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Autore: Pwhore    15/06/2012    3 recensioni
Quando Gerard aveva diciassette anni successe una cosa che gli cambiò la vita e gli sottrasse il ragazzo che amava più al mondo. Ora, a distanza di anni, decide di tornare indietro e scoprire cos'è successo effettivamente al ragazzo che tanto amava, scomparso in circostanze misteriose e dato per morto da tutta la comunità.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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frerard thriller (?)
Erano passati anni dall'ultima volta che l'avevo visto, in una calda notte d'agosto.
Sonnecchiava sul divano, la televisione accesa e il telecomando stretto tra le mani, e sembrava solo assorto nei suoi pensieri, quindi avevo un po' di paura di muovermi. Avevo aspettato immobile una decina di minuti, ai piedi delle scale, poi avevo attraversato il salotto in punta di piedi e avevo raggiunto la porta di casa. Avevo esitato un attimo e mi ero girato a guardarlo, la mano cinta attorno al pomello dorato, avevo scosso la testa, sistemato il borsone alla bell'e meglio sulle spalle e girato la maniglia con un gesto secco e deciso. Respirando il più silenziosamente possibile, mi ero chiuso la porta alle spalle ed ero uscito dalla nostra proprietà, dirigendomi verso il paese vicino e cercando di non attirare l'attenzione delle macchine che sfrecciavano sulla strada, dirette verso una qualche discoteca o una festa di qualunque genere, troppo veloci e schiamazzanti per far caso all'ennesimo adolescente che camminava per i fatti suoi. Abitavo a una quindicina di minuti dalla città, ma visto il mio scarso allenamento avevo raggiunto la stazione solo dieci minuti prima che partisse il treno. Avevo timbrato il biglietto, trovato un posto a sedere e lasciato la borsa sotto i miei piedi, poi avevo cominciato a scartare una merendina e mi ero lasciato tutto alle spalle, senza alcun preavviso, volgendo lo sguardo a ciò che mi riservava il futuro.
Papà.
Josh.
Frank.
Avevo deluso così tanta gente. Eppure anche in quel momento, a distanza di cinque anni, non ero invaso da alcun tipo di rimorso o senso di colpa e pensavo che quella fosse stata la scelta migliore da farsi. Una mossa un po' azzardata, forse, ma vedere quei volti tutte le mattine mi distruggeva, fisicamente ed emotivamente, e avevo deciso di darci un taglio per il mio stesso bene, a dispetto di quello che pensavano tutti gli altri. Respirai a fondo. Eppure tornare nella mia città natale dopo tutti quegli anni.. Era un'altra cosa azzardata, non c'è bisogno di dirlo, ma avevo come la sensazione di correre in cerchio e che l'unica maniera di spezzare quel circolo fosse tornare a casa ed affrontare il mio passato; quindi ero saltato sul primo treno per il Jersey e mi ero lasciato cullare nel sonno dagli scricchiolii continui e regolari del mio vagone. Mi ero svegliato di soprassalto una quindicina di minuti dopo la partenza, mentre il veicolo attraversava l'ennesima galleria e il passeggero accanto a me si accingeva a ricontrollare meticolosamente le sue cose per l'ennesima volta, conscio di non aver spostato nulla e che avrebbe trovato tutto a posto. Sentii il treno rallentare, prima quasi impercettibilmente poi con più scossoni, e vidi il mio compagno alzarsi e calcarsi un cappello di stoffa scura sulla testa, controllando quindi di non essere in ritardo sulla tabella di marcia e che tutto andasse per il verso giusto. Lo salutai con un cenno del capo ma lui non ricambiò; abbandonò la cabina in fretta e furia e si sbatté dietro la porta finestra, come se non avesse intenzione di parlare con nessuno che non fosse un suo stretto collaboratore o comunque qualcuno di terribilmente importante. Storsi la bocca e mi guardai intorno. Ero rimasto solo nel mio scompartimento - le persone che sceglievano di visitare il Jersey non erano mai molte e comunque non erano interessate alla mia cittadina, quindi era raro trovare qualcuno che scendesse con me all'ultima fermata ed ogni volta che tornavo da qualche parte mi toccava stare da solo con mio fratello e sopportare le sue battutine stupide. Mi stropicciai il naso, assonnato, e mi sistemai meglio sul sedile legnoso, uno di quelli duri e ruvidi al tatto, cercando di trovare una posizione un po' più comoda. Con i muscoli ancora doloranti e addormentati, mi alzai in piedi e mi sgranchii un attimo le gambe, andando ad occupare il sedile accanto al finestrino. Il paesaggio cominciava ad assumere i tratti caratteristici del Jersey e le case a cinque piani lasciavano spazio ad ampi campi coltivati, pullulanti di fattori e macchinari, mentre il sole faceva capolino tra le nuvole e riscaldava l'erba impregnata di rugiada. Dicono che tornare a casa, alle proprie radici, alle origini faccia bene, ma mi domandavo se sarebbe stato così anche per me, visto tutto quello che era successo, e il dubbio mi faceva attorcigliare le budella sotto la pelle, le sentivo dimenarsi e restringersi, lacerate dall'insicurezza. Mi appoggiai con le spalle alla parete e chiusi le palpebre, tirando per bene le tende in modo da restare in balia dell'ombra, poi mi decisi finalmente a lasciar perdere e serrai le braccia in una posizione più naturale, scivolando velocemente nel mondo di Morfeo.

Lo vedo, è qui di fronte a me. Siamo nel bosco che sovrasta la città, l'odore di erba secca mi stuzzica le narici e il brusio delle cicale è troppo insistente e fastidioso da venir ignorato, quindi mi metto a canticchiare una canzone nella mia testa per isolarmi dal mondo. Sta scartando un panino dal suo involucro di alluminio e me ne ha già passato un altro, posandomelo ai piedi con tranquillità e naturalezza, come se non avesse mai fatto altro durante la sua vita, ma il mio corpo non si muove. Si gira verso di me, alza gli occhi, sorride.
"Ehi Gee, cos'è quella faccia? Non ti piace il pollo? Guarda che puoi avere il mio panino se vuoi" ride, allegro. Rise sempre, oserei dire, ma quel particolare è forse il dettaglio più prezioso che ha, quindi me lo tengo per me e lo abbraccio.
"Ehi, aspetta un attimo, siamo appena arrivati!" obietta scherzoso, mentre le mie labbra si scontrano con la pelle chiara e morbida del suo collo. Le respinge con un dito e mi sorride nuovamente, baciandomi dolcemente il naso.
"Dai, fammi preparare le cose e poi sono tutto tuo" m'informa, tornando a trafficare con plaid e stoviglie. Faccio il broncio, se ne accorge e sorride sotto i baffi, scuotendo il capo.
"Sei proprio un bambinone" sospira, lasciando tutto nel cestino e avvicinandosi a me, tendendomi le braccia. Lo stringo a me, lascio le mie mani ad accarezzare le sue guance candide e lo bacio con passione, prima piano poi più forte, inebriandomi del suo sapore dolce ma allo stesso tempo forte e piccante, proprio come il suo carattere libero e sbarazzino. Sento che gli manca improvvisamente il respiro e lo lascio libero, ma un mugolio atterrito mi costringe ad aprire gli occhi e tornare alla realtà, guardandolo in faccia. Un uomo, un coltello, poi il buio.
Quando mi risveglio sono in ospedale, disteso su un letto bianco e scomodo, circondato da niente ma quattro pareti spoglie, e l'unico rumore che sento è il ronzio continuo della macchina a cui è collegato il mio compagno di stanza, di cui mi sono appena accorto. Lo guardo un attimo, spaesato, ma non riconosco nei suoi lineamenti stanchi l'essenza del mio ragazzo, quindi mi alzo in piedi e mi precipito in corridoio, senza la minima idea di dove andare. Setaccio tutto il reparto, ma lui non è da nessuna parte e non sembra esser stato visto da nessun paziente, nessuna infermiera e nessun dottore, quindi probabilmente non è venuto a farmi visita. Aggrotto la fronte e mi mordo il labbro inferiore, la testa mi fa male e non riesco a ricordare nulla, così sono costretto a lasciar perdere. Torno da me, m'infilo velocemente i miei vestiti sporchi e mi dimetto da solo, dirigendomi quindi verso casa del mio fidanzato con passo veloce. Mi fermo davanti al pianerottolo, mi pulisco rapidamente dalla polvere e suono il campanello, sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi quando la porta finalmente si apre, lasciando intravedere la figura magra di una donna bianca di mezz'età, sicuramente sua madre.
"Salve signora, sa se per caso Frank è in casa?" domando gentilmente, cercando di notare un qualche movimento alle sue spalle. Mi guarda con aria avvilita e la bocca impastata - sembra invecchiata improvvisamente di cent'anni per quanto è distrutto e sofferente il suo sguardo. Chissà cosa c'è che non va, sembra soffrire molto.
"Gerard" sussurra, notando i cerotti sul mio braccio e le bende che mi circondano la testa, "Frank non c'è e non ci sarà mai più, cerca di capirlo ragazzo" dice, la voce ridotta a un flebile soffio e le spalle completamente incurvate in avanti in segno di dolore e rassegnazione. Aggrotto le sopracciglia.
"Cosa intende, signora?" domando, senza capire.
"Frank è morto, Gerard, non lo vedrai mai più" esclama la donna, trattenendo a stento le lacrime.
"M-morto? Ma cosa dice, ieri siamo andati nel bosco a fare un pic-nic, era così sereno e felice" deglutisco.
"Gerard, quello è successo quattro giorni fa" mormora, faticando ad emettere i suoi necessari.
"Eri.. eri in una specie di coma, ragazzo, per questo non sai assolutamente niente" mi spiega lei.
"Frank è scomparso; ti hanno ritrovato da solo, disteso su un prato abbandonato in una pozza di sangue, accanto all'occorrente per un pranzo alla buona. Ti hanno portato subito in ospedale e ti hanno ricoverato, ma del nostro ragazzo.. di Frank nessuna traccia. Sappiamo solo che quel sangue era anche suo". Finisce di parlare con voce rotta, due lacrime le corrono lungo le guance arrossate. Si stringe il naso tra le dita, cercando di trattenersi, ma i suoi occhi lasciano intravedere il dolore che la lacera dentro, che le infetta il cuore e la scuote tutta. Sento il peso del mondo cadermi addosso e schiacciarmi, comincio a piangere, ma improvvisamente tutto muta, si appanna e diventa distorto. Sono nel buio più totale, ora, senza scopo o destinazione, solo un gran senso di paura, solitudine ed oppressione. Nessuno mi parla, nessuno mi dice niente, eppure so di non essere qui da solo; sento la presenza di qualcuno, un odore troppo lieve da riconoscere ma comunque presente e sparso ovunque. Dov'è, dove si nasconde, cosa sta facendo, che ne sarà di me? La testa mi scoppia, ho bisogno di scoprire cosa c'è sotto ma i miei muscoli sono atrofizzati ed impossibili da muovere, così sono costretto a rimanere immobile, impaziente, ad aspettare che qualcosa succeda e mi salvi da questo nulla senza forma. Presto detto ed il qualcosa arriva - sono passati giorni, ore, mesi? ho perso la cognizione del tempo, non capisco più nulla ormai -, ma è completamente diverso da quello che mi aspettavo, rovina la realtà, ci gioca e la trasforma in un inferno spoglio ed arido. Il paesaggio muta; sono di nuovo nel bosco, nel punto in cui siamo stati aggrediti quattro giorni fa, dove ho visto per l'ultima volta l'amore della mia vita, a cui non ho potuto neanche dire addio. Ma eccolo qua, mi compare alle spalle, mi abbraccia, unisce nuovamente la sua lingua alla mia, come se nulla fosse successo e niente dovesse anche solo lontanamente accadere. Si stacca dal mio corpo, improvvisamente, e mi guarda, socchiudendo gli occhi.
"E così tu saresti quello che doveva proteggermi sempre da tutto e tutti? Il mio scudo umano, il mio salvatore, il mio angelo custode?" sbotta. Il suo tono è duro e accusatorio, non sposta gli occhi da me mentre parla.
"E' così che volevi proteggermi dal mondo, salvarmi dagli altri ed aiutarmi a scappare dai demoni del mio passato? Scegliendo la tua pellaccia e non muovendo un dito per aiutare il cosiddetto 'uomo della tua vita'? Pensando a soddisfare il tuo desiderio di coccole ed ignorando l'uomo che ci spiava tra i cespugli, pronto a saltar fuori appena avremmo abbassato abbastanza la guardia? Complimenti amore, tu sì che sai dimostrare a qualcuno quanto significhi realmente per te" sibila, togliendosi le mie mani di dosso ed alzandosi in piedi, spolverandosi le gambe prima di andare via e lasciarmi lì, imbambolato e dolorante, incapace di muovermi e ragionare.
"Hai visto che hai fatto?" esclama una donna al mio fianco, spostandosi in avanti per occupare tutta la mia visuale.
"Avevi detto che non l'avresti mai tradito, che ci saresti stato sempre per lui, in ogni momento della giornata, e ora guarda che hai combinato, brutto stupido che non sei altro! Se è successo tutto questo è solo per colpa tua e la responsabilità te la devi addossare tu, proprio come tutte le conseguenze" sbuffa, poi se ne va anche lei. Sono di nuovo solo, paralizzato, e non riesco a pensare a niente che non siano insulti verso me stesso e la mia stupidità. Improvvisamente lo vedo di nuovo lì disteso, sanguinante, e lo raccolgo, avvicinando delicatamente la sua testa alla mia. Lui apre di scatto gli occhi e mi sputa del sangue addosso, assumendo un ghigno di scherno.
"Sei una merda" esclama, mentre lo spingo lontano da me e lo faccio sbattere con forza contro il terreno arido.
"Lo sei ora e sempre lo sarai" sorride, saltandomi al collo con le zanne scoperte e infilandomi le unghie nella carne.

Mi svegliai di soprassalto con un urlo, mentre il sudore mi correva lungo le tempie. Ero finalmente arrivato alla mia fermata, dopo un paio d'ore passate a poltrire sul sedile di un treno, ma il paesaggio della mia città, facilmente intravedibile dal finestrino sporco, contribuì solo ad aumentare la mia ansia e a farmi desiderare di non aver mai preso quella decisione. Raccolsi la borsa da terra e mandai giù un groppo alla gola, ancora sudando freddo e col cuore che batteva all'impazzata, quasi volesse scappare via dal mio petto e tornare da dove eravamo venuti. Scesi dal treno tremando, allontanandomi subito dalla stazione per non cedere alla voglia di tornare indietro e filare sotto la doccia.
No, tornare a casa non era stata per niente una buona idea.
Mi maledissi a voce alta per essermi dato retta e m'incamminai verso l'abitazione dei miei, mentre la notte calava silenziosa. Sarebbe stata una lunga, lunga camminata.
   
 
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