue dita descrivono piccoli cerchi sui miei fianchi, rabbrividisco chiudendo gli occhi. Cerco di mettere a freno le sensazioni fisiche che provo e che mi imporrebbero di rispondere che no, non mi è mai passato per l’anticamera del cervello, perché come diamine poteva assomigliargli Dimitri anche in questo semplice modo di sfiorarmi piano, senza alcuna fretta, dandomi l’impressione di accendere dei fuochi d’artificio sotto la pelle? Ripenso a ieri mattina, sembrano passati decenni… quando Dimitri ha cercato di baciarmi in giardino… al fatto che lui sembrasse annullarmi il pensiero e la volontà. A quanto lo cercassi per questo.

“Non in modo cosciente…” sussurro piano, mentre lo sento irrigidirsi alle mie spalle “Tu non c’eri… ed ero così debole e lui sembrava così forte, così pronto a darmi tutta la protezione che volevo… ma soprattutto mi avrebbe impedito di pensare al fatto che tu non tornassi. Per questo, mi sfiorava quel pensiero. Di arrendermi. Ma non l’ho fatto, Draco… anche se non fossi tornato, non sarei mai stata con lui…”.

“E’ un bell’uomo per quanto ne possa capire io…” commenta asciutto e freddo, tipico segnale che chissà che diamine sta pensando “E dopo Weasley e Thomas, non è che c’è da fare tanto gli schizzinosi…”, ed è sarcastico. Quindi mi sta pungolando apposta, per nascondere l’enorme elefante da salotto dei pensieri che non vuole palesarmi.

Non è te” bisbiglio velocemente, arrossendo ancora come una cretina e ringraziando di non averlo davanti agli occhi “A volte ho la remota ma assolutamente convincente certezza che ti piaccia enormemente che lo ripeta a scadenze di quindici minuti…”. Ovviamente ho alzato la voce sull’ultima frase, imbarazzata come non mai. Ed ovviamente adesso mi si è azzerata la salivazione e mi sono serrata nelle spalle.

Le braccia di Draco mi cingono con delicatezza la vita, mentre mi bacia su una tempia: “Effettivamente, mentirei se dicessi il contrario, ho un enorme istinto all’autocelebrazione… specie se viene da te…”, la sua guancia sfiora con dolcezza la mia mentre si appoggia con il mento alla mia spalla: “… e il fatto di… amarti… non cambia che adoro farti arrabbiare. Anzi è meraviglioso che non mi sia passata… potrei passare l’intera esistenza così, Granger…”.

Amarti… risentirlo ogni tanto dà anche a me un’ebbrezza simile all’autocelebrazione. Ci siamo inseguiti per così tanto tempo che queste parole ci fanno tutto il bene del mondo.

Reprimo il sorriso che già mi sta uscendo e sbuffo fintamente arrabbiata: “Consolante, avrò la cirrosi epatica in un paio di anni”.

“Dunque siamo arrivati a pianificare di stare assieme già un paio d’anni?” la sua voce è colma di una gioconda voglia di punzecchiarmi, ma dietro alle parole, dietro al tono fintamente preoccupato e teso, c’è un calore simile alla speranza. Lo sento dentro il cuore, che batte contro la sua schiena. È facile riconoscerlo perché appartiene anche a me.

“Anticipo i tempi, sì… che ci vuoi fare?” ribatto serissima “Devo fare solo un corso di sopravvivenza anti furetto… mi toccherà chiederlo alla Parkinson, però…”.

“Che c’entra lei?” ride lui, non riuscendo più a trattenersi, e il suono cristallino della sua risata mi distrae da me stessa. Entra scintillando dentro di me, azzerandomi i pensieri. Ed è un male talvolta, visto quello che dico subito dopo, senza accorgermene: “E’ la tua sola ex che ho a portata di mano, no? Denise Delacour non so nemmeno che fine abbia fatto… e in quanto ad Helena…”. L’eco della risata di Draco si spegne come era nato, assomiglia ad un fuoco d’autunno soffocato da un uragano di pioggia e, d’improvviso, la mia pelle e la sua, l’una contro l’altra come se fossero nate così, semplicemente nate per sfiorarsi, si respingono come poli uguali di una calamita. Estraneo diventa allora il suo corpo, potenzialmente nemico, anche se non si è mosso di un centimetro. Il silenzio si ammanta del mio respiro trattenuto e del suo cuore che batte, batte, batte forte contro la mia schiena. E si potrebbe fare finta di niente, certo che potremmo, riderei adesso, farei una battuta, mi alzerei in piedi e ci distrarrei con un pensiero scemo. Funzionerebbe, perché non abbiamo bisogno di questo, adesso, nel pianeta delle nuvole rosa in cui siamo. Ma la mia mente non mi lascia mai in pace ed eccola a suggerirmi il ricordo delle parole di Dimitri. Ed ecco che ora è costrizione stare seduta, sono prigione le sue braccia, ho bisogno d’aria e ho bisogno di essere libera. Draco cerca con voce malferma di cambiare argomento: “Dunque ti hanno fatto vedere i miei ricordi? Se l’avessi saputo, non li avrei mai dati a Blaise…”, ma l’aura spensierata che ci circondava si è dissolta. Mi trema il labbro e mi viene da piangere, lei sarà sempre presente tra me e lui? L’avvertiremo sempre come una fantasma che, gelido, ci respira sul collo?

Spinta da quel pensiero, mi alzo bruscamente in piedi, divincolandomi dalle sue braccia. Evito di guardarlo in viso, trovo con lo sguardo la finestra aperta e il sole nel giardino mentre sussurro: “Dimitri mi ha detto che sei tornato per lei… e non per me. Io non gli credo… non voglio credergli. Che cosa c’entra Helena con il fatto che tu sei tornato?”.

Draco sospira, alzandosi in piedi a sua volta: “Non devi credere a Dimitri… è per te che sono tornato. Con questo Helena non c’entra niente…”, stringe i pugni lungo le braccia, prima di dire duro: “Non mi perdonerò mai di averlo portato qui… e finirò per ammazzarlo, se si mette ancora tra me e te… è solo un altro da aggiungere alla lista…”.

Spaventata dalla sua voce fredda, replico stizzita: “Lascia stare Dimitri, adesso… e per favore, risparmiami anche i tuoi pensieri sull’ammazzarlo o roba simile… voglio sapere di Helena. Che cosa c’entra lei? Come hai fatto ad incontrarla?”. Draco rilascia i pugni chiusi, le braccia ricadono inermi lungo i fianchi. Sembra ancora trattenersi dalla voglia di parlare, guarda altrove, fa qualche passo in circolo e l’esitazione gli trasfigura il viso, rendendo i suoi tratti confusi ed incerti. Poi, piano, mi fa segno di avvicinarmi, mi accenna a sedermi sul letto e sospirando, inizia a parlare monocorde.

“Adamar non ci ha messo molto a trovarmi appena ha percepito che lo stavo cercando. Ero andato via da qui da nemmeno due ore e lui già si è fatto vivo. Non saprei descrivertelo… non l’ho mai visto in viso, ho solo sentito la sua voce. Ed era raccapricciante, letteralmente, mille volte peggio di quella di Voldemort. Lui sembrava ancora un uomo, quando parlava. Adamar no, Raissa aveva ragione. È un demone, in tutto e per tutto. Ha una voce dolce, celestiale, sembra quella di un’arpa… ma il tono, le cose che dice… mi ha detto che erano anni che mi stava aspettando, da quando ho tradito i miei genitori… eri sufficientemente debole e stupido da cercarmi, ma purtroppo eri ancora così legato ad una sciocca ed antiquata moralità per sentire quel bisogno. Dovevi perdere tutto, per arrivare a me… questo ha detto. Oramai non sperava più di vedermi, credevo che lei ti bastasse. Si riferiva a te…”, al suo silenzio titubante, ricollego le mie parole di ieri sera, io non ti sono bastata. Senza volerlo l’ho colpito nello stesso punto in cui l’ha ferito Adamar.

“Mi ha fatto la sua proposta: mi avrebbe dato del potere pressoché infinito, inesauribile. Magia, conoscenza, intelligenza, volontà. Sarei diventato tutto quello che Voldemort ha sempre sognato di essere, senza la vita eterna, ma dovevo superare la prova che aveva in serbo per me. Chiedeva in cambio la cosa più preziosa che avessi… non ho esitato, erano i ricordi che ho di te. Se non avessi superato la prova, o mi fossi ritirato, me li avrebbe restituiti… ma questo lo sai. È una specie di codice d’onore. Adamar prende quello che gli offri solo se è in grado di darti quello che cerchi. Chi l’ha messo a quel posto, e non so davvero se sia stato Dio o il diavolo, l’ha messo lì per rendere palesi le punizioni che gli uomini ottengono, desiderando troppo… è il demone della fragilità umana. Conosce l’anima delle persone, meglio di quanto la conosca tu stesso. È orribile ed affascinante al tempo stesso. Non ha dubitato un secondo nello scegliere la prova che mi avrebbe destinato, come se avesse sempre saputo che sarebbe stata quella. Io pensavo a draghi, demoni, lupi mannari, vampiri… e lui mi ha semplicemente indicato una cascata, su una montagna. Mi ha detto di superarla… solo questo. Ovviamente sapevo che non poteva essere tutto così facile… ma quando ho superato quell’ostacolo, l’ho anche pensato per un attimo. Non c’era niente. Solo una caverna fredda, umida e buia. Poi, improvvisamente, mi sono mancate le forze, non riuscivo a vedere bene, mi mancava il respiro… e credo di essere svenuto… quando ho riaperto gli occhi, ho capito quale era la prova. E ho capito anche che non l’avrei mai superata, anzi forse non sarei nemmeno sopravvissuto. La tua prova sono i morti, ha detto la voce di Adamar nella mia testa, mentre rideva senza ritegno…”.

“I m-morti?” dico incerta, guardandolo sconvolta. Draco ha lo sguardo basso, i capelli che gli coprono gli occhi, una mano che trema. La stringo forte nella mia e dopo qualche secondo, riprende a parlare: “Non saprei descriverti il luogo in cui sono stato, assomigliava ad un deserto, ma faceva freddo… e forse non era nemmeno simile ad un alcun luogo terrestre. Il tempo non esisteva, a volte avevo l’impressione che fosse passato un secondo, a volte cinquant’anni. E non saprei nemmeno quanto tempo sono stato lì, tu hai detto che sono mancato ventitré giorni, a me sembrano passate ventitré vite invece. Vedevo gente su gente, bambini, vecchi, donne, uomini, guerrieri, soldati… credo persino di aver visto Voldemort, ma era irriconoscibile, assomigliava ad un neonato deforme… ma ho visto tutte quelle anime solo dopo. Di primo acchito, la sola cosa che ho visto sono stati  i miei genitori…”.

Ancora Draco si interrompe, gli occhi si annebbiano, li strofina con la mano che io lascio libera. L’altra stringe forte la mia fino a farmi male, piango le lacrime che non sa versare. Respira a pieni polmoni, cercando di darsi forza, per un attimo il silenzio ci avvolge misericordioso, sento solo il frinire lontano delle cicale.

Ma poi il fiume delle sue parole riprende con foga: “Non erano felici di vedermi. Non lo erano affatto. Ovvio. Come se si potesse pensare il contrario… non ti dirò che mi hanno detto, che mi hanno fatto, che cosa ho sopportato. Non ne vale la pena. Credo che il pensiero della morte sia sempre stato bello per me, perché credevo che si smettesse di esistere e basta. Adesso so che non è così… per questo, Hermione, prima ancora di te e di Serenity, desidero vivere più a lungo possibile per non affrontare quel posto come ero quel giorno. Colmo di rimpianti, rimorsi, sensi di colpa… ci sono persone che ho mandato io stesso lì. Tiger, Goyle, la sorella di Pucey, il padre di Montague… sono morti perché io tradito. Sono morti perché io vivessi… nemmeno loro erano felici di vedermi. Dico così, dico che non erano felici perché non saprei usare altre parole, Hermione. La rabbia dei morti è una rabbia eterna, senza scampo. Arde come fuoco, brucia come ghiaccio, non hanno tempo o perdono davanti… volevano solo una cosa. Che restassi lì, a patire per l’eternità. Anche loro, come Adamar, mi stavano aspettando… da anni… mio padre e mia madre continuavano a ripetere che sarei dovuto morire con loro, quel giorno. E che ora era giusto che l’ordine fosse ristabilito: non ero nato per vivere da babbano, per avere una bambina bionda come figlia e per essere innamorato di Hermione Granger. Ero nato per morire in quel modo, come loro…

“Ho cercato di resistere per tanto, troppo. Ma a me non appartengono i tuoi valori morali, Hermione, non potevo riempirmi di parole come giustizia, coraggio, nobiltà o altro… sapevo che i morti avevano ragione. E lì ho capito anche perché Adamar mi stava aspettando da anni. Era stato chiamato a ristabilire l’ordine: era il mio destino morire e restare all’inferno. Probabilmente se anche avessi rinunciato alla prova, non mi avrebbe nemmeno aiutato. Mi avrebbe lasciato lì, rompendo quel suo codice per la prima volta. In quel momento, in quel preciso istante, ho pregato per la prima volta nella vita. Per te e per Serenity… ed un attimo dopo, i morti erano lontani da me. E vicino a me c’era Helena…

“Non ti mentirò, Hermione. Dal momento in cui ho capito dov’ero, l’ho cercata, mi sono aspettato che lei fosse tra loro, ad urlarmi che era morta per colpa mia. Ma non era lì, Helena è in un altro posto… era luminosa come una stella. Era come una luce vivente. Le altre anime non riuscivano a starle accanto, scappavano e gridavano, compresi i miei. Aveva uno sguardo che non ha mai avuto in vita, era duro, crudele, colmo di livore. Ma non verso di me… verso gli altri morti. Parlava in una lingua che non capivo, aprendo a malapena le labbra. Non so che abbia detto, che cosa abbia fatto, ma sono andati via, sparendo come nuvole con il sole. E poi ha guardato me e sorrideva. Ero accovacciato per terra, con le braccia a ripararmi la testa… e mi ha accarezzato il viso, come una madre con un figlio. Ha detto solo: “Niente è eterno, Draco. Nemmeno questo posto. Chi vuole può andare via. Deve trovare la forza di capire, cambiare… anche qui. C’è tempo, ancora, perché i tuoi capiscano. Vivi la tua vita anche per loro. Sii felice, falli dubitare, non odiarli, amali. E capiranno…”. Aveva un modo di parlare diverso da quello che aveva da viva, era carezzevole, mi induceva a piangere come un idiota. Non so nemmeno per quanto tempo abbiamo parlato… forse anni…”.

“Non voglio sapere che cosa ti ha detto…” sussurro, abbassando gli occhi, sgomenta da quello che mi sta raccontando “Sono cose tue e sue… io non c’entro niente…”.

Draco sorride, lascia la mia mano e cinge con il braccio le mie spalle, attirandomi accanto a lui. Sciocche, piccole lacrime stupide bagnano la pelle nuda del suo torace, mentre chiudo gli occhi, una mano aperta sul suo cuore.

“Tu c’entri sempre, Hermione…” bisbiglia piano, accarezzandomi i capelli “Non so nemmeno io come… ma c’entri sempre. Ho parlato tanto con Helena… anche di te”. Inconsciamente la mia schiena si irrigidisce, Draco piano solleva il mio mento con due dita, portandomi a tiro dei suoi occhi. Sono brillanti, splendono. Non mi ha mai guardata così, come se fossi… un regalo. E le sue parole mi chiariscono quello sguardo. Soffice, soffia sulle mie labbra un respiro caldo, prima di sussurrare: “Sai che mi ha detto Helena? Su di te? L’ho portata io da te, Draco, questo ha detto, vi siete sempre appartenuti sin da quando eravate a scuola. Ma ci sono persone che devono essere aiutate da un destino superiore ad incontrarsi. Non l’avresti mai più rivista, non avresti mai capito quanto ti poteva cambiare dentro.”. Draco recita le parole di Helena come se fossero i salmi di un libro sacro, continuo a guardarlo con gli occhi sgranati, mordendomi il labbro inferiore, rapita dalle sue parole. Aggiunge poi casuale, come se non stesse parlando di un dialogo avvenuto con la sua ex morta da anni, ma di una semplice conversazione di cortesia: “Mi ha detto di ricordarti di una fermata della metropolitana sbagliata… e dell’ossessione che hai per le canzoni d’amore. Sai che significa?”.

Per un attimo non capisco assolutamente che cosa voglia dire, sono così sconvolta dal suo racconto che mi sembra di avere la testa ovattata con tutti i pensieri rovesciati e lo guardo sbattendo le palpebre, confusa. Un brivido, però, mi raggiunge immediatamente la nuca, mentre gli occhi di Draco scavano i miei.

La mattina in cui arrivai per caso al Petite Peste, ricordo con fatica, sbagliai a scendere dalla metro arrivando a Notting Hill: perché mi ero distratta, ascoltando la musica con l’ipod. 

Ed erano canzoni d’amore… le ascoltavo sempre… perché… sono dell’opinione che una canzone d’amore struggente, se ti fa male, è perché hai qualcosa di enorme da nascondere, che la suddetta canzone è andata a toccare. Le canzoni d’amore ti fanno effetto in due soli casi: o se ti ritieni troppo felice e quindi pensi che la canzone porti una sfiga pazzesca, oppure se sei infelice forte e quindi arrivi anche a pensare che potrebbe pure andare peggio. Ed allora io non ne ero né felice, né infelice. Ero vuota. Ed ascoltarle non mi faceva il benché minimo effetto, anzi mi faceva sentire superiore a tutti i sentimenti umani.

Draco segue il mio sguardo con aria preoccupata, riscuotendomi dolcemente per un gomito vedendomi distratta. Al suo volto serio e silenzioso, non riesco a rispondere con null’altro che un misero cenno d’assenso con il capo, troppo sconvolta per parlare. Lui sospira di sollievo, chiudendo piano gli occhi. “Quindi ti ha davvero portato lei da me…”. E’ solo una constatazione, credo che non avesse dubitato nemmeno per un istante che quella che aveva di fronte era davvero Helena e che fosse stata sincera. Mi sfugge quello che sta davvero pensando, sembra sereno come poco prima, eppure una vena sottile e distorta gli riga per un attimo l’espressione. È solo un secondo, passa subito, ma si insinua in me come un martello pneumatico, causandomi un nodo in gola. Odio non capirlo, odio che riesca a nascondermi ancora qualcosa, odio stare insieme a lui solo da un giorno, odio che abbia tutta una vita senza di me… ed odio pensare tutte queste cose e tutte assieme.

“Helena mi ha detto che non avevo bisogno di altro potere…” continua dopo qualche istante di silenzio “Mi ha convinto che, per proteggere te e Serenity, non c’era bisogno di una versione potenziata di me stesso, ma che non avrebbe più ricordato nulla di te…”, ancora quella piccola crepa che mi ha aperto il suo sguardo, mi fa pensare acidamente che non ci voleva un angelo del paradiso per capirlo, ci poteva arrivare anche da solo, ma la faccio stare zitta in modo automatico. La mia gola produce in risposta un gemito di fastidio nervoso, che Draco avverte. Sorrido, dicendogli che non è nulla. Poco convinto, prosegue: “E mi ha detto che la mia anima è buona… o perlomeno questo lo dice lei… che non avrei bisogno della vendetta, di trovare Pucey e Montague… o Astoria. Mi ha chiesto di prometterle di lasciar perdere. Di non uccidere i suoi assassini… ma non sono riuscito a farlo…”. Mi muovo nervosamente, a disagio, ancora piena di nervosismo nello stomaco. Qualcosa mi sfugge, qualcosa mi resta oscuro in tutto questo, qualcosa mi parla nella testa con la voce di Dimitri ma non riesco a capire che cosa mi voglia dire. Sono felice, certa dell’amore che Draco ha per me… eppure, qualcosa ancora mi apre una piccola finestra buia nella testa.

Qualcosa che ha a che fare con la vendetta che Draco non riesce a lasciar andare… il tessuto della mia mente si lacera, sento lo strappo, avverto una fitta al fianco.

Qualcosa che ha a che fare con il fatto che Draco non riesce ancora a lasciarla andare.

Lui continua a parlare, racconta di altre cose che gli ha detto lei, o di persone che ha visto, ma non riesco più a sentirlo. Annuisco piano, dicendo anche qualche parola, ma il cuore mi si è fatto piccolo come una noce rugosa ed è affondato nella mia cassa toracica. È il pensiero più sciocco del mondo, non riesce a lasciarla andare, ma se uno lo coniuga al futuro, lo estrae dalla sua dimensione presente e lo proietta all’infinito, mi fa chiedere automaticamente se mai ci riuscirà. Se anche adesso che ci sono io, è comunque così importante trovare chi ha ucciso Helena, a costo di perdere la vita e di perdere me… non conosco la voce di Adamar, eppure sento le sue parole nella testa. Parla come Dimitri anche lui.

Credevo che lei ti bastasse…

Mi sento franare come una fortezza che brucia, assaltata da un nemico che non ho mai visto. Non è semplice gelosia, quella saprei come affrontarla… è diverso, è tutto ben diverso.

Mi chiude in un vicolo cieco… amerà mai me quanto ha amato lei?

Respiro piano, a fondo, come se volessi evitare un attacco d’ansia. Non c’è risposta, non c’è adesso, non c’è domani. Ci sarà, se mai possibile, al momento in cui rovinerò al suolo dopo aver spiccato il salto fatale. Ma chi prendo in giro… il salto l’ho fatto mesi fa, quando mi sono innamorata di lui. Ora sono in volo, come una libellula cullata dal vento tiepido dell’estate.

E se non saltavo, non potevo sapere se le mie ali mi avrebbero retto o mi sarei sfracellata su una roccia aguzza. Anche ora non lo so. Potrebbero sciogliersi al sole come quelle di Icaro.

Potrei arrivare a capire che per quanto mi ami, non mi amerà mai quanto amerà lei.

E quel giorno, se lo dovessi capire… sarà lui a bastare a me?

Il tempo… è il più misericordioso dei doni. Non posso trasfigurarlo come farei di un topo che diventa una tazza. Un giorno con me non diventa improvvisamente gli anni con lei. Non diventa improvvisamente gli anni senza di lei. Devo aspettare, posso aspettare… devo voler aspettare. Devo voler aspettare.

“E quindi mi sono messo un cappellino da donna in testa, con un grazioso fiore fucsia, e mi sono anche messo a cantare Weasley è il nostro Re con l’accento perfetto di una soprano francese…”.

“Certo, infatti…”.

“Granger, se c’è una cosa che detesto, è non essere ascoltato…” il tono brusco delle sue parole e l’improvvisa aura ghiacciata che sento di nuovo nella stanza, mi fanno sobbalzare come se fossi una molla, strappandomi ai miei pensieri. Sbatto le palpebre, guardandolo, la mascella è contratta dal fastidio rabbioso che prova, gli occhi sono lame da cui si può solo implorare il perdono.

“S-scusami…” sussurro, mordendomi l’interno della guancia “Non volevo, mi sono distratta un attimo…”.

“Sei stata tu a chiedermi che cosa fosse successo… mi sarei benissimo risparmiato tutto questo racconto… non è una passeggiata per me ricordare queste cose…”.

“H-hai ragione…” balbetto ancora, spiazzata, abbassando gli occhi e fissandomi le mani che si torcono in grembo “E’ stato un attimo… perdonami…”.

La sua mano solleva bruscamente il mio viso, senza delicatezza, imponendomi di guardarlo in faccia: “Che c’è? Sei cambiata all’improvviso… non ho la pazienza di cavarti le parole di bocca, Granger… dimmi che cosa c’è. Adesso… se non vuoi, poi…” la sua voce si abbassa di tono, scorgo qualcosa che si spegne in lui e la mia vista si appanna: “…almeno non farmi sentire come se fossi lo sgradito terzo incomodo tra te e i pensieri che non mi dirai mai…”.

“Non è niente…” sorrido forzatamente, prendendo la sua mano tra le mie “Sto bene, mi sono solo distratta, davvero…”. Sto fingendo, ovvio, mi fa male il collo per quanto sto cercando di tenere su questo sorriso che non viene da dentro, ma tant’è… è un problema mio, non suo. Ma quel che è peggio è che lui non può darmi quello che voglio adesso. Potrebbe rassicurarmi, certo, potrebbe farmi promesse da innamorato che si rotolino tra le lenzuola assieme a noi, potrebbe chiudermi le domande con i baci e confondere i dubbi con le carezze, ma quel dubbio, quel pensiero… resterebbe sempre. Solo il tempo, solo provare a stare assieme, potrà togliermelo dalla testa. E non è giusto che lui stia male per questo… ha passato l’inferno, in senso metaforico e non.

Bacio la sua mano ancora tra le mie, sorridendo ancora, stavolta un po’ più sincera: “Scusami davvero… ti stavo ascoltando… Helena quindi ti ha fatto interrompere la prova?”. Lui esita ancora a parlare, per un attimo splende nel suo sguardo una tristezza così lacerante che ne capisco immediatamente il motivo.

Non sono l’attrice fantastica che penso… ha capito che c’è qualcosa che non gli sto dicendo…

“Draco…” lo chiamo ancora con un sussurro, stringendo ancora la sua mano fredda. Lui sospira a lungo e riprende incolore: “Ho urlato che mi ritiravo ad Adamar… che non volevo più quello che mi aveva promesso. L’ho sentito urlare nella mia testa come una bestia ferita. E tutto si è fatto confuso, come se i contorni stessi delle cose stessero perdendo definizione… e dopo un po’ mi sono svegliato nella caverna… però… prima di svegliarmi…”, Draco si interrompe, fissando senza realmente vederla la parete di fronte a noi. Sembra lambiccarsi attorno a qualcosa che fa fatica a ricordare, aspetto in attesa fino a quando la consapevolezza gli bagna gli occhi e torna a guardarmi: “Prima di svegliarmi… non posso essere certo di non aver sognato tutto… ma mi si è avvicinata una ragazza… non l’avevo mai vista in vita mia… e mi ha detto… maledizione, è così difficile ricordare… stavo perdendo i sensi…”. Inarcando un sopracciglio, perplessa, lo esorto a fare uno sforzo. Non è cosa da tutti tornare dall’inferno e poterlo raccontare… e se una defunta ti lascia un messaggio, non è cosa da tralasciare.

“Era una ragazza giovane, poco più di vent’anni forse e parlava con un forte accento straniero…” continua Draco a fatica, cercando di ricordare “Aveva una ferita all’addome… sembrava sanguinare ancora… ed era incollerita, aveva l’espressione dura, ma non ce l’aveva con me, non era un’altra di quelle che ho fatto uccidere… anche perché non la conoscevo proprio…”.

“E quindi?” chiedo ancora incuriosita, sistemandomi meglio sul letto.

“Mi ha chiesto come si chiamasse la mia donna…” prosegue Draco incerto, guardandomi in tralice “E le ho risposto che si chiamava Hermione Granger…”, stringo le spalle, sfugge il solito sorriso da ebete che vorrei reprimere ma che è il degno corollario della stretta allo stomaco che sento ogni volta che parla così di me.

“… quando tornerai, dille il mio nome, Draco. Dille che lo ricordi… ha detto queste parole… e poi le ho chiesto quale fosse il suo nome… mi chiamo Tatia Krasova…” Draco ricostruisce i pezzi di quella conversazione come i pezzi di un puzzle, sollevando infine lo sguardo alla ricerca di un lume di comprensione in me. Che non trova.

Non conosco proprio nessuna Tatia Krasova.

“Ma sei sicuro di non aver capito male? O che non abbia capito lei male? Che stesse cercando in realtà un’altra persona? Io non conosco proprio nessuna Tatia… e credimi come nome mi sarebbe rimasto impresso…” commento scettica, incrociando meccanicamente le braccia.

“Non so che dirti, Granger…” borbotta Draco, stendendosi sul letto con le braccia sotto la nuca “I morti sono strani… Helena dice che spesso vedono oltre… e non ho capito che diamine vuol dire, magari vedono le cose prima di noi… sei sicura di non conoscerla? Forse è una vittima dei Mangiamorte… che cerca vendetta… e si è rivolta a me perché tu sei il Capo degli Auror, forse non sa che non lo sei più…”. Le ipotesi di Draco effettivamente mi convincono, forse è una persona della cui morte nessuno ha avuto giustizia.

“Potrebbe essere…” commento perplessa, mangiandomi l’unghia del pollice mentre rifletto: “Magari se mi fai vedere il suo viso, mi viene in mente qualcosa… forse non conosco solo il suo nome…”. Draco annuisce, si solleva di nuovo seduto e mi prende le mani tra le sue, chiudendo gli occhi. Un flusso di immagini confuse mi colpisce, passando nella mia mente come uno stormo di uccelli. C’è Helena, ci sono i suoi… tanti altri volti… ed alla fine quello di Tatia: alta, carina, pelle olivastra, occhi marroni, lunghi capelli lisci e castani e un lungo abito azzurro, macchiato dal sangue.

“Niente…” ripeto spiccia, quando la visione finisce, mentre lui si stende di nuovo sul letto “Non la conosco affatto, anche se il suo nome… l’accento… potrebbe essere straniera, dell’Europa orientale, magari Raissa o Dimitri la conoscono…”.

“Magari Raissa la conosce…” calca Draco con decisione, gelandomi “Sognati di parlare di nuovo con Karkaroff…”.

“Credi che non mi sappia difendere da sola?” ribatto ottusa, guardandolo storto.

“No, non lo credo… ne sono assolutamente sicuro…”.

“Dammi una stramaledetta bacchetta e ti farò vedere come non so difendermi da sola!” mi arrabbio, diventando paonazza ed alzandomi in piedi.

“A quello ho già pensato…” concede Draco con un sorriso, continuando ostinatamente a guardare il soffitto “Al di là di Karkaroff, c’è sempre Astoria là fuori da qualche parte… e certo, stavolta non le permetterò di avvicinarsi a te e non penso che tu voglia ripetere la straordinaria esperienza della creazione di un gingillo millenario…”.

“Ci mancherebbe…” asserisco più calma, sedendomi di nuovo accanto a lui.

“… ma intanto hai bisogno di una bacchetta… me ne frego della condanna…” continua Draco stoico “Da strega, sei forte quasi quanto me…”.

“Certo, quasi quanto te… credici, Malfoy…”.

“No, non lo credo… ne sono assolutamente sicuro…” ripete lui con un ghigno sarcastico, al quale sorrido condiscendente prima di alzare gli occhi al cielo spazientita.

“In ogni caso, avere una bacchetta ha due vantaggi: puoi difenderti, ovviamente… ed anche se non ci riuscissi, il fatto che non puoi usare la Magia attiverebbe l’ufficio per l’Uso improprio della magia stessa… ergo, se per ipotesi mi facessero fuori, saresti comunque in salvo… qualcuno del Ministero arriverebbe…”.

“Non dicevi che sei più forte di me? Siamo arrivati all’ipotesi che ti facciano fuori?” commento dura, la testa ghiacciata dal pensiero di vedermelo davanti morto.

“Si parla di ipotesi, Granger… te lo ripeto, è forse la prima volta nella vita da quando ho lasciato Hogwarts che ho più interesse a vivere che a morire… l’esperienza da Dante Alighieri mi è bastata per almeno una sessantina d’anni…”.

“Ne sono contenta…” ribatto più acida di quanto vorrei “Per un attimo avevo pensato che fosse per me e per Serenity che non volessi morire… ma ehi, troppa responsabilità dà alla testa, quindi grazie…”. Con un movimento brusco ed improvviso, il suo braccio mi cinge possessivamente la vita, trascinandomi all’indietro fino a ritrovarmi stesa sul letto accanto a lui. Si puntella su un gomito, girandosi verso di me e sovrastandomi con la sua altezza, resto schiacciata tra il materasso e lui. Il cuore riprende a battermi come impazzito, avendolo così vicino, a torso ancora nudo, gli occhi annebbiati di desiderio. Non credo che mi abituerò mai a questo. Draco fa scorrere l’indice sulle mie labbra, accarezzandomi piano, di riflesso sento la mia bocca aprirsi, già implorando che mi baci ancora.

“Non essere sciocca, Hermione Granger…” sussurra, gli occhi fissi sulle mie labbra “Adesso stai con me, non con Weasley o Thomas, non hai nessun alibi per diventare idiota…”.

“Che diamine vuoi dire?” ribatto con un scatto residuo d’orgoglio, serrando le labbra ed incrociando ancora le braccia in un moto di difesa.

“Hai bisogno che te lo dica ancora?” bisbiglia, accarezzandomi piano un fianco, scendendo poi giù lungo la mia gamba ancora nuda, chiudo gli occhi senza volerlo “Hai davvero bisogno che te lo dica ancora?”, le sue dita corrono sulla mia pelle con la tattile esperienza che gli consente di sfiorarmi soltanto, eppure di ridurmi in cenere “Dopo tutto quello che è accaduto, dopo che te l’ha detto anche Helena…”, torna al mio viso che riprende ad accarezzare con misurata lentezza “…dopo il modo che hai di farmi a pezzi se solo non mi dici che cosa pensi, dopo che mi fai desiderare di ammazzare tutti coloro che ti guardino anche un po’ di più di quanto dovrebbero… tu… hai bisogno che te lo dica ancora?”.

“Sì…” bisbiglio, riaprendo gli occhi e guardandolo dritto nei suoi, prima di sorridere: “Ho un insano istinto all’autocelebrazione… devi avermelo attaccato tu…”.

“Pessima mossa innamorarsi del serpente, Granger…” sussurra ad un respiro da me, prima di poggiare dolcemente le sue labbra sulle mie.

Mentre le sue dita si riappropriano dei pochi vestiti che indossavo e mentre ancora ripenso al fatto che stanno diventando un optional, mi regala un sospiro, lo soffoca sulla mia spalla, lo confonde con un morso, lo mescola ad un bacio, lo impasta con un respiro. Ed io, gli occhi nebulosi al soffitto, la mano che stringe i suoi capelli, le ginocchia attorno al suo bacino, ho un sussulto, lascio sfuggire una lacrima, lo abbraccio più forte.

“Non sei un motivo per non morire, Hermione. Sei un motivo per vivere… per vivere davvero… perché se oggi amo te come non pensavo di poter fare ancora, vuol dire che davvero posso fare tutto… anche vivere di nuovo…”.

Abbraccio la sua schiena mentre lo sento entrare in me, e per un po’ tra le sue braccia si acquieta quel senso acuto di malinconia, di nostalgia, di un rimpianto e di un rimorso che non hanno né forma né colore, che hanno la foggia di un tempo che non ci appartiene e che non ci fa chiamare Hermione Granger e Draco Malfoy, perché non c’è niente di peggio della nostalgia per le cose impossibili. E io avrò per sempre nostalgia di un tempo facile tra noi, di parole scontate, di silenzi inequivoci. Ed avrò sempre nostalgia di un universo in cui non è esistita alcuna Helena a farmi dubitare dell’amore che ha ed avrà per me.

Ma adesso… ora, mentre mi trafigge del dolore dell’amore… per oggi, basta che tu mi ami così.

 

 

Thomas è un idiota… non che non lo sapessi… ma l’essere sopravvissuto alla guerra, o essere uscito indenne dall’adolescenza mi avevano reso cautamente ottimista sulla ripresa funzionale delle sue sinapsi… e ha anche frequentato te, un minimo di giovamento poteva anche trarne…”.

“Se non la smetti, giuro che ti infilo una scarpa in bocca!”.

“Magari Granger, mi leveresti questo saporaccio infernale, qualsiasi cosa sarebbe meglio, anche una scarpa… Dio, ascoltare Thomas, come mi è venuto in mente?! Come se si affidasse il destino dell’Inghilterra a Luna Lovegood…”.

“Che altro hai adesso contro Luna?!! Ma come parli e parli, insulti qualcuno a cui tengo?!”.

“Bè non è colpa mia se hai sempre avuto una propensione per gli idioti, gli stralunati, gli imbecilli…”.

“Giusto, mi sono innamorata di te, come dimenticare?!”.

Stizzita, mi sporgo verso di lui e gli strappo dalle mani l’involto di cartone che regge con due dita, come se gli facesse enormemente ribrezzo anche solo toccarlo. Draco non si scompone minimamente e continua nella sua tiritera: “Solo lui poteva avere la brillante idea di rendere peraltro i cinesi ancora più ricchi di quello che già sono… già hanno conquistato mezzo mondo, aumentiamo anche i loro introiti… così al Petite Peste, organizziamo sit in per votare Dean Thomas come nuovo Primo Ministro… con tutto lo spazio libero che avremmo, sarebbe fattibile no? E tutto perché non abbiamo nel menù il…”, una smorfia lo spinge a guardarmi schifata mentre mangio in silenzio: “…gelato fritto…”.

Giuro che quando fa così, gli darei fuoco!

“Senti, Malfoy, nessuno ti ha obbligato a mangiare con me…!” inveisco, cercando di non sputacchiare in giro dato che ho la bocca piena “Era una cosa mia, non è che dovevi partecipare per forza… e poi che ne so, che non hai mai mangiato cinese in vita tua!”.

“Dici che vuoi mangiare per forza cinese, mi aspetto almeno l’ottava meraviglia del mondo gastronomico… invece carne di gatto morto… ed un involto dolciastro…” riprende lui, sistemandosi meglio seduto “E poi mi dici anche che era il cibo preferito di Dean Thomas… fantastico… come se non volessi scordarmi ogni minuto che sei stata con quello, prima che con me…”.

“Tu sei stato con Pansy Parkinson se è per questo… e mi stai facendo vivere anche a casa sua!” ribatto a tono, accalorandomi “E a proposito, non è che resteremo qui per molto, vero? Dopo che avremmo parlato con Harry di Astoria, possiamo anche andarcene e cercare di…”.

“Calma, calma… rallenta Granger, cos’è che dobbiamo fare?! Noi non ce ne andiamo proprio da qui…”.

Il braccio che reggeva la scatoletta di cartone bianca, decorata con complicati caratteri cinesi in rilievo di colore rosso, si affloscia, un secondo prima di un mio urlo innervosito che rompe l’atmosfera di quiete di questa calda serata di giugno. Che era iniziata davvero bene, intendiamoci, ma non è che uno può pretendere che io e Draco Malfoy possiamo restare nella stessa stanza per poco più di una mezz’ora, senza darci reciprocamente ai nervi. E sottolineiamo che siamo innamorati l’uno dell’altra.

Abbiamo passato due giorni sulle nuvole, restando quasi sempre nella mia camera con la sola compagnia di Serenity. Il momento in cui Draco ha rivisto la sua bambina, è stato forse il momento della mia vita in cui maggiormente avrei voluto piangere di commozione ma in cui mi sono trattenuta. Ho notato la piega impercettibile che Draco ha negli occhi ogni volta che mi metto a piangere fosse anche per felicità, è come se si incrinasse qualcosa in lui. Non sopporta le lacrime di nessuno, mi ha detto una volta a letto, perché non sa come gestirle… ma soprattutto le mie lo fanno impazzire. Quindi, insomma, sto cercando di reprimerle il più possibile. Non che sia stato facile, intendiamoci… mentre Serenity continuava a battere le manine come impazzita e a ripetere goffamente il suo nome, Draco mi ha allacciato per la vita tenendo sempre la bambina in braccio. Aveva gli occhi spaventosamente simili all’essere lucidi, ma il suo sorriso era splendente. Giuro che se avesse sorriso sempre così, mi sarei innamorata di lui a scuola, Serpeverde, Mangiamorte o qualsiasi cosa fosse stato. Ha guardato prima me, e poi Serenity, ha baciato la piccola sui capelli biondi e me sulle labbra, prima di sussurrare stringendoci: “Le mie ragazze…”.

Avete presente quando provate qualcosa di così forte che il cuore sembra non sopportarlo e avete l’impressione di stare male, malissimo, da non riuscire nemmeno a respirare, eppure quell’agonia è così dolce e piena che vorreste che non finisse mai? Ecco, la provo spesso oramai.

E non nei momenti nei quali io e Draco facciamo l’amore, o mi dice “ti amo”, o io gli rispondo nello stesso modo, o vengo così travolta dalla pienezza di amarlo e di essere amata da sentirmi mille persone in una. Contrariamente a quanto dice Malfoy, Dean aveva perfettamente ragione. L’amore non è grande, immenso, sterminato, come io ho sempre pensato. Non è la superficie marina che spaventa e terrorizza il marinaio, pur affascinandolo. Non è il cielo che il pilota brama solcare, sapendo che potrebbe anche non reggerlo e capricciosamente sbatterlo al suolo. Odiavo l’amore per questo, perché con il mio cuore piccolo, la mia mente minuscola e il mio corpo limitato, se fosse entrato davvero in me, mi avrebbe fatto implodere.

Invece l’amore è nelle piccole cose, si nasconde, si piega in un gesto, in un sorriso, in una frase detta per caso, in un abbandono che sa di friabile fiducia. L’amore è in quella caduta rovinosa che fai non vedendo un gradino, nella risata che ne viene fuori, nello sguardo ilare e preoccupato di un ragazzo biondo che ti ingiunge che sei un’imbranata.

L’amore è starnutire per un petalo di rosa che ti finisce sul naso, mentre fai l’amore in giardino una notte in cui non riesci a dormire, l’amore è in quell’ulteriore risata quando starnutisce anche lui.

L’amore è una mano che ti sposta i capelli dagli occhi, in uno sbuffo che ti viene naturalmente acido, mentre replichi che puoi anche legarli: l’amore è soprattutto quando ti senti dire che con i capelli in ordine, non saresti più la ragazza di cui lui si è innamorato.

L’amore è “Orgoglio e Pregiudizio” letto in una vasca da bagno piena di schiuma, dove a malapena ci state entrambi, dove gli dici che è uguale a Darcy e lui risponde che Wickham allora è Ron Weasley, glorificando Dio per non avere una sorella.

Ma l’amore è anche il contenitore vuoto del pollo alle mandorle che fende l’aria, colpendolo sulla fronte, dopo le sue stramaledette parole caustiche.

Dean ha sempre avuto ragione, sempre, e in due anni ha cercato di insegnarmelo, ma ero troppo ferita per capirlo.

Ora l’ho capito in un modo così assoluto che dovrei mangiare gelato fritto ogni santissimo minuto della giornata… ma, oltre a diventare una botte, Draco mi chiederebbe il perché e non vorrei mai trovarmi a raccontare tutta la storia. Sarebbe troppo imbarazzante… e poi è bella la condivisione, è bello stare assieme, ma è anche bello avere dei ricordi e dei pensieri solo miei.

E non c’entra niente una vendetta dei pensieri di Draco su Helena… per almeno due giorni, ad Helena per fortuna non ho pensato mai.

Avevo troppo di cui parlare con Draco… ci siamo raccontati tutto quello che è accaduto in questi mesi, dai ricordi che non avevo più potuto vedere. Tanti pezzi sono andati a posto, i suoi atteggiamenti, le sue parole: mi ha per esempio raccontato della conversazione che aveva avuto con Harry mentre ero in coma. Non era stata quella che mi aveva mostrato, aveva volutamente modificato i suoi ricordi: quello che invece era successo, era che aveva chiesto ad Harry di portarmi via di lì, di allontanarmi da lui, perché temeva che Astoria mi facesse del male.

Ed Harry, scioccato da queste sue parole, aveva pensato che potesse provare qualcosa per me… la conversazione telefonica che avevamo avuto, mentre ero con Hayden ed ero sotto il controllo dello Zahir, mi era parsa così strana proprio perché lui solo aveva la vera versione di quel giorno. Io ero invece certa che Draco gli avesse chiesto di darmi un lavoro solo perché non sopportava più di vedermi, come lo stesso Draco mi aveva fatto credere per allontanarmi da lui e da Astoria.

Che lei lo avesse minacciato, l’avevo già intuito, ma me l’ha raccontato meglio dopo… dicendomi che la sera in cui mi aveva trovato al pianoforte, soltanto pochi minuti prima, Astoria gli era apparsa davanti. Potente, minacciosa, ritornata una strega. Era furiosa e Draco aveva immediatamente intuito che la sua famiglia non aveva più voluto saperne nulla di lei. Gli aveva detto che era tutta colpa sua quello che le era accaduto, che oramai non aveva più niente da perdere, al contrario di lui che aveva ancora me e Serenity.

Ci avrebbe uccise, se non avesse rinunciato ad entrambe… e Draco ci aveva provato, ovviamente prima con me, manipolandomi e facendomi conoscere la sua storia con Helena.

Ma quella era ovviamente solo una parte del piano di Astoria: la parte successiva aveva avuto pieno esito positivo. Io avevo creato lo Zahir, rischiando di ucciderci entrambi.

Dopo tutto quello che è accaduto, penso che sia normale che per due giorni, mi sia tranquillizzata e mi sia semplicemente goduta la sua vicinanza, soprattutto dopo che anche Dimitri se ne è finalmente andato. Raissa ce l’ha riferito ieri mattina, dicendoci che non ci avrebbe più disturbato e scusandosi. Sembrava molto depressa e triste, e Pansy l’ha invitata a restare per qualche altro giorno… credo che si senta sola, Pansy intendo, senza i suoi e senza nemmeno Blaise. Draco mi ha confermato come avevo creduto che si sono lasciati, dopo che lei finalmente ha interrotto la loro relazione clandestina che durava da circa quattro anni. Blaise, infatti, è ufficialmente fidanzato con Daphne Greengrass, ma ha sempre amato lei, Pansy.

“Ma non abbastanza da rompere il fidanzamento…” ha commentato Draco quando ne abbiamo parlato, aggiungendo che tra circa venti giorni, Pansy andrà in Francia. Resterà per un anno a Parigi, a casa di una sua parente che le ha anche fatto avere un lavoro all’Ambasciata magica dell’Inghilterra. “Le farà bene cambiare aria” ha aggiunto Draco “Anche perché credo che Blaise oramai non potrà più rinviare… credo che si debba sposare per forza con Daphne e al più presto…”.

Ecco perché non capisco che ci facciamo ancora qui… dobbiamo parlare con Harry al più presto, dirgli di Astoria. Lui e gli altri, grazie ai maneggiamenti di Zabini, pensano che io abbia regolarmente sostenuto l’esame e ora sia ad Hogsmeade in vacanza. Credo che mandino anche in giro una specie di illusione ottica con le mie sembianze per rendere la storia credibile, e forse anche per far abboccare Astoria, che però sembra sparita. In ogni caso, per il momento Harry non mi contatterà, crede che io stia bene. Seth idem. Quando torneremo alla nostra vita solita?

Dopo essermi esercitata nella disciplina olimpionica del lancio degli oggetti contro fidanzati imbecilli ed aver attirato sia Pansy che Raissa in camera nostra, finalmente mi calmo, mi siedo sbuffando sul letto ed attendo spiegazioni, battendo il piede per terra. Pansy e Raissa, abituate dall’amichevole scambio di vedute tra me e il mio ragazzo, restano in ascolto appoggiate alla parete mentre Draco, dopo aver ovviamente borbottato per ore sul mio essere “violenta, manesca, assolutamente poco femminile e maledettamente lunatica”, si sistema meglio Serenity tra le braccia ed inizia ad esporre il suo grande piano. Dubito che lo sia, un grande piano intendo, potrei dirglielo anche adesso prima ancora di sentirlo, ma sono sempre stata una persona equa. Glielo dirò dopo averlo sentito. Non sia mai che divento una donna poco obiettiva per due giorni di vicinanza con Draco Malfoy… Serenity, in tutto questo, non si sa come, dorme tranquilla.

Le urla mie e di Draco, per lei, fungono da rilassata ninna nanna. Valle a capire le bambine…

“Allora stavo ragionevolmente esponendo le motivazioni per cui ci dobbiamo trattenere ancora qui, ma ovviamente la tua solita mancanza di stima nelle mie idee e di autocontrollo dei tuoi istinti, ha impedito che potessi terminare…” inizia Draco ragionevole, come se stesse parlando ad una povera pazza “Tutte le tue energie del resto sono deviate per digerire quella massa informe di calorie che hai osato anche chiamare cibo… dovrei anche capirti…”.

Al diavolo l’equità!

“Il tuo piano sarà una specie di fallimento preventivo, già lo so! Vogliamo ricordare la storia del “teniamo alla larga Hermione, mostrandole i miei ricordi”?! Certo, ha davvero funzionato!” inveisco, creando un fosso sotto il mio piede per quanto lo batto furiosamente sul parquet.

“Questi due già hanno bisogno della terapia di coppia… andiamo bene…” commenta Pansy scocciata, accendendosi una sigaretta che diffonde un quieto odore dolciastro di gelsomino. Raissa annuisce, alzando gli occhi al cielo.

“Vogliamo ricordare la storia d’amore della tua vita, Pans? Il fidanzato della tua migliore amica, ricordi?” ribatte a tono Draco, per nulla preoccupato di ferirla. Pansy fa spallucce e dice monocolore, senza nemmeno staccare le labbra dalla sigaretta: “Colpita”. 

Questi Serpeverde non li capirò mai…

“Vogliamo andare al punto della questione?” rimarca Raissa nervosamente, da quando Dimitri se ne è andato è nervosa praticamente ogni secondo della giornata e le salta la mosca al naso ogni tre per tre “Anche io voglio capire come si mette adesso la questione… ringrazio Pansy dell’ospitalità e certamente fino a che Dimitri non si sarà calmato, con buona pace dei miei nervi, ne approfitterò… ma se non vi sono più utile, appena possibile, me ne torno a casa e tanti saluti…”.

“Conosci una tale Tatia Krasova?” mi ricordo io improvvisamente, battendomi una mano sulla fronte, mi ero completamente dimenticata di chiederglielo. So che al momento non c’entra molto, ma rischio di dimenticarmene daccapo, specie se Draco inizierà a blaterare e mi verrà di nuovo l’istinto di prenderlo a picconate. Lui ovviamente se ne ricorda a sua volta, lo sguardo grigio passa da me a lei in attesa. Raissa si passa un indice sulle labbra rosse, riflettendo: “Credo di sì… se non ricordo male, era una ragazza del mio paese natale. Fu uccisa dai Mangiamorte in guerra…”, le sue spalle si contraggono mentre chiede casualmente: “Non è conosciuta in Inghilterra… che volete sapere?”.

“Niente, è solo che Draco…” inizio a spiegare, ma non riesco a finire perché Draco si siede accanto a me e mi interrompe dicendo: “Ne ho sentito parlare sulla via del ritorno, sembrava una piccola celebrità… e mi sono incuriosito. Che diamine lo esci a fare adesso il discorso, Granger?!”. Lo guardo senza capire, aggrottando le sopracciglia, ma, prima che possa replicare, dal suo sguardo intuisco che non vuole raccontare che cosa sia effettivamente successo con Tatia a Raissa. Mai fidarsi dei serpenti, sembra dire con gli occhi.

“Mi volevo distrarre dall’esposizione del tuo meraviglioso piano… e purtroppo non ci sono riuscita…” lo assecondo, sospirando languidamente, in fin dei conti conosce questo mondo meglio di me. lo vedo sorridere con gli occhi, mentre finge un’espressione rassegnata e cinica. Roteo gli occhi con un sorriso tirato, deve comunque spiegarmi perché non voglia parlare.

“Nel piano c’entro anch’io?” bofonchia Raissa scocciata, incrociando le braccia “Perché, in caso contrario, me ne andrei in camera…”.

“No, grazie Raissa…”.

Con un cenno del capo ed un “buonanotte” nervoso, Raissa lascia la stanza, i tacchi che battono ritmicamente sul parquet chiaro. Serenity fa una buffa smorfia, infastidita, mentre lei chiude la porta alle sue spalle, sparendo in una nube di costoso profumo francese.

“Quella non me la conta giusta…” bisbiglia Pansy alla porta chiusa, dando un’altra boccata alla sua lunga sigaretta sottile. La guardo non capendo, sbattendo le palpebre.

Draco ovviamente non si scompone per nulla, asserendo serio: “Nemmeno a me… grazie di averle offerto di rimanere… meglio tenerla sott’occhio…”.

“Non capisco…” ripeto guardando entrambi in attesa “Avete deciso di farla rimanere qui per tenerla sotto controllo? Perché non vi fidate di lei?”.

“E’ la sorella di Dimitri Karkaroff… ti basta come spiegazione Granger?” dice ovvia Pansy, spegnendo la sua sigaretta in un posacenere sulla specchiera e guardandomi come se fossi una bambina cretina “Hanno un discreto ascendente l’uno sull’altra… e se Karkaroff ha questa malsana ed assolutamente inspiegabile ossessione per te, non credi che tenere d’occhio sua sorella al momento sia quantomeno utile?!”.

“Non credo questo…” mormora Draco, stringendomi la mano mentre impallidisco un po’ spaventata “Raissa e Dimitri non sono mai stati fratelli nel senso comune del termine. Lo ha fatto andare via e per tutto il periodo in cui sei stata qui, lui non ti ha torto un capello grazie a lei… non credo che ti farebbe del male. Ma è anche vero che questa storia di Tatia mi puzza… e molto. Sono russi tutti e tre, Tatia, Raissa e Dimitri… e non credo alle coincidenze…”.

“Credi che abbia a che fare con loro? Ma lei non ha detto in proposito… sembrava non conoscerla… ”.

“Ovvio che non l’abbia fatto, ma…”.

“… ma lasciare la stanza appena è stato fatto il suo nome, è anch’essa una bella coincidenza…” completa Pansy, accendendosi immediatamente un’altra sigaretta. Draco annuisce con il capo pensosamente ed effettivamente anche a me adesso sembra strano. Non è sembrato che cambiasse espressione al nome di Tatia, ma in ogni caso è meglio non rischiare. Certo che è strano… in fondo, Tatia non voleva che Raissa si ricordasse di lei, voleva che me ne ricordassi io. Ma io non la conosco... secondo me, la stanno facendo troppo lunga.

Raissa ha confermato che è stata una vittima dei Mangiamorte, magari è davvero invendicata dalla sua morte e vuole solo giustizia.

“E’ questo il problema con voi Grifondoro, Granger…” biascica Pansy, sedendosi elegantemente su una poltrona a gambe accavallate “Se foste solo un pochino meno generosi nell’elargire fiducia a destra e a manca, non saremmo a questo punto… specie se non lo fosse Potter… ed è anche il Ministro… in che razza di mani siamo…”.

“Mi volete spiegare o no??!!”.

Draco si alza in piedi, dopo avermi dato Serenity in braccio, e misurando la stanza a lunghi passi, inizia a spiegarmi: “Come ti ho già detto, Potter sa perfettamente che ci sono delle spie al Ministero, degli infiltrati dei vecchi Mangiamorte… e mi ha sempre detto che, se fosse successo qualcosa, non avrei mai dovuto avvisarlo direttamente ma solo dopo qualche giorno per dargli il tempo di agire in modo che lo sapessero solo poche persone, quelli del suo entourage di cui si fida ciecamente. Circa una decina… di Grifondoro. Su loro ha sempre messo la mano sul fuoco… sbagliando…”.

“Che diamine vuol dire? Che ci sono spie anche in quelle dieci persone?! Non è possibile…! Li conosco tutti… e non ne sarebbero mai capaci…” inveisco, cercando di non muovermi troppo per non svegliare Serenity. Ecco perché me l’ha data in braccio… ha previsto perfettamente la mia reazione. Maledetto Malfoy.

Pansy sospira lungamente, annoiata, mentre Draco prosegue stizzito: “La stessa cosa che ha detto Potter… e credo che all’inizio avesse ragione. Ma da quando con Pucey e Montague c’è anche Astoria, le cose sono cambiate. Credo che abbiano qualcuno anche in quel gruppo… avevo preso una stanza alla Testa di Porco, credendo di dover aspettare per molto che Adamar mi trovasse, e da lì avevo tentato di contattare Potter… per fortuna non ci sono riuscito, non c’era. E nonostante avessi usato il solito nome fittizio che mi ha detto di usare per quando lo contatto, quella sera stessa la stanza è stata completamente messa a soqquadro… probabilmente mentre Pucey, Montague ed Astoria cercavano me, lei sa del nome falso che uso con Potter, mi ha visto chiamarlo decine di volte. Avrà detto a qualcuno di avvisarla quando chiamava quella particolare persona… ma per fortuna io ero già con Adamar, mi aveva trovato subito…”.

“Quindi credi che ci sia una spia anche tra quei dieci?” commento svuotata, i fatti ovviamente gli danno ragione. Non mi sorprende più di tanto, dopo aver saputo di che sono capaci gli Auror e dopo essermi innamorata di Draco Malfoy, non credo più in un mondo diviso in bianco e nero. Il mondo è grigio, lo è sempre stato, solo io mi illudevo del contrario.

“Sì, Astoria ha sempre avuto più contatti al Ministero… certamente di più di Pucey e Montague che sono latitanti dalla fine della guerra…” Draco prosegue, continuando a camminare nervosamente per la stanza “E sicuramente è una spia recente… sennò Pucey e Montague mi avrebbero trovato da anni, invece i loro contatti devono essere molto lontani dal Ministro… quindi al momento Potter è inavvicinabile. Abbiamo una buona copertura al momento, non c’è da preoccuparsi… Astoria non sa di Pansy, non sa che lei e Blaise sapevano che ero vivo, te l’ho già detto, qui siamo al sicuro per il momento… ma ovviamente Pansy deve partire e Blaise vive ancora con la sua famiglia, lì non potremmo certamente nasconderci. E comunque prima o poi, dobbiamo parlare con Potter, no? Il Petite Peste è protetto, compresi i ragazzi che ci lavorano, Astoria non può arrivare a loro… e ci sono frequenti controlli alle Passaporte internazionali, quindi escluderei anche i tuoi… e i tuoi amici del mondo della Magia sono protetti anche loro, sono nel mondo dove Astoria vuole rientrare, non farebbe mai fracasso uccidendo qualcuno per arrivare a noi… se la scoprissero, le cose si farebbero troppo difficili… dopo aver sistemato entrambi, lei vuole tornare alla sua vita, lo so, lo immagino. Non fa per lei la vita da fuggitiva…”.

“Quindi mettiamo anche che al momento siamo al sicuro… tra venti giorni saremo virtualmente punto a capo, non appena Pansy partirà…” ribatto pensosamente, so che ovviamente potremmo trattenerci qui anche senza Pansy, ma sarebbe più complicato. Vicini che notano strani movimenti quando la casa dovrebbe essere vuota, nessuna possibilità di rifornirci… senza contare che, come dice Draco appunto, con Harry prima o poi dobbiamo comunque parlare.

“La soluzione è ovviamente trovare la spia…” riprende Draco duro, sedendosi alla fine accanto a me “Cosa che servirebbe anche sotto un’altra prospettiva… trovandola, ci porterebbe a quei tre. E potremmo finirla con questa storia…”, il silenzio scende cupo a queste sue parole, non c’è bisogno di traduzione per sapere che cosa intende per “finirla con questa storia”.

“Io e Blaise ci stiamo lavorando… abbiamo un paio di sospetti in realtà… se la spia è di Astoria, c’è la buona possibilità che sia una donna, una sua amica probabilmente… è di donne nell’entourage di Potter ce ne sono tre: Demelza Robins, Lavanda Brown e Natalie McDonald…”. Le conosco tutte, ovviamente, e su tutte e tre non penserei mai nulla di male. Certo Lavanda è una ruba-fidanzati imbecille, ma da qui ad essere una spia ce ne passa, se non altro perché dovrebbe tenere la bocca chiusa, cosa che lei non farebbe mai. Demelza era una Cacciatrice quando eravamo a scuola, era molto amica di Ginny e combatté anche lei con noi nella grande battaglia finale… ed anche su lei non scommetterei nulla contro. Natalie era di tre anni più piccola di me, la ricordo come una bimbetta dolcissima ed anche adesso, è sempre rimasta una ragazza molto carina. Anche su di lei non penserei mai nulla di male. Mi mordo il pollice a disagio, scuotendo il capo incredula.

“Abbiamo pensato di lanciare una trappola, di dare una falsa esca… in modo di capire chi sia…” spiega Draco, con nonchalance “E vorrei cercare di elaborare bene il tutto prima che lo sappia Potter… so per esperienza come ragionate voi Grifondoro e so che non ci crederà mai… quindi preferirei arrivare da lui con le prove che la cosa è vera ed avendo anche un nome…”.

“E come arriveremo da lui? Il problema non è appunto che non sappiamo come arrivare da lui?” ribadisco, non seguendolo.

“Un modo per arrivare da lui c’è… ma abbiamo sempre una certa dose di rischio… ed inoltre, da quel momento in avanti, la questione sarà solo sua… la spia, Pucey, Montague ed Astoria… me li toglieranno dalle mani…” la voce di Draco è gelida come vento invernale, rabbrividisco ed il pensiero di Helena mi ritorna ancora in mente. Vendicarla è sempre più importante del resto. So che Astoria ha fatto male anche a me, anche io vorrei che pagasse ma non come lo vuole lui. Abbasso lo sguardo, chiudendo gli occhi.

Draco per fortuna non se ne accorge, riprendendo a parlare, con un sospiro sollevo lo sguardo di nuovo. Pansy ha gli occhi fissi su di me, mentre continua indolente a fumare, una scintilla nasce e muore sul suo viso, spegnendosi ed accendendosi. Mi stringo nelle spalle, terrorizzata che abbia intuito i miei pensieri.

“… quindi vorrei una decina di giorni per elaborare con Blaise un modo per scoprire chi è… mettere a punto un’esca che non metta al contempo a rischio me, te, Serenity o Pansy stessa. Se non ci riusciremo, chiameremo comunque Potter nell’altro modo… ma solo se non riuscirò a capire chi è la spia, solo così posso arrivare a quei tre senza che ci sia il Ministero di mezzo…”.

“Spiegale come arrivare a Potter, ci sarà da divertirsi…” lo interrompe bruscamente Pansy con un sorriso malevolo, un attimo dopo di avermi lanciato una lunga occhiata penetrante. Un brivido mi trapassa la schiena, quando capisco che Pansy Parkinson ha davvero intuito tutto. Lo ha interrotto volutamente mentre parlava ancora della vendetta per Helena. Non ci credo.

Lei ha capito.

Abbozzo un sorriso incerto, che Pansy ovviamente non ricambia, guardandomi disgustata. Forse mi sono sognata tutto.

Draco sorride alle parole dell’amica, dicendole che forse è meglio che lo spieghi lei stessa, dato che è una sua interessante scoperta.

Lei inizia gioiosa a parlare come se non ne vedesse l’ora: “Due anni fa, Potter e la Weasley si sono lasciati per un mese, lo sai no?”.

La mascella quasi mi si schianta a terra, stiamo davvero facendo pettegolezzi sulla vita sentimentale del Ministro in un momento come questo? E che diamine c’entra adesso?

“Certo che lo so…” ribatto acidamente, porgendo finalmente Serenity a Draco così da essere libera di spaccare la faccia al carlino Parkinson che sicuramente prima non mi ha assolutamente aiutato “Ma è stato per molto poco, c’erano delle incomprensioni leggere… Harry era appena diventato Ministro ed era difficile trovare tempo per Ginny, lei si sentiva trascurata e quindi…”.

“Chissenefrega della vita sessuale di Potter! Arriviamo al punto!” ribatte Draco scocciato.

“Si dà il caso che in quel mese, Potter sia stato ad una festa e si sia ubriacato… e si dà il caso che sia stato a letto con Daphne Greengrass…!” conclude Pansy con un sorriso mieloso, al che io effettivamente casco dal letto sconvolta. Ma possibile che alle mie spalle ne siano successe di tutti i colori??!! E quell’altro, tradire Ginny così!! Come si fa??!! Ma io adesso la chiamo, e lo scortichiamo vivo, chissenefrega dello stare nascosta!! Gli gratto via la carne dalle ossa con le unghie!! Maledetto, e si sta anche per sposare!!!

Draco osserva ridendo la mia manovra, mentre mi arrampico nuovamente sul letto: “Almeno se fa il moralista sul venire a letto con un Serpeverde, saprai che rispondergli…!”.

Lo guardo senza replicare con gli occhi ridotti a due fessure, prima di dire con voce strozzata: “Ginny lo ammazzerà quando lo saprà, è la sola cosa che mi fa stare seduta qui e non mi fa uscire per prenderlo a padellate…!”.

“La Weasley lo sa…” commenta annoiata Pansy, ravvivandosi i capelli “Figuriamoci la moralità di Potter… se non glielo avesse detto… e la Piattola se l’è ripreso…”.

“Ginny lo sa???!!” ribatto ancora, artigliandomi all’angolo del letto per non cadere ancora riversa a terra. Come se fosse emerso da una nebbia confusa, mi ricordo un discorso di tanto tempo fa con Ginny… io parlavo di Draco che era ancora perso dalla sua ex… e lei…

“Che palle ste ex! Sono la rovina della società… il crescente numero di divorzi deve essere dovuto a loro…”.

“Harry non ha delle ex vere e proprie… di che ti lamenti?!”

“Lasciamo perdere, decisamente!!” .

Evidentemente si riferiva a questo, al fatto che Harry fosse stato a letto con Daphne.

“E quindi? Tutto questo che cosa dovrebbe portare di buono a noi? A parte i vostri sorrisini imbecilli?” commento caustica, mentre entrambi continuano a sogghignare.

“La Greengrass deve solo ringraziarmi che le ho lasciato il suo principe azzurro…” ribatte Pansy con voce atona, osservandosi le unghie “Sarebbe facilissimo convincerla che deve semplicemente contattare Potter per parlargli di quella notte, altrimenti mi riprendo Zabini con tanto d’interessi… certamente Potter non ha interesse che la storia si venga a sapere, specie se è così vicino alle nozze… e non lo direbbe a nessuno del suo entourage. Cosa che invece non possiamo escludere se lo contattassimo o io, o Blaise… o qualcun altro…”.

“E all’appuntamento con Daphne, ovviamente ci saremmo noi due…” completa Draco, guardandomi in attesa.

Paradossalmente il suo piano è anche buono, non posso negare che i Serpeverde se si tratta di mettere assieme sesso e potere, sono sicuramente i numeri uno. Annuisco con il capo, dando il mio tacito assenso per non darli troppa soddisfazione, stendendomi stancamente sul letto.

“Bè, io me ne vado a letto…” dice Pansy, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi come un gatto “Per favore, se non riuscite a dormire, giocate a scacchi magici… ma il sesso nel mio giardino, tra le mie rose, non rientra nei concetti di ospitalità… non credo che rientrasse nemmeno in quella di quei perversi dei Greci… insonorizzate la stanza e bruciate le lenzuola, piuttosto…”.

Arrossisco come un pomodoro, aspettando che esca per affondare il viso nelle lenzuola.

Draco sorride ancora, poggia Serenity nella sua culla accanto al nostro letto, poi spegne la luce, stendendosi accanto a me. Nel buio, si muove piano vicino a me, facendomi appoggiare la testa sul suo petto mentre mi accarezza la schiena piano, lambendo i riccioli dei miei capelli sciolti.

“Dieci giorni, Hermione… solo dieci giorni…” la sua voce è inghiottita dal nero della stanza, soffice risuona nel suo torace sotto il mio orecchio.

“Perché proprio dieci?”.

“Per Pansy… sarà il suo compleanno tra dieci giorni… e farà una festa. Vorrei essere qui… sono anni che manco perché vivo da babbano. Ed andarmene prima, proprio ora che sono qui, dopo tutto quello che sta facendo per noi… e con quello che sta passando…”.

“Ok…” sussurro colpita dalla dolcezza della sua voce mentre parla della sua amica “Con dei Confundus saremo abbastanza irriconoscibili anche per la gente che verrà qui, credo… ma non potrebbe invitare Harry così da farla finita?”.

Draco ride, continuando ad accarezzarmi i capelli con dolcezza: “Io e te siamo la prima cosa simile ad un rapporto di qualsiasi natura tra Grifondoro e Serpeverde, nonostante la pace, nonostante tutto, Hermione… credi che Pansy inviterebbe mai Harry Potter alla sua festa di compleanno? Ed anche se la convincessi, credi che lui verrebbe? Ed ammesso e non concesso che accada, alla fantomatica spia apparirebbe subito come strano…”. Certo, il mondo non ha vissuto la stessa rivoluzione che abbiamo visto insorgere io e lui nei nostri cuori.

Fuori da questa casa, al di là delle rose, il mondo è sempre rimasto uguale.

Harry va a letto con Daphne ma deve nasconderlo a tutti, una spia Grifondoro fa il doppio gioco per i Serpeverde ma probabilmente va a cena con il suo capo, Zabini non saluterà Ron per i corridoi del Ministero e Pansy non avrà altro uomo al di fuori di uno che si dipingeva il viso di verde ed argento.

“A che pensi?” mi chiede Draco, toccandomi la guancia con l’indice.

“Al guaio in cui ci siamo cacciati… sei cosciente che, anche quando con Astoria sarà finita, per noi sarà sempre così?”.

“Così, come?” la voce di Draco, tirata, si stempera nell’ultima sillaba, mentre solleva il mio viso e mi bacia nel buio. Chiudo gli occhi, aspirando il suo sapore e il suo profumo, lasciando che le sue braccia si chiudano sulla mia vita e che le sue dita giochino con la pelle tesa dei miei fianchi.

Si stacca da me, sussurrando poche parole, prima di riprendermi a stringere. E ringrazio il buio come se fosse un amico, come se fosse il mio confidente. Nasconde caritatevole la lacrima che sfugge dai miei occhi prima che Draco se ne accorga, cela il suo percorso bagnato sulla mia guancia e camuffa la sua morte sul mio collo.

In una lacrima, piccola come tutte le cose piccole in cui si nasconde l’amore, si racchiude la felicità più strabordante che si possa provare al mondo.

Una felicità che ha la voce di Draco, mentre dice poche, piccole parole, nascoste dal buio.

“Prego Dio ogni giorno per questo… e se esiste, me lo deve… mi deve che tra me e te sia per sempre così…”.

 

 

“Una mocciosa di undici anni non avrebbe quell’espressione nemmeno il primo giorno di scuola… per Merlino, Granger, datti una calmata…”.

Senza nemmeno accorgermene, mi giro su me stessa e sorrido come non ho mai fatto proprio a lei, proprio a Pansy Parkinson e alla sua voce caustica ed acida. Lei, ferma sulla porta, inarca un sopracciglio, guardandomi incerta, poi scuote il capo con rassegnazione e sorride a sua volta lievemente, pensando che io mi sia già voltata. Per salvare il suo orgoglio, fingo abilmente di non aver visto quel sorriso e torno a giocherellare con la bacchetta che finalmente mi hanno dato. Seduta davanti alla specchiera, aspettando di prepararmi per la festa di compleanno di Pansy, da circa un’ora muovo il polso e lascio che dalla punta della bacchetta escano poche e coloratissime scintille luminose. Rosse, gialle, azzurre, poi d’improvviso nere, dorate, argentate, arcobaleno.

Le guardo e sorrido come una bambina piccola. Io sono la magia. Non credevo davvero che mi mancasse così tanto.

Draco, dopo dieci giorni di attesa, finalmente ha acconsentito a darmi una bacchetta, non è ovviamente la mia, sembra anche un po’ vecchia e logora dall’uso, forse è nella famiglia dei Parkinson dai tempi della Regina Vittoria. Ma sentire sotto i polpastrelli la superficie lignea di una bacchetta, è una cosa che non saprei descrivere senza uscirmene con parole assurde e ridondanti e senza forse anche mettermi a piangere. È l’ultimo pezzo della mia vita che torna indietro, dopo essermi stato strappato con la forza in questi anni, rinsaldandosi in un mosaico dal disegno intimamente diverso, ma dalle tessere profondamente simili al passato. È come avere tra le mani gli stessi colori, identici, averli sempre usati per disegnare le stesse cose, e ora scoprire che puoi disegnare anche altro.

E mancava la magia, il suo colore. Mi mancava per sentirmi completa.

Certo, Draco me l’ha data come estrema risorsa, conta sempre di proteggermi lui da qualsiasi cosa, ma stasera con la festa ha ritenuto più prudente darmela direttamente. In dieci giorni, Dimitri non si è fatto vedere, Astoria come sempre oramai non mi tange più se non raramente nei sogni, Pucey e Montague sembrano dissolti con lei. Siamo più calmi, ovvio, ma non siamo al sicuro.

Per dieci giorni, Draco ha cercato con Zabini di scoprire chi fosse la fantomatica spia, ma senza apprezzabili esiti. È furba, se mai avessimo dei dubbi. Draco è riuscito solo a restringere il tiro, escludendo come prevedibile gli uomini. È una donna, una tra Lavanda, Demelza e Natalie. Per ovvi motivi, io dubito di Lavanda Brown, probabilmente è ancora suo sommo desiderio che io sparisca del tutto e le lasci libero campo con Ron, anche se dubito che pensi che io possa essere ancora un ostacolo. Cavolo, se poi è davvero in contatto con Astoria, a questo punto dovrebbe sapere della mia relazione con Draco…

Lui invece è convinto che sia Demelza la spia, crede di ricordare di aver ucciso forse suo fratello per sbaglio. Ma non ne è sicuro. E Zabini pensa che sia Natalie perché “è troppo carina, come minimo nasconde teste di Troll sgozzati sotto il letto”. Ergo, non siamo arrivati a nessun punto.

Draco con riluttanza, ha accettato quindi che entri in campo Daphne Greengrass.

Stasera lei verrà alla festa e Pansy gentilmente le ingiungerà di convocare il Ministro a casa sua in uno di questi giorni.

Forse, così facendo, tra domani e dopodomani finalmente potremo tornare a Londra.

È oramai più di un mese che sono qui, rinchiusa. E desidero davvero farmi una passeggiata, rivedere i miei amici, andare anche a prendere uno stupido tè o leggere un libro in un parco. E non averlo potuto fare per Astoria Greengrass, è davvero al limite della pazzia… in questi giorni, Draco ha dovuto spesso trattenermi quando, presa da una sindrome al limite della claustrofobia, minacciavo di uscire da sola e di schiantare qualsiasi cosa si muovesse così da farla finita finalmente con Astoria.

Ovviamente tali momenti sono stati sempre abbastanza rari e controllati. Sono chiusa in una casa da un mese, certo, ma sono sempre chiusa in una casa con il ragazzo che amo e con una bambina che adoro. E dopo tutto quello che abbiamo passato io e Draco, anche una serata in giardino semplicemente a mangiare del gelato sotto le stelle diventa un’esperienza da ricordare.

Nei giorni, nel tempo che passa, Draco si trasforma sempre di più da rovente novità a calda abitudine.

E per me, che non vivo delle onde passionali delle storie d’amore da romanzo ma di quelle dolci della vita vera, sicuramente rappresenta una bella conquista.

Iniziare a capire le sue espressioni, i suoi silenzi, i suoi gesti; sapere come vuole mangiare un determinato piatto e poterlo prevedere; conoscere un ricordo che lui condivide ridendo con me, anche se quando era accaduto probabilmente io pensavo a lui nei termini di un furetto che meritava solo di restare appeso ad un palo… tutte queste cose, che solo la frequentazione ti consente di avere, sono passi importanti che si ottengono giorno per giorno, con la costanza di formiche e la diligenza di api. Amare non è un verbo statico, è un verbo in fluire che ha a molto a che vedere con l’impegno. Ed io, ogni giorno, prima che pensare alla pelle di Draco, al suo odore, alle sue labbra, attrattive così immense da farmi crollare al suolo in estasi, devo sempre impormi di pensare all’impegno di stare con lui, oltre alle facili trappole dell’attrazione. Ci attiriamo come se ci fossimo solo noi sulla Terra e in questa casa, al punto da fare l’amore nei posti più impensati, nei momenti più imprevisti… ed è stupendo, sconvolgente come poche cose al mondo. Ma abbiamo anche due caratteri così opposti che ogni momento di comprensione fa rima con uno di bisticcio e con uno di silenzio stizzito… e iniziare a capire che cosa porti al primo, cosa al secondo e cosa al terzo di quei momenti, è una recente vittoria. Una vittoria di dieci giorni, certo, acerba ed immatura, ma che si preannuncia dolcissima. Sono felice, tanto, troppo, anche se chiusa in una casa da un mese, in compagnia di Pansy Parkinson e sotto la minaccia di una pazza assassina.

Questi dieci giorni sono volati, davvero, come se ogni giorno fosse un secondo ed ogni secondo non sapessi nemmeno misurarlo.

Draco ha fatto spesso tardi con Blaise, chiuso in salotto, ad elaborare teorie su teorie.

E io mi addormentavo in camera abbracciata a Serenity, svegliandomi quando lo sentivo tornare. Lui si stendeva pigramente accanto a me, scuotendo il capo in assenza di novità, stringeva me e la bambina e si addormentava subito… poi ha chiesto a Blaise di venire di giorno, perché odiava arrivare a quello stato semi-comatoso di sera.

E a quel punto, per forza di cose, ho dovuto passare molto del mio tempo con Pansy. Raissa, da quando Dimitri è andato via, trascorre molto del suo tempo in camera sua, non accenna ad andarsene eppure preferisce trascorrere il tempo da sola. Sia a me, che a Draco e Pansy ovviamente questo comportamento sembra sempre più strano, specie perché loro due continuano a ribadirmi che lei e Dimitri non si sono frequentati per anni dopo l’incontro con Adamar. Paradossalmente è stato Draco a riunirli, quando li ha salvati dal pericolo di essere coattivamente assoldati come Mangiamorte… quindi non sappiamo, né capiamo perché Raissa stia così. E al contempo, se la sua reazione è preoccupazione per il fratello, non capiamo perché non torni da lui.

Nei momenti di noia ho fatto delle ricerche su Tatia Krasova ed effettivamente è come pensavo una vittima dei Mangiamorte uccisa durante il periodo di pace tra la prima e la seconda guerra. Le indagini si impantanarono ad un punto morto e, appurato che era stata una vendetta trasversale per alcuni contatti del padre con i Mangiamorte, non si è mai capito chi fosse stato ad ucciderla. Era molto giovane, vent’anni appena compiuti e si era appena sposata… ma a parte questo, di lei si sa poco e nulla. Credo che, quando tornerò a Londra, cercherò delle maggiori informazioni sulla cosa. Lei voleva che mi ricordassi di lei, è il minimo che possa fare capire chi l’ha uccisa.

In quei momenti, in cui cercavo delle notizie su Tatia mentre Draco era con Blaise, ho sempre avuto Pansy accanto a me. Senza una parola, quando Blaise arrivava, lei si chiudeva in biblioteca dove spesso c’ero già io, si sedeva su una poltrona stinta dietro la finestra e fumava anche per ore, guardando il cielo cambiare colore. In un momento preciso, come se fosse un cane che avverte la fine del pericolo, si alzava in piedi, spegneva la sigaretta nel posacenere ed usciva fuori, il passo deciso.

Potevo giurare su tutti i galeoni dell’Inghilterra che, in quel momento, anche Blaise se ne era andato. 

I primi giorni restava seduta lì, senza fare assolutamente niente, senza parlarmi, senza guardarmi. Poi, un giorno, avevo portato Serenity con me, lei continuava a giocherellare con una bambola di pezza e all’improvviso l’ha chiamata, ridendo. La chiama “zia”, me ne sono sempre accorta e credo che comunque, anche se sotto la copertura da babbano, Draco continuasse a frequentare Pansy.

Pansy ha sorriso, si è alzata e ha preso a giocare con lei.

E da allora non si è più seduta dietro la finestra. Si è sempre messa a giocare con Serenity che da quel momento in avanti, non ho più lasciato a Lyria ma ho sempre portato con me.

A volte, si è anche messa ad aiutarmi con le ricerche indolentemente, con l’aria di chi cercasse solo di occupare il tempo, condendo ogni pagina letta di commenti malevoli e di sarcastici appunti, a cui rispondo ovviamente a tono. Ma qualcosa è cambiato, non molto, ma qualcosa sicuramente sì.

Draco Malfoy è una palestra notevole nell’avere a che fare con i Serpeverde: quando impari ad andare oltre i loro motteggi velenosi, capisci cosa davvero vogliano dire. Pansy Parkinson non è una mia amica, intendiamoci, ma ora la vedo meglio, riuscendo ad andare oltre alla sua apparenza sgradevole e fastidiosa. È una ragazza sola, depauperata di tutto, compreso il suo nome e il suo ricco lignaggio. Ma soprattutto soffre, molto, per amore. Non ammetterebbe mai di avere bisogno di compagnia, tratta ancora me e Draco come l’abominio della razza umana, eppure ho l’impressione netta e precisa che non vorrebbe che andassimo via. Sebbene non mi sopporti, sebbene io non la sopporti, sebbene non è convinta ancora della relazione mia con Draco e sebbene non abbia nemmeno tutta la pazienza di stare dietro a Serenity, è contenta a suo modo che siamo qui. In fondo, devo davvero ringraziarla. Sono diventata più indulgente, adesso. E lei, a suo modo, lo sta diventando a sua volta. Camuffa le gentilezze dietro strati di cinismo, farcisce i complimenti di insulti e maschera l’interesse di menefreghismo ostentato… e io faccio lo stesso.

Credo che siamo nel bel mezzo della più grande tregua della storia moderna, coniata ad uso e costume di una tattica volutamente femminile.

Come se fossimo coscienti tutte e tre, io, Pansy e Serenity, anche se è solo una bambina, che siamo le tre donne della vita di Draco Malfoy: l’amante, l’amica e la figlia.

Amandolo così come lo amiamo noi, in modo diverso, sapendo di non poter vivere senza tale amore per lui, ci siamo adattate a questa pace.

Pansy ha bisogno del suo migliore amico. Serenity ha bisogno di quello che considera a pieno titolo suo padre. E io ho bisogno del ragazzo che amo.

Per osmosi, ognuna di noi avrà bisogno che ci siano le altre due per avere Draco felice. E al momento, è la sola cosa a cui, coscienti o no, sappiamo pensare.

In questo, tante cose diventano ovviamente possibili, compreso il fatto che Pansy mi aiuti a prepararmi per stasera. Lei ha detto solo: “Devi fare la parte di mia cugina e quindi ne va della mia dignità che tu sia decente… non credo che i Confundus coprirebbero i tuoi capelli sciatti… meglio che ti sistemi io, Lyria non sa che cosa significhi stile e compostezza…”.

Quindi mi sono seduta pazientemente in attesa, con addosso la solita vestaglia viola di raso, passando il tempo con la mia bacchetta. Si sa quanto sia refrattaria alle pratiche femminili, quindi non mi ha creato troppo disagio l’idea che mi dovesse agghindare Pansy Parkinson. Ha migliorato il suo gusto negli anni e in ogni caso, devo sembrare sua cugina quindi non penso che mi metta a forza in un involto da meringa come fece lei in occasione del Ballo del Ceppo.

E, in quel caso, ho una meravigliosa bacchetta da poterle puntare contro, paventando le peggiori maledizioni esistenti. Ah, che bella sensazione…

Pansy, dopo avermi dato con freddezza una collana con il ciondolo a forma di rosa, aggiunge a mo’ di spiegazione: “Contiene una sostanza che Confonde… sembrerai un’altra persona ad ogni strega o mago che posi gli occhi su di te, tranne ovviamente a me e a Draco… e qualora sia assolutamente necessario fare presentazione, dì solo che sei mia cugina Calista Parkinson, non parli bene l’inglese perché sei di origine portoghese… e defilati… meno particolari dai, meglio è…”. Porto il ciondolo al viso, il profumo del nontiscordardime è molto intenso. Lo lego al collo con attenzione.

Pansy si sistema alle mie spalle, prendendo a spazzolarmi i capelli mentre borbotta commenti sarcastici sulla loro forma, il loro colore ed ogni altro tipo di particolare che le salti in mente, ovviamente con il solito inciso finale: “Non capisco come Draco si sia potuto innamorare di te e di questa specie di zazzera che hai in testa…”. Nonostante le mie rispostacce e nonostante mi esibisca nel solito spettacolo da pesce palla, lei ovviamente non demorde, ma lo ripeto, per quel poco che la conosco, adesso, so che è il suo goffo modo di fare conversazione. Quindi non mi irrita più di tanto… anche se di riflesso, la solita ombra scura che talvolta prendono i miei pensieri, sceglie proprio quel momento per tornare pressante nel mio cervello.

Intrecciando le mani in grembo, a sguardo basso, sussurro incerta: “Posso farti una domanda?”.

“Certo che no… se vuoi l’amichetta del cuore, provvedo a chiamarti la femmina Weasley e ti fai una bella chiacchierata…” borbotta Pansy, continuando ad armeggiare con i miei capelli.

Ovviamente la ignoro, dal riflesso dello specchio noto infatti che i suoi movimenti si sono fatti più lenti, segno che mi sta ascoltando.

Esito ancora qualche minuto, prima che lei mi rintuzzi, e quindi accenno con un filo di voce: “Hai mai conosciuto Helena?”.

Pansy, dietro di me, contrae un attimo le spalle e per un attimo i suoi occhi incrociano i miei attraverso lo specchio, mentre smette di spazzolarmi. Fa un sospiro rumoroso e dice velenosa: “E’ un’ossessione, vero? Draco ha la sensibilità di un Ippogrifo quando ci si mette… e manco se ne rende conto di quanto ti struggi al pensiero, Granger… comunque sì, i suoi capelli erano decisamente meglio dei tuoi…”.

Le confidenze con Pansy Parkinson… Dio, che diamine mi è saltato in mente…! E va bene la pace armata, va bene che mi sto facendo anche sistemare placidamente da lei, ma da questo alle confidenze ce ne vuole! Che poi, sono proprio imbecille, mai fidarsi dei serpenti…! Quella è sicuro che lo dice a Draco…! Boccaccia mia maledetta!!

“Era una bella donna, se mi stai chiedendo questo…” prosegue improvvisamente lei, la guardo dallo specchio senza capire, continua a spazzolarmi pensosamente i capelli come se ne andasse della sua vita “Molto bella. Ma lo sai… era una modella. Ed era una Greengrass… è sempre stata il mio mito e di Daphne. Vivevamo per essere come lei, senza riuscirci ovviamente… e quando Draco si è messo con lei… credo di averlo ammirato più di quanto facessi a scuola. Mi sarei innamorata di lui solo perché aveva Helena… assurdo…”.

Mi viene da sorridere, ma mi trattengo, un po’ perché temo che smetta di parlare, un po’ perché l’aura di leggenda che circonda Helena mi provoca come sempre la solita fitta al cuore, tanto da farmi chiedere che razza di istinto masochista io abbia per sabotarmi da sola la felicità.

“E se vuoi chiedermi anche come era Draco con lei, rispetto a come è con te… bè, era un’altra persona…” aggiunge casuale, guardandomi infine “Era diverso, molto… una donna che non potrai mai avere del tutto, che è di un altro, che ti si concede solo per pochi preziosi attimi… e che in più è così bella, così perfetta… sono cose potenti per un uomo, Granger, non devo certo dirtelo io…”.

La fitta al cuore diventa una stretta soffocante, so che non sta mentendo, so che non vuole ferirmi. È sincera, dannatamente sincera.

“Non sarò mai alla sua altezza, vero?” commento con un filo di voce, senza accorgermene, il peso delle lacrime che mi scava gli occhi per uscire, ma che trattengo con forza.

“No, Granger, non lo sarai…” prosegue Pansy, la sua voce è quasi un velo soffice, ancora non ci scorgo nemmeno l’intenzione lontana di farmi del male “E non ci devi nemmeno provare… mai… sennò ti rovinerai la vita e la rovinerai a lui… a me sembra inconcepibile, lo sai… ma è innamorato di te… fattelo bastare per oggi. E non pensare a lei…”.

“Tu vivresti così? Ce la faresti?” ancora la mia voce va fuori controllo, esce dalle rotaie, se ne va per conto suo.

Pansy ci riflette qualche attimo, come se davvero se lo stesse chiedendo, poi bisbiglia, aprendo appena le labbra: “Oggi no, Granger… sono diventata troppo egocentrica negli anni e ho bisogno di un uomo che sia solo mio… ho diviso troppo con un’altra per dirti che lo rifarei ancora, anche se quest’altra fosse morta… ma l’ho fatto. E non è detto che finisca come è finito per me…”.

“Certo, grazie…”.

“Nella mia intenzione, volevo dissuaderti…” sorride lei, riprendendo a spazzolarmi i capelli, le sorrido inespressivamente di rimando. Non mi ha detto niente di male, niente di sbagliato, è stata onesta. Ovvio che se avessi parlato con Seth o con Ginny, loro mi avrebbe indorato la pillola, mi avrebbe detto cose del tipo che Draco mi ama molto, che ha fatto di tutto per me e che non devo preoccuparmi. Ma loro non l’hanno visto con Helena, io sì nei ricordi di Draco, Pansy anche. E soprattutto lei non avrebbe mai potuto usare parole enormi per definire quello che c’è tra me e lui: non sono quella che augurava al suo migliore amico, mi ha visto con lui per dieci miseri giorni e con lei per anni. Probabilmente spera ancora che lui rinsavisca, ma è stata obiettiva come poche: ha ammesso che è innamorato di me e mi ha detto di vivere nel presente, cosa che ho sempre detto anche io. Di sbagliato lei non ha detto nulla.

Eppure sentire dalla voce di un’altra persona, così diversa da me, ma al contempo così legata a Draco, tutto questo, l’ha reso più reale di quanto già non fosse.

Terribilmente più reale.

Respiro profondamente, a lungo, cercando di darmi forza e cancellando quei pensieri. Lui mi ama, mi ama, devo pensare solo a questo. Ed Helena fa parte del suo passato.

Questa terribile altalena emotiva mi sta facendo andare ai pazzi, sta eliminando tutto il mio buonsenso e tutta la mia logica, oltre che la mia serenità e felicità. Non posso permetterglielo.

Basta paranoie: vivrò nel presente, senza scadenze, senza programmi, senza impegni. Il tempo mi darà le risposte che cerco.

Pansy finisce di sistemarmi i capelli, aiutandosi con la bacchetta, e poi esce per andare a prepararsi a sua volta, dandomi le ultime raccomandazioni. Aggiunge che Draco mi aspetterà di sotto dato che ha ancora delle cose da organizzare con Zabini. Mi guardo allo specchio, stranamente la Parkinson ha fatto un ottimo lavoro. I miei capelli sono ondulati, morbidi, lucenti, ricadono in boccoli sulle mie spalle, trattenuti da un fermaglio d’argento sulla nuca.

In poco tempo, aprendo il mio armadio, trovo l’abito che avevo già pianificato di indossare: lungo, semplice, di seta, con delle ruches sull’orlo e sulla scollatura. E rosso. Adoro il rosso, ma non amo indossarlo, credo sempre che sia troppo per me, che diventi troppo appariscente. Ma è la prima occasione “pubblica” di essere la ragazza di Draco Malfoy, anche se nessuno mi riconoscerà… e soprattutto, dopo gli ultimi pensieri, ho bisogno di coraggio anche visivo per avere sicurezza in me stessa.

Quando la musica dal piano di sotto comincia a salire assieme al vociare confuso degli invitati, mi guardo allo specchio mentre completo il mio abbigliamento con un paio di orecchini d’argento, un bracciale sempre d’argento ed un goccio di profumo. Con mia somma sfortuna, tutte le scarpe dell’armadio sono con dei tacchi altissimi e sono costretta ad indossarne un paio di colore nero con il cinturino alla caviglia. Nascondo la bacchetta sotto il vestito e controllo che la collana sia al suo posto, poi, respirando profondamente, apro la porta, decidendomi a scendere.

La musica di un gruppo d’archi mi raggiunge subito e, affacciandomi sulla scalinata che porta al salone principale, noto che Pansy ha decorato tutta la casa con motivi di rose rosse e stampe floreali dello stesso tipo, che ricoprono divani, sedie e tendaggi. La stessa aria profuma di rose, dire che è fissata è dire poco. La intravedo chiacchierare amabilmente con alcuni Serpeverde che conosco, trasalisco reggendomi al corrimano della scala quando la vedo conversare amabilmente con Astoria Greengrass e Theodore Nott. Ma dal sorriso di lei e dalla piega diversa dallo sguardo, mi appare subito evidente che non si tratti della vera Astoria: è la sosia che vive a casa sua e che la sua famiglia ha accettato al posto suo, in quanto capace ancora di generare figli.

Mi chiedo come facciano gli altri invitati a non accorgersi che non sia lei: è vero, questo è un mondo fatto di apparenze, di poca sostanza. La stessa Pansy, in questi giorni, cianciava a caso di persone che era costretta ad invitare per formalità, ma che detestava cordialmente ricambiata. E quindi chiunque guardi Astoria, forse vede solo il perfetto abito di satin dorato, o il perfetto modo che ha di portare i lunghi capelli biondi, o il perfetto mascara che le incornicia lo sguardo ceruleo. Forse chi vede un po’ oltre, vede anche il modo affettuoso che ha Theodore di stringerla per la vita, di baciarla ogni tanto sulla tempia o di sussurrarle qualcosa in un orecchio. Ma chi come me non è mai entrata in questo mondo, vede invece tutto.

Astoria non ha mai sorriso così, entusiasta, felice, colpita da tutto come se lo vedesse per la prima volta… e considerando che Draco parlava di una che avevano raccattato per strada, ci sta che adesso pensi di aver vinto alla lotteria. La cosa che però, nonostante tutto, mi porta a sorridere sinceramente guardando lei e Theodore è captare un pezzo della loro conversazione, mentre li passo accanto, finendo di scendere con attenzione le scale.

Theodore si china alla sua altezza e lo sento sussurrare nell’orecchio di lei: “Ricordati che Pansy è la migliore amica di tua sorella… fingi che lo siano davvero amiche, ma non darci troppo peso. In realtà si odiano…”. La falsa Astoria sorride, annuendo, e gli accarezza piano il viso. Sorrido, scuotendo il capo. Theodore sa che non è la vera Astoria… ma evidentemente gli va bene così.

Cerco per la stanza piena di gente Draco, ma non riesco a riconoscerlo, magari il suo Confundus agisce anche su di me… ma no, Pansy ha detto che il mio non agisce su di lui, perché diamine dovrebbe essere diverso al contrario? Mi guardo attorno per cercare almeno di localizzare Zabini, ma niente. Come sempre, quando sono in mezzo alla gente, specie se mi sento osservata, inizia a prendermi la solita ben nota sensazione di disagio e cerco una via di fuga. La portafinestra che conduce in giardino è aperta, magari riesco a nascondermi lì…

“Buonasera…!” mi sento afferrare bruscamente per un polso, mentre qualcuno mi fa ruotare su me stessa. Accigliata già faccio saettare il braccio in direzione della bacchetta, ma poi mi tranquillizzo vedendo che si tratta solo di un tipo sulla quarantina, con una lunga tunica verde smeraldo, che Pansy prima ha salutato come “il mio vecchio amico Robert”.

Sorrido educatamente facendo un cenno del capo e cercando al contempo di sfuggire dalla presa ferrea e sudaticcia dell’uomo.

“Lei deve essere Calista… la cugina di Pansy, vero?” mi chiede curioso, avvicinandosi molto più di quanto dovrebbe ed respirandomi in faccia con il suo mostruosamente disgustoso alito alcolico. Annuisco con il capo, a quanto pare sono portoghese, quindi non è che debba parlare più di tanto. La stretta dell’uomo, che è visibilmente sbronzo, si fa ancora più salda.

Se non si stacca tra quattro secondi netti, cugina portoghese o no della Parkinson, lo schianto all’istante.

“Lo sa che è una bellissima donna? Per Merlino, se avessi dieci anni di meno… ma come si dice, lasciamo decidere alla donna…!” ride sguaiatamente della sua battuta senza senso, avvicinandosi ancora e tentando di abbracciarmi. Ringhiando, cerco la bacchetta pronta a puntargliela addosso.

Improvvisamente la mano che stringeva il mio braccio si stacca violentemente da me, ricacciata indietro da un’altra mano. Mi volto nervosamente, masticando ancora amaro, trovandomi Draco ad un tiro dal mio viso, l’espressione dura.

“Buonasera Robert…” sibila calmo, mettendosi immediatamente accanto a me “Ha conosciuto la mia fidanzata, Calista? Non è meravigliosa?”.

Robert, capita l’antifona, borbotta qualcosa e fa marcia indietro, allontanandosi.

Sospiro a lungo, voltandomi a guardarlo. Inutile dire la paresi facciale che devo autoimpormi per non iniziare ad arrossire come una mocciosetta. Draco ovviamente mi appare nel suo aspetto consueto, biondo, con gli occhi grigi, la linea dura della mascella e il sorriso sarcastico. Il completo grigio che indossa, fa risaltare i suoi occhi in modo quasi fastidioso, e la cravatta non allacciata che pende sulla camicia bianca, gli danno un’aria ancora più strafottente del solito. Spero davvero che il Confundus nasconda quell’espressione, è troppo immatricolata in Draco Malfoy per non riconoscerlo. Per qualche secondo, il suo sguardo si perde sul mio viso, sfiora la mia pelle, mi mette a disagio in modo assurdo, mentre mi stringo nelle spalle, maledicendo il mio dannato vestito rosso. Poi, senza dire una parola, in mezzo alla sala piena di persone che hanno iniziato a ballare nella semioscurità, mi stringe per la vita e mi bacia a lungo, intensamente, come se ci fossimo solo io e lui al centro esatto della stanza e del mondo intero. Trasportata dal suo bacio, dalla luce soffusa e calda e dalla musica dolce che spinge le coppie a ballarci attorno, gli chiudo le spalle con le braccia, alzandomi in punta di piedi sui miei tacchi scomodi e chiudendo gli occhi.

Quando si stacca da me, rimanendo con la fronte poggiata sulla mia, mi rendo conto che goffamente e senza accorgermene, abbiamo iniziato a ballare come tutte le altre coppie attorno a noi, stretti, vicini, come non siamo mai stati in mezzo all’altra gente.

“Devo tipo tenerti legata per evitare che qualche maschio ti si avvicini troppo?” mormora, riaprendo gli occhi, scintille bronzo nell’argento “Passi per Karkaroff, ma adesso che stai con me, ti si azzeccano tutti?!”. La sua voce suona calda e vibrante e, nonostante me ne vergogni profondamente, la sua gelosia si traduce in una stretta allo stomaco piacevole e calda.

“Bah, sarà il Confundus e l’aspetto di Calista Parkinson… mica vedono davvero me…” commento stoica, senza scompormi e guardando altrove oltre la sua spalla.

Le sue dita sollevano il mio mento, costringendomi a guardarlo in viso: “E non sanno che cosa si perdono…”. Ancora, chiude le sue labbra sulle mie, baciandomi ancora.

Vorrei rispondere che anche nel suo caso, non sanno che cosa si perdono, ma il suo ego si gonfierebbe fino all’inverosimile, quindi meglio stare zitta.

Piegando la testa di lato, sorridendo, sussurro: “Mi hai chiamato la tua fidanzata…”.

“Tecnicamente ho chiamato Calista la mia fidanzata…”.

“Certo, certo… se fossi stato te stesso e io me stessa, avresti usato un’altra espressione, tipo… che so…” bisbiglio meditabonda, mettendo un finto broncio.

“La mia amante, la mia compagna di letto… ce ne sono tante… non amo le etichette…” commenta lui casuale, curioso di dove stia andando a parare il discorso.

“Tutte, tranne fidanzata, insomma…”.

“Esatto… tecnicamente si dice fidanzata quando indossi un anello e una pietra all’anulare… e non mi pare che tu ce l’abbia…”.

Una botta alla nuca, un brivido sulla schiena ed una voragine che si apre sotto i piedi. Stavo scherzando, volevo provocare un po’ Draco, sentirgli dire come mi avrebbe chiamato, scommetto che stava scherzando anche lui. Ma eccolo lì, ancora quel pensiero… sta diventando peggio di una malattia.

Helena ce l’aveva un anello.

Abbasso lo sguardo, chiudendo ancora gli occhi, mi sento un’imbecille, una cretina patentata. Ecco, per quanto mi sforzi e mi sforzi, io nel presente non ci so stare: mi struggo per il passato e mi angoscio per il futuro.

“Hermione…” la voce di Draco mi riporta alla realtà, alle sue braccia attorno alla mia vita e ad uno dei momenti più belli della mia vita che sto facendo di tutto per rovinare “Guarda che stavo scherzando… stai diventando un po’ troppo seriosa ultimamente…”, mi guarda con attenzione in viso, socchiudendo gli occhi e irrigidendosi, prima di sussurrare: “… e stai anche piangendo…”.

“Non sto piangendo…” ripeto instupidita, toccandomi le guance. Ed invece sì, sto piangendo, le guance sono bagnate, non me ne sono nemmeno resa conto.

“Che cosa hai? Non credere che non me ne sia reso conto…” riprende Draco, il tono duro “Ogni tanto ti estrani, diventi fredda, chiusa… a che diamine pensi? Ho lasciato correre perché hai diritto di avere cose che non mi vuoi dire… ma riguardano me, non sono idiota, Granger… e sta accadendo sempre più spesso… sta diventando seccante…”.

“Scusami se sono la perfetta non fidanzata seccante…” borbotto innervosita, lasciando cadere le braccia dalle sue spalle e stringendole al petto.

“Tendenzialmente non sei così seccante… al momento però credo che tu sia andata decisamente in overdose…” replica Draco senza scomporsi, guardandomi severamente e lasciando la presa attorno alla mia vita. È come se mi andasse il sangue alla testa, penso a Pansy che ha capito subito che cosa ci fosse di strano in me, nonostante forse mi odi ancora o comunque io non le stia sommamente simpatica. Penso invece a lui che non si accorge di niente, a lui che mi ha messo quest’altare davanti agli occhi con Helena da adorare ogni santissimo minuto della giornata. E so che non è razionale, so che è assurdo anche solo pensarlo, ma è come se lui non abbia mai lasciato che lei morisse davvero, come se ci goda enormemente a lasciarla tra me e lui.

Altro che vivere nel presente…

Non ce la faccio, non riesco a sopportarlo.

Le lacrime agli occhi, il labbro che mi trema, mormoro: “Non sia mai che tu mi debba sopportare… meglio che ti lasci in pace, no? Del resto non sono nemmeno la tua fidanzata, non devo nemmeno restituirti un anello o simili…”. Senza lasciare ai miei occhi lo strazio di guardarlo ancora, mi volto su me stessa ed attraverso correndo la sala ancora piena di gente che balla. Incespico sulle scale, a causa di questo stupido vestito, e ritorno velocemente in camera mia. Non ho neanche fatto in tempo a chiudere la porta e a raggiungere il letto dove mi lascio cadere senza forze, che la porta si riapre ancora e Draco entra trafelato, chiudendosi la porta alle spalle con violenza. Il buio della notte senza luna mi nasconde clemente ai suoi occhi, nessuno dei due osa dire una parola o accendere una luce, solo l’affanno del suo respiro e il singhiozzo soffocato nel mio petto spezzano il silenzio ovattato che ci circonda.

“E’ per la faccenda dell’anello?” la sua voce incerta mi coglie del tutto impreparata, ho un brivido sulla schiena nuda e mi stringo nelle spalle.

“Che cosa?!” chiedo autenticamente confusa, asciugandomi in silenzio le lacrime dagli occhi.

Draco fa qualche passo, vedo la sua ombra fermarsi davanti al letto e restare immobile. La luce dell’esterno lo illumina malamente, sposta il peso da una gamba all’altra a disagio. Credo che sia la prima volta che lo vedo autenticamente imbarazzato. E non capisco perché.

“Sì… insomma…” prosegue sempre con un filo di voce, gli occhi bassi “La faccenda della fidanzata, l’anello e tutto il resto… guarda che stavo scherzando… se credi che io…”.

Esasperata chiedo ancora: “Che tu che cosa?”.
“Che non voglia impegnarmi con te o cose simili…” finisce lui con voce monocorde, scompigliandosi i capelli con una mano e nascondendomi così l’espressione del suo volto, prima di soffiare con tono nervoso: “Dio, mi sento un idiota…”.

Continuo a guardarlo con sguardo decisamente poco intelligente, ma non ci posso fare nulla, non riesco assolutamente a capire dove voglia andare a parare. Se ne sta lì immobile, a cianciare di anelli, mentre io a tutto sto pensando tranne che a quello. Ricostruisco a fatica gli ultimi momenti della nostra conversazione alla festa, lo scherzo che gli stavo facendo a riguardo del non sentirmi chiamare la sua fidanzata. Sbuffo, deve aver pensato che volessi un impegno formale di qualche tipo da parte sua. E io sono invece lontana mille miglia da questo.

Faticosamente apro le labbra, massaggiandomi sfibrata la tempia: “Impegnarti? Guarda che non volevo dire che…”.

“Ascoltami, avevo già pianificato tutto questo…” mi interrompe immediatamente lui, con un lungo sospiro nervoso, prima di sedersi sul letto accanto a me. Gli occhi grigi restano ipnotizzati dal muro di fronte a noi, senza posarsi su di me nemmeno per sbaglio. Le spalle sono serrate, chiuse, come se si stesse tenendo stretto a sé stesso per impedirsi di scoppiare via. Respira ancora profondamente prima di aggiungere con voce velata di fastidio: “… ma ovviamente con i tuoi atteggiamenti hai dovuto rovinare tutto… e adesso sembrerà una cosa fatta apposta…”.

Ancora più innervosita, trattenendomi dal digrignare i denti dalla frustrazione, ribatto: “Non ti seguo, Draco…”.

Finalmente il suo sguardo torna al mio viso, ha il colorito roseo di chi sta arrossendo e davvero è qualcosa che non sapevo scientemente che Draco Malfoy potesse fare. E non c’entra niente il fatto che abbia l’incarnato così pallido, la pelle così chiara da sembrare quasi trasparente. Semplicemente lui spesso sembra una creatura di un altro mondo, a limite tra l’essere un angelo e un diavolo.

Arrossire è una cosa così umana che non sapevo gli appartenesse, mi provoca la stretta dolce al cuore che provai la prima volta che mi sorrise o in cui lo vidi piangere.

“La festa… Pansy… è stata una scusa…” bisbiglia, guardandosi le mani contratte “Volevo che te lo ricordassi… volevo che… insomma, che fosse una cosa…”.

Sta persino balbettando, assurdo. Forse ha battuto la testa, non c’è altra spiegazione. Cavolo, sono la sua pseudo ragazza da dieci giorni e mi conosce da anni… adesso è diventato timido? E poi mi sta facendo decisamente preoccupare… già al momento non sono lucida, figuriamoci se si mette anche a cavillare su cose che non capisco. E che diamine significa che la festa era una scusa?!

“Continuo a non seguirti…” borbotto innervosendomi ancora di più, mi sono fatta truccare e vestire da Pansy Parkinson, indosso un vestito rosso che non avrei mai indossato, mi sono fatta alitare in faccia da un porco ubriacone, mi sono dovuta ricordare di Helena per la quarantesima volta in dieci giorni, per una “scusa” partorita chissà perché dalla sua mente malata??!!

Incrocio le braccia insofferente, guardandolo storto e biascicando: “Ma la cosa peggiore è che mi sono iniziando anche a preoccupare che tu abbia subito un serio danno celebrale…”.

“Potresti stare in silenzio circa trenta secondi o ti si squaglia il cervello in caso contrario?” mi risponde acido, le mani di nuovo distese sulle ginocchia, guardandomi in tralice con cattiveria. 

“Non mi hai definita, com’era, ah giusto… seccante?!”.

“Mai trovata definizione più calzante…” asserisce convinto, socchiudendo gli occhi.

“E quindi?!”. Se sta cercando di farmi innervosire ancora di più, ci sta riuscendo perfettamente…

Improvvisamente i suoi occhi cambiano, sono onde dolci di gennaio alla luce della luna piena. Ipnotici, come sempre sono stati. La nenia del loro riflesso nella mia mente, che mi incatena i pensieri e mi impedisce di ragionare. E si scioglie la rabbia, si scioglie il ricordo, si scioglie il rancore. Mi sciolgo io stessa. Deglutisco a disagio, non riuscendo comunque a staccarmi da lui.

Sorride piano, dolcemente, sospira ancora. E sembra quasi rassegnato, come se accettasse qualcosa che non riesce a cambiare, che non vuole cambiare.

E dice solo, accarezzandomi piano una mano: “Voglio che tu sia seccante solo con me… per tutto il resto della mia vita…”.

Il cuore mi salta nel petto, mandandomi in fiamme il viso. Forse dalle vene della mano, che lui ancora stringe, può sentirne il rintocco cupo nel mio corpo. Mi mordicchio l’interno della guancia, sfuggendo i suoi occhi che mi illuminano in viso come se fosse una luce nel buio. Calma, Hermione, stai calma. Non può essere quello che hai capito… dai, insomma, non scherziamo. Sta cercando di blandirti perché ha visto che ti sei arrabbiata con lui… e adesso come un qualsiasi uomo che si rispetti, sta dicendo parole volutamente grosse per impedire che ti arrabbi ancora di più, certo, è così… insomma non può voler dire che… spio con la coda dell’occhio il suo viso, ha ancora gli occhi saldamente puntati nei miei e quell’instancabile mezzo sorriso sghembo che ha sempre quando incrocia il mio viso. Il cuore mi fa un’altra capriola tra le costole, dandomi la sensazione soffocante di non riuscire nemmeno a respirare più. Quello sguardo… non può essere… la mano che stringe ancora nella sua, trema sudando come se stessi correndo. Calma, Hermione, ti stai sicuramente sbagliando…! Calmati! E di Malfoy che stiamo parlando… figuriamoci… sarà un altro dei suoi sporchi mezzucci per ridurmi buona! Certo, sarà così…

Cercando di darmi un contegno, lo guardo ancora di sbieco, non osando affrontare i suoi occhi così dannatamente chiari da darmi il sangue alla testa. Poi sospiro sicura e dico tracotante, incespicando comunque nelle parole: “N-non stai dicendo quello che ho capito, v-vero? Non può essere che tu…”.

“Sto dicendo esattamente questo invece…” dice con un filo di voce, la sua mano che stringe ancora più forte la mia.

Un nodo in gola, lo seguo con lo sguardo mentre armeggia con qualcosa nella tasca interna della giacca. Lo vedo a rallentatore, con gli occhi sbarrati, estrarre una piccola scatoletta di velluto azzurro che deposita sul mio grembo con cura. Non oso toccarla, non oso nemmeno sfiorarla, la guardo e basta. Soffoco con la mano libera un singhiozzo che mi scappa dalla gola, mentre sussurro: “O mio Dio…”. Le dita si bagnano di lacrime, mentre il cuore non smette di martellarmi nelle orecchie, un fiume di lava nello stomaco.

Draco si avvicina ancora, il suo profumo mi sembra più forte di quanto non sia mai stato. Sfiora il mio fianco con il suo, prima di sollevarmi il viso con entrambe le mani. Mi trattiene così ad un tiro dai suoi occhi, le labbra che si schiudono appena, gli occhi annebbiati. Guardandolo, ogni pensiero svanisce ancora. Persino il peso della scatoletta sulle gambe evapora, me ne dimentico.

Il cuore si calma, dismette la sua ansia febbrile. Siamo solo io e lui. Come sempre.

Quando sembra accorgersi che mi sono calmata, la sua voce mi sussurra sulle labbra: “Ascoltami, so già adesso che cosa dirai. Che è presto, che sei giovane, che hai solo ventitré anni, che la nostra vita è un tale casino che pensarci adesso… è assurdo, e hai ragione. Ma io non ho bisogno di conoscerti ancora, di sapere ancora chi sei… io ti conosco da tutta la vita, Hermione. Sei sempre vissuta parallelamente alla mia vita e tutte le tue gioie in questo mondo, a suo modo, sono state le mie. Così come i dolori… non mi serve conoscerti ancora, giocare ai fidanzati per altri dieci anni, andare a feste come questa, sfoggiarti come un trofeo davanti a Potter… non mi serve. Ho bisogno solo di averti accanto… solo di sapere che ci sei, per sempre. E questo è il solo modo.”, fa una pausa sofferta, abbassa gli occhi, sembra cercare qualcosa nella sua testa come a pulire un pensiero. Poi riprende, la voce più roca: “Vorrei poterti dire che non c’è egoismo in me, che non è perché cerco un modo qualsiasi per legare la mia vita e la tua ed impedire che si sciolgano… ma mentirei… io ti amo, Hermione Granger, e voglio che tu resti per sempre mia… tu sarai mia moglie un giorno… io lo so e lo sai anche tu. Diventalo oggi, adesso. Abbiamo cercato di sfuggire a tutto questo per mesi… e non ci siamo riusciti. Non ci riuscirà nemmeno Astoria, Karkaroff… o chiunque altro si metta in mezzo tra me e te…”, chiude gli occhi un attimo, prima di sussurrare ancora: “Sposami Hermione…”.

“Non lo stai dicendo sul serio, vero?” bisbiglio ancora, un capogiro mi fa barcollare, stringo la manica della sua giacca come se temessi di cadere anche da seduta.

“Non sono mai stato così serio in tutta la mia vita…”.

“E S-serenity? Io non sono pronta… non posso essere… sua madre… io non…”.

La mia testa è decisamente in cortocircuito, non so nemmeno io che cosa sto dicendo. E che cosa sto pensando. Che c’entra adesso Serenity? Mi ha chiesto di sposarlo, mio Dio… Draco Malfoy mi ha chiesto di sposarlo. Stiamo assieme da dieci giorni… e mi ha chiesto di sposarlo. Mio Dio, non ci posso pensare… credo che collasserò al suolo tra cinque secondi.

Draco sorride ancora, accarezzandomi i capelli: “Serenity ti adora… tu adori lei… non mettere paletti a quello che potreste essere l’uno per l’altra… io non sono suo padre, non mi considero tale. Non ci dobbiamo chiamare mamma e papà per amarla come l’amiamo io e te…”.

“Ma… Astoria… Pucey… e… poi… il Ministero… n-no…” continuo a balbettare sconvolta, affastellando motivi su motivi, domande su domande, cose su cose, pensieri su pensieri. Su tutti primeggia il poco tempo passato assieme… ogni pensiero, appena spunta all’orizzonte, sembra così grande da darmi il panico. Poi torno a guardare Draco, e il pensiero diventa piccolo piccolo. Come in un gioco d’ombre si appiattisce al suolo, diventa un riflesso inconsistente sotto una luce troppo luminosa.

Ed allora lo cerco nella mia testa, come si cercano i residui di un incubo al risveglio. Ed è sparito. Non riesco a trovare un solo singolo motivo che mi impedisca di sposarlo adesso, oggi, sempre.

Dieci giorni che stiamo assieme?

Sono stati i giorni più belli della mia vita in ventitré anni. Se non sono stata mai felice in vita mia in questo modo, vuol dire che posso esserlo solo con lui. Non ho bisogno di altri dieci anni da passare con lui da “fidanzata” per saperlo. Lo so già adesso.

Astoria, Pucey, Montague, Dimitri?

Non mi faranno mai del male, fin quando sono con lui. Non faranno mai del male a lui, fin quando è con me. Non lo permetterò. Non lo permetterà.

Harry, Ginny, Pansy, Blaise, Ron, Dean, Lavanda, i miei?

Capiranno. E se non capiranno… non fa niente. Posso vivere anche senza di loro, ma non senza di lui.

Sono solo una cameriera, non sono una strega, non so che fare della mia vita.

So esattamente che cosa fare della mia vita.

Sarò sua moglie. Sarò la moglie di Draco Lucius Malfoy. Indipendentemente da tutto il resto.

Lentamente, come se andassi a fuoco per i miei stessi pensieri, sollevo il viso guardandolo, mentre dice con un sussurro flebile: “Niente e nessuno si potrà mettere tra me e te… niente….”.

Le lacrime mi impediscono di vederlo bene, il nodo in gola non mi fa parlare, annuisco piano balbettando. Lo attiro vicino a me, tirandolo per il colletto della camicia e baciandolo con foga, come se ne andasse del restare viva, come se ne avessi bisogno per non lasciare ai miei pensieri il modo di arrivare alla mia testa. Draco mi cinge accogliendomi nel suo abbraccio, e vorrei dirgli di sì, vorrei dirgli di sposarci adesso, subito, immediatamente, prima che questo stesso bacio finisca, vorrei dire tanto, vorrei dire tutto, vorrei dire che lo amo, che è tutto per me, vorrei dirgli quello che di solito trattengo per pudore, o per paura di sembrare ridicola, o per paura che si inorgoglisca troppo. Tutto vorrei dirgli, tutto, dalle parole più grandi a quelle più piccole, a quelle più stucchevoli, alle più idiote, a quelle scontate, a quelle che mi farebbero sembrare sciocca. Voglio chiamarlo amore, così, con naturalezza, firmare il mio nome con il suo cognome. Tutto questo, tutta questa follia di pensieri senza nome, li riverso nel bacio che gli do, sperando che capisca. E lui risponde al mio bacio, allo stesso modo. E toccandoci poco, sfiorandoci appena, facciamo l’amore in un modo nuovo.

Con un sorriso radioso, si stacca da me senza dire una parola. Con lo sguardo accenna alla scatoletta ancora sul mio grembo, me ne ero completamente dimenticata. Asciugandomi le lacrime, la apro. Produce un piccolo suono metallico strozzato, prima che la luce perfetta del diamante mi si riveli. Riluce qualche secondo nel buio, poi sparisce.

Sparisce.

Tutto viene risucchiato nel buio, tutto. Le parole bloccate in gola, le promesse, le lacrime, i pensieri appena inventati. Un buco nero che assorbe la luce. Stritola Draco, cattura me, per poi sputare pezzi informi da cui non si riconosce che cosa ero e cosa sono.

Raggelata, è come se mi svegliassi da un brutto sogno. Da un orribile incredibile sogno, che mi sembra persino di aver davvero fatto una vita fa: una proposta di matrimonio, un anello di diamanti tra le mani, la sensazione di essere risucchiata via. E il cuore che mi si spezza irrimediabilmente.

Tremo come non ho mai tremato, il tempo si ricuce, i pensieri diventano di nuovo montagne insormontabili, il profumo di Draco sparisce come fumo d’incendio.

Tra le mani, balugina qualcosa che non mi appartiene. L’ho riconosciuto subito.

L’anello di Narcissa Malfoy, prima. Quello di Helena Jasmine Greengrass, dopo.

Mi ha appena chiesto di sposarlo con l’anello che aveva dato a lei.

L’anello è come un Dissennatore, materializza tutte le mie peggiori paure. La schiena formicola di sudore freddo, mentre la nebbia dei pensieri mi offusca gli occhi. Le lacrime si asciugano, divento lucida, consapevole, vuota, come se fossi appena uscita da una doccia fredda. Stormi neri dove prima c’era cielo accecante: e così, improvvisamente, tutto sembra sbagliato. La paura di Helena diventa tangibile, reale; ha adesso le fattezze dell’oro bianco e del diamante e non c’è più niente dietro cui possa nascondermi. Vivere nel presente è impossibile, sapendo che Draco adesso ha chiesto di impegnarmi indefinitivamente per il futuro. E tutto, tutto, tutto, dalla prima all’ultima cosa, trova posto in un mosaico scomposto di paure. Non mi provocano panico, ansia, angoscia. No.

La cosa peggiore è che rimango assolutamente inerme, tranquilla, calma. Rassegnata.

Del tremendo e meraviglioso uragano interiore che mi ha sconvolto fino a poco fa, resta solo la polvere lercia.

Sollevo gli occhi asciutti, lo guardo ancora con quel sorriso immenso che gli illumina il viso, ma che poi si spegne subito. Non scorge più le lacrime calde nei miei occhi e ne ha terrore, stringe gli occhi grigi non capendo. E forse maledice di avermi detto che odia vedermi piangere. Adesso odia di più non vedermi piangere.

“Ed Helena? Lascerai a lei invece di potersi mettere tra me e te? Quello andrà bene, invece?”.

Già il silenzio che muta, già la morsa gelida nel mio respiro, già il fatto che lui trattenga il suo, già l’odore stesso della stanza che cambia… già tutto questo dovrebbe farglielo capire. Come può non averlo mai capito? Basta il nome di lei, basta solo e soltanto il suo nome che tutto cambia tra me e lui, come se in un regno retto da un usurpatore, per caso, nel bel mezzo della sala del trono, si facesse il nome del sovrano legittimo. Le lacrime occupano i miei occhi di nuovo, la calma si sgretola, si spezzetta come foglie secche.

Draco mi guarda attonito, come se gli avessi dato uno schiaffo, come se avessi calato un coltello nel suo fianco: “Che diamine c’entra Helena adesso?”.

Scuoto il capo non capendolo, non capendo come faccia a non arrivarci. Quel piccolo movimento della mia testa mi restituisce rabbia, confusione, cala la notte sui miei pensieri. Mi alzo dal letto, singhiozzando, vado avanti ed indietro per la stanza, l’anello ancora tra le mani. Lo torturo senza ritegno, prima di sputare fuori: “E’ il suo anello, Draco, dannazione! Il suo anello… non ci posso pensare… ed avevo quasi deciso che…”.

“Hermione, calmati, insomma… che c’entra Helena? Che cosa c’entra lei adesso? Perché la tiri sempre in ballo?!” mi raggiunge, afferrandomi e trattenendomi per le braccia, ma mi divincolo allontanandolo ed urlando in preda ai singhiozzi: “Io?!! Io la tiro in ballo?!! È il suo anello! Il suo anello! L’hai dato a lei, hai chiesto di sposarla con lo stesso anello!”, Draco mi guarda senza capire, ferito nello sguardo. E quello, se possibile, mi urta ancora più di tutto il resto. Mi urta che ancora non capisca.

Tutte le premure, tutte le resistenze, tutte le reticenze del caso crollano del tutto.

E dico quello che penso da dieci giorni, ma che non avevo mai avuto il coraggio di dire per non fargli del male.

Sollevo gli occhi, contraendo le labbra: “Che c’è, sono una specie di sostituta per te? La copia malriuscita che ti va bene avere adesso?!”.

E gli faccio male sul serio, adesso. Si allontana da me come se scottassi, fa qualche passo malfermo indietro, mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Mi vedo nei suoi occhi, le spalle chiuse, i pugni serrati, il volto chiazzato e bagnato, i capelli spettinati, lo scintillio furioso dello sguardo. Come sempre, in poche manciate di attimi, Draco recupera sé stesso, nasconde l’incertezza, la mette a tacere, si serra in sé stesso chiudendosi a doppia mandata. Recupera la distanza persa con me, mi si para davanti in tutta la sua altezza e stringe forte le labbra facendole quasi sparire.

“Non usare le mie parole per difendere te stessa e i tuoi ragionamenti idioti, non te lo permetto… se non mi vuoi sposare, dimmelo adesso… ma non tirare in mezzo Helena… lei non c’entra niente…”, la sua voce scende di tono, si vela di tristezza ed aggiunge: “E’ stata persino lei a portarti da me… e tu adesso…”.

“Il problema non è Helena! Sei tu! Tu e basta!”, quella tristezza nello sguardo mi accende come benzina sul fuoco “Tu che non riesci a lasciarla andare, tu che continui a vivere come se lei fosse solo partita per un viaggio, tu che non mi consenti mai di dimenticare che è esistita, tu e basta!”.

La razionalità è un lusso che non riesco più a concedermi, eppure sono talmente presente a me stessa da capire ogni sua espressione. L’amore è il grande assente, ecco perché. Non lascio che mi controlli, che mi distolga da me stessa, non lascio che apra bocca. La tristezza di quegli occhi la odio come non ho mai odiato niente in vita mia, è la stessa tristezza che aveva quando mi ha parlato per la prima volta dell’incontro con Helena e capì che era stata lei a portarmi da lui. Adesso la distinguo nettamente, chiaramente. E fa un male atroce, come se mi svuotassero il cuore con un cucchiaino. Non ho mai consentito a me stessa di vedere davvero, appiattita nel presente come avevo desiderato per andare avanti con lui. Ma adesso che lo scintillio di un diamante mi ha proiettato un riflesso di me e lui nel tempo che scorrerà da questo momento in poi… adesso vedo tutto disgustosamente bene.

“Non sai di che cosa stai parlando…” ripete lui, come se non capisse il senso stesso delle sue parole. Scuote solo il capo, allontanandosi ancora. Non glielo lascio fare, lo afferro per la giacca, gli prendo il viso tra le mani, lo costringo a guardarmi in faccia.

“Guardami adesso, guardami in faccia adesso…” ripeto, piangendo, pregando, implorando, maledicendo il suo sguardo ostinatamente basso “Guardami negli occhi adesso… e giurami che stasera, adesso, la lascerai andare. Davvero, non per finta come hai sempre fatto… giurami che, usciti da quella porta, rinuncerai per sempre all’idea di vendicarla. Per sempre, non come fingi… perché lo so Draco, lo so… domani vedremo Harry e fingerai che ti vada bene che cerchi lui Pucey e Montague, ma invece… non rinuncerai mai. Dimmelo adesso che lo farai, che sceglierai di vivere accanto a me. Che non penserai mai più che sia stata colpa tua che è morta… giurami adesso che non hai mai pensato che la tua vera vita fosse quella con lei…”, chiudo gli occhi e la nefasta ispirazione di quella tristezza che ho visto adesso nei suoi occhi mi travolge come un’onda pestilenziale, e devo dire anche questo, devo impedire che seppellendolo per non fare male a lui, finisca per fare male a me. Gli accarezzo piano lo zigomo con un pollice e sussurro: “Giurami adesso, Draco… che quando hai saputo che è stata lei a portarmi da te, non hai pensato nemmeno per un secondo che lei avesse scelto di rinunciare di nuovo a te… anche dall’aldilà… dimmi che non hai pensato ancora che per l’ennesima volta, non sei stato così insostituibile per lei, al punto che addirittura ha cercato un’altra per te…”, sobbalza, trasale, chiude gli occhi e già intuisco la risposta alla domanda che sto facendo. Singhiozzando, non riuscendo nemmeno a parlare, sussurro ancora: “Guardami adesso… e dimmelo… giuramelo e ti sposerò stasera stessa… dimmelo… ti prego…”.

Cala il silenzio, cala come una scure sulle nostre teste. Cala come la notte quando il sole tramonta, e quel silenzio è la dannata risposta che stavo cercando. E poco importa che ai miei singhiozzi, adesso, si sia unito anche il suono stentoreo della sola e singola lacrima che ha lasciato i suoi occhi per sfiorare le mie mani. Poco importa. Importa poco anche che mi dica, piano, la voce rotta: “Non posso… non posso giurartelo…”. Poco importa che sia stato sincero, ancora, poco importa che Ron mi avrebbe mentito e che Dean avrebbe negato. Poco importa.

Tutto, adesso, importa poco.

Quando le mie mani lasciano il suo viso, quando crollano e ricadono lungo i miei fianchi, quando mi sento privata della spina dorsale come uno sciocco fuscello nel mezzo della tempesta, finalmente lui solleva lo sguardo, incrocia il mio viso e il suo labbro trema senza controllo.

Fredda, gelida, incapace di parlare ancora, bisbiglio più a me stessa che a lui: “Io posso farlo, posso sforzarmi, posso stravolgere quella che sono e quello in cui credo… e sarà facile, semplice, bellissimo. Perché avrei in cambio momenti come quelli che ho vissuto in questi dieci giorni… posso vivere nel presente, posso farlo. Posso vivere con il pensiero che tu non mi ami adesso come hai amato lei… ma non posso vivere pensando che non mi amerai mai quanto hai amato lei…”.

Lo colpisco di nuovo, stavolta nemmeno rendendomene conto, stavolta con la sola consapevolezza che non so più che cosa sto dicendo. Mi stringe per il polso, mi attira a lui, mi stringe tra le braccia e non sento niente, niente di niente. Resto immobile tra le sue braccia, come una bambola vecchia. E lo sento stringermi più forte, tentando di farmi male, persino di soffocarmi, come se così le parole possano tornare indietro, i silenzi possano riavvolgersi. Ma non accade, niente accade.

“Non è giusto… non è giusto… tutto questo…” sussurra, ripete, piange continuando a stringermi, il suo corpo mi implora di stringerlo a mia volta, e io non riesco nemmeno a ricordarmi come si alzino le braccia, come si possa vincere la debolezza che mi fiacca da dentro, come si possa anche solo simulare un calore che non provo, essendo diventata carne fredda e morta “Mi stai dicendo che devo scegliere tra te e lei? Come diamine credi che possa farlo? Come maledizione puoi pensare che io possa smettere di pensare a lei, oppure lasciare che adesso tu te ne vada da qui? Come posso… lasciarti andare via?”.

Lasciarmi andare via… certo, perché qui siamo arrivati adesso. Deve lasciarmi andare via. Come se non l’avessi nemmeno pensato fino ad ora, come se non ci avessi nemmeno ragionato fino a quando non l’ha detto, capisco che è vero. Deve lasciarmi andare via. Adesso, subito, immediatamente. Ovvio che non posso lasciare questa casa, ma questa stanza sì, questo letto sì, questa vasca da bagno sì… devo andarmene da qui, Pansy mi darà un’altra stanza ed avrò solo i miei pensieri da cullare, da ascoltare; solo le mie lacrime da asciugare, da cancellare.

Devo andarmene da qui.

Urgenza diventa adesso andarmene, perché Helena ci respira addosso e io non lo sopporto più. Il suo odore si confonde con quello di Draco, e io non lo sopporto più. Di nuovo, si nasconde nei suoi gesti, nelle sue pause, nei suoi silenzi... Dio, come se lo sapessi solo ora, mi ricordo anche che Serenity è sua figlia… non lo sopporto più.

Le parole si incespicano, mi allontano da lui, mi sciolgo dal suo abbraccio. E non lo guardo in viso, mentre riprendo a parlare, la voce ragionevole, la voce che adesso non dovrei nemmeno pensare di avere, ma che so usare solo perché adesso è importante, vitale, necessario, andarmene da questa stanza. Il fine, lo scopo, giustifica ogni mezzo.

“Non lo so Draco, io non lo so… io ti amo…”, e mi forzo per non guardarlo, mi forzo per non sentire le pieghe di ognuna di quelle tre parole e di quelle sette lettere, mi forzo per usarle come se fossero una sciocca frase da consuetudine, mi forzo per non sentire davvero la forza di amarlo nelle ossa, nella carne e nella pelle. E riprendo stoica: “Forse abbiamo bisogno di tempo, magari dobbiamo stare da soli per un po’… magari quando tutto questa storia con Astoria, sarà finita, sapremo che cosa fare…”.

“Mi stai lasciando?” la sua voce fende l’aria, e non posso più impedirmi di guardarlo, perché piange davvero adesso. E non so fermarmi, non so smettere di piangere anche io. Dieci minuti fa mi ha chiesto di sposarlo… dieci minuti dopo, forse ci stiamo lasciando. Non ce la faccio a pensarlo.

“Non lo so… per favore, lasciami andare… lasciami stare da sola, lasciami pensare da sola… per favore, Draco, non ce la faccio adesso neanche a parlare…”.

“Non doveva finire così stasera… non doveva…”.

“Lo so, Draco, ma è il solo modo per tornare assieme… è il solo modo… per favore, lasciami andare…”.

“Non puoi andartene… Astoria… non puoi andartene da qui…”.

“Voglio solo fare una passeggiata… mi farò dare un’altra stanza da Pansy… domani incontreremo Harry… e poi si vedrà…”.

Sono le ultime battute, le ultime frasi che riesco a dire, che riesce a dire. Adesso ci rimangono solo pochi monosillabi, pochi singhiozzi, pochi suoni soffocati. Poi tutto sarà fissato, presente: quando chiuderò quella porta dietro di me, tutto questo sarà reale. Lui che non riesce a scordare Helena. Io che non riesco a sopportarlo.

“Non posso, non ce la faccio…” fa un ultimo tentativo, mi guarda di nuovo, per un attimo cerca di riacquistare la forza solita.

“Per favore…” dico soltanto, e quella forza si annienta, sparisce, evapora. Non dice più nulla.

Mi volto su me stessa, traballante, apro la porta e la musica della festa lontanissima al piano di sotto mi colpisce come se fossi stata tutta la vita in una campana di vetro. Barcollo, strizzo gli occhi per la luce e mi reggo allo stipite della porta. Una vertigine mi coglie infida, e faccio un passo indietro, rischiando di cadere. Ma non cado, lui è lì, come quel giorno al Tourquoise Party quando vidi Harry e gli altri. Mi adagiai contro di lui e seppi di essere al sicuro. Riprendo a piangere, nascondo il viso tra le mani e lui mi volta delicatamente, facendomi nascondere nella sua camicia mentre mi stringe a sé. La sua voce dista mille miglia, parla come se la buttasse fuori per abitudine. Non l’ho mai sentito così. 

“Helena me l’aveva detto quel giorno, il messaggio che mi lasciò prima di morire… quando incontrerai la donna giusta, non farle pagare il prezzo di non essere me… ed invece io l’ho fatto con te… non potrò mai perdonarmelo… come potrai tu perdonare me? Come potrai tornare indietro, adesso? Andrai via adesso… e sarà per sempre…”.

Mi stacco da lui, mi alzo in punta di piedi e lo bacio dolcemente, piano, sulle labbra.

“Io sono tua, Draco Malfoy… e lo sarò per sempre… non andrò mai via… mai… te lo giuro…” gli dico sincera, accarezzandogli il viso “Ma non posso restare qui adesso… se non vado via, adesso, prima o poi ci perderemo… ma io ti amo… e ti amerò per sempre… abbi fiducia… in me, in te, in noi… ce la faremo… solo… non oggi… ce la faremo… domani parleremo con Harry, torneremo alla nostra solita vita… e tutto andrà a posto, in qualche modo… deve andare a posto in qualche modo… se esiste un Dio, lo deve a tutti e due…”.

Lo bacio ancora, ancora, ancora.

E poi scappo via, tra le luci della festa e poi tra le ombre del giardino.

Piango, urlo e la musica assorbe tutte le mie parole sconnesse. 

Piango, urlo e grido, chiedendomi già come farò a guardarlo in volto domani mattina, come farò a spiegare ad Harry che stiamo assieme ma che in realtà non stiamo davvero assieme.

Piango, e mi chiedo come faccia a trovarmi nel bel mezzo di una pausa di riflessione, io che le ho sempre odiate.

Piango, e non mi accorgo dell’ombra che spunta in giardino.

E piangendo, preoccupandomi dei giorni che verranno, ignoro che essi non arriveranno.

 

 

 

Perché cinque anni dopo, nel salotto di quella stessa casa, senza più il suono della musica o il volteggiare delle luci, seduta su un divano, ricorderò quell’esatto momento.

Avrò Seth vicino, Pansy di fronte, mio figlio in un’altra stanza assieme al ragazzo che mi ha insegnato il valore delle piccole cose.

Avrò i capelli più corti, avrò una fede al dito. Mi chiamerò Hermione Granger in Weasley.

E quel giorno, mentre il sole muore, ricorderò le lacrime di quel momento, accompagnandole con una sola singola tonante frase.

La frase che mi ha riportato in Inghilterra cinque anni dopo, la frase che Pansy ascolterà sconvolta, la frase che Seth conosce già ma che comunque odia sentire.

La frase che le mie stesse orecchie non riescono a sopportare.

 

“Quella è stata l’ultima volta che ho visto Draco…”.

 

Capitolo che mi ha fiaccato psicologicamente, specie nella parte finale! Non sapete quanto sia stata dura scrivere la fine, ovviamente sapevo che sarebbe successo ma mi ha fatto davvero un brutto effetto! Come sempre chiedo scusa per i ritardi con cui pubblico la storia, ho già chiarito spesso che purtroppo non posso garantire costanza negli aggiornamenti, ma spero che abbiate sempre la pazienza di seguire Halft e di seguire soprattutto questi capitoli strabordanti. Che dire? So che forse in molti si chiederanno del motivo per cui ho diviso Hermione e Draco, anche perché dalla fine avete intuito che è stato da quel momento che non si sono più visti, dal prossimo capitolo infatti saremo nel futuro, che abbiamo solo sbirciato fino ad ora. Bè, io non credo nelle favole, ecco, e credo che l’amore sia bello, sia meraviglioso, ma non risolve tutti i problemi. E sto cercando di trasmetterlo in questa fic. E per me, certo, Draco ed Hermione si amano profondamente, ma avevano da affrontare ancora molte cose, tra cui soprattutto la venerazione che Draco ha per Helena. Purtroppo, e qui ci sta la mia mente malata, quella che è solo un’incomprensione che avrebbero potuto risolvere assieme, verrà diciamo inasprita dalle circostanze, cosa che ancora non dipende da loro due, ma da me che sono una sadica pazza. J abbiate fiducia comunque… e sempre… J volevo chiarirlo perché insomma ne va di quello che sto cercando di esprimere in questa storia, che certo è una fic e certo non è vera, ma la voglio quanto più reale possibile. Detto questo come sempre ringrazio tutti per la pazienza e soprattutto le ragazze del gruppo Put a spell on her eyes che si sorbiscono i miei deliri, le mie paranoie, nonché tutti i miei momenti di incertezza. L’ho già detto e lo ripeterò sempre, questa storia è più vostra che mia. Non saprei che fare se non ci foste. Sto cercando di rispondere alle recensioni, purtroppo ogni tanto il mio pc fa le bizze quindi davvero scusatemi se ogni tanto non ci riesco, le apprezzo tutte dalla prima all’ultima e vi ringrazio davvero… ad alcune sono riuscita a rispondere, recupererò con le altre approfittando di qualche giorno libero. Grazie comunque davvero a chi lascia anche un piccolo commentino, sapete quanto apprezzi queste cose… e se avete bisogno di risposte più immediate, fatevi una passeggiata su Fb e nel gruppo!:) https://www.facebook.com/?ref=tn_tnmn#!/groups/209545025766521/ Grazie ancora a tutti…J un bacione Cassie! J

 

   
 
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