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Autore: JulietAndRomeo    20/06/2012    2 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2: Un nuovo coinquilino.

Erano passati quattro mesi dal ricevimento in casa dei Norton. Io e Nick ci eravamo visti spesso, anche solo per una chiacchierata.
Spesso ci ritrovavamo in un bar rinomato a Beverly Hills e, una volta a testa, ci offrivamo la colazione, durante la quale leggevamo il 'L.A. Times', sorridendo della fantasia dei cronisti e delle storie stesse con spensieratezza.
Una mattina, la storia era uguale a quella appena descritta, ma un elemento era fuori posto: Nick non sorrideva. Avevo provato di tutto: a farlo ridere, a fargli almeno spiccicare una parola, ma evidentemente non era nelle sue intenzioni: «Hey, ascolta questa! 'Donna afferma di aver incontrato alieni durante...' hey Nick, ho un segreto da confessarti: sono incinta di uno sconosciuto» dissi sperando di attirare la sua attenzione.
«Davvero ottimo, concordo con te» rispose continuando a fissare il suo caffè.
«Non mi stai ascoltando» dissi dandogli un pugno sulla spalla: «Mi spieghi che diavolo ti prende?».
«Non c'è niente che non vada, Macy, ero solo un po' distratto» spiegò atono: e io ovviamente non gli credetti.
«Avanti, sputa il rospo o preferisci che mi faccia portare una caraffa di thé freddo da poterti rovesciare in testa? E smettila di guardare quello stupido caffé! Non cambierà colore solo perché continui a fissarlo, chiaro?» avevo detto scocciata.
Mi guardò con uno sguardo malinconico e triste, uno sguardo che non gli avevo mai visto in volto.
«Vuoi davvero saperlo?» mi chiese.
«Se non lo avessi voluto sapere, non te lo avrei chiesto e adesso parla! La mia pazienza non è infinita, ormai dovresti averlo imparato» risposi.
«Ebbene: i miei genitori si trasferiscono in Italia e vogliono che io vada con loro... ovviamente ho possibilità di scelta» disse senza guardarmi negli occhi.
«Tutto qui? Tutta questa tristezza per qualche tempo in Italia? Andiamo, che sarà mai un po' di tempo lontani da L.A.? E poi l'Italia è bella, io ci sono stata, ti divertirai» dissi tirando un sospiro di sollievo.
«E chi ha mai parlato di qualche tempo? Se mi trasferirò lì dovrò rimanerci per sempre» disse sorridendo amaro nella mia direzione.
Per sempre? Nel mio vocabolario non figurava la parola 'sempre' da quando mia madre mi aveva abbandonata. Se Nick andava via per sempre avrebbero potuto benissimo internarmi in manicomio perché, anche se non volevo ammetterlo, mi ero affezionata a lui e alla nostra strana routine e non avrei potuto sopportare che qualcun'altro mi lasciasse così su due piedi.
«Non puoi farlo!» strillai isterica, alzandomi e facendo cadere la sedia all'indietro e barcollare il tavolino, nello stesso tempo.
Ormai avevo attirato l'attenzione di tutti e Nick, per salvare il salvabile, oltre che la faccia, aveva pagato il conto, anche se toccava a me farlo, e, dopo aver afferrato le sue cose e anche le mie, si era precipitato fuori dal locale. Appena mi resi conto che stava andando via e per giunta con le mie cose, mi guardai un attimo attorno, per recuperare il senso della realtà e uscire da quel baratro buio, nel quale la mia vita stava velocemente precipitando di nuovo come la prima volta, e lo rincorsi all'esterno del locale.
«Hey! Aspetta, accidenti! Aspetta!» dissi strattonandolo per un braccio, una volta che lo avevo raggiunto: «Che cazzo significa 'per sempre'?» strillai.
«Tu hai l'aspetto di un angelo, ma il linguaggio di uno scaricatore di porto: sei davvero strana, Macy» disse, tentando di sviare la mia domanda. Illuso! Io avevo vissuto con mio padre per diciotto anni, lo 'sviatore di domande' per eccellenza, nessuno riusciva a distrami dall'ottenere una risposta.
«Rispondi, stronzo! Giuro che ti ammazzo a mani nude, se non lo fai! Mi farò dare l'ergastolo con la soddisfazione di averti tolto quel sorriso idiota dalla faccia, almeno!» dissi lanciandogli uno sguardo di fuoco.
«'Per sempre', Macy, significa che resterò lì, finchè la morte non mi troverà, significa che non tornerò a L.A. neanche per sbaglio, contenta?» rispose con uno sbuffo.
«Contenta?!» urlai con quanto fiato avevo in gola: «Mi stai per caso chiedendo se sono contenta?! Ma dico?! Ti sei forse bevuto il cervello?! O, cercando di connetterli, hai sbagliato filo e ti sono andati in corto quegli ultimi due neuroni che non erano stati bruciati dalle canne che evidentemente ti sei sparato? Come posso essere contenta? Tu te ne vai 'per sempre', lasciandomi qui da sola, e io dovrei essere contenta?! Sei un idiota!» ringhiai.
«Che altro posso fare, Macy? Eh? Dimmelo tu, perché io non ne ho la minima idea! Qui non ho un posto dove stare, perché abbiaamo venduto la casa, e, se non fossi ricco sfondato, direi anche un lavoro, visto che mio padre trasferisce la sua attività in Italia! Credimi, vorrei rimanere qui, Los Angeles è la mia città e ci sei tu, che sei meglio di qualunque amico maschio io abbia mai avuto, ma devo andarmene! Se i miei genitori se ne vanno, chi rimarrà con me?» mi chiese gesticolando freneticamente.
«Ci sono io! Lo hai detto tu: sono meglio di qualunque amico maschio tu abbia mai avuto! Qual è il problema? Hai detto anche che sei ricco sfondato, quindi potrai prendere un volo per l'Italia quando vorrai, se proprio non ti troverai bene con me o ti mancheranno troppo i tuoi genitori! Io non ci vedo nessun problema, sei tu che ti fai troppi corti cinematografici in testa!» ribattei.
Parve pensare a quello che avevo detto e poi disse: «Ok, ammettiamo che possa fare come hai detto: dove abiterò? I miei hanno già venduto la casa».
Sogghignai e anche in modo malefico, a giudicare dall'espressione del mio amico: «A casa mia: ci sono quattro stanze per gli ospiti o una depandance se ti fa più piacere, ne avessi mai usata una! Potrai stare lì: non c'è nessun affitto da pagare, visto che la casa è di mia proprietà e potrai rimanere a Los Angeles» risposi con veemenza: «Adesso che ho risolto tutti i tuoi stupidissimi, nonché senza senso, dubbi, posso riavere le mie cose?» dissi indicando la mia borsa e il mio trench.
Nick guardò me, guardò le mie cose e poi annuì: «Ecco, tieni» disse porgendomele.
Le afferrai e insieme ci incamminammo per la strada. Per un po', nessuno dei due parlò, finché lui non interruppe il silenzio che si era venuto a creare: «Cos'è quel casino laggiù?» domandò.
Mi indicò un punto compreso tra Rodeo Drive e Dayton Way: un assemblamento di curiosi e volanti della polizia si trovava all'angolo tra le due strade. Ci avvicinammo anche noi, per vedere cosa fosse successo: un agente della polizia, appena arruolato probabilmente, cercava di trattenere i curiosi, con scarsi risultati. La gente continuava a spingerci e io, che per una volta ringraziai la mia bassa statura, riuscii ad arrivare quasi al centro della calca, beccandomi, nel frattempo, qualche gomitata.
«Hey!» urlai a pieni polmoni, stufa di essere picchiata selvaggiamente da degli scalmanati: «La volete piantare di urlare e di muovervi come se foste una mandria di bisonti? Si, ho detto bisonti, signora!» continuai, zittendo una donna di 150 chili più o meno che, alla parola 'bisonti', aveva alzato la mano e aperto la bocca per protestare: «Date ascolto all'agente o vi faccio arrestare per aggressione, sono stata chiara?» dissi indicando l'occhio, che di li a poco sarebbe diventato nero. Visto che non avevano la minima intenzione di smettere di guardarmi continuai: «Sparite! Tutti!» ruggii.
Tutti mi guardarono ancora con tanto di occhi, ma poi, dopo qualche sguardo assassino, si dispersero in poco tempo.
«E adesso,» ripresi, puntando il dito contro il giovane agente: «Che diavolo sta succendendo? E dove cazzo è l'ispettore Lewis?» strepitai.
«Io... io... cioé, io... non po-posso chi-chiamarlo, signorina» disse il tipo, balbettando.
«Mi ascolti attentamente, agente... Barron,» dissi leggendo il nome sulla targhetta: «Perché potrebbe essere l'ultima volta che le verrà dato l'appellativo d'agente, quindi aprà bene le orecchie: voglio, esigo e pretendo di parlare con l'ispettore entro sessanta secondi o la farò spedire a dirigere il traffico in così breve tempo, che non avrà il tempo di dire la parola 'football'. Mi sono spiegata?» sibillai.
«S-si, si, signorina, v-va-vado subito a chiamare l'ispe-pe-pettore» disse il ragazzo correndo via.
«Bravo» risposi, ghignando.
«'Voglio, esigo e pretendo'? Non ti sembra di aver esagerato con lui? Se l'è fatta sotto!» disse Nick, ridendo.
«Probabile» dissi asciutta, storcendo il naso.
Pochi secondi dopo, l'agente che si era allontanato, tornò tirando per la manica un ispettore parecchio seccato: «Barron, ma che diavolo sta facendo, accidenti? È per caso impazzito? Io sono con il medico legale, a parlare di questioni importanti, e lei mi tira via per la manica? La farò degradare glielo giuro, Barron: la sua indisciplina è davvero inaccettabile!» esclamava l'ispettore.
«Ma ispettore, la prego, mi segua, non volevo strapparla al suo lavoro, ma una ragazza inquietante cerca di lei! Io le ho detto che non era disponibile, ma lei mi ha minacciato e aveva gli occhi che lampeggiavano e poi... ispettore la prego venga con me!» piagnucolava l'agente.
«Barron, non si beve in servizio! Le persone non hanno gli occhi che lampeggiano! La smetta di cercare di abbonirmi Barron, lei ha passato ogni limite!» urlava di rimando l'ispettore.
Decisi che era arrivato il momento di finirla con quel teatrino: «Ispettore Lewis!» chiamai agitando in aria un braccio.
L'ispettore, che si era girato per tornare al suo lavoro, deciso ad ignorare l'agente, si voltò verso di me come se gli avessero tirato un secchio d'acqua gelata in testa: «Cullen?» domandò stupito.
Ci tengo a precisare, che il mio cognome è 'Cullen', proprio come quello dei vampiri, ma io a differenza loro, se fossi stata una vampira, avrei già sterminato metà della popolazione mondiale: quindi, dato che gli idioti continuano a prosperare sul pianeta, si può dedurre che non sono un vampiro, purtroppo.
«Si, sono io, ispettore e la smetta di guardarmi come se avessi due teste!».
«Cullen, che ci fa da queste parti? E come sa che sono diventato ispettore a Los Angeles, mi pedina per caso?» disse preoccupato Lewis.
È giusto che io vi dia qualche spiegazione: l'ispettore Lewis, non è sempre stato un agente della polizia di Los Angeles, infatti, prima era al 54th distretto a New York. Lo conobbi quando anche io e mio padre abitavamo lì e lui indagava su quella che credevamo fosse la 'scomparsa' di mia madre, anziché la 'fuga' di mia madre. Smisero di indagare quando, la suddetta donna, mandò una lettera a mio padre spiegandogli il motivo della sua fuga. Da quel giorno, io e mio padre, ci trasferimmo a Los Angeles.
«Io non la pedino, ispettore, ho soltanto qualche conoscenza al distretto che mi ha informata del suo trasferimento e, di conseguenza, del suo nuovo ruolo all'interno del dipartimento» dissi risoluta.
La diffidenza dell'ispettore mi fece ridere: «Non si preoccupi , ispettore, posso assicurarle che non la sto pedinando e poi, quando la conobbi, ero solo una bambina, adesso ho vent'anni!».
Abbandonato ogni sospetto, l'ispettore si avvicinò: «Che vuoi, Macy?».
«Voglio sapere che cosa è successo» dissi senza giri di parole.
L'ispettore sospirò e alzò il nastro giallo: probabilmente anche a lui erano arrivate le voci che vedevano me e il mio 'svago' protagonisti. Nick fece per passare, ma l'ispettore lo bloccò: «Chi è lei?».
«Lui è Nicholas Black, ispettore, un mio amico, nonchè mio futuro coinquilino quindi, quando verrà a trovarmi, la sua presenza sarà costante in casa» dissi rivolgendomi all'ispettore.
«Cosa le fa credere che verrò a trovarla, signorina Cullen?». «Ma come? Da 'Macy' sono diventata la 'signorina Cullen'?» ribattei ridendo.
Ad un'occhiata di fuoco dell'ispettore, però, risposi seriamente: «Uffa, e va bene! Verrà a trovarmi perché vorrà il mio aiuto per risolvere i casi più complicati, ispettore».
A quel punto, Nick e la sua faccia stranita, mi ricordarono che il mio futuro coinquilino non sapeva niente di come mi divertivo nel tempo libero, oltre che con gli sport estremi.
«Aiuto la polizia a risolvere i casi più difficili: un po' come... Sherlock Holmes» dissi sorridendo.
Dopo la mia frase, sentii l'ispettore mormorare nella direzione di Nick: «Se andrà davvero ad abitare con lei, ci farà l'abitudine, ragazzo mio».
«A cosa?» disse Nick.
«Alle sue stranezze» rispose l'ispettore.
Detto questo, l'ispettore ci fece strada sino ad un vicoletto stretto e maleodorante in Rodeo Drive: il vicolo era stretto di per sé e sembrava ancora più stretto a causa degli agenti che brulicavano lì intorno, in cerca di indizi e quant'altro. Lewis ci accompagnò dal medico legale: «Finalmente, ispettore! Come le stavo dicendo prima che... chi sono questi ragazzi?» disse il coroner, indicando me e Nick.
«Emh... aiutano nelle indagini» lo liquidò l'ispettore.
«Se lo dice lei... comunque, il signore è morto più o meno 22 ore fa quindi ieri tra mezzogiorno e l'una: lo stato di rigor è completo» disse facendoci vedere la rigidità delle articolazioni: «A prima vista sembra non ci siano segni di colluttazione, ma le saprò dire di più dopo l'autopsia» completò l'uomo. Poi disse di portar via il corpo con la massima delicatezza.
«La causa della morte?» disse l'ispettore.
«È strana e non voglio mettervi su piste sbagliate quindi preferisco rifervivi questo particolare dopo l'autopsia».
L'ispettore annuì, prima di essere chiamato da un agente. Io e Nick, invece, andammo in giro a cercare qualche indizio.
«Ieri ha piovuto, Nick?» chiesi con indifferenza.
«Umh... no, non mi sembra, perchè?» rispose Nick, indagando le mie espressioni.
«Chiedevo perché percepisco dell'umidità e i miei capelli potrebbero gonfiarsi» mentii.
Camminavo, cercando di evitare le impronte lasciate nella pozza di fango che costeggiava una delle case, tra cui il vicolo era compreso, quando Nick si fermò di botto: «Però, stanotte si!».
«Ne sei sicuro?».
«Si perché ricordo di aver pensato che il tempo si adattasse perfettamente al mio umore» rispose.
«Vieni con me» dissi facendo un gesto con la mano: «Vedi queste tracce? L'ora del decesso è sbagliata, se ha piovuto solo stanotte».
«Come fai a dirlo?».
«Vedi la posizione del cadavere? E qui, sul legno, vedi le impronte delle mani dell'uomo? Se fosse morto a ora di pranzo, come dice il medico legale, non ci sarebbero tracce di fango sotto le scarpe dell'uomo e non ci sarebbero state impronte di mani infangate sul legno visto che non ha piovuto ieri» dissi indicando le varie cose man mano che ne parlavo.
«Quindi è morto stanotte? Ma, anche se fosse morto stanotte e anche se la temperatura fosse stata di venti gradi, come è possibile che sia già in rigor? Ha iniziato a piovere alle tre del mattino, il rigor entra in moto tra le dieci e le dodici ore dalla morte, dunque sforiamo in ogni caso di 6 ore! Il rigor sarebbe dovuto arrivare alle 15 di oggi! Invece sono le 9 del mattino ed è completamente rigido!» esclamò Nick.
«Lo so» dissi: «E lo sa anche il medico legale, immagino».
«Come fai a saperlo?».
«Intuito. Torniamo a casa».
Nick si limitò a seguirmi, dopo che già mi ero incamminata. Stavo pensando a come quell'uomo fosse riuscito a trascinarsi fino in quel vicolo buio e perché avesse scelto quel luogo per morire, quando Nick mi diede un leggero colpo sulla spalla: «Credo che dovremmo andare a casa mia, Macy, sai dovrei dire ai miei che rimango a Los Angeles» disse Nick, distogliendomi dai miei pensieri.
«Si hai ragione, andiamo».
Ripercorremmo Rodeo Drive e arrivammo alla macchina di Nick; in macchina nessuno parlò, Nick era attento e concentrato sulla strada e io guardavo fuori dal finestrino persa nei miei pensieri. Mi riscossi solo quando vidi la casa dei genitori di Nick in lontananza. Entrammo nel vialetto di casa e proseguimmo sino al garage. Lui parcheggiò l'auto e appese le chiavi al gancio, aprì la porta del garage, che conduceva in casa, ed entrammo. Al primo sguardo mi sentii davvero strana: le pareti erano vuote, senza tutti i quadri e i libri che le caratterizzavano e venni investita da un senso di malinconia. In quel momento, realizzai che non avrei rivisto Jeremy e Bonnie per tanto tempo e venni assalita dalla tristezza: non ero il tipo che si faceva sopraffare dalle emozioni, di solito tendevo a segregarle nella parte più remota del mio cervello, in modo che non potessero essermi di intralcio per qualsiasi motivo, ma, questa volta, abbassai lo sguardo e Nick dovette accorgersene, perché mi mise una mano sulla spalla e disse: «Guarda che anche tu puoi prendere un volo per l'Italia quando vuoi!» e poi si mise a ridere.
Sorrisi della sua leggerezza: doveva essere più triste di me all'idea di lasciare i suoi genitori.
Nel salone centrale, che dava subito sul giardino davanti, i genitori di Nick andavano avanti e indietro freneticamente, dando ordini a destra e a manca ai domestici che, prendendo esempio dai padroni di casa, correvano per tutta la stanza, con quantità enormi di oggetti e di scatoloni nelle braccia. «Mamma, papà» disse Nick cercando di attirare l'attenzione dei suoi genitori.
«Katherine, con quello devi stare attenta, mettilo qui, vicino a...» disse Bonnie ad una domestica.
«Mamma, papà» riprovò Nick a voce più alta.
«Lenny, porta questi di sopra e mettili nello scatolone 14, poi...» diceva Jeremy ad un cameriere.
«Mamma! Papà!» urlò, questa volta, Nick.
«Oh! Ciao, tesoro, non ti avevamo visto! E ciao anche a te, Macy» disse Bonnie sorridendo. Io feci un breve gesto con la mano nella direzione di entrambi i coniugi.
«Mamma, papà, devo parlarvi, avete cinque minuti per me?» chiese Nick.
«Ma certo, figliolo!» esclamò Jeremy.
La conversazione si spostò in cucina, una cucina che una volta era parecchio arredata, ma che adesso era soltato una stanza come le altre.
«NonverròinItaliaconvoi» disse Nick tutto d'un fiato: non lo avevo capito neanche io che sapevo cosa voleva dire!
«Figliolo, puoi ripetere? E magari più lentamente?» chiese Jeremy.
Nick prese un respiro profondo e disse: «Non verrò in italia con voi. Mi dispiace, ma io qui ho la scuola, gli amici, ho Macy e non voglio lasciare niente di tutto questo quindi, domani, partirete senza di me. Per qualsiasi cosa, però, chiamatemi e arriverò in Italia, o anche in Cina se è necessario, in men che non si dica».
Disse tutto questo in un fiato, tanto che mi preoccupai potesse svenire per mancanza di aria: Fortuna volle che non lo fece. I suoi genitori si guardarono e poi guardarono lui e me; io, nel frattempo, alternavo il mio sguardo da Nick a loro, come se fosse una partita di tennis; Nick guardava me e poi sua madre e dopo suo padre per poi ricominciare il giro: era un gran casino, ma ci capimmo (non so come) comunque e, alla fine, il padre di Nick si avvicinò a lui, lo abbracciò e disse: «Speravamo davvero avessi cambiato idea sul viaggio, figliolo, buona fortuna. In banca ci sono i soldi che ti serviranno e sappiamo che Macy si prenderà cura di te, proprio come tu farai con lei. Ti vogliamo bene» concluse, sorprendendomi e attirando a sé anche la moglie per un abbraccio di gruppo.
Io, che non c'entravo niente, mi sentivo parecchio a disagio e cercai di stare il più immobile possibile, per non rovinare il bel quadretto familiare con qualche cretinata delle mie, ma una mano, che riconobbi essere quella di Bonnie, mi fece segno di avvicinarmi, e così, titubante mi avvicinai e mi sentii catapultata dentro un abbraccio soffocante, degno dei coniugi Black.
«Allora ci accompagnerete all'aeroporto domani, giusto?» disse la signora, trattenendo le lacrime.
Io e Nick annuimmo, dopo esserci scambiati un rapido sguardo: cominciava una nuova vita per entrambi.
   
 
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