2. Topo da biblioteca.
Quando si svegliò ( per quanto avesse
potuto
dormire), la mattina dopo, il fiore era sparito.
Camille non aveva perso altro tempo e, preso lo zaino e le chiavi, era
corsa a
scuola. Non si era lavata e nemmeno pettinata, era riuscita giusto a
cambiarsi
i vestiti sporchi, visto che l’armadio era in camera sua, e
alla terza ora era
stata colpita da una stanchezza così forte che il professore
l’aveva spedita
prima a prendersi un caffè e poi in infermeria.
Tutti si erano accorti che qualcosa non andava; Camille Jennyson era
una
ragazza estremamente curata nell’aspetto, invidiata per i
vestiti
floreali e particolari che indossava con naturalezza estrema, per le
scarpe
taccate su cui riusciva a correre.
Oltre a ciò era anche un’ottima studentessa,
seppur estremamente silenziosa,
una persona serena, ma con un bel caratterino.
Quella mattina, nel liceo femminile sulla Trentanovesima, sembrava che
ci fosse
una copia sbiadita e mal fatta della Camille che tutti conoscevano.
La riccia, seduta ad uno dei tavoli della mensa assieme al suo solito
gruppo,
scansava svogliatamente la carne dello spezzatino, mangiando solo i
pisellini.
Aveva deciso da circa due mesi di diventare vegetariana e
ciò dava alle amiche
un’ottima causa dalla quale far derivare quella stanchezza.
«Dovresti mangiare almeno i bocconcini!»
«Non è la carne, ragazze.»
«E cosa?»
«Boh, avrò donato troppo sangue.»
Mentì, inforcando l’insalata. Solo allora, mentre
masticava un pomodorino, i
suoi occhi si posarono due tavoli più in là:
seduta con la sola compagnia di un
grosso libro e alcuni muffin, stava una ragazza mai vista prima.
Indossava una felpa e portava gli occhiali, di cui poteva scorgere la
montatura
spessa, come andava di moda ultimamente.
Solo quello le era concesso vedere, visto che la testa era sempre china
su quel
volume e che i suoi lunghi capelli mori, tagliati davanti con una
grossa
frangia, le coprivano il volto.
«Chi è lei?»
Chiese, mentre prendeva un sorso d’acqua.
«Ah, dici quella? E’ arrivata quest’anno,
pare sia della California. Però non
so come si chiama.»
«Io la conosco! Era nella mia classe di letteratura
straniera, nessuno andava
bene come lei. Si è offerta pure per fare la custode della
biblioteca, però non
parla molto.»
«Sembra timida.»
«Lo è, Cam, in compenso scrive.»
«E’ una scrittrice?»
«Boh, forse lo vuole diventare. Nello scorso compito di
letteratura del
trecento ha preso il massimo.»
«Un topo da biblioteca, insomma!»
«Eh, brava, Liz, il tipo è quello.»
Ormai le ragazze si erano impossessate di quel discorso che Camille
aveva smesso
di ascoltare dopo il “boh”, tornando con la
mente al Problema.
I suoi genitori erano via, quindi nessuno avrebbe potuto trovare quello.
Doveva sbrigarsela da sola.
Di dirlo alle ragazze non se ne parlava, avrebbero detto che
aveva le
travergole o si sarebbero spaventate da morire.
Però il sentir parlare della biblioteca le aveva fatto
venire in mente che,
forse, in quel luogo avrebbe trovato qualcosa d’interessante.
Così si era
inventata l’ennesima scusa ed era corsa nel lato est
dell’edificio, dove si
trovava il posto che aveva catturato la sua attenzione.
La biblioteca della loro scuola era stata da sempre estremamente
fornita e
polverosa; non a caso un’ottima scusa per evitare il turno da
bibliotecari era
dire di essere allergiche agli acari.
Camille si aggirò tra le file di scaffali in legno scuro,
guardando le lettere
in alto.
Dove avrebbe dovuto cercare? Alla “M” di
“mostri”? No, lì era tutto diviso per
autori, non certo per generi! Magari un’enciclopedia, libri
di piante… l’unica
cosa che era riuscita a pensare era che quell’orrore fosse
una specie di pianta
carnivora.
« Ti serve aiuto?»
La voce alle sue spalle la sorprese così tanto da farla
sussultare; era
talmente presa dai suoi pensieri da non essersi accorta della figura
che,
timidamente, la stava osservando almeno da cinque minuti buoni e solo
ora aveva
avuto il coraggio di parlarle.
Con una certa sorpresa, Camille riconobbe la ragazza che poco prima era
stata
il centro del parlottare delle sue amiche.
Giusto, le avevano detto che era l’addetta alla biblioteca.
In un primo momento fu tentata di rispondere dicendo che stava
solo
riflettendo su cosa prendere, ma poi realizzò che senza un
valido aiuto non
sarebbe mai riuscita a cavare un ragno da un buco.
«Sì, ad essere sincere.»
Rispose, sorridendo a quella che le era stata presentata come la
maggiore
esperta letteraria della scuola. Pensò che era meglio
presentarsi, visto che la
ragazza, di cui ora poteva vedere gli occhi azzurri come il cielo
estivo,
avrebbe dovuto sottostare alla sue strambe richieste.
«Io mi chiamo Camille, tu sei nuova…?»
«Sì e no, ma qui sembra che vi conosciate tutti.
Sono Lucy, piacere.»
Disse, con una voce non troppo alta, mentre si aggiustava gli occhiali.
Lucy
aveva tutto meno che l’aria della
“sottuttoio”, sembrava, invece, una
ragazza di campagna ben lontana dalla realtà della Grande
Mela.
Anzi, ben lontana dalla realtà e basta.
«Cos’è che cerchi?»
Camille aprì e chiuse le labbra come
un pesce rosso. Doveva
inventarsi qualcosa.
«Ho sognato una cosa molto particolare e mi piacerebbe
riuscire a trovarla.»
«Oh, e che cosa? Vuoi qualche manuale di
Freud…?»
«No, no. Era… » Camille
esitò. «Una creatura mostruosa.»
Gli occhi della bibliotecaria sbatterono velocemente, ma le pupille non
contenevano timore e la sua faccia non sembrava affatto dire qualcosa
come:
“Ecco l’ennesima pazza”.
Tutt’altro, pareva… incuriosita.
«Oh. Potresti descrivermi…?»
Chiese, posando le mani e il sedere su uno dei grandi tavoli,
completamente
vuoti, e ticchettandoci sopra i tre anelli che portava al medio.
Camille
riportò facilmente alla sua mente l’immagine di
due grandi occhi gialli che la
fissavano.
«Sembrava un fiore, ma aveva due occhi sui petali, e la bocca
era una fila di
denti aguzzi, un sessantina o su di lì. E la voce era
stridula, odiosa. »
Lucy non batté ciglio, ma, senza esitazioni, si
limitò a dire una sola parola:
«Mandragola.»
«…Mandragola?»
Ripeté, Camille, stupita da quella risposta immediata e
confusa da quella parola
sconosciuta; Lucy annuì e le fece segno di seguirla.
«Non so se la scuola ha dei bestiari, ma io ne ho letti,
quindi posso dirti di
cosa si tratta.»
«Ma i bestiari non sono testi del 1300?» Chiese,
ricordandosi di una lezione di letteratura
sull’Italia
dantesca. «Pensavo fossero introvabili.»
«Un mio zio ne possiede alcuni.»
Rispose l'altra, mentre, ritta su una scala, faceva scorrere dita e
occhi sui
volumi.
«Niente!» Fece, con aria tutt’altro che
sorpresa, scendendo la scala cigolante
in due salti. «Ti dovrai accontentare di quello che
so.»
«Va bene, mi basta… Ti ringrazio, Lucy.»
«Di nulla.»
La ragazza esitò per un momento.
« … Posso chiederti una cosa, però,
Camille?»
Camille, entusiasta per avere trovato quell’aiuto, non fu
capace di dirle di no
e il sorriso di Lucy si piegò in un modo del tutto diverso
da quello avuto fino
ad allora.
«Diversi studi psicologici hanno ormai reso
un’ovvietà che noi sogniamo ciò che
abbiamo visto almeno una volta, anche in elementi diversi. Ma la tua
è l’esatta
descrizione di una mandragola.»
Fece una pausa, guardando Camille negli occhi. La riccia si era fatta
scura in
viso, capendo dove il sorriso inaspettatamente furbo
dell’altra volesse andare
a parare.
« L’hai veramente sognata, Camille?»
Camille cercò di sciogliere il nodo che le si era formato in
gola deglutendo,
ma non ci riuscì, totalmente spiazzata dalla calma quasi
inquietante di quella
che, a una prima vista, le era sembrata solo una ragazza timida e senza
amici,
ma che si stava rivelando, forse, la sua Chiave di Volta.
Non riuscì a mentire, il suo silenzio l’aveva
già fatta scoprire.
«Hai ragione.. è vero.» Disse, senza
trovare il coraggio di
guardarla negli occhi. «Ma
sei pregata di non dirlo a nessuno.»
«Non potrei mai e, anche volendo, non saprei proprio a chi
dirlo.»
La solitudine trapelante da quella risposta riuscì a
tranquillizzare Camille
che, dopo aver preso un grosso respiro, parlò:
«E’ in casa mia. L’ho trovata a Central
Park e, pensando che fosse un fiore
qualunque, l’ho tolta da terra. Poi… »
«Ti ha morso, vero?»
Camille portò d’istinto una mano al labbro
inferiore, dove stava un graffio
scuro che le sue amiche avevano scambiato per un herpes.
«Senti,
Camille. Capisco che è maleducazione da parte mia,
ma… ti dispiacerebbe se
venissi a vederla?»
La cortesia di
quella domanda azzerò ogni cattiva idea su Lucy; forse era
solo un’appassionata
di occulto, come le dark della scuola.
Le sorrise.
«Certo che puoi! Che ne dici di andare ora? Tanto
c’è ginnastica, se la saltiamo
nessuno se ne accorge.»
Lucy acconsentì e, presi gli zaini, le due scivolarono per i
corridoi, fino
alla porta.
Per tutto il tragitto parlarono di ogni argomento sfiorabile, tranne di
ciò che
le aveva fatte conoscere, accorgendosi di avere simili gusti e anche
una certa
affinità caratteriale, tanto che le risate non mancarono.
Poi
la porta dell’appartamento si aprì e il volto di
Camille tornò serio.
«Dov’è?»
Chiese, Lucy, gli occhi che vagavano per la stanza.
«Non so. Questa mattina non l’ho vista, ma ho
trovato la porta di camera tutta
graffiata… Già non volevo farlo, ma quello mi ha
fatto passare tutta la voglia
di mettermi a cercarla.»
Lucy sorrise, comprensiva, a quel sarcasmo, continuando a cercare la
bestia;
dal canto suo, Camille sperava che fosse caduta ed affogata nel water.
Tale speranza si volatilizzò nell’esatto momento
in cui avvertì uno sguardo
seguirla e darle i
brividi. Si voltò di
scatto e, come si aspettava, la vide.
Ma la vide nel posto in cui assolutamente meno la desiderava.
«Camille, Camille!»
«Merda, no!»
Camille si precipitò sul pianoforte sulla quale la pianta
aveva attorcigliato
le radici fino a sfiorare l’ultimo tasto della tastiera.
«Togliti! Levati da qui!»
Ma quella, ovviamente, non capiva e, imperterrita, continuava:
“Camille,
Camille!”
La rossa, con gli occhi pieni di rabbia, portò le mani alle
radici con
l’intento di strapparle via dal suo pianoforte, ma venne
fermata da Lucy ancor
prima che il mostro stringesse gli occhi per urlare.
«Lasciala, Camille! Se la strappi, quella ti
ammazza!»
Camille staccò immediatamente le mani, indietreggiando, al
contrario di Lucy,
che si avvicinò, mettendo un dito di fronte a
quell’essere, gli occhi fissi nei
suoi, senza timore.
«Se viene strappata produce un urlo che provoca la morte di
chi le è attorno. Non
è morta prima perché tu l’hai
dissotterrata con l’abilità di un
giardiniere.»
Disse, con una calma quasi spaventosa, muovendo l’indice
vicino alla corolla;
il mostro schiuse le fauci e le mostrò i canini.
«Oh
sì.» Asserì, Lucy, con un
mezzo sorriso. «E’ proprio una mandragola. Non
pensavo che ne crescessero anche qui e a questi tempi.»
«E dove dovrebbero?»
Lucy non rispose, ma si sedé sullo sgabello del pianoforte,
senza distogliere
lo sguardo dalla mandragola. Camille ripeté, allora.
«Come ha fatto a crescere…?»
« La mandragola germoglia dai cadaveri e, beh, New York mica
è tanto
tranquilla. Sai cosa ci vuole a uccidere qualcuno e seppellirlo
lì, aspettando
che diventi concime per l’erbetta.»
Camille fu percorsa un brivido; non si sarebbe mai, mai più
andata a stendere a
Central Park.
Sospirò, guardando quello che aveva pensato fosse solo un
bel fiore pulirsi i
denti con la lingua da serpente.
«E’ tutto vero?»
Lucy spostò lo sguardo dalla mandragola a lei. Aveva di
nuovo quel sorriso
furbo.
«Non penso che tu ti possa permettere il lusso di scegliere
se credere o no.»
La riccia sospirò ancora, passandosi una mano tra i capelli;
Lucy aveva
ragione, c’era poco da fare le finte tonte.
«Però quello che voglio io è che
sparisca.»
Disse, facendo sibilare la lingua e lanciando uno sguardo di puro odio
verso
quell’essere che aveva cercato di mangiarle un labbro e che
ora si era
rampicato sulla cosa a cui più teneva.
Lucy annuì, comprensiva.
«Non è la cosa più facile del mondo. Ci
può volere anche parecchio tempo.»
Sbadatamente, la castana posò il gomito sui tasti
d’avorio del piano, emettendo
un La bemolle.
Fu allora che la mandragola mandò un versetto ben diverso
dagli altri: era…
soddisfatto.
Quasi sembravano gli urletti che le ochette della scuola mandavano
quando i
ragazzi della squadra di calcio del liceo privato venivano a giocare
nel campo
di fronte all’edificio scolastico.
Gli occhi di Lucy
s’illuminarono.
«Aspetta, aspetta…»
Insisté su quel tasto, ne provò anche altri e
vide come la mandragola
continuava a mugolare, soddisfatta.
Aveva lo sguardo eccitato di chi aveva capito tutto, la californiana,
ma, di
fronte a lei, stava l’altra con la faccia di chi navigava
nell’ignoranza.
Quasi si sentiva tagliata fuori dal “rapporto” tra
Lucy e la mandragola.
«Ci sono!» Esclamò, battendo le mani,
come a volersi dare da sola il cinque. «Ho
capito perché si è arrampicata sul
piano!»
«Perché?»
Chiese, Camille, impaziente di capire le cause per la quale quel mostro
aveva
scelto proprio quel luogo. Lucy le sorrise.
«Mi prenderai per pazza.»
« Ho una mandragola in casa, penso che ormai poche altre cose
mi possano
sorprendere.»
La castana volse nuovamente gli occhi ai tasti neri e bianchi, pensando
che
l’altra non immaginava neanche quanto poco ancora avesse
visto.
«Si è innamorata del pianoforte.»
La riccia sgranò gli occhi. No, a quello veramente non
poteva credere.
«Non
prendermi in giro.»
«Non lo sto facendo. La mandragola si è innamorata
a causa del rumore che
emette. Capisci che per un essere le cui strilla sono letali, il suono
del
piano è qualcosa di paradisiaco.»
«E quindi?»
La voce di Camille si stava facendo ancor più impaziente; le
interessava una
soluzione, non le faccende amorose di una pianta di mandragola, che,
tra l’altro,
non dovrebbe nemmanco esistere.
Lucy la guardò e sorrise con l’aria di chi aveva
la soluzione in mano e sapeva
che ormai era fatta.
«Bisogna purificarla. E per purificarla non devi fare altro
che suonare il
pianoforte, nulla di più.»
«Non posso.»
La risposta fu così seria da far sobbalzare la castana, che
si era appena
rilassata, facendole corrucciare il viso, come c’era da
aspettarsi.
Ma Camille pareva irremovibile, con lo sguardo piantato a terra e i
pugni
stretti.
«Io non posso suonare il pianoforte.»
«Non ne sei capace?»
«Sì, ne sono capace. Ma non posso,
semplicemente.»
Lucy, che fino a quel momento aveva mantenuto una calma quasi inumana,
fu
visibilmente innervosita da tale risposta e ciò era anche
comprensibile. Le
veniva a chiedere aiuto e poi non l’ascoltava?
«Camille, è l’unico modo.»
«Ce ne sarà un altro!»
«No, non c’è!»
La voce di Lucy si alzò troppo e anche la sua proprietaria
se ne accorse,
portando una mano a coprire il labbro inferiore in un movimento
totalmente
involontario.
«Scusa.»
Disse immediatamente, ottenendo come risposta uno scuotere di spalle
che per
Camille significava “non ti preoccupare”.
«Mi spiace aver alzato la voce, ma
l’unico modo per risolvere la
faccenda è questo. Decidi tu.»
Camille abbassò lo sguardo.
«Ho i miei buoni motivi per non suonare.»
«Non ne dubito, ma ti ripeto che è
l’unico modo.» Si alzò, guardando un
po’ i
libri, un po’ i divani. «Pensaci, ti
prego.»
Camille annuì e ci fu un momento di silenzio.
« … Come stai messa per domani?»
« A cosa?»
«Boh, con la scuola.»
La rossa fu ben grata a Lucy per il cambio di argomento.
«Per domani bene, tutto ok. Dovrei anticiparmi con una
ricerca, però… »
«La Harwick ha dato anche a voi da svolgere uno studio sulla
letteratura
italiana del trecento, per caso?»
«Sì!»
Esclamò, Camille; in quel momento la mandragola pareva
sparita da lì. «Ho scelto
Dante, “Vita Nuova”.»
« Oh, l’incontro con Beatrice.»
Disse, facendo passare le dita sottili sulla coda del piano, con un
sorriso
nella quale Camille scorse, forse, un qualcosa tipo malinconia. La
lingua di
Lucy schioccò appena.
«Lui aveva adulato un poco, quasi nulla, altre donne,
Beatrice era venuta a
saperlo da quelle due belle vipere con cui girava sempre insieme e,
offesa, gli
aveva negato il saluto. Ne fu tremendamente affranto per quasi un mese,
nemmeno
i suoi amici, i pochi che erano, lo sopportavano
più.»
Camille fu stranamente confusa da quella malinconia che sembrava
portare molte
rughe, tutte quelle che invece non c’erano sul viso di Lucy.
«Certo che ne sai parecchie.»
Fu l’unica cosa che riuscì a dire,
nell’intento di far sparire un po’ di quella
tristezza. La cosa, fortunatamente, andò a buon fine e Lucy
tornò a sorridere
con tutta la sua gentilezza.
«Merito di zio e dei suoi libri. Comunque, anch’io
faccio Dante, ti andrebbe di
svolgere la ricerca insieme?»
Camille annuì con decisione; con una come lei avrebbe preso
il massimo e poi
era simpatica, tralasciando qualche stranezza.
«Ci vediamo da qualche parte? Non a Central Park,
però, non vorrei trovare la
sua famiglia.»
Indicò quindi la mandragola senza nemmeno guardarla, tenendo
le braccia
consorte e muovendo solo l’indice destro, prima di rificcarlo
sotto il braccio
a esso opposto.
«C’è una biblioteca che fa anche da
caffetteria, qui a Manhattan. Non è lo
Starbucks, ma ci sono i libri e evitiamo di portarceli dietro
noi.»
«Va benissimo, penso che avremo bisogno di calma.»
Le due si lasciarono dopo essersi segnate l’appuntamento e
baciate la guance.
La mandragola, intanto, faceva scivolare i petali innaturalmente ruvidi
sul
legno del pianoforte, in una carezza ricambiata col silenzio
indifferente
dell’oggetto.
Ed ecco il
secondo..!
Adesso abbiamo scoperto cos'è la pianta ed è
entrata in scena un'altra figura misteriosa, Lucy, ma, cosa
più importante, con la negazione di Camille è
venuto fuori il nodo della vicenda.
Devo ammetterlo, qui il soprannaturale e il mistero fanno "da sfondo" a
quello che è il vero centro e il messaggio che ho voluto
lasciare alla mia migliore amica, per la quale l'ho scritta, un paio di
mesi fa...
Ho ricevuto due bellissime recensioni nello scorso capitolo, spero di
non aver deluso nessuno con questo...!
E spero anche di
ricevere altri commenti ecc...!
Un bacio,
Valkyrie.