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Autore: RobTwili    20/06/2012    26 recensioni
Alexis sta scappando, non sa nemmeno lei da cosa. A due esami dalla Laurea in Medicina alla Stanford-Brown, decide di mollare tutto e tutti e fuggire lontano.
Attraversa l’America e approda nel Bronx.
Il sobborgo della Grande Mela non le offre un caldo benvenuto e subito si rende conto che non tutta l’America è come l’assolata Los Angeles.
Ryan ha sempre vissuto nel Bronx, sul corpo e sul cuore i segni di una vita vissuta all’insegna delle lotte tra bande e dell’assenza di una famiglia su cui poter contare.
Alexis comincia a cadere in quel vortice che Ryan crea attorno a lei. Vuole a tutti i costi salvarlo, portarlo sulla retta via; non c’è infatti qualche legge che costringe una ragazza ad aiutare chi è senza speranze?
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eagles don't gain honestly'
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YSM
 
 
Dopo il risultato delle analisi del sangue – che  avevano confermato quello del test fatto una settimana prima – Aria si era chiusa in se stessa; sorrideva e scherzava meno, nonostante io cercassi in tutti i modi di fare la stupida per riuscire a donarle un sorriso. Sapevo che stava pensando al modo migliore per dire a Dollar che aspettava un bambino, ma ero altrettanto sicura che lui non si sarebbe arrabbiato così tanto come lei credeva. Forse ne sarebbe anche stato felice, in fondo era una novità, e, anche se avevano solo sedici anni, erano abbastanza maturi da poter crescere un figlio.
Aria era arrivata al Phoenix una settimana prima di Natale con un radioso sorriso sulle labbra che mi aveva fatto capire subito quello che era successo. Abbandonai il boccale di birra mezzo pieno sul bancone e corsi ad abbracciarla, lasciando che una lacrima di felicità scendesse lungo la mia guancia alla visione di quel sorriso. «Che cosa ti avevo detto? Dollar non è uno stupido ed è in grado di prendersi le sue responsabilità, come gliel’hai detto? Che cosa ha detto?». La parte più pettegola di me stava uscendo, forse perché Aria era ormai una delle amiche più care che avessi mai avuto, e forse perché, un po’, mi mancavano i gossip.
«Io… non sapevo come dirglielo, così prima l’ho fatto sedere e dopo gliel’ho detto; all’inizio non capiva, si è chiesto come fosse possibile, poi gli ho ricordato che non prendo più la pillola e che ce ne siamo dimenticati; era stupito, ma ha ammesso che è anche colpa sua perché fa sempre l’idiota. Alla fine mi ha chiesto cosa volevo fare, e dopo averne parlato abbiamo deciso che lo teniamo, vogliamo entrambi questo bambino. Forse è un segno, no? Cioè, è così che doveva andare, forse c’è un motivo». Fece spallucce senza però riuscire a cancellare quel sorriso che le illuminava il volto più del solito. Aria sembrava addirittura più bella.
«Tu non sai nemmeno quanto sono felice per voi. Diventerò zia, potrà chiamarmi zia?» domandai, capendo subito dopo che non era il luogo o il momento adatto per chiedere una cosa del genere. Forse era anche scortese, ma non riuscivo proprio a rimanere seria e composta di fronte a una notizia del genere: i bambini mi erano sempre piaciuti e avevo pregato per anni Soph ed Edge di regalarmene uno che potessi chiamare nipotino, ma non ci ero mai riuscita. Stavolta era diverso, Aria e Dollar sarebbero stati due genitori speciali, che avrebbero amato quel bambino come se fosse stato l’unico al mondo.
«Lexi…» bofonchiò, scuotendo il capo senza però smettere di sorridere. «Aspetta prima di dire così. E poi dobbiamo dirlo ai ragazzi, io… in questi casi non so nemmeno se debba decidere Ryan. E se lui dice di no? Cosa bisogna fare? Non voglio che Jack venga escluso dagli Eagles per colpa mia, non sarebbe giusto e…». Appoggiai una mano sulla sua spalla per cercare di calmarla: era spaventata, logico, si trovava in una situazione nuova e non sapeva quello che poteva succedere, ma ero sicura che Ryan non avesse così tanto potere da decidere cosa dovevano fare Aria e Dollar. Insomma, era sì l’O.G. degli Eagles, ma mi rifiutavo di credere che potesse decidere anche sulle vite private degli altri, soprattutto se di mezzo c’era un bambino.
«Stai tranquilla, vedrai che Ryan sarà felice, esattamente come tutti gli altri. Quando lo direte?». Mi sarebbe piaciuto esserci, solo per vedere le espressioni stupite dei ragazzi. Immaginavo già le battute stupide di Sick e il sorriso di Brandon, mentre si congratulava con loro. Chissà cosa avrebbe detto Ryan; di sicuro sarebbe rimasto impassibile, fermo sul suo divano, a fumarsi una sigaretta mentre tutti festeggiavano. Sì, perché Ryan non aveva un cuore.
«A Natale, durante la cena. Vogliamo che ci siano tutti e io ti voglio al mio fianco. Devi starmi vicina, altrimenti ho paura» mormorò, sistemandosi il grembiule perché John si era avvicinato a noi, incuriosito dalle nostre chiacchiere e dal nostro ritardo nel consegnare gli ordini ai clienti. «E poi prima lo diciamo meglio è, Jack sta impazzendo, sembra che io non possa fare nulla. Tra un po’ secondo lui non sarò nemmeno in grado di farmi la doccia, mi insaponerà lui la schiena, il che non è male…» sghignazzò, facendomi ridere. Vederla così solare era quasi contagioso; in qualche modo stava tornando la vecchia Aria, la ragazza spensierata che si era nascosta nelle ultime settimane.
«Certo che ci sarò, e ti difenderò contro chiunque. So picchiare molto più forte di quelle quattro scimmie che ho per vicini» ribattei, senza smettere di sogghignare con Aria. John si avvicinò ancora di più a noi, tanto che non continuai nemmeno la frase, sicura che avrebbe potuto sentirci. Aria finse di asciugare un paio di boccali di birra e, nascondendo il nostro sorriso, cercammo di non farci scoprire, senza naturalmente riuscirci.
«Si può sapere che cos’avete oggi da sghignazzare più del solito? Andate a lavorare, visto che vi pago par farlo». John e la sua voce odiosa, ma soprattutto John e le sue bugie. Non era affatto vero che ci pagava ogni mese. Avevo lo stipendio in arretrato di tre mesi e non mi ero mai, mai, lamentata con nessuno di quella situazione, soprattutto con i ragazzi. Doveva ringraziare Aria e quelle foto che avevo fatto a New York – e che non erano mai uscite perché Ryan le aveva distrutte – era solo grazie ai guadagni di quel servizio fotografico che riuscivo a pagare l’affitto ogni mese. Ma se John non mi avesse pagata nemmeno a dicembre, non avrei saputo come fare, visto che non avevo abbastanza risparmi per pagare l’affitto. Senza dire nulla, dopo che Aria gli ebbe fatto una linguaccia alle spalle, cominciammo a lavorare, in silenzio.
 
«Lexi, e se mi dicono che non posso tenere il bambino? Se Ryan dice che va contro le regole degli Eagles e che devo abortire?» bisbigliò spaventata, mordicchiandosi l’unghia del pollice mentre sistemavo gli ultimi piatti sulla grande tavola dei ragazzi; avremmo mangiato di nuovo tutti assieme, esattamente come il giorno del Ringraziamento. Appoggiai la pila di piatti sul tavolo, sospirando e guardando Aria, di fianco a me.
«Mentiremo, ok? Dirò che non è più possibile abortire, Ryan non sa fino a quanti mesi si può fare, e in ogni caso sono sicura che non servirà mentire Aria, vedrai che tutto andrà bene e Ryan sarà felice». Scossi leggermente le sue spalle, sperando che riuscisse a capire – una volta per tutte – che nessuno le avrebbe privato di decidere quello che era giusto per lei e per Dollar, nemmeno Ryan. Se così fosse stato, mi sarei ribellata a Ryan, avevo ancora la mia rivoltella!
«Stai vicino a me quando lo dico, vero?» mormorò, abbracciandomi perché potessi infonderle un po’ di sicurezza. Non riuscii a trattenere un sorriso, stringendo un po’ più forte le mie braccia attorno al suo corpo per farle capire che sì, le sarei rimasta vicino, qualsiasi cosa fosse successa io ero con lei, contro tutti. «Sta nevicando» mormorò sorpresa, allentando l’abbraccio e asciugandosi in fretta una lacrima, cercando di non farsi vedere da me.
Guardai subito fuori dalla finestra, cercando di vedere oltre il vetro oscurato dalla condensa. Neve. Era la prima volta che vedevo la neve, soprattutto perché, cosa strana a New York, non aveva mai nevicato fino a quel momento. «Wow» sospirai, strofinando il polso sul vetro, per vedere fuori. C’erano dei grossi fiocchi di neve che cadevano, posandosi silenziosi sul terreno. Istintivamente cominciai a sorridere, correndo verso la porta per uscire a vedere quello spettacolo. Quante volte avevo sognato la neve? Quante mi ero messa a piangere da bambina, perché non avevo mai fatto un pupazzo di neve come nei film ambientati a New York? Aprii la porta dell’appartamento dei ragazzi sbattendo subito contro qualcosa, o qualcuno, ma non mi interessava, non quando potevo vedere e toccare la neve. «Scusa» borbottai, correndo giù per le scale, senza nemmeno soffermarmi a chiedere se avevo ferito qualcuno. Sapevo che se avevo urtato Ryan nemmeno si era accorto del nostro scontro.
«Lentiggini, dove cazzo stai correndo?» domandò, affacciandosi alla balaustra delle scale, facendo rimbombare la sua voce che sembrò addirittura più roca e profonda del solito. Non avevo tempo di rispondergli, rischiavo che smettesse di nevicare e non potevo permettermi di non vivere appieno quella magia. Sentii la voce di Aria urlare che stavo scendendo in strada per vedere la neve e subito dopo Ryan urlò di nuovo, perché potessi sentirlo anche se ero arrivata al portone d’ingresso: «Se poi hai la febbre perché esci con una maglietta a maniche corte non…». Non aspettai nemmeno che terminasse la frase, impegnata com’ero ad aprire il portone dello stabile, per uscire; ci riuscii, correndo in mezzo alla strada deserta e respirando a fondo, con il volto sollevato verso il cielo. Qualcosa di freddo cominciò a posarsi sul mio viso e sulle mie braccia, facendomi rabbrividire; era una sensazione indescrivibile se paragonata alla vista che avevo: il cielo buio sopra di me era rischiarato da milioni di piccoli puntini bianchi che cadevano, posandosi silenziosi sulla strada e sui tetti degli stabili. Perfino il vecchio e sgangherato cancello davanti a me sembrava più bello, in quel contorno così fiabesco. Cominciai a sorridere, portando i palmi delle mani all’insù per guardare quei piccoli fiocchi bianchi che si posavano, sciogliendosi subito dopo. Fiocchi di neve ovunque, sul mio viso, sulle mie braccia nude e sui miei capelli, sembrava davvero di essere dentro a un film, solo che era decisamente freddo. Cercando di scaldarmi le braccia nude con le mani, corsi velocemente su per le scale, arrivando in cucina dai ragazzi in pochi secondi. «Fa… fa davvero freddo» bofonchiai, come una stupida. Logico: se c’era la neve, faceva freddo, ma non avevo mai pensato che potesse fare così freddo.
«Benvenuta a New York in inverno, lentiggini. Che ti aspettavi, temperature tropicali e sole a mezzanotte?» sbottò Ryan, sorseggiando una birra, seduto sul suo divano. Lebo, Ham e Swift, di fianco a lui cominciarono a sghignazzare, deridendomi. Non avevo nemmeno voglia di ribattere, visto che avevo capito la stupidaggine fatta. La verità era che la neve mi piaceva così tanto da non farmi ragionare, soprattutto dopo averla vista per la prima volta.
«Posso scaldarti io, Lexi» ghignò Sick, avvicinandosi a me e appoggiando le sue mani sulle mie spalle. Istintivamente indietreggiai, spaventata da quello che Sick avrebbe potuto fare. Ero sicura che sì, fosse a conoscenza di diversi modi per scaldarmi, ma no, non mi interessavano. Andai involontariamente a sbattere contro Aria, che stava finendo di condire l’insalata, dietro al bancone. Stavo quasi per scusarmi, prima che Dollar urlasse contro di me che dovevo stare attenta, perché non bisognava scontrarsi in quel modo con le persone. L’occhiataccia di Aria per tranquillizzarlo mi fece ridere quasi più delle sue scuse borbottate.
La cena trascorse tranquilla e in allegria, con qualche bicchiere di vino di troppo che mi fece ridere più del dovuto, ma non volevo ubriacarmi prima del grande annuncio di Aria e Dollar che, ne ero sicura, sarebbe avvenuto a momenti.
«Lexi, mi aiuti a portare i piatti in cucina?» domandò Aria, facendomi capire anche con lo sguardo che non avrebbe accettato un no come risposta. Dovevo seguirla. Mi alzai in piedi barcollando e prendendo una pila di piatti per aiutarla a portarli in cucina, nonostante pesassero. «Ora, glielo diciamo ora» mormorò Aria, prendendo le stoviglie dalle mie mani per appoggiarle sul mobile poco distante da noi. La ringraziai mentalmente, visto che cominciavano a pesare veramente.
«Buona fortuna». Feci l’occhiolino, alzando entrambi i pollici per farle capire che ero con lei. Non ero ubriaca, ero solo felice, soprattutto perché, ne ero sicura, i ragazzi avrebbero preso la notizia con serenità. Aria sbuffò, tornando di fianco a Dollar in cucina e sedendosi sulle sue gambe, lasciando libera la sedia di fianco a me. Mi sedetti incrociando le braccia sotto al seno, in attesa di sentire che cosa avessero da dire Aria e Dollar, ma soprattutto i ragazzi; vedevo le mani di Aria stringersi convulsamente a quelle di Dollar mentre cercava di farsi coraggio, per questo non riuscii a non bisbigliare il suo nome, attirando la sua attenzione. «Sta calma, andrà bene» mormorai, piegandomi un po’ in avanti per stringere la sua mano e quella di Dollar con la mia. Entrambi si voltarono verso di me, donandomi un sorriso teso, che mostrava quanto fossero agitati.
«Ryan… io… io ti ho mentito. Ho mentito a tutti voi, cioè, vi ho nascosto una cosa» esordì così Dollar, appoggiando le sue mani sulla pancia di Aria. Io che sapevo la verità non riuscii a nascondere un sorriso, guardando i volti dei ragazzi per gustarmi la loro espressione. Ryan era furioso, aveva una vena che pulsava sul suo collo e sulla fronte, mentre con la mano stretta a pugno, cercava di respirare profondamente per non esplodere; Brandon era calmo, come al solito, ma si notava una strana luce nel suo sguardo, nel modo in cui guardava Dollar curioso, come se volesse capire cosa stava per dire. Sick aveva il suo solito ghigno sulle labbra che però era spento, in attesa di capire – probabilmente – quale fosse la cosa giusta – per lui –da dire. Josh e Paul… non li avevo mai visti così: la schiena dritta e la mano dietro alla schiena, come se… come se avessero una pistola e fossero pronti a usarla, senza nessun problema. Lebo e i due ragazzi nuovi cercavano di rimanere impassibili, ma riuscivo a notare i loro volti tesi e spaventati da quello che poteva accadere.
«Che cazzo vuoi dire Doll? Spero tu abbia una spiegazione per questa stronzata prima che mi incazzi». Ryan non smetteva di stringere la mano in modo convulso, controllando a stento il respiro. Speravo solo che Dollar potesse risolvere la situazione e ancora di più che la notizia della gravidanza non li sconvolgesse, altrimenti eravamo tutti e tre nei guai, soprattutto io, che non c’entravo con gli Eagles ma che avevo sostenuto Aria e la sua scelta di tenere il bambino.
«Stasera qui c’è qualcuno che non è un Eagles, oltre alla Doc, naturalmente». Lo sguardo di Dollar incrociò il mio per qualche istante e cercai di incoraggiarlo, sorridendogli appena; ero sicura che il mio sorriso assomigliasse di più a una smorfia, ma Dollar avrebbe capito il messaggio, sì. «Ecco… noi, Aria… è in arrivo un piccolo Eagles, o una piccola Eagles» concluse, sorridendo. La cicatrice sulla sua guancia si increspò, lasciando che le sue labbra si tendessero verso l’alto. Aria, ancora seduta sulle sue ginocchia, non respirava nemmeno, in attesa della risposta dei ragazzi. C’era però uno strano silenzio, come se tutti aspettassero un cenno per parlare. Sapevamo tutti chi doveva dire la prima parola, per questo nessuno fiatava, guardandolo.
«Sei incinta?» sbottò Ryan, spostando lo sguardo su Aria. Mi sembrò addirittura di vederla farsi più piccola, lì, tra le braccia di Dollar che – ero sicura – l’avrebbe appoggiata in qualsiasi scelta. Aria annuì, senza però dire una parola. Temevo quasi che le mancasse la voce per la paura della risposta di Ryan che sembrava quasi più rilassato. La mano era appoggiata alla tavola con il palmo all’ingiù; le dita non erano più contratte, ma rilassate. Sul suo volto però, c’era la solita maschera di strafottenza che non lo abbandonava mai. «In quanti mesi sei?» si informò, senza smettere di fissare Aria che deglutì, facendosi forza.
«Sono… sono ancora all’inizio, cioè, non devo partorire adesso, però… ecco, io, noi…» bofonchiò, senza dare una vera risposta a Ryan. Sospirai, fiera di lei: ero stata io a suggerire di non dire il mese esatto fino a quando non avesse capito se Ryan e i ragazzi erano o no contro la gravidanza. Così potevamo sempre mentire e dire che non era possibile abortire perché troppo tardi.
«Perché non l’hai detto prima? Il primo figlio degli Eagles? Cazzo, Doll, pannolini e vomito? Non farei mai cambio». Ryan si aprì in un sorriso sincero – uno dei pochi che avevo visto da quando ero arrivata, non un ghigno, un vero e proprio sorriso – e si alzò dalla sedia, raggiungendo Dollar e dandogli una pacca sulla spalla, per congratularsi con lui. Aria mi guardò, alzandosi in piedi, mentre Dollar sogghignava per le continue prese in giro di Ryan. «Aria, sei sicura di volere il figlio o la figlia di Doll? Una mammoletta come lui, che avrà paura di sparare per il cuore da tenerone?». Le mani di Ryan si appoggiarono alle spalle di Dollar, scuotendolo avanti e indietro scherzosamente.
«Mammina, vieni qui» mormorò Brandon, avvicinandosi ad Aria e abbracciandola. Le sue labbra si appoggiarono alla fronte di Aria che cominciò a ridere, asciugandosi una lacrima che stava scendendo lungo la sua guancia. «Sono felice per voi, davvero». Ero quasi sicura che Brandon avesse sussurrato queste parole ad Aria, prima di darle un nuovo bacio sulla fronte; si avvicinò poi a Dollar, abbracciandolo e dandogli delle sonore pacche sulla schiena che lo fecero lamentare.
«Cioè, un bimbo in arrivo sai cosa vuol dire? Te la darà meno, poi tu vorrai ancora vederla nuda, con quella cosa dentro di lei? Cioè, non sarà più definita trombabile nemmeno per me, con una pancia ripiena» sogghignò Sick, spegnendo la sigaretta sul posacenere davanti a lui e alzandosi poi per congratularsi con Dollar e Aria. Erano lì, tutti gli Eagles in fila, ognuno con una battuta diversa per Dollar e Aria, ma sapevo che, nonostante Sick continuasse a fare riferimenti alla sfera intima dei futuri genitori, erano felici per loro.
«Che ti avevo detto? Ti sei preoccupata per nulla» bisbigliai, avvicinandomi ad Aria. Non volevo che gli altri sentissero quello che avevo da dire, forse perché tutti credevano che io non sapessi la notizia. In verità, era impossibile nascondere la commozione nei miei occhi che si trasformava in lacrime silenziose; vedere i ragazzi così felici per Dollar mi faceva davvero stringere il cuore. Aria mi abbracciò, senza dire nulla, sapevamo entrambe che alcune volte non servivano parole, un abbraccio era molto più importante.
«Come lo chiamerete?» si informò Brandon, tenendo il braccio attorno alle spalle di Dollar che guardò subito Aria, in attesa di un consenso. La vidi annuire impercettibilmente, come se volesse tranquillizzarlo: non era un segreto e la notizia andava condivisa.
«Noi… se è una femminuccia… Ariel, ci piace Ariel. Se è un maschio – futuro Eagles senza nemmeno fargli fare la prova dell’ascensore – lo chiameremo JC. Glielo dobbiamo». La mano di Dollar si spostò dentro alla tasca dei suoi jeans; ero sicura che avesse il flag, ancora sporco dal sangue di JC, anche se non era un vero e proprio Eagles. Quella notizia riuscì a commuovermi ancora di più tanto che dovetti asciugarmi una lacrima che stava scendendo sulla mia guancia.
«Chi cazzo ha detto che non farà la prova dell’ascensore? Cos’è, un Eagles ad honorem? Non se ne parla, quando sarà abbastanza grande per decidere lo chiuderemo in ascensore senza di te, Doll, o non lo picchierai nemmeno, rendendo tutto più facile». C’era però, di nuovo, quel sorriso sul volto di Ryan che mi faceva capire quanto in verità stesse scherzando, come se nemmeno lui credesse alle sue parole. Forse, davvero, non ci sarebbe stata nessuna prova dell’ascensore per il piccolo JC, avrebbe portato il flag fin da bambino, abituato com’era a vedere suo padre e i suoi zii con quel pezzo di stoffa rosso. «Gli insegneremo i valori degli Eagles» continuò Ryan, diventando serio, «gli faremo vedere chi comanda e come, capirà che noi siamo la strada giusta e si unirà a noi, senza nemmeno prendere in considerazione i Misfitous o le altre bande». C’era quella sfumatura nella voce di Ryan, quella che faceva capire quanto fosse orgoglioso dei suoi Eagles e di quello che aveva creato.
«Ah, Sick, se dovesse essere Ariel… non ti tromberai mia figlia, è chiaro?» domandò Aria, facendo ridere tutti. Il modo in cui aveva detto quella frase, il suo puntare l’indice contro Sick per fargli capire che si stava rivolgendo proprio a lui, era davvero comico.
«Vedremo… potrebbe subire il mio fascino, magari se diventa bella come la madre…». Sick ammiccò verso Aria; sapevamo tutti che era il suo stupido modo di scherzare, per questo Aria e Dollar non si arrabbiarono nemmeno, seguendo gli altri in quella risata collettiva. «E adesso brindiamo ad Ariel, la futura figlia di Dollar, ma soprattutto di Aria, che mi tromberò tra una quindicina d’anni». Il bicchiere pieno di vino di Sick si sollevò, in un chiaro invito a seguirlo per festeggiare. Festeggiamenti che compresero un numero indefinito di brindisi, portandomi a bere vino contro la mia volontà, visto che se non brindavo non ero una vera amica di Aria. Non mi avevano ascoltata nemmeno quando li avevo supplicati di smetterla di farmi bere, perché il vino non riuscivo a reggerlo e mi sarei ubriacata di sicuro. Per questo ero seduta sul divano dei ragazzi, con un perenne sorriso sulle labbra e la testa pesante appoggiata sulla spalla di Dollar, di fianco a me. Non ero ubriaca, no. Ero esattamente nel limbo, quando sei così felice che la vita ti sorride e quando non hai problemi a dire quello che pensi.
«Aria… pensavo che con il tuo stipendio di dicembre potremmo comprare la cameretta, che dici?» domandò entusiasta Dollar, guardando Aria. Lo sentivo muoversi contro di lei e involontariamente, a ogni mossa, borbottavo infastidita: la mia testa si muoveva e sentivo un continuo martellare alle mie tempie.
«Sarebbe bello, sì» ribatté Aria. Anche se non potevo vedere la sua espressione sapevo che stava sorridendo. In qualche modo, il parlare davanti a tutti di qualcosa di così privato era per lei un’ulteriore conferma di quanto Dollar fosse felice di quella notizia. Mi misi a sedere: volevo ricordare ad Aria una cosa importante e magari era meglio farlo prima che comprasse la cameretta per il loro futuro bambino.
«Ricorda che non è detto che John ci paghi questo mese, magari salta» specificai, annuendo. Non si ricordava più che John non ci pagava regolarmente ogni mese? E se non avesse pagato proprio il mese di dicembre, come avrebbe fatto a prendere la cameretta per il piccolo? Probabilmente aveva bevuto e non si ricordava più di quel particolare.
«Lexi!» strillò Aria, spaventandomi. Sgranai gli occhi, cercando di capire perché tutti i ragazzi mi stessero fissando come se avessi detto qualcosa di male. Avevo solo detto la verità, perché Brandon e Dollar continuavano ad alternare i loro sguardi tra Aria, me e Ryan? Ma soprattutto, perché tutti stavano in silenzio?
«Che c'è? Ho solo detto la verità» mi giustificai, facendo spallucce e cercando di alzarmi per prendere il bicchiere d’acqua che avevo appoggiato sopra al tavolino. Quando alzai il sedere dal divano rischiai di cadere, se non fosse stato per i riflessi di Dollar che riuscì ad afferrarmi per poi appoggiarmi delicatamente sul divano.

«Che cazzo vuol dire che John non vi paga ogni mese?» sbottò Ryan, spostandosi nervoso sulla sua poltrona e curvandosi verso il divano sul quale eravamo seduti io, Dollar e Aria. Improvvisamente, dopo aver bevuto un sorso d’acqua, mi resi conto di quello che avevo detto: John non ci pagava, gli Eagles non lo sapevano, Aria si era raccomandata – appena avevo cominciato a lavorare al Phoenix – di non farne parola con nessuno e io stessa avevo scelto quella via per il bene di John e del Phoenix, per il bene di tutti quelli che andavano lì ogni giorno a tracannare birra e a bere superalcolici, sapendo di essere protetti dagli Eagles. Mi portai una mano davanti alle labbra, sapendo che comunque era troppo tardi.
«Niente Ryan, è ubriaca» cercò di giustificarmi Aria, senza però riuscirci. Dollar, in mezzo a noi due, cominciò a muoversi irrequieto, guardando prima me e poi Aria. Perché tutti ci stavano osservando, come se fossimo al centro di un teatrino? Era così grave che John non ci pagasse regolarmente ogni mese?
«Ops… forse non dovevo dirlo?». Suonava come una domanda, quando in verità volevo solo far capire ad Aria che mi dispiaceva di aver parlato troppo. Non mi ero nemmeno accorta di aver detto una cosa così importante senza nemmeno pensarci. «È uno scherzo» bofonchiai, cercando di sorridere per risultare credibile. La mascella serrata di Ryan e lo sguardo furioso di tutti i ragazzi però mi fecero capire che no, non ci credevano.

«Da quanto non vi paga ogni mese?» sbottò Ryan accendendosi nervosamente una sigaretta in attesa di una risposta. Abbassai il volto; avevo già fatto anche troppi danni, era il momento di Aria. Se dovevamo spiegare quello che succedeva dentro al  Phoenix, era meglio che fosse lei la portavoce, visto che ci lavorava da molto più tempo di me; e poi lei era la Signora di Dollar, quindi molto più intoccabile di me. Aria però non rispose: era seduta di fianco a Dollar e guardava le sue mani che si muovevano irrequiete. «Da quanto cazzo non vi paga ogni mese?» urlò Ryan battendo un pugno sul tavolino davanti a lui così forte che sussultai, spaventata. Non avevo però il coraggio di alzare lo sguardo per  guardare Ryan, doveva essere Aria a parlare.
«Da un paio d’anni. Solamente il primo anno mi ha pagato regolarmente, poi ha cominciato a saltare qualche mese; capitava ogni tanto, non mi interessava poi molto all’epoca visto che ero riuscita a mettere da parte un po’ di risparmi e non dovevo pagare l’affitto. Negli ultimi mesi – più o meno da quando è arrivata Lexi – è diventato più incostante» spiegò, interrompendosi subito dopo, come se si aspettasse che continuassi io. No, avevo davvero detto anche troppo.
«Per questo sei andata a fare quel servizio a New York? Non ti aveva pagata e non avevi i soldi per l’affitto?». Ryan si stava rivolgendo a me, ne ero sicura. Non volevo però guardalo, spaventata da quello che avrebbe potuto dire se gli avessi confessato che era per riuscire a pagare l’affitto che avevo accettato quel lavoro a New York. «Rispondi» sibilò, stringendo il pugno ancora appoggiato sopra al tavolo di fronte al divano.
«» bisbigliai, socchiudendo gli occhi, in attesa di uno scoppio da parte di Ryan. E se avesse picchiato me e Aria perché avevamo tenuto nascosta una cosa così importante? E se avessi dovuto pagarlo o qualcosa di simile? Ryan picchiò di nuovo il pugno contro al tavolo, alzandosi in piedi e gettando la sigaretta a terra per poi spegnerla con il piede quasi volesse distruggerla.
«Ryan, non è detto che…» cominciò a dire Brandon, prima di fermarsi, notando lo sguardo di Ryan: era furioso, non l’avevo mai visto così. La vena sulla fronte gli pulsava e la sua mascella era così contratta che temevo si potesse rompere. Brandon non terminò la frase, aspettando che Ryan parlasse.
«Non dire cazzate, ok? Quanto prendiamo da lui per parargli il culo? Cinquecento al mese, giusto? Non dirmi che non arriva a coprire spese e due fottute cameriere, perché non ci credo. Ci sono di mezzo loro, ci ha traditi, sta facendo il doppiogioco così ha il culo parato da entrambe le parti. Quel fottuto locale è quasi al confine, no? Ecco perché non gli hanno nemmeno storto un capello quando l’ha aperto, prima che noi ci facessimo avanti per difenderlo, era già d’accordo con loro, doppia protezione in cambio di chissà che prezzo. Andiamo da lui». Ryan si avvicinò al mobiletto vicino all’ingresso, dove di solito appoggiava la pistola appena entrato in casa. I ragazzi, spaventati, alternavano lo sguardo da lui a Brandon, in attesa di capire che cosa andasse fatto.
«Ryan, aspetta. Cerca di calmarti e poi andiamo da lui per capire quello che è successo, è Natale e probabil…». Di nuovo, Brandon non riuscì a finire la frase, interrotto da Ryan che, dopo aver caricato la sua semiautomatica, si avvicinò a lui, tenendo la pistola in mano, ad altezza uomo.
«Non me ne fotte un cazzo se è Natale o il giorno dei Ringraziamento. Anche se sta scopando con una puttana andiamo da lui e lo facciamo fuori, ok? Non si mente agli Eagles, la gente lo sa. Chi lo fa viene ucciso, è la regola. E non provare nemmeno a contestare, l’O.G. sono io e voi fate tutto quello che vi dico. Alzate quel fottuto culo e andiamo». Ryan mi faceva davvero paura: continuava a urlare gli ordini, camminando avanti e indietro in quella stanza, senza sapere bene dove andare, come se non controllasse il suo corpo. Sapevo che per lui quel tradimento era molto più grave di qualsiasi altra cosa, ma non volevo e non potevo intervenire, non quando anche Brandon non sapeva cosa fare.
«Andiamo da lui e gli chiediamo quello che è successo, ok? Non lo uccidiamo, ci facciamo spiegare perché ha reagito così». Sembrava che Brandon stesse stabilendo un patto: avrebbero appoggiato Ryan e quella sua missione solo se non ci fosse stato nessun morto. Speravo però che non picchiassero John al punto da causargli un coma.
«Muovetevi». Né sì, né no, solo un nuovo ordine, mentre tutti si alzavano dal divano per seguire Ryan che era già sul pianerottolo. Tutti tranne Dollar, ancora seduto tra me e Aria; aveva uno sguardo furioso, la sua mano torturava la gamba e riuscivo a vedere la stessa scintilla folle che avevo visto pochi istanti prima nello sguardo di Ryan. «Dollar, muoviti, non sei esente solo perché Aria aspetta tuo figlio» sbottò Ryan, tornando indietro di un passo dopo aver visto che Dollar non si era alzato per seguirli.
«Perché?» bisbigliò Dollar, rivolto ad Aria, di fianco a lui. Mi sentii improvvisamente in colpa, avevo combinato un casino solo perché non ero riuscita a tenere a freno la mia lingua, a causa di un bicchiere di troppo. Aria non rispose, lasciando solamente che una lacrima scendesse silenziosa lungo la sua guancia, mentre cercava di spiegare che non sapeva perché non ne aveva parlato. «Ne riparliamo a casa» spiegò Dollar prima di alzarsi dal divano senza nemmeno darle un bacio o salutarla. Uscì dall’appartamento chiudendosi la porta alle spalle e facendo piombare un improvviso silenzio, visto che eravamo rimaste solamente io e Aria.
«Aria… mi dispiace, io non mi sono resa conto di averlo detto, non volevo fare casini…». Non era nemmeno una giustificazione e lo sapevo, ma ero altrettanto consapevole di aver combinato un gran casino: Dollar si era arrabbiato con lei perché non aveva mai detto nulla, i ragazzi stavano andando da John e non sapevo nemmeno con che intenzioni precise, Aria era in lacrime davanti a me e io… io continuavo a torturarmi le mani, maledicendomi perché avevo bevuto troppo e combinato un casino.
«Non fa niente, avrei dovuto dirlo io. È solo che adesso sono preoccupata per loro. E se Jack non mi vuole più perché crede che io gli nasconda qualcosa? Adesso sono ancora più preoccupata per loro, è una guerra e non hanno paura di combattere. Magari Jack mi lascia perché gli ho mentito. E se non mi ama più?» singhiozzò, senza smettere di piangere. Tolsi il cuscino che stava torturando con le mani e la abbracciai, lasciando che si sfogasse un po’ prima di parlare. Ancora una volta Aria non riusciva a capire quanto Dollar la amasse, quando lui tenesse a lei e fosse pronto a difenderla.
«Aria, Dollar non ti lascerà mai, e andrà tutto bene, vedrai». Non volevo e non potevo promettere, perché sarebbe stato troppo per me vivere con il rimorso di aver promesso qualcosa di cui non ero sicura. Era anche inutile mentire ad Aria, quando – lei per prima – sapeva che Dollar rischiava ogni volta che usciva da quella porta. «Ti accompagno a casa così ti riposi, lascia stare qui, faccio io». Con un gesto del capo indicai la cucina dietro di noi: la tavola era ancora apparecchiata e c’erano i piatti sporchi da lavare, ma non volevo far affaticare Aria, soprattutto non quando era così preoccupata.
«Sei sicura?» mormorò, alzando il volto e asciugandosi una lacrima. Annuii sorridendo per rassicurarla e le diedi un fugace abbraccio, prima di alzarmi dal divano per accompagnarla a casa. Prima la portavo al sicuro, meglio mi sarei sentita. «D’accordo» sembrava quasi rassegnata, però raccolse le sue cose, prendendo la borsa per tornare a casa.
«Dai, andiamo» mormorai, aprendo la porta del 3B e aspettando che uscisse per richiuderla alle mie spalle. Accompagnai Aria a casa, fermandomi per prendere un tè assieme a lei e rassicurandola ancora una volta che non sarebbe successo nulla. Quando uscii da casa sua, nonostante l’ora tarda e le nuvole, ero così felice per la neve che non riuscivo a smettere di sorridere. Tutto era ricoperto da uno strato bianco: i marciapiedi, le strade, perfino i parchimetri, era magico. Non sentivo nemmeno il rumore del motore di qualche macchina o moto, solo un silenzio che mi rilassava e mi rendeva felice. Tornata a casa entrai nell’appartamento dei ragazzi usando la chiave che era nascosta sotto allo zerbino e, dopo aver acceso la radio perché mi tenesse compagnia, cominciai a sistemare la cucina, lavando i piatti e sparecchiando la tavola imbandita. Non sapevo nemmeno dove sistemare i segnaposti che io e Aria avevamo ritagliato quella mattina, così, per rendere l’ambiente più ospitale, li appoggiai sopra alla TV, in fila. C’erano nove Babbo Natale, ognuno con il nome di uno dei ragazzi.
«Che cazzo ci fai qui?» proruppe qualcuno, mentre rimiravo il mio lavoro. Era una voce femminile, era la voce di… mi voltai con un sospiro, guardando Butterfly in piedi davanti alla porta d’ingresso. Era sempre lei, con i suoi lunghi capelli biondi acconciati in dreadlock e il trucco pesante a incorniciarle gli occhi chiari.
«I ragazzi hanno avuto da fare e ho sistemato la cucina» spiegai, prendendo il mio giaccone e la borsa. Meno stavo nella stessa stanza di Butterfly e meglio era per entrambe. L’ultima volta che ero rimasta con lei in una stanza era stato per la festa di Dollar e Aria, e non volevo di certo ripetere l’esperienza. «Ciao Butterfly» salutai avvicinandomi alla porta. Si scostò per lasciarmi passare senza nemmeno salutarmi. Poco male, di certo sarei sopravvissuta anche senza il suo saluto, pensai infilando la chiave nella toppa per aprire la porta del mio appartamento.
«Aria dov’è?». Una voce maschile, questa volta. Una voce mi parlò alle spalle e la riconobbi subito: Ryan. Mi voltai, lasciando la porta socchiusa dietro di me e sospirando sollevata quando vidi che non aveva segni di lotta sul viso e che i suoi vestiti erano integri. Anche i ragazzi dietro di lui – ad eccezione di Dollar, che non c’era – non avevano segni di lotta evidenti. Sembrava che non fosse successo niente di grave, per fortuna.
«È tornata a casa, l’ho accompagnata io, sta bene» rassicurai tutti quanti, appoggiando la schiena allo stipite della porta dietro di me. Una parte di me voleva chiedere come era andata, se John stesse bene o meno, l’altra però aveva paura di sentire la risposta, perché sapevo che i ragazzi erano capaci di fare di tutto. «State tutti bene?» azzardai. Non era una domanda troppo indiscreta e potevano dire che anche John stava bene, così da rassicurarmi.
«Era come pensavamo, John ci ha traditi». Ryan era di poche parole e questo mi fece capire che non voleva parlarne, per questo annuii solamente, spostandomi dallo stipite e aprendo la porta per entrare a casa. Non volevo sapere e se Ryan non parlava significava che non c’era niente da sapere o niente che io potessi sapere.
Quando mi chiusi la porta alle spalle sospirai, appoggiando la schiena al legno e scivolando fino a sedermi per terra. Era sempre più difficile vivere a contatto con i ragazzi e la loro vita; mi toglieva tutte le forze in alcuni momenti, anche se in altri non potevo fare a meno di pensare a quanto ero fortunata ad averli conosciuti. Cercavo io stessa di trovare un equilibrio a quei due risvolti della medaglia, ma sapevo benissimo che c’era una parte più importante dell’altra: la corsa in moto verso il Rockefeller Center, il pattinare sulla pista di Lower Plaza, il quattro luglio a Coney Island, il giorno del Ringraziamento con loro, al 3B, l’amicizia con Aria… era tutto così vivo nella mia mente tanto da rendere tutto il resto meno importante.
 
«Come stai?» chiesi ad Aria, saltellando fuori dalla porta del Phoenix perché la neve che continuava a cadere mi aveva bagnato i capelli, anche se avevo cercato di tenerli nascosti sotto al berretto di lana. Era il giorno dopo Natale e, come stabilito un paio di giorni prima, il Phoenix l’avremmo aperto io e Aria; John sarebbe arrivato un paio d’ore dopo. Mai come quel giorno volevo vedere John, per assicurarmi che stesse bene. Lo odiavo, certo, era uno stronzo che amava farti sentire inferiore a lui non appena era da solo, ma era pur sempre un uomo e, anche se non aveva famiglia, ero sicura che qualche caro vicino a lui fosse venuto a trovarlo per Natale.
«Come vuoi che stia? Ieri sera ho litigato con Jack e siamo riusciti a chiarirci stamattina all’alba, praticamente. Non ho dormito e mi fanno male le gambe, in più al pensiero di dover lavorare per dieci ore sto ancora più male» si lamentò, aprendo la serranda e massaggiandosi la schiena. «Sono a pezzi oggi, dico davvero». Aprì la porta del locale, entrò e si sedette subito sul primo sgabello che trovò, sollevando le gambe e sospirando.
«Aria, dovresti andare a casa a riposarti un po’, sul serio. Non devi sforzarti, fai del male a tutti e due. Vai a casa, faccio io qui, non ti preoccupare, dico a John che ho preso anche il tuo posto perché non ti sentivi bene» proposi, sperando che accettasse. Non doveva affaticarsi e soprattutto era normale che si stancasse più facilmente, specialmente perché aveva passato la notte insonne, litigando con Dollar per qualcosa che avevo scatenato io.
«No, rimango, non ti preoccupare. Magari spino solo le birre e tu le servi, ok?» azzardò, sorridendo. Era uno sorriso stanco, un sorriso che non riusciva a mascherare la sua preoccupazione per diverse cose, prima tra tutti la litigata con Dollar. «No, Lexi. Lo so a cosa stai pensando. Non sono preoccupata per Jack, sono solo stanca, davvero». Appoggiò la sua mano sulla mia, stringendola appena. Volevo chiederle se era tutto sistemato, ma la porta del Phoenix si aprì e il piccolo campanello posto sul lato dello stipite annunciò che era entrato qualcuno.
«Siete qui, ragazze? Oggi vi lascio la giornata libera. Questi sono i sei mesi di arretrato che ti devo, Aria. Lexi, per te ci sono i tre mesi che non ti ho pagato e altri cinquecento dollari». Porse una busta ad Aria e un’altra a me. Riuscivo a capire perché avesse improvvisamente deciso di pagare i mesi in arretrato, ma perché mi doveva dare anche cinquecento dollari? Cosa avevo fatto per guadagnare cinquecento dollari così, all’improvviso?
«Per… perché cinquecento dollari in più?» chiesi confusa, seguendo però l’esempio di Aria e prendendo la busta che John teneva tra le sue mani. Cominciai a torturare i bordi, in attesa di una risposta guardando John sembrava indeciso, come se non volesse davvero spiegare quel particolare.
«Io… il primo giorno, quando sei arrivata, ho mandato Simon e Hugh a casa tua, per capire chi fossi. Avevo l’alibi perché stavo lavorando qui ed ero sicuro che nessuno mi avrebbe mai scoperto, in più Simon e Hugh non sono né degli Eagles né dei Misfitous, quindi nessuno avrebbe sospettato di loro. Mi dispiace, avevo bisogno di soldi per riuscire a pagare Ryan e Dead, non volevo spaventarti». C’era quasi una traccia di umanità dietro ai piccoli occhiali, dentro ai suoi occhi. Una piccola fiammella che però non riuscivo a veder crescere, perché John mi aveva presa in giro, esattamente come aveva fatto con Ryan e gli Eagles. John mi aveva chiesto come stavo dopo la rapina a casa mia e aveva lui stesso i soldi che mi avevano rubato. «Mi dispiace Lexi, davvero». Non riuscivo nemmeno a credere alle sue parole, troppo sconvolta da quella notizia. Ryan lo sapeva? Era legale per le leggi degli Eagles che qualcuno rubasse?
«Perché ci stai pagando adesso?» domandai stupidamente, forse perché speravo che la risposta che avevo pensato non fosse quella vera. Dove aveva trovato i soldi per pagare tutti quei mesi di arretrato e perché proprio il giorno dopo che Ryan e gli altri lo avevano scoperto?
«Andate a casa ragazze» ci consigliò John, cercando di sorridere. In verità sul suo volto – quel giorno ancora più tirato e stanco del solito – comparve solo una smorfia che mi fece salire le lacrime agli occhi. Era stupido, era infantile, era da idioti, eppure, forse per la prima e unica volta, vedevo John come un essere umano.
Aria uscì dal locale in silenzio e decisi di seguire il suo esempio; una volta uscita, però, la mia curiosità prevalse sul buonsenso, costringendomi a chiedere spiegazioni. «Aria, perché ha fatto così? Cosa voleva dire?». La costrinsi a fermarsi, afferrandole un braccio perché continuava a camminare senza degnarmi di uno sguardo.
«Vai a casa Lexi» mugolò, senza riuscire a nascondere gli occhi gonfi di lacrime che non sapeva trattenere. Cercai di chiederle spiegazioni, ma cominciò a camminare velocemente verso casa sua, dalla parte opposta rispetto a Whittier Street. Era… era come se tutti sapessero che stava per succedere qualcosa, ma non riuscivo a capire che cosa, esattamente. Di sicuro c’entravano Ryan e gli Eagles, con molta probabilità anche i Misfitous. La reazione di John mi aveva fatto capire che anche lui era in mezzo a quella situazione e, visti i risvolti del giorno prima, ero quasi convinta che lui ne fosse la causa. Tornai a casa e per tutto il giorno feci le pulizie, cercando di tenere il corpo e la mente occupati, senza però riuscirci. Nonostante non mi fossi fermata nemmeno per pranzare, non riuscivo a smettere di pensare al comportamento di John e a quello di Aria. Sicura che mi sarei confusa ancora di più, non avevo nemmeno bussato al 3B per chiedere spiegazioni, tanto non sarebbero arrivate.
Quando andai a dormire, quella sera, c’era una strana sensazione che non se ne voleva andare; sensazione che si intensificò quando, arrivata al Phoenix, notai che la serranda non era stata aperta. Dov’era John? Era il suo turno di aprire il locale. La situazione non migliorò quando notai, all’angolo della strada, una piccola folla di gente che borbottava irrequieta. Mi avvicinai a loro lentamente, non sapendo che cosa aspettarmi. «Che succede?» domandai a Peter, notando che era quello più sconvolto di tutti; se ne stava in un angolo in disparte, seduto su una pietra a qualche metro dalla folla. Le mani tra i capelli e una sigaretta tra le labbra che fumava quasi in modo isterico.
«John è dietro l’angolo. Morto. L’hanno ammazzato, ma non si capisce chi sia stato. Ha il biglietto da visita degli Eagles, ma non possono essere stati loro perché lui era un Periperhal degli Eagles. Deve essere stato qualcun altro che ha lasciato il loro biglietto da visita per incolparli». John era dietro quel muro, morto? Spalancai gli occhi, sorpresa da quella notizia; chi era stato a ucciderlo? Gli Eagles o i Misfitous che avevano mascherato la sua morte? E poi, cosa significava che John aveva il biglietto da visita degli Eagles? Qual era il loro biglietto da visita? Ricordavo che, quando JC era morto, Brandon o Ryan mi aveva parlato di quello dei Misfitous – un punto rosso in fronte – ma non mi avevano mai detto com’era il loro. «Lexi, non andare, davvero, non è un bello spettacolo». La mano di Peter sfiorò la mia per fermarmi; anche il suo sguardo mi supplicava di non andare, perché di sicuro lo spettacolo non era piacevole. Eppure ero un medico e volevo vedere quello che gli era successo.
«Sono un medico» gli ricordai, avanzando di un passo verso l’angolo e prendendo un respiro profondo. Quanto poteva essere messo male John? Quando riuscii a farmi spazio tra la folla, rabbrividii, sconcertata: il corpo di John era… «O mio Dio» mormorai, portando una mano davanti alle labbra. John era senza maglia, potevo notare il foro di un proiettile esattamente sopra al cuore, ma non era quello che mi aveva colpita: c’era un uccello stilizzato intagliato sul suo petto che non mi sconvolgeva quanto le due X incise sui suoi occhi e quella che c’era sulle sue labbra. Chi aveva fatto quei tagli non si era nemmeno scomposto; erano decisi e secchi, senza ripensamenti. Era quello il biglietto da visita degli Eagles? Disegnare con un coltello una X sulle labbra e sugli occhi e un’aquila stilizzata sul petto solo dopo averlo ucciso con un colpo di pistola?
«Che cazzo ci fai qui?». Qualcuno strattonò il mio braccio, costringendomi a indietreggiare spintonando la folla che non si voleva allontanare da quello spettacolo così macabro. Ryan mi fece attraversare la strada, allontanandomi da tutti, anche da Peter, che continuava a guardarci. «Va a casa subito» ordinò, senza lasciare il mio braccio ma, anzi, stringendo di più la presa.
«Siete stati voi?». Un sussurro, perché quello spettacolo aveva davvero messo a dura prova i miei nervi da medico. Nemmeno quando arrivavano all’emergenza i ragazzi che perdevano gli arti a causa di qualche incidente in moto avevo reagito in quel modo, forse perché quello che avevo appena visto era un gesto barbaro.
«Vai a casa» ripeté, quando vidi avvicinarsi a noi Brandon e gli altri. Cercai di chiedere di nuovo se erano stati loro a ucciderlo, ma Ryan non mi lasciò parlare, interrompendomi: «Non ti interessa sapere chi è stato, va a casa e dimentica tutto quello che hai visto, fingi che siano stati i Misfitous se ti fa stare meglio». Era un’ammissione, esattamente come se avesse appena detto che erano state le sue dita a impugnare il coltello che aveva inciso sulla carne di John, come se fosse stato il suo indice a premere il grilletto della pistola che gli aveva puntato al petto.
Così era stata opera degli Eagles, per spaventare i Misfitous o per ricevere più attenzioni? Era perché così più persone sarebbero corse a farsi proteggere da loro o c’era anche qualche altro motivo? Perché, di sicuro, quella era una battaglia di cui tutti sapevano l’esistenza, ma era una guerra con strategie segrete che pochi conoscevano. Io ero una di quelli.
 
 
 
 
 
Ragazzuole buongiorno! E alle maturande… in bocca al lupo! :)
Dunque, prima di tutto: il titolo. “All chickens come home to roost” equivale al nostro “Tutti i nodi vengono al pettine” e mi riferisco alla questione “rapina all’appartamento di Lexi”. Si sapeva? Non si sapeva? Si era capito? Non si era capito? Avevo lasciato indizi sparsi, alcune di voi avevano capito che erano stati i due ragazzi, altre avevano supposto che fosse stata opera di John, ma nessuna (mi pare) aveva unito le due cose. Forse qualcuno aveva ipotizzato che John fosse invischiato con i Misfitous, ma avevo volutamente lasciato cadere l’argomento “ladri” per non dare troppi indizi.
Ma passiamo al capitolo! Per quanto riguarda la prima parte, la reazione dei ragazzi alla notizia di Dollar e Aria… be’, io lo ammetto, lì, per la prima volta, sono riuscita a farmi piacere Ryan, non chiedetemi il motivo perché non credo di saperlo spiegare.
Per quanto riguarda il “biglietto da visita” degli Eagles… ci ho pensato tanto. Avevo un’alternativa ancora peggiore, lo ammetto, poi ne ho scelto una molto macabra, ma meno “forte”. Rimane il fatto che è comunque una cosa molto più barbara rispetto ai Misfitous che fanno solo un punto rosso sulla fronte. Questo, ancora una volta, per ricordarvi che gli Eagles non sono buoni, semplicemente Lexi sta  cercando di vedere il loro lato migliore.
Bene, spero di essere riuscita a incuriosirvi con la parte finale, aumentando un po’ il livello di adrenalina e… niente, ringrazio preferiti, seguiti e da ricordare che hanno raggiunto un traguardo tondo tondo che non mi sarei mai aspettata. Ringrazio anche le tantissime persone che ogni volta commentano i miei capitoli, aiutandomi a capire se sono riuscita a confondervi o meno! :P
Come sempre, per chi volesse spoiler, foto e capire quanto rompo le balle, questo qui è il mio gruppo: Nerds’ corner.
A presto (farò comunque sapere nel gruppo quando aggiorno con anticipo).
Rob.
   
 
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