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Autore: ValeDowney    15/06/2012    2 recensioni
Seconda avventura per Clarice Piton ed i suoi amici. Un misterioso elfo metterà in guardia Clarice su oscuri presagi che aleggiano su Hogwarts. Eccovi la seconda avventura: Clarice Piton e la Camera dei Segreti
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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L’estate stava per finire e Clarice non vedeva l’ora di poter ritornare ad Hogwarts, sia per rivedere i suoi amici ma, soprattutto, per rivedere il suo adorato papà; stranamente, per tutta l’estate, né i suoi amici e nemmeno suo padre le avevano scritto quando, prima di ritornare a casa, le avevano promesso il contrario. “Forse si saranno dimenticati di me, ma la trovo una cosa impossibile” o “Non avevano voglia di scrivermi”: queste erano le frasi alle quali Clarice pensava, ma cambiava subito i suoi pensieri quando, ogni sera, si metteva alla sua scrivania nella sua nuova camera da letto, a sfogliare il piccolo album che le aveva donato Hagrid: in ogni pagina vi erano foto riguardanti le persone più care a Clarice, ma solo tre in particolare, le piacevano più di tutte le altre: la prima era la foto che ritraeva lei da piccola, con i suoi genitori che la tenevano in braccio. In quella foto, Clarice poteva vedere un Severus più giovane e sorridente, mentre stava accanto alla sua mamma; la seconda foto, ritraeva lei, tra Hermione e Ron, i suoi due migliori amici e, infine, nella terza ed ultima foto, vi era lei sulle ginocchia di suo padre: foto scattata da Silente, durante le Vacanze di Natale; però, non le sembrava ancora vero che, nessuna di queste persone, le aveva scritto, anche se aveva mandato più volte Hedwige, la sua civetta bianca regalatole da Hagrid, a casa loro, ma, neanche una volta, era arrivata una risposta.

Per Clarice, arrivò il giorno del suo compleanno ma, come ogni anno, i suoi zii non le avevano regalato niente, ma avevano comprato un sacco di regali per suo cugino Dudley, che aveva compiuto gli anni il giorno prima. Anche quella sera, Clarice stava sfogliando il piccolo album, quando Hedwige, incominciò a beccare i ferri della sua gabbia; Clarice, quindi, la guardò e disse: “ Non posso farti uscire, Hedwige: non mi è permesso usare la magia fuori dalla scuola ed è già tanto che ti abbia fatto uscire, di nascosto, quelle poche volte, quando i Dursley non c’erano”, ma Hedwige cercava, ancora, di trovare un modo per uscire da quella gabbia e, quel che è peggio, ci si mise pure Artemisia, il furetto che le aveva regalato suo padre: essa andava avanti ed indietro nella sua gabbia e, muoveva con la coda, tutta la roba che trovava, facendola cadere da tutte le parti ed anche un po’ per terra; quindi Clarice disse: “Artemisia, adesso non ti ci mettere anche tu ! Sei già stata fortunata, quella volta, di quando la zia Petunia stava quasi per farti arrosto: se tu non fossi andata dentro a quella pentola bollente per farti una bagno ed io non ti avessi salvata in tempo, a quest’ora saresti già nella loro pancia; e, sei ancora più fortunata, che non racconterò a papà di quelle altre volte, che hai messo a soqquadro quasi tutta la casa: lo sapevi che papà non voleva che uscissi dalla tua gabbia e, se anche fossi uscita una sola volta, ti avrebbe usato come ingrediente per le sue pozioni”; ma, i due animali, continuavano a fare del baccano. “Su, che cosa vi costa fare le brave ? Così mi mettete nei guai e, se poi zio Vernon dovesse…” disse Clarice, ma non fece in tempo a finire la frase, che suo zio, gridò: “Clarice Piton !”. “L’avete fatta grossa” disse Clarice e, dopo aver chiuso l’album di fotografie, uscì dalla camera da letto e scese dalle scale e, quando arrivò in cucina, trovò i Dursley, intenti a mettersi a posto. Nel vederla, zio Petunia, la quale stava mettendo delle ciliegie su di una torta, disse: “ Vieni dentro. Vernon” e Clarice, entrò e si avvicinò a suo zio Vernon, il quale stava sistemando il papillon a Dudley. “ Ti avverto, ragazza: se non tieni a bada quel maledetto uccellaccio e quel topo troppo cresciuto, dovranno andarsene” disse Vernon guardandola. “Ma si annoiano e, poi, prometto, che Artemisia non uscirà più dalla sua gabbia” disse Clarice. “Puoi starne certa, perché se la becco un’altra volta nel mio letto, giuro che la sbatto fuori di casa” disse Vernon e riprese a sistemare il papillon di Dudley. “Non puoi cacciarla: è stata un regalo del mio papà” replicò dicendo Clarice. Vernon si fermò e guardandola disse: “Non me ne importa se quello strambo di tuo padre ha deciso di regalarti un topo: poteva benissimo tenerselo lui”. “Artemisia non è un topo, ma un furetto” disse Clarice. “Con qualche pelo in più e di taglia leggermente più grossa” disse Vernon. Ci fu un po’ di silenzio; poi, Clarice disse: “ E per quanto riguarda Hedwige, se solo potessi lasciarla libera per un’ora o due”. “Per cosa ?! Per spedire messaggi segreti ai tuoi strambi amici, oppure chiedere aiuto e conforto al tuo caro paparino ? No, signore” disse Vernon, voltando Dudley verso lo specchio. “Ma non ho ricevuto messaggi: da nessuno dei miei amici e nemmeno da mio padre; neanche uno; per tutta l’estate” disse tristemente Clarice. Vernon e Dudley si voltarono verso Clarice; poi, Dudley disse, mentre camminava verso di lei: “ Chi vuole essere amico tuo ?!” e, passandole accanto, la spintonò. “Dovresti mostrare un po’ più di gratitudine: ti abbiamo cresciuta fin da piccola; dato il cibo della nostra tavola; la seconda camera da letto di Dudley, perfino, per pura bontà del nostro cuore” spiegò Vernon. “Ultimamente, vi siete comportati così, perché avete paura che possa trasformarvi in rospi, vero ? Sapete che posso farlo. E, poi, avete anche paura che, se anche solo mi toccate o picchiate, il mio papà verrà qui a riprendermi” disse Clarice. “Ma tu, non hai ancora usato la magia e, il tuo caro paparino, non è mai venuto” disse Vernon e Clarice non seppe più che dire. Intanto, Dudley cercò di prendere una delle ciliegie che c’erano sulla torta, ma Petunia gli disse: “Non ora, tesoruccio: è per quando arrivano i Mason”. “Il che dovrebbe essere a momenti” disse Vernon e fece cenno agli altri due componenti della famiglia Dursley, di seguirlo in salotto e, quando vi furono, aggiunse dicendo: “Allora, ripassiamo, ancora una volta il programma…Petunia, quando arriveranno i Mason, tu sarai…”. “…in salotto: ansiosa di accoglierli calorosamente in casa nostra” finì di dire Petunia. “Bene. E Dudley, tu sarai…” disse Vernon guardandolo Dudley, il quale disse: “…io sarò pronto ad aprire la porta”; poi, Vernon guardò Clarice, così come la guardarono anche Petunia e Dudley e le disse: “ E tu ?”. “Io me ne starò in camera mia, senza il minimo rumore e fingendo di non esistere” disse Clarice. “Puoi esserne certa; se ho fortuna, oggi potrò concludere l’affare più grosso della mia carriera e ti giuro che tu non me lo manderai a monte” disse Vernon. In quel momento, il campanello suonò; quindi Vernon, con modo non poco garbato, disse: “Ed ora fila di sopra e vedi di restarci e fare la brava: e, se anche uno dei tuoi animalacci non dovessero stare fermi, giuro che li faccio entrambi arrosto” e, mentre Clarice saliva di sopra, arrivando al piano superiore, Dudley andava ad aprire la porta, facendo entrare i Mason, i quali furono ben accolti dai i Dursley.

Clarice arrivò nella sua camera ma, quando aprì la porta, vide qualcosa che saltava allegramente sul suo letto; quella cosa, nel vedere Clarice, si fermò di saltare e, voltandosi verso la porta, dove stava Clarice, disse: “ Clarice Piton, che grande onore per me” e fece un piccolo inchino. Clarice entrò in camera e, dopo aver chiuso la porta, andò di fronte al letto e domandò: “ Chi sei tu ?”. “Dobby, signorina: Dobby, l’elfo domestico” rispose Dobby. “Non per essere scortese, credi, ma questo non è il momento più adatto per aver un elfo domestico in camera mia” disse Clarice. “Oh, sì, signorina, Dobby comprende; è solo che…Dobby…è venuto a dirle…è difficile, signorina; Dobby si chiede da dove incominciare” disse titubante Dobby. “Perché non ti siedi” gli propose Clarice. “Sedermi ?!” disse stupito Dobby ed incominciò a piangere, per poi scendere dal letto. “Dobby ! Ssshhh, stai zitto ! Mi dispiace, non intendevo offenderti; scusami” disse Clarice, cercando di farlo smettere. Dobby smise di piangere e, voltandosi, disse: “Offendere Dobby ?!  Dobby ha sentito della sua grandezza, signorina, ma mai un mago gli ha chiesto di accomodarsi come fosse…un suo pari”. “Bé, non avrei conosciuto molti maghi, allora” disse Clarice. “No, infatti” disse Dobby; poi, si avvicinò all’armadietto ed aggiunse dicendo: “Che cosa orribile da dire” e picchiò la testa contro di esso. “Fermo ! Dobby, zitto ! Dobby, ti prego, smettila !” disse Clarice, cercando di farlo smettere, ma era tutto inutile.

Nello stesso momento, di sotto, Vernon stava versando lo spumante nel bicchiere del signor Mason, quando, sentì, e non solo lui, dei rumori provenire dal piano superiore; quindi, disse: “Oh, non fateci caso: è solo…il gatto” ed i signori Mason lo guardarono stranamente, come se non credessero alle sue parole. Dobby stava continuando a picchiare la testa contro l’armadietto, mentre Clarice sperava vivamente che, giù di sotto, nessuno avesse sentito, se no sarebbero stati seri guai per lei: “ Basta ! Smettila, Dobby ! Ti prego !” e l’elfo domestico smise e, mentre traballava per le botte che si era procurato, Clarice gli chiese: “Stai bene ?” e Dobby annuì positivamente; poi, mentre saliva su di uno sgabello, continuò dicendo: “Dobby doveva assolutamente punirsi, signorina; Dobby ha quasi parlato male della sua famiglia”. “La tua famiglia ?!” disse stupita Clarice, sedendosi sul letto. “ La famiglia di maghi che Dobby serve, signorina: Dobby è costretto a servire una sola famiglia per sempre; semmai sapessero che Dobby è stato qui…ma Dobby doveva venire: Dobby deve proteggere Clarice Piton, avvertirla. Clarice Piton non deve tornare alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, quest’anno…c’è un complotto: un complotto, sì, dovranno accadere le cose più terribili” spiegò Dobby. “Quali cose terribili ? Chi sta complottando ?” domandò Clarice. “Non…posso…dirlo !” rispose Dobby, mordendosi le labbra e tenendo chiusi i denti. “E va bene, ho capito: non puoi dirlo” disse Clarice, cercando di farlo smettere ma Dobby, dopo essere salito sul comodino, prese in mano la lampada e, con essa, si picchiò sulla testa. Clarice si alzò subito in piedi e gli disse: “Dobby ! Metti giù la lampada !”, ma l’elfo continuava a fare rumore. Artemisia ed Hedwige lo guardavano con curiosità, non capendo del perché si comportasse così. Clarice, invece, non sapeva che fare: se Dobby continuava a fare rumore, chi era giù l’avrebbero sentito e, sfortunatamente per lei, proprio mentre Vernon stava raccontando una delle sue barzellette, la sentirono; quindi Vernon si interruppe e, tutti, puntarono gli sguardi verso il soffitto. Intanto, Clarice aveva preso la lampada e cercava di toglierla a Dobby, ma l’elfo era molto cocciuto e non voleva mollare la presa; quando, Artemisia emise dei versi, avvertendo Clarice, che qualcuno stava salendo le scale ed arrivando in camera sua: “Oh, no !” disse Clarice e, dopo essere riuscita a riappropriarsi della lampada, che rimise sul comodino, prese Dobby per l’abito che indossava, e lo scaraventò dentro all’armadio e, appena in tempo, perché, proprio mentre chiuse lo sportello dell’armadio, entrò Vernon, il quale, con voce fremente di rabbia, disse: “Che diavolo stai facendo quassù ?!”. “Stavo…stavo solo…” iniziò a dire Clarice e, mentre chiudeva lo sportello, Vernon la interruppe dicendo: “ Hai rovinato il finale della mia barzelletta sul golfista giapponese !”. “Scusa” disse semplicemente Clarice e, richiuse, nuovamente, lo sportello dell’armadio. “Ancora un rumore e desidererai non essere mai nata, ragazza ! E ripara questo sportello” disse Vernon e, uscendo dalla camera da letto, sbattè la porta dietro di se. Artemisia ringhiò e Clarice la guardò sorridendo; poi, aprì, lo sportello e, mentre Dobby usciva, Clarice gli disse: “ Capisci perché devo tornare: questo non è il mio posto; il mio posto è nel tuo mondo: a Hogwarts. Solamente lì ho degli amici e posso rivedere il mio papà”. “Papà ed amici che nemmeno scrivono a Clarice Piton ?” chiese Dobby. “Bé, immagino che abb…un momento…come sai, tu, che i miei amici ed il mio papà, non mi hanno mai scritto ?” domandò Clarice. “Clarice Piton non deve essere arrabbiata con Dobby: Dobby sperava che se Clarice Piton avesse pensato che gli amici, ed il suo papà, lo avevano dimenticata, Clarice Piton non avrebbe più voluto tornare a scuola, signorina” rispose Dobby, mentre, dall’interno del suo abitino, tirò fuori le lettere di Hermione, Ron e Severus. “Dammi le lettere ! Adesso !” replicò dicendo Clarice ed Artemisia ringhiò, come se cercasse di dire a Dobby, di restituire le lettere alla sua padroncina. “No !” disse Dobby e, prima che Clarice potesse prenderlo, aprì la porta e corse fuori dalla camera, fino giù, arrivando sulla soglia della cucina. Clarice arrivò dietro di lui e gli disse: “Dobby, torna subito qui !”, ma Dobby, dopo aver guardato la torta che aveva preparato Petunia, scrocchiò le dita e la torta, magicamente, si sollevò; poi, voltò lo sguardo verso Clarice, la quale disse: “Dobby, ti prego: no”. “ Clarice Piton deve dire che non tornerà più a scuola” disse Dobby, guardandola. “Non posso: ora la mia casa è Hogwarts” disse Clarice. “Allora Dobby, deve farlo, signorina e lo fa per il bene di Clarice Piton” disse Dobby e, dopo aver scrocchiato nuovamente le dita, la torta incominciò a muoversi, proprio in direzione del salotto.

Clarice doveva fare subito qualcosa, prima che finisse nei pasticci e, quindi, dopo essere passata da Dobby ed averlo spinto all’indietro, seguì la torta la quale stava continuando a volare verso i signori Mason. Ora, Clarice, era ferma proprio sulla soglia della porta e stava ad osservare che cosa avrebbe fatto la torta, quindi, tra se disse: “A mali estremi, estremi rimedi: coraggio, Clarice, qualcosa devi pur fare” e, piano, piano e con le mani davanti a se, avanzò dietro la torta, mentre Vernon stava raccontando una delle sue barzellette. Petunia stava per dire qualcosa al signor Mason, quando vide la sua torta fluttuare nell’aria e Clarice dietro di essa: ovviamente, anche Vernon e Dudley se ne accorsero; quindi, per non farla vedere ai signori Mason, domandò rivolta al signor Mason: “Vernon mi dice che lei è un golfista eccezionale, vero ?”. “Già: di tanto in tanto” rispose il signor Mason. “Signora Mason, dove acquista i suoi meravigliosi abiti ?” chiese Petunia. “Tutti i miei abiti sono di sartoria” rispose la signora Mason e, la torta, si fermò proprio sopra di lei. “Dudley…Dudley…volevi dire qualcosa” disse Vernon, cercando di attirare, anche lui, l’attenzione dei Mason, ma Dudley disse semplicemente: “Il dolce”. “Il dolce ?! Quale dolce ?!” disse stupito Vernon e, in quel momento, la torta finì tutta addosso alla signora Mason, poco prima che Clarice riuscì a prenderla. “Mi rincresce tanto; mia nipote è una ragazza disturbata: incontrare estranei, la agita ed è per questo che la tenevo in camera” disse Vernon. Clarice si voltò e guardò minacciosamente Dobby il quale, con uno scrocchio di dita, scomparve. “Bé…abbiamo del gelato” disse Petunia, cercando di alleggerire la situazione.

I signori Mason, ovviamente, non se ne andarono tanto soddisfatti e, il contratto non venne neanche fatto; quindi, non appena uscirono di casa, Vernon si girò verso Clarice, la quale era ancora dietro al divano, e con voce arrabbiata le disse: “Ti avevo avvertita, ragazza, che se anche avessi fatto un solo passo falso, dovevi desiderare di non essere mai nata”. “Ma non sono stata io; io…” iniziò a dire Clarice, ma Vernon la fermò dicendo: “ Non dire bugie, ma d’altronde, è stato quello strambo di tuo padre ad insegnarti a dirtele. Ed, ora, fila in camera tua e restaci !” e Clarice salì su per le scale; ma, poi, si fermò e, rivolta a lui, gli disse: “Mio padre non è strambo ed io dico sempre la verità” e riprese a salire le scale e, dopo che fu arrivata in camera sua, si sedette sul letto; poi, aprì il cassetto del suo comodino e ne prese una scatolina: l’aprì e, all’interno di essa, c’era il medaglione che le aveva regalato suo padre per Natale; quindi, lo aprì e, nel vedere la foto dei suoi genitori, che la tenevano in braccio, disse: “Oh, mamma, ma come hai fatto a sopportare la zia Petunia ? Io non ci riesco più ! Pensavo che, dall’anno scorso, le cose sarebbero cambiate almeno un po’ e, invece, sono rimaste sempre le stesse”; poi, guardò suo padre ed aggiunse dicendo: “Papà, come vorrei scriverti per chiederti di venirmi a prendere, ma come faccio ?! Lo zio Vernon non vuole che faccia uscire Hedwige. Oh, papà, quanto mi manchi: come vorrei ritornare ad Hogwarts, per riabbracciarti” e, qualche lacrima, le rigò il viso, finendo sulla fotografia. Artemisia abbassò le orecchie e la coda, segno che era triste come la sua padroncina; poi, Clarice si coricò sul letto e, mentre stringeva il medaglione forte a se, pianse, per quasi tutta la notte.

Venne mattina e Clarice stava dormendo, quando venne improvvisamente svegliata da un rumore che proveniva fuori dalla sua finestra; quindi, si alzò, per vedere suo zio Vernon, sopra una lunga scala, attaccare delle sbarre di ferro, con il trapano, fuori dalla finestra, mentre Petunia e Dudley stavano a guardare di sotto: “ Non tornerai mai più in quella scuola e nemmeno quei tuoi animalacci ! Non rivedrai mai più quei tuoi strambi amici e nemmeno il tuo caro paparino ! Mai !” disse Vernon e, dopo che ebbe finito, scese dalla scala, lasciando Clarice ad osservare quelle brutte sbarre di ferro, che, ormai, erano diventate la sua nuova prigione. Ora, Clarice, sapeva che non sarebbe veramente ritornata ad Hogwarts: “Ehhh, Artemisia; Dobby, purtroppo, ce l’ha fatta nel suo intento: non voleva che ritornassi a scuola e, ora, la sola cosa che posso fare, è guardare quelle sbarre di ferro tutte arrugginite; però, chi lo sa: magari la fortuna, prima o poi, girerà anche dalla nostra parte” disse sospirando Clarice, mentre guardava il furetto dentro la gabbia ed Artemisia emise dei versetti, come se dicesse che era d’accordo con lei. Quella giornata fu molto noiosa per Clarice che, per un po’, aveva fatto uscire Artemisia dalla sua gabbia, facendola gironzolare per la camera. Clarice stava guardando il piccolo album di foto, quando Clarice si avvicinò a lei e, con la zampa, le toccò la gamba destra; Clarice quindi, guardò verso il basso, per vedere Artemisia con in bocca un foglietto. Clarice, allora, la prese in braccio e, dopo averla messa sulla scrivania, le prese il foglietto dalla bocca e, su di esso, lesse l’indirizzo di casa di Severus; Artemisia, quindi, emise dei versetti e, con una zampa, toccò il foglietto: “Lo sai che non posso scrivere a papà: non mi è permesso far uscire Hedwige e, poi, se non potevo farla uscire prima, quando la finestra era ancora “libera”, mi dici come faccio a farla uscire ora, con quelle sbarre ?” disse Clarice. Artemisia abbassò le orecchie per la tristezza; quindi Clarice le disse: “ Credimi, Artemisia: se potessi avvertire papà, lo farei in pochissimi secondi, davvero; ma, ormai, sono dell’idea che, quest’anno non lo rivedrò più” e le scese qualche lacrima. Artemisia comprese che la sua padroncina era molto triste; quindi, per confortarla, si strofinò contro di lei, proprio come quando un gatto fa le fusa e Clarice, la strinse a se.

  
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