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Autore: Cara_Sconosciuta    21/06/2012    2 recensioni
Com'è la vita quando non si appartiene a nessun mondo? Nati sbagliati nel luogo da cui si proviene, eppure diversi da chi vive in qualsiasi altro posto.
Un giovane Hamish cacciato dal suo villaggio.
Una Maganò figlia di una delle più stimate famiglie purosangue
Una città grande e sconosciuta.
Potrà davvero nascerne qualcosa di buono?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Raramente a Nausicaa Malfoy capitava di provare emozioni forti.

Si considerava piuttosto apatica e la cosa non le aveva mai dato fastidio: la rendeva più forte... o almeno la convinceva di esserlo.

In quel momento, però, era assolutamente terrorizzata.

Stava volando via, lontano dalla sua famiglia, dalla sua vita e da tutto ciò che conosceva, diretta nel bel mezzo di una città babbana. Il tutto su uno di quei trabiccoli di latta che la gente chiamava aeroplani.

Oggettivamente, come era possibile viaggiare sicuri su quei cosi?

Il naso affondato il più possibile nella rivista che illustrava le diverse meraviglie degli Stati Uniti, Nausicaa maledisse il momento in cui aveva rifiutato l'offerta di suo padre di materializzarsi con lei a Washington.

Sì, era stata una vera stupida.

Ora l'aereo sarebbe caduto e lei non sarebbe stata altro che una stupida babbana morta in uno stupido incidente.

Sentì il suo respiro accelerare.

Accidenti.

Erano anni che gli attacchi la lasciavano in pace.

Aveva imparato a controllarli con la sua impassibilità: se nulla la intaccava, nulla poteva farle paura.

Ma questo funzionava a casa, naturalmente.

“Desidera qualcosa, signorina?”

“Una bacchetta magica e una vita normale.” Replicò la giovane, scocciata.

La hostess davanti a lei strabuzzò i grandi occhi azzurri.

Nausicaa pensò che sembrava una rana.

Una gigantesca raganella azzurra.

“Prego?”

“Lasci perdere.”

Babbani.

Erano così ottusi.

Eppure avrebbe dovuto abituarcisi: quella era la gente con cui avrebbe dovuto vivere, da quel momento in poi.

“Sa, anche io vorrei tanto una bacchetta magica, in questo momento...”

La donna accanto a lei era invisibile.

Non nel senso magico del termine, ovviamente. Era semplicemente una persona di quelle che non si notano nemmeno se ci si passa accanto una giornata intera.

Piccola, bionda e vestita completamente di nero, assomigliava vagamente ad una matrijoska in lutto.

“Non credo che intendiamo la stessa cosa, signora.”

La vecchina si strinse nelle spalle.

“Io vorrei poter fare un incantesimo, tornare indietro nel tempo e fare qualcosa per impedire che mio figlio muoia di nuovo come è morto ieri sera. Sto andando a dirgli addio.”

“Io vorrei cambiare tutto e basta.” Sputò fuori Nausicaa, chiedendosi poco dopo che cosa l'avesse spinta a dire quelle cose ad una perfetta sconosciuta.

Una sconosciuta babbana.

Eppure, sempre senza sapere perché, la sua lingua continuò a produrre suoni.

“Vorrei essere nata diversa... come mio fratello, che è giusto.”

La vecchina, a sorpresa, sorrise.

“Signorina bella, tutti siamo giusti e tutto quel che accade è giusto. Purtroppo, anche la morte di mio figlio lo è.”

“Lei crede che sia giusto che io sia diversa da tutto quello che ho sempre conosciuto?”
La donna inclinò la testa da un lato.

“Forse è nata diversa perché il suo destino vuole che faccia qualcosa di diverso, non trova?”

Stronzate, avrebbe voluto rispondere Nausicaa, ma non era da lei.

Volgarità non era un vocabolo che la famiglia Malfoy conoscesse.

Si limitò, quindi a voltarsi dall'altra parte.

E il suo sguardo si ritrovò a vagare sopra all'Oceano sconfinato.

Il fiato le si bloccò in gola.

Quanto, quanto lontana era da casa sua?


La Nuova Farmacia di Diagon Alley, rivendita autorizzata di rimedi miracolosi, era costantemente presa d'assalto da una quantità spropositata di giovani streghe mamme alla ricerca di ogni sorta di medicamento per i figlioletti un po'troppo esuberanti.

Quando Scorpius vi fece il suo ingresso, i capelli del mago alla cassa viravano verso il rosso.

Segno inequivocabile che Ted Lupin aveva urgente bisogno di una pausa.

Cosa che cadeva a fagiolo, dato che lui aveva esattamente lo stesso bisogno di parlare con lui.

E sapeva anche perfettamente come fare.

Con passo deciso, si fece strada in mezzo al proliferare di donne agitate, scavalcò il bancone e, mentre Ted lo guardava con enorme disapprovazione, gli depositò un rumoroso bacio a stampo sulle labbra.

Almeno sei bocche esalarono un sospiro scandalizzato e quattro clienti se ne andarono di corsa, scuotendo la testa.

“Sei un idiota” Gli soffiò contro Ted, consegnando ad una delle due superstiti un antidoto contro il veleno della Belladonna.

La seconda cliente, una nonna, a giudicare dall'età, gli chiese ciò che doveva comprare, poi si guardò intorno per accertarsi che nessuno sentisse e rivolse loro un'occhiata complice.

“Siete proprio una bella coppia, sa?”

I capelli di Ted virarono rapidamente al rosso fuoco.

“Ehm... grazie signora Fungus. La prego di non dirlo a nessuno, però.”

“Oh beh, vorrà dire che mi farà uno sconto.”

Con un sorriso professionale stampato in faccia, il giovane Lupin eseguì.

Quando la vecchietta uscì, però, l'espressione che Ted rivolse a Scorpius era molto, molto meno gioviale.

“Ciao Teddy.” Mormorò il biondo. Nei suoi occhi non c'era traccia della pestifera allegria che Ted aveva imparato a conoscere.

“Che ti è successo?” Domandò senza preamboli, pragmatico come sempre.

“Puoi chiudere per qualche minuto?”

Ted guardò l'orologio. Dieci minuti alle sette.

Per Scorpius, poteva anche anticipare la chiusura.

In un attimo, tutte le imposte erano chiuse e le saracinesche abbassate.

Ted non si era mosso di un millimetro.

“Parla.”

“Ogni tanto mi fai paura più di mio padre.”

“Scorpius, hai fatto scappare quattro clienti che probabilmente non torneranno più. Parla.”

“Se sono delle stupide omofobe non è certo colpa...”

“Scorpius!”

“Nausicaa è partita.”

Lo sputò fuori come la ghianda di una ciliegia.

Come qualcosa di sgradito che non può restare in bocca un secondo di più.

“Oh....” I capelli di Ted tornarono immediatamente blu e la sua espressione si addolcì. “Di già? Ma il suo compleanno è stato solo...”

“Solo ieri, sì.”

Ted non disse più nulla. Si limitò ad avvicinarsi al giovane e a stringerlo forte a sé, mentre Scorpius lasciava finalmente che le lacrime fluissero liberamente dai suoi occhi.

Ted si sedette sul pavimento, trascinandolo con sé e prese a cullarlo lentamente, come si fa per tranquillizzare i bambini spaventati. Ogni tanto, a intervalli più o meno regolari, posava un bacio delicato sui suoi capelli biondi.

Niente “andrà tutto bene”. Niente “si sistemerà”.

Ted Lupin non raccontava bugie.

Non a chi non se le meritava.

“Lei è la mia sorellina, Teddy... e non è mai andata da nessuna parte da sola. Il mondo è così... così immenso.”

“Lo so...” Mormorò piano Ted tra i suoi capelli. “Lo so. Però guardami, Scorpius.”

Il ragazzo alzò gli occhi verdissimi in quelli cangianti dell'altro.

Come al solito, nonostante le circostanze, gli mancò il respiro.

“Il mondo sarà anche immenso, ma tu sei libero di percorrere quell'immensità ogni volta che vuoi in un secondo soltanto.”

“Ma è pericoloso materializzarsi così lontano.”

“E allora prenderai l'aereo. Dai Scorpius, non è morta.”

“Sarà terrorizzata, là fuori da sola in mezzo ai babbani...”

Ted ridacchiò.

“Non più di quanto lo sia tu in questo momento, testone. Senti, se vuoi domenica la andiamo a trovare. Insieme. Ok?”

Gli occhi verdi brillarono di speranza.

“Davvero?”

“Ma sì, certo! Ho fatto diverse volte materializzazioni intercontinentali. Non ti devi preoccupare, ok?”

Scorpius annuì, sistemandosi meglio tra le braccia di Ted.

Gli veniva spesso da sorridere al pensiero di come avrebbero reagito i suoi all'apprendere della loro relazione.

Una figlia maganò e l'altro fidanzato con il figlio, maschio e di dieci anni più vecchio di lui, di un licantropo e una metamorfomagus.

Probabilmente suo nonno si ribaltava nella tomba ogni volta che suo padre chiamava i loro nomi.

“Va meglio?” Domandò Ted, vedendolo sorridere.

“Molto meglio, professore.”

Il volto di Ted si illuminò improvvisamente.

“Che idiota, me ne stavo dimenticando! Lo sai che da settembre professore mi ci chiameranno davvero?”

Scorpius alzò un sopracciglio.

Il sorriso smagliante sul volto di Ted poteva significare solo una cosa.

“Ti hanno preso?”

“Stai parlando con il nuovo insegnante di pozioni di Hogwarts. Ciao ciao farmacia e benvenuto sogno!”

Di slancio, Scorpius gli gettò le braccia al collo.

“Sono fiero di te!”

“Anche io sono fiero di me!” Replicò Ted, iniziando a fargli il solletico.

In un attimo si ritrovarono a rotolarsi per terra come due bambini.

Draco Malfoy non avrebbe davvero sopportato quella vista.


La stanza che i suoi genitori avevano scelto per lei non poteva, effettivamente, essere definita come una semplice stanza.

Si trattava più di un loft, volendo vedere.

Un loft grande.

In un angolo, un grosso quadro completamente nero, dominava la stanza grazie alla sua considerevole mole.

Nausicaa pensò che poteva trattarsi di un televisore, anche se quello che le aveva mostrato la sua insegnante privata di babbanologia era più piccolo e decisamente meno piatto.

Sul bordo superiore dell'apparecchio, un biglietto diceva che per i babbani era praticamente impossibile vivere senza televisore, e quindi anche lei doveva averne uno.

La firma era quella di suo padre.

Peccato che io non sia babbana.” Borbottò la ragazza tra sé.

Signorina, questo è l'ultimo!” La richiamò il tassista dall'ingresso, appoggiando a terra il terzo, pesante baule. “Dovrebbe davvero comprarsi delle valigie, sa? Sono più comode.”

Nausicaa inarcò un sopracciglio, piuttosto scocciata dal consiglio.

Tenga.” Sibilò, porgendo all'uomo una banconota da cento dollari. “E non mi dia il resto.”

Sbigottito, il tassista rimase immobile, come spento, per qualche istante.

Ma signorina, mi deve solo venti...”

Esca da casa mia, per favore.”

Negli occhi smeraldo non c'era la minima voglia di scherzare e l'uomo si affrettò ad eseguire l'ordine, salutando in maniera scomposta e quasi incomprensibile.

Non appena la porta si chiuse, Nausicaa alzò gli occhi al cielo.

Il primo pensiero che colpì la sua mente in quell'istante fu che i babbani erano davvero degli idioti di portata gigantesca.

Il secondo fu che ora era davvero sola.

Completamente sola.


La stanza che Marcel Floriday aveva scelto per se stesso non poteva, in tutta coscienza, essere considerata una stanza.

Ripostiglio sarebbe stato probabilmente un termine più appropriato.

Un ripostiglio piccolo.

Nessun elettrodomestico, un letto e una gruccia come armadio. La finestra, priva di imposte, dava su di un parco dove, probabilmente, solo tossici ed alcolisti si azzardavano ad andare. Il bagno era situato in un microscopico stanzino grande più o meno quanto la doccia che conteneva.

Eppure la stanza che Marcel Floriday aveva scelto per se stesso era assolutamente meravigliosa.

Canticchiando tra sé un motivo della sua gente, il giovane si spogliò dei suoi abiti antiquati, pensando che il giorno dopo avrebbe per forza dovuto comprare qualcosa di più moderno.

Lo sguardo sognante puntato verso il soffitto, Marcel pensò che quella sarebbe stata la migliore estate della sua vita.

E l'inizio di tutto quello che avrebbe voluto diventare.

   
 
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