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Autore: Elena_    15/06/2012    1 recensioni
Mi sono sempre chiesta perché devono essere le ragazze ad innamorarsi e i ragazzi a non corrispondere. E se per una volta succedesse il contrario?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come promesso, ho fatto prima possibile per lasciare il nuovo capitolo!
Grazie a tutte/i coloro che continuano a seguirmi nonostante i miei ritardi! Grazie alla mia recensitrice fedele :3
Spero che anche questo capitolo piaccia!
Un bacione,
Elena



    Capitolo 19

{  lunedì 25 aprile 2011 }


Ero stato un codardo, e della peggior specie!
Erano passati quasi tre giorni da quando avevamo fatto l'amore, e non mi ero minimamente fatto vivo. Non le avevo mandato un messaggio, fatto sapere nulla tramite Giulia, niente di niente.
Era da tre giorni che desideravo farmi sentire in qualche modo, dirle qualcosa, ma ogni volta che digitavo le prime tre parole di un ipotetico messaggio mi sentivo un cretino. Qualsiasi parola mi venisse in mente mi sembrava stupida e insensata.
Gianluca insisteva sul fatto che prima o poi avrei dovuto parlarle, che l'avrei rivista anche soltanto insieme al gruppo, e che quindi la situazione andava risolta nel bene o nel male.
Così, dopo una marea di tentennamenti, decisi che le avrei fatto visita. Sarei andata a casa sua e avrei improvvisato.
In realtà il problema non era la mancanza di dialogo tra noi o il fatto che non sapevo cosa avrei dovuto dirle, cosa avrei dovuto fare. Il problema era che, dopo aver fatto l'amore con lei, il suo pensiero si era radicato ancora di più in me.
Il problema era che non facevo altro che pensare al suo corpo, ai suoi baci, al suo profumo, ed avevo una paura fottuta che potesse dirmi che non era stata bene, che dovevo scordarmi di quell'episodio, che non sarebbe mai successa nuovamente una cosa del genere.
Una sera me l'ero sognata; mi aveva guardato coi suoi profondi occhi verdi, aveva sorriso, e poi mi aveva detto che voleva fare di nuovo l'amore con me. Mi ero risvegliato col cuore che batteva a mille e con la salivazione pari a zero.
Uscii di casa decidendo di andare a piedi: avevo bisogno di ossigenare il cervello, altrimenti sarei arrivato a casa di Faith con le idee decisamente poco chiare e la bocca impastata dalle mie sensazioni. Infilai le mani in tasca e cercai di guardarmi intorno e di perdermi in tanti dettagli insignificanti, per evitare di continuare a pensare a quello che sarebbe successo.
Inevitabilmente, però, mi immaginai la scena. Sarei arrivato a casa sua e lei avrebbe aperto la porta col sorriso, quasi volendo fingere che non fosse mai successo nulla. Io l'avrei guardata imbarazzato, mentre lei sarebbe stata distante e fredda, come se non avessi mai toccato il suo corpo e non l'avessi resa una donna.
Non sapevo neanche cosa avrei provato nel vederla: l'avrei sentita distante, lontana da me, oppure avrei provato nuovamente quel desiderio di averla completamente mia che mi aveva dominato in quegli ultimi tre giorni?
Non ero un novellino, avevo avuto delle storie, piccole o grandi che fossero, ma non mi ricordavo di aver mai provato una cosa del genere, un'aspettativa così pesante sulle mie povere spalle. Mi venne in mente Giada, la prima ragazza con cui avevo avuto una storia un po' più seria: ci eravamo conosciuti una sera ad una festa e subito avevamo cominciato a frequentarci. Dopo un paio di mesi avevamo fatto l'amore, e dopo poche settimane ci eravamo lasciati. Quando l'avevo incontrata dopo la sera fatale non avevo provato niente, e non sentire niente dopo la prima volta che si ha un certo contatto con una persona è un segno chiaro e tondo della mancanza di interesse nei confronti dell'altro. Altra, in questo caso.
Continuavo a camminare senza rendermi conto della distanza che stavo percorrendo: l'aria mi veniva addosso salutandomi con leggerezza, mentre nel mio stomaco le fitte si alternavano a rilassamenti, che mi causavano un dolore addominale irrefrenabile.
Ero davanti a casa sua. Come ci fosse mai arrivato, non avrei mai potuto dirlo.
Eppure ero lì, soltanto un campanello mi divideva da lei. Lo suonai, ma non ricevetti alcuna risposta.
«Cazzo...» commentai, sospirando, e pensai che quello potesse essere soltanto un segno del destino. Così doveva andare, così doveva essere.
«Diego!» una voce femminile mi fece voltare di scatto e il mio cuore mancò un battito. Sentii il vuoto nella mia cassa toracica, sentivo il tutto rimbombare dentro di me.
«Faith.» sussurrai, bagnandomi le labbra. Incrociai i suoi occhi verdi e mi sentii sprofondare, cadere in un baratro infinito.
«Che ci fai qua?» sembrava quasi allarmata, ma ero certo che stesse cercando di nascondere il tutto fingendo indifferenza.
«Volevo...» cominciai, ma mi mancarono le parole. La guardavo ed ogni pensiero moriva dentro di me, senza neanche la forza di rialzarsi. Ero in trance.
«Vieni dentro?» mi invitò, poco entusiasta. Nonostante tutto, però, forse era felice di vedermi.
Passò davanti a me, aprì il cancelletto e poi andò diretta al portone. I miei occhi caddero sulla sua schiena, sui suoi fianchi, sulle gambe per poi risalire al suo viso. Fu come risentire il suo sapore sulle mie labbra, la sua pelle sotto le mie dita: in un attimo solo aveva riacceso in me quel desiderio che mi faceva formicolare lo stomaco.
«Vieni pure...» mi fece entrare in casa e poi chiuse l'uscio alle nostre spalle. Io mi sentivo frastornato, tanto da non sentire neanche quando mi parlò.
«Diego, ma stai bene?» mi cercò con lo sguardo ed io non potei fare a meno di far cadere gli occhi sulla sua bocca, sul suo collo bianco.
Era questa la risposta che cercavo? Desideravo soltanto che fosse così anche per lei.
«Sì.» feci io, secco.
«Ok...» un po' sorpresa se ne andò in cucina. Io la seguii, faticando a deglutire. Continuai ad osservarla mentre prendeva un bicchiere dalla credenza e si versava un po' d'acqua. L'aveva offerta anche a me, ma non ne avevo decisamente bisogno.
«Successo qualcosa?» domandò ancora, innocente.
Abbassai gli occhi: «Come stai?» domandai, stupidissimo. Nei suoi occhi, però, lessi un velo di felicità, di piacere: mi stavo interessando a lei, doveva essere contenta.
«Sto bene. Grazie.» precisò, bevendo un sorso d'acqua. La guardavo ancora, non sapevo cosa dire. Fu lei a rompere nuovamente il silenzio: «Non devi sentirti obbligato a venire qui, a chiedermi come sto, e... Insomma...» farneticò qualcosa di insensato, perché continuava a parlare? Perché non si avvicinava a me e mi diceva che voleva di nuovo le mie mani su di sé, per tutta la notte?
«Non mi sento obbligato.» dissi io, facendo un passo verso Faith. Lei, quasi stupita, spalancò gli occhi dalla sorpresa e poggiò le mani sul mobile in cucina, proprio dietro le sue natiche.
Ancora un passo, un leggero piccolo passo verso la fonte di tutte quelle sensazioni.
«Ti vedo strano.» precisò, respirando più velocemente. La sua gabbia toracica si muoveva pericolosamente, esaltando la forma del suo seno perfetto.
«Non deve più succedere, secondo te?» la voce quasi mi tremava, che cretino! Dovevo fare l'uomo, dovevo essere io a condurre tutto il gioco, dovevo comandare io qua dentro.
«C-che cosa?» più che soggiogata da me sembrava sorpresa da quelle mie parole. Cos'avevano di strano?
«Dobbiamo dimenticarci tutto, secondo te?» i miei piedi continuavano inevitabilmente a compiere dei passi avanti, ad avvicinarsi a quel corpo che tanto desideravo.
In quel momento ero l'uomo alla ricerca della sua donna.
«Sono solo un'imbranata, io.» arrossì, con sguardo basso. Ormai ero lì, bastava un piccolo, minuscolo passo per poter far aderire i nostri corpi e farle capire cosa stessi provando in quel momento. Il mio corpo mi tradiva, evidente.
Riuscivo a sentire il rimbombo del suo cuore: se batteva così forte era merito mio, no?
Alzai la mano e raggiunsi il suo mento. Dolcemente le feci alzare lo sguardo, Faith non si fece troppo desiderare.
«Pensavo ti piacessero le esperte.» continuava, insicura di sé, insicura di quello che poteva darmi. Stupida.
«Esperti si diventa.» espirai quelle parole con fiato caldo che cadde sulle sue labbra. Alzò soltanto gli occhi, cercando i miei, e in un secondo mi appropriai delle sue labbra. Era uno di quei sapori di cui sentivo che non mi sarei mai stancato.
Le sue mani restavano ancorate al marmo della cucina, mentre le mie erano già approdate ai suoi fianchi, a cui mi stringevo come se potessero scapparmi da un momento all'altro.
Continuavo ad accarezzarle le labbra, a morderle delicatamente, ad aspettare un suo gesto che mi facesse capire che potevo andare avanti, che lo voleva anche lei. Per quanto per me sembrò un'eternità, in realtà non tardò ad arrivare: le sue mani si mossero pian piano fino a che non trovarono le mie e si unirono ad esse in quella presa calda che avevo su di lei.
Ricambiava il mio bacio, era il suo sapore che si confondeva col mio, il suo respiro che accelerava insieme al mio. Eravamo noi, di nuovo.
Non resistetti più: lasciai che le sue mani restassero deluse dalla mia scomparsa ed io pensai al resto del corpo. Scesi con le labbra sul collo, lasciai che rabbrividisse sotto il mio tocco e, come se fossimo stati a casa mia, la condussi verso le scale, diretto in camera. Lei mi lasciò fare senza il minimo ostacolo.
Ci tuffammo sul letto, ero caduto su di lei.
Le sue dita erano salite sul mio petto, mentre io restavo ancorato ai suoi fianchi, come se quella sera fossero stati l'unica cosa di cui veramente mi importava. Risalii lungo il suo petto, lasciando una scia di brividi al mio passaggio e gustandomi il suo cuore che batteva talmente forte da poterlo sentire sul mio petto. Le mie labbra erano approdate sul suo collo, mentre la mano libera era andata alla sua coscia, ancora uscita indenne dalla mia volontà.
Arrivò il momento in cui percepii la sua debolezza, il suo lasciarsi andare completamente a me: ne approfittai e cominciai a spogliarla, senza mai lasciare che la mia bocca restasse per troppo tempo senza i suoi baci.
Le nostre lingue erano coinvolte in vortice da cui non c'era altra via d'uscita che fare l'amore.
Condussi le sue mani ai bottoni della mia camicia, alla zip dei miei pantaloni, ai miei capelli e infine al resto di me. Non finivo di scoprirla, andando più a fondo della nostra prima volta: percorsi il suo corpo in ogni piega, in ogni forma, in ogni brivido e godetti di tutte le sue cellule che mi pregavano, in silenzio, di continuare a farle rabbrividire col mio calore.
E fu proprio quando ci appartenemmo, quando i movimenti cominciarono a farsi più forti e incisivi, che sentii all'altezza dello stomaco un buco, un foro interminabile che avrebbe dovuto, probabilmente, farmi capire che io ci stavo completamente cadendo dentro.
Nessuna via di fuga, ero spacciato.
  
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