Capitolo 14 – Io ti sento
La Cuddy non sapeva proprio cosa dire alla sua
giovane dipendente. Cameron però si accorse del suo imbarazzo e la prevenne:
“Cuddy, per favore, restiamo solo un po' in silenzio.”, Lisa Cuddy annuì, e
continuò a passeggiare con lei lungo il perimetro dell'ospedale. Nel frattempo
la osservava, cercando di capire quanti danni avesse fatto House. Era stata
chiamata d'urgenza da un'infermiera che gli aveva detto allarmata “Il dottor
House è impazzito, dottoressa! E' in accettazione, sta urlando contro la
dottoressa Cameron come un ossesso!”. Poteva solo immaginare cosa le avesse
detto: House quando voleva sapeva uccidere le persone più di quanto potesse
guarirle. “Comunque stai tranquilla Cameron. House sarà punito adeguatamente.
Nessuno può urlare così nel mio ospedale”, l'immunologa non disse nulla. Aveva
il volto ancora rigato dalle lacrime, ma lo sguardo era duro, determinato; le
mani erano strette a pugno dentro le tasche del camice. Guardò l'orologio:
“Cuddy, grazie, ma adesso devo andare di sopra.” – “Se vuoi Cameron, puoi prenderti
un giorno di riposo.” – l'altra sorrise – “No, figurati. Abbiamo un caso,
dobbiamo risolverlo, è il mio lavoro.” – “Qualunque cosa Cameron ti serva...” – ““Non
ti devi sentire in colpa per quello che è successo. Sono stata poco attenta e
lui mi ha scoperto.” – “Si ma la sua reazione è ingiustificata!” – “Si, ha
esagerato.”, mormorò con un tono asciutto, poi si congedò.
House stava scrivendo alla lavagna i sintomi
del paziente quando Cameron fece ritorno nella sala riunioni: “Eccoti, possiamo
cominciare. Allora, a giudicare dai sintomi io avrei già una diagnosi perfetta.
Vediamo cosa concludete voi!” – “Io dico che senza esami, né visita non hai
potuto concludere nulla.”, Cameron ribattè al suo capo con gli occhi fissi alla
lavagnetta. Chase e Foreman, che non avevano idea di quello che era successo
poco prima, la guardarono straniti: cosa c'era di strano, House aveva sempre
fatto questo, prima le ipotesi e poi le analisi e tutto il resto. “Ok, deduco
che vuoi essere licenziata Cameron”, il tono del diagnosta era pericolosamente
serio. “Dire cose sensate vuol dire essere licenziati?”, Cameron non si
scompose, “No, vuol dire che tu vuoi essere licenziata. Tra un paio di giorni
correrai in lacrime dalla Cuddy con le tue dimissioni.” – “Credi davvero che
non abbia sopportato un misantropo bastardo già per tre anni?!” – lo guardò con
aria di sfida, il tutto davanti ai due medici sempre più increduli di quello
che stava accadendo davanti a loro – “Sai, forse ti ho sottovalutato, o
sopravvalutato se vogliamo metterla in un altro modo. Pensavo che tu fossi una
creatura fragile, un'eroina dei buoni sentimenti, dai grandi ideali, come la
sincerità, la morale, la lealtà – House fece una pausa, la guardò dritta negli
occhi e le girò intorno come per guardarla meglio nella sua interezza – Oggi mi
sono accorto non conoscerti affatto, e, come hai potuto vedere, la cosa mi dà
parecchio fastidio.” – “Tu non sei arrabbiato con me solo per il Vicodin…” –
“Infatti, tu mi dai fastidio con il solo fatto di esistere!”, House le piantò
gli occhi in faccia, ancora con quella rabbia repressa contro quella ragazza,
contro quella donna che lo stava mettendo in difficoltà dal primo giorno. Cameron
però non abbassò gli occhi, coraggiosamente sostenne il suo sguardo. L’aria era
carica di tensione, Foreman e Chase decisero di intervenire per non far
degenerare le cose: “Sentite – il neurologo li allontanò come se stessero per
prendersi a pugni – a noi non interessa cosa diavolo abbiate tutti e due.
Abbiamo una malattia da scoprire, un paziente da curare. Siamo qui per questo,
è il nostro lavoro! Quindi, per me – prese il pennarello – questo è morbo di
Addison!”
House appena sentì la diagnosi dimenticò
Cameron e tolse con fermezza il pennarello dalle mani di Foreman, pronto di
nuovo a giocare al gatto col topo con il suo assistente.
“Io intanto vado a fare le analisi.”, House fu
costretto di nuovo a guardare l’immunologa, stavolta ironicamente: “E per quale
diagnosi?!” – “Il paziente è celiaco.”, Cameron non disse altro e uscì. House
spalancò la bocca: “Incredibile, aveva indovinato la diagnosi fin dal
principio!” – “Non può essere celiaco, guarda –Foreman si bloccò notando che in
effetti i sintomi e la diagnosi corrispondevano – E’ vero! Ci ha proprio
azzeccato!” – “Beh, la ragazza deve essere trattata male per dare il massimo…”,
intervenne Chase, ma lo sguardo poco rassicurante di House lo distolse dal fare
ulteriori commenti. Solo Foreman ebbe l’azzardo di dire: “Altro che dolce,
piccola Cameron. Sta diventando un peperino peggio della Cuddy!”. House non
riusciva a distogliere gli occhi dall’uscita della sala, quella che lei aveva
varcato poco fa tirando fuori dal cilindro una diagnosi perfetta.
“Posso Lisa?” – “Entra James. Qualcosa che non
va?” – “Le infermiere mi hanno ragguagliato del furioso litigio tra House e
Cameron di stamattina.” – Wilson si accomodò sulla sedia di fronte alla
direttrice – “Dannate pettegole, speriamo che la cosa non esca fuori
dall’ospedale, quel bastardo ci manderà in rovina in un modo o nell’altro.”, la
Cuddy non alzò lo sguardo da quelle carte che doveva compilare da un’eternità.
Wilson sospirò: “Quindi non ha funzionato, l’ha scoperta facilmente.” – “Cosa
ti aspettavi da Cameron. Non è un genio del crimine, e invece House potrebbe
essere un assassino perfetto.” – “Wow, sbaglio o sei meno tenera del solito con
lui.” – “E’ che mi sento in colpa verso Cameron. – la Cuddy incrociò le braccia
e smise per l’ennesima volta di badare a quelle carte – House l’ha distrutta.”
– “Certo, ma non dimenticarti che Cameron ‘non è poi lo zuccherino che crede di
essere’, l’hai detto anche tu. Quindi tranquilla per lei. E’ di House che ci
dobbiamo preoccupare.” – “Quell’uomo è impossibile. Con tutto quello che
abbiamo passato per causa sua ultimamente ha pure il coraggio di mandarci a
quel paese!” – “Magari dovremmo strapazzarlo un po’.” – “E cosa sto facendo da
7 anni a questa parte?” – “Si, hai ragione. Forse il metodo giusto era proprio
quello di Cameron, prenderlo con le buone, lentamente…” – “Ormai di Cameron non
si fiderà più. E poi con la velocità alla quale quei due si stavano avvicinando
il fegato di House farà prima a farsi benedire…” – “Non credere. Ultimamente la
ragazza ha tirato fuori le sue armi migliori. – la Cuddy lo guardò meravigliata
– Si, ti assicuro che House non rimarrà indifferente a lungo. Il problema è che
ai suoi occhi ormai Cameron ha perso una caratteristica importante, la lealtà.
Purtroppo ci siamo giocati una carta importante.” – la Cuddy lo guardò ironica
– “Parli di lui come se fosse la posta in gioco di una partita a Poker, e di
lei come un tris d’assi, non molto wilsoniano questo.” – l’oncologo sorrise –
“E’ vero. Comunque pensiamoci ancora un po’. Qualcosa in mente ci verrà.” –
“Intanto devo punirlo per quello che ha combinato, mi sono stancata delle sue
sparate! Qualche ora di ambulatorio in più non gli farà male.” – “A meno che
non lo incateni difficilmente sconterà la sua punizione.” – “Sono pronta a
dargli battaglia, userò anche il provvedimento sospensivo per costringerlo.” –
“Buona fortuna allora!”, Wilson parlò ironicamente, si alzò e uscì
dall’ufficio.
Il laboratorio: il luogo in cui Cameron si
sentiva realizzata. Per lei osservare le analisi era una continua sfida al suo
sguardo e alla sua intelligenza; la caccia a quel valore apparentemente
insignificante, a quel numero che rivelava un mondo di patologie invisibili ad
occhio nudo. Questa era la vita che Cameron amava: cercare l’ago nel pagliaio,
scomporre la realtà fin nella sua quintessenza e scoprirne i segreti.
“Dì la verità, hai tirato ad indovinare?” – la
giovane dottoressa non si girò nemmeno – “Se ti fa comodo crederlo…” – un’ombra
le si avvicinò lentamente alle spalle – “Non sei mai stata un genio” – “Hai
ragione.” – House fece una lunga pausa, poi continuò:“Perché l’hai fatto?” –
“Indovinare le diagnosi è il mio lavoro.” – “Non provare a imitarmi. Sai cosa
ti ho chiesto e rispondimi.” – l’immunologa distolse finalmente gli occhi dal
microscopio per guardarlo. No, non riusciva ad odiarlo, ma poteva ancora
sfidarlo, provocarlo:“Una volta non avevi bisogno di darmi ordini” – “Una volta
conoscevo una dottoressa, Allison Cameron: una dolce crocerossina piena di
principi morali.” – “I miei principi morali sono saldi.” – “E della dolcezza
che mi dici?” , House ormai era a pochi centimetri dal suo viso, dal suo corpo
nascosto dal quel camice. Lei sospirò: “Dolcezza non vuol dire sottomissione
totale.” – “No. Però l’altra Allison Cameron si sarebbe fatta in quattro per
spiegarmi il perché del suo tradimento.” – “Non ti sembra troppo
‘tradimento’?!” – “Non prendermi in giro, Cameron. E’ quello il reato di cui ti
stai incolpando, tu per prima.” – il tono di House era pacato e sicuro, la sua
voce così calda. Le difese di Cameron cominciarono a crollare – “Io…” – “Non
riesco a credere che tu abbia usato un trucchetto così stupido per fregarmi.” –
“House fammi terminare queste analisi…” – l’immunologa lo stava quasi
supplicando, non era pronta per rispondere ad un altro attacco – “Però lo
ammetto – continuò House – la ragione principale per cui sento questa rabbia
tremenda contro di te è un’altra” Cameron cercò di ignorare l’ultima frase e
decise di difendersi; fece un passo indietro e si trovò completamente bloccata
contro il bordo del tavolo: “Ero preoccupata per te. Io lo so che il dolore è
insopportabile, ma quelle pillole ti distruggeranno!” – “No Cameron, non sai
quanto sia insopportabile questo dolore, non lo sai!” – House alzò di nuovo la
voce, stava perdendo la calma – “House stai tranquillo… – la voce di Cameron si
fece carezzevole, il suo volto si distese assumendo un’espressione dolcissima,
voleva farlo calmare e incredibilmente ci riuscì – E’ vero, io non ho mai
provato un dolore fisico così forte. Ma ti assicuro che il dolore che hai
dentro io lo sento bene. I feel you,
House!”
Gregory House spalancò gli occhi. Quella donna
riusciva ancora a stupirlo, con la sua dolcezza infinita, con il suo ricevere
il male e donare il bene.
Combattiva, fiera, ma anche fragile, pura. Si,
pura come un cristallo che non riflette nulla, ma brilla di luce propria: la
luce di Cameron poteva accecarlo in quel momento, ma lui come una falena non
riusciva ad allontanarsi da lei.
Oh, se lo stava ingannando lo stava facendo
bene, troppo bene.
House dimenticò quella rabbia tremenda che
provava fin da quella sera: lei lo aveva messo spalle a muro, si era scrollata
la sua etichetta di crocerossina in poche parole e lo aveva colpito diritto al
cuore “…sento che vorresti disperatamente farlo”.
Dimenticò tutto, tranne quel ‘sento’.
Dimenticò tutto, ora aveva lei davanti, i soi
occhi e quel ‘I feel you, House’, di cui non avrebbe mai potuto dubitare.
‘Strega! Strega!’ urlava la razionalità sopraffatta di House a quell’immagine,
ma a nulla valeva, l’incantesimo ormai era stato fatto.
“Cameron…” fece un altro passo in avanti,
lasciò la presa sul bastone e la abbracciò.
Lei non ebbe paura per quel gesto improvviso:
per un attimo credette di stare sognando, ma poi sentì tutto il peso del suo
corpo che la sovrastava, le sue mani dietro la schiena che la stringevano forte,
la sua testa poggiata nell’incavo tra spalla e collo, il suo respiro dietro l’orecchio.
Era un abbraccio disperato, la follia di un
uomo oppresso dal dolore che per un attimo trova la pace negli occhi e
nell’abbraccio di una donna che lo accoglie con amore, senza mai nulla
pretendere.
House si sostenne su di lei, e per un attimo
fu lei il bastone, lei l’amore, lei la freschezza, lei l’illusione
diabolicamente irrealizzabile di un’altra vita.
Lei il suo farmakon.
Ripensò a quella parola greca che vuol dire rimedio e veleno insieme. farmakon
Cameron alzò le braccia per ricambiare, per
abbracciarlo a sua volta: House sentì le sue carezze sulla schiena e
rabbrividì.
Fu proprio quel brivido a ridestarlo. Dentro
di lui qualcosa arginò il fiume in piena della sua disperazione, mai espressa
così esplicitamente ad un altro essere umano.
No, lui doveva rimanere solo, e soffrire in
silenzio. Era il suo destino.
Amaro, si, ma vagamente più accettabile
dell’idea di appoggiarsi a qualcun altro il cui sostegno può venire a mancare
in ogni momento.
Più della voglia di guarire in House era
fortissima la sfiducia nell’uomo, l’assioma dimostrabile dell’ Everybody Lies.
Wilson, Cuddy, i suoi migliori amici: persino
a loro House negava un contatto profondo con il suo dolore, perché li riteneva
capaci al massimo di acuirlo con le loro discorsi, con i loro gesti inutili per
“salvarlo”.
Si staccò da lei senza incontrare resistenza.
E’ vero, di fronte a lui c’era Cameron, la
dolce Cameron, capace anche lei di mentire, come tutti, e capace di ingannarlo,
come pochi. Cameron da qualche tempo a questa parte sapeva parlargli al cuore,
sapeva penetrare in ogni piccolo spiraglio aperto nelle sue difese, e faceva
immensi danni.
Ma soprattutto con la storia del Vicodin
Cameron era entrata di diritto nella categoria di quelli che fanno i ‘gesti
inutili per salvarlo’, esattamente come Wilson e Cuddy, ormai né più né meno.
Nemmeno lei riusciva ad essere coerente.
“Devo andare…ambulatorio.”, solo questo disse
House, lei si limitò ad annuire tristemente. Cameron gli raccolse il bastone e
rialzandosi per un attimo incrociò il suo sguardo. ‘Non posso!’ urlavano quegli
occhi. Cameron seppe con certezza che da quel momento lui l’avrebbe
allontanata.
Un ‘bip’ interruppe quello sguardo: i
risultati erano pronti. Cameron ritirò il foglio dalla stampante: “Avevi
ragione, House. Celiachia.”, disse con un sorriso.
House da quel sorriso seppe con certezza che
lei non l’avrebbe lasciato andare.
“Bene, iniziate la terapia per i sintomi
correlati.”, quindi uscì.