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Autore: Hotaru_Tomoe    19/06/2012    15 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Johnlock. Angst/pre-slash, ispirata a questo bellissimo post di Dramatis Echo su Tumblr. 

 

TEA MUG

"John, tesoro, dov'è la tua tazza da tè?" chiese Mary mentre finiva di sistemare le sue cose in cucina.
"Non ce l'ho." rispose John, impegnato in una battaglia impari con il decoder da programmare, che stava vincendo su tutti i fronti.
"Dài, non ti credo! Non esiste inglese che non abbia una di queste." e gli mostrò la sua, gialla e decorata con tante coccinelle, sbreccata sul manico e sul bordo. "Ce l'ho da quando avevo cinque anni - spiegò - è come se fosse una parte di me."
John evitò lo sguardo della sua fidanzata (moglie tra una settimana) in preda ai sensi di colpa, perché lui aveva una tazza da tè, ma non si trovava lì, nella loro casa nuova; era ancora al 221B di Baker Street.
Mary aveva portato tutta la sua vita con sé, John no: aveva finto fin troppo a lungo di aver dimenticato quell'oggetto, quando in realtà sapeva benissimo che si trattava dell'ultimo cordone ombelicale che lo teneva legato al suo vecchio appartamento e alla sua vita con Sherlock.
E forse era giunto il momento di reciderlo una volta per tutte.
Prese il cellulare ed uscì sul balcone.
"Hello?" rispose la voce allegra della sua ex padrona di casa.
"Buongiorno, Mrs. Hudson, sono John... sì, sì, sto bene... lo so, è parecchio che non passo, ma fra il trasloco ed il matrimonio non ho avuto un attimo di respiro. Comunque ci sono ancora alcune cose mie che ho lasciato lì e se lei fosse così gentile da prenderle e farmele trovare all'ingresso, passerei più tardi."
"John, caro, lo farei più che volentieri, ma in questi giorni l'anca non mi dà tregua, non ce la faccio proprio a salire le scale fino da Sherlock."
"Oh, mi spiace molto. Allora verrò io e ne approfitterò per dare un'occhiata alla sua gamba."
"Grazie John, sei sempre così caro." 

Mezz'ora dopo John era fermo davanti al familiare portone verde scuro: non metteva più piede lì da un mese, precisamente dal giorno in cui aveva comunicato a Sherlock la decisione di sposarsi con Mary, chiedendogli  di essere il suo testimone. Mai avrebbe pensato che il suo amico potesse reagire a quel modo.

"Dunque è questo che vuoi, John? E' questa la tua massima aspirazione? - aveva urlato con disprezzo - Una mogliettina tutta casa e chiesa, tendine a fiori alle finestre, la cena pronta quando torni a casa la sera. Perché non anche un cane che ti porta le pantofole ed il giornale? Completerebbe il quadretto. Che squallore!"
"Ma che diavolo ti prende? Ne parli come se fosse una cosa abominevole."
"Lo è! E' talmente banale ed ordinario da darmi il voltastomaco. E quella donna, poi..."

Era seguita una sequela di poco lusinghiere e velenose deduzioni sul conto di Mary e la sua famiglia, interrotte da un gancio sinistro assestatogli da John.
Quella era l'ultima volta che lo aveva rivisto, era uscito di casa come una furia e aveva passato la notte da Mary.
La volta successiva si era accertato con Mrs. Hudson che lui non fosse in casa prima di andare ad inscatolare le sue cose e disdire il suo affitto.
Forse, inconsciamente, aveva dimenticato lì quel piccolo dettaglio nella speranza di avere l'occasione di incontrare Sherlock un'ultima volta e chiarirsi con lui.
E magari chiedergli scusa.
Perché Mary aveva messo davvero tendine fiorite alle finestre ed alcune delle deduzioni di Sherlock probabilmente non erano troppo lontane dalla verità.
Solo che, al punto in cui si trovava tornare indietro era impensabile.
Indugiò ancora sull'ingresso.
Ma che diamine, doveva solo ritirare una tazza da tè, non un reattore nucleare, non poteva essere così difficile.
Salì le scale ed entrò dalla porta della cucina; l'appartamento era immerso nella penombra e sembrava deserto. No, a dire il vero sembrava fosse stato visitato nottetempo dai ladri: le stoviglie sporche nel lavandino non si contavano più, sul tavolo in cucina non c'era più un millimetro di spazio libero, giornali, appunti, annotazioni aveva conquistato il soggiorno. In breve, il caos che John aveva faticosamente tenuto a bada quando abitava lì, ora dilagava libero e senza freni. Sospirò: la sua tazza era sul ripiano di fianco ai fornelli, nella stessa posizione di dove l'aveva lasciata, come una reliquia. Era una visione quasi commovente, attorniata com'era dal disordine più totale.
Allungò il collo verso il salotto e lo vide: Sherlock era rannicchiato in posizione fetale sul divano, stretto nella sua vestaglia blu. Immobile, forse dormiva o era immerso nel suo Mind Palace.
Alla vista di quella schiena curva, di quel corpo sottile che sembrava quasi scomparire nella pelle scura del divano (era dimagrito in maniera paurosa, poteva dirlo anche a quella distanza) gli si strinse il cuore.
Sembrava uno di quei gattini che la gente abbandona con fastidio in una scatola di cartone vicino ai cassonetti dei rifiuti, la coscienza messa a tacere dal pensiero che qualcun altro sicuramente si intenerirà di fronte a quel piccolo batuffolo e lo porterà a casa con sé.
Non era quello che aveva fatto lui abbandonando quell'appartamento?
Ma un gattino ringhioso e soffiante come Sherlock non l'avrebbe preso nessun'altro.  Sarebbe rimasto in quella scatola di cartone, forse sarebbe morto soccombendo alle intemperie, o forse sarebbe sopravvissuto, guardingo e diffidente, rifuggendo il contatto con gli umani. Ma no, nessuno ne avrebbe avuto cura. Nessuno poteva comprendere la bellezza di quel gattino o coglierne la furbizia e l'elettrica vitalità oltre la sua rabbiosa facciata.
Nessuno, se non lui.
Strinse con forza la tazza tra le mani: c'era una donna che lo aspettava in una casa luminosa, accogliente ed ordinata che avrebbe dovuto apparirgli desiderabile, ma che in quel momento non lo era. Doveva andarsene subito, prima di iniziare a pensare che in realtà lui apparteneva a quel buio ed a quel caos.
In tre passi era di nuovo davanti all'ingresso della cucina, un altro e sarebbe uscito da lì per sempre, portando via anche l'ultima parte di sé. 

"Non lasciarmi solo, John." 

Poco più di un sussurro, tanto che John credette fosse solo nella sua mente.
Un fruscio di seta e un sospiro che assomigliava troppo ad un singhiozzo e questo no, non se l'era immaginato.
In un attimo fu accanto al divano. D'un tratto tutto gli fu chiaro: il perché della sfuriata di Sherlock e del suo odio nei confronti di Mary.
La paura di vederlo scomparire dalla sua vita, il desiderio di riaverlo per sé, solo per sé e le mille altre cose mai dette tra di loro, tutto era racchiuso in una supplica impalpabile. 

"Non lasciarmi solo, John."
Non abbandonarmi qui, gridava il gattino nero da dentro lo scatolone. 

"Sherlock..." Lo afferrò per le spalle voltandolo verso di sé... dio, se gli erano mancati quegli occhi, e quegli zigomi, e quei capelli ricci, e quella voce baritonale.
Come aveva fatto a farne a meno per tutto quel tempo?
Gli passò un dito sulle labbra secche "Che idiota che sei. - lo rimproverò con dolcezza - Guardati: sei disidratato. Ti preparo una tazza di tè."
Fece per alzarsi, quando il suo cellulare diffuse le note di "I want you back" nell'aria.
La suoneria di Mary.
Scattando come un gatto arrabbiato, Sherlock si liberò della sua stretta, tornò a dargli le spalle e a raggomitolarsi su se stesso.
La voce di Gary Barlow continuava a gracchiare, fastidiosa ed insistente.
John fu investito dalla consapevolezza che la prossima mossa avrebbe deciso il suo intero futuro. E si sorprese nello scoprire che in realtà aveva già deciso da molto, molto tempo e che, forse, non c'erano mai state due opzioni tra cui scegliere.
Tolse il cellulare di tasca e lo scagliò lontano, la canzone della suoneria che morì all'improvviso in un'esplosione di plastica infranta. A quel suono, Sherlock si voltò stupito e subito John gli fu sopra, costringendolo a distendere il corpo e a sdraiarsi sulla schiena, bloccandolo col peso del suo corpo.
"John." Mille domande, mille richieste, tutte racchiuse nel suo nome.
"Sono qui, Sherlock. - lo rassicurò, appoggiando la fronte sulla sua - Non me ne vado più."
L'ombra di un sorriso comparve sul volto del detective "Non volevi farmi un tè?"
John lanciò un'occhiata fugace alla sua tazza da tè, poggiata sul tavolino: non c'era fretta, quella tazza sarebbe rimasta al 221B di Baker Street ancora per molto, molto tempo. Si chinò sul viso dell'altro "Conosco un altro metodo per prendermi cura di queste povere labbra screpolate." mormorò, prima di reidratare la bocca di Sherlock con la propria, mentre le sue mani si insinuavano sotto i pantaloni del pigiama. 

Qualche minuto più tardi una raggiante Mrs. Hudson chiudeva con discrezione la porta della cucina per impedire che l'eco dell'entusiasmo dei suoi due ragazzi arrivasse fino in strada.
Ed era certa che John le avrebbe perdonato la sua piccola bugia, si disse mentre scendeva le scale con agilità.

   
 
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