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Autore: VyvLy    21/06/2012    6 recensioni
Il Team 8 sta cercando Sasuke. I tre ragazzi si separano e quando devono riunirsi scoprono che Hinata non c'è. Cosa sarà successo? Vi basti sapere ke da questo momento in poi, per Hinata e Sasuke comincerà un viaggio, una lotta contro il tempo. Lei, dopo aver scoperto una tragica verità sul suo passato, è alla ricerca di sé stessa, vuole scoprire una volta per tutte chi è veramente. E lui, dopo un lungo periodo passato in compagnia della Hyuga, si impone di riuscire a comprendere quali sono i suoi veri sentimenti nei confronti di lei, perché nel profondo una nuova luce luminosa comincerà a brillare nel suo animo. Ma...quello ke succederà, spetterà a voi scoprirlo...!Buona lettura (P.S= siate clementi, x carità! Questa è la mia prima fiction XP).
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Naruto Shippuuden
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 Neanche un rumore echeggiava nell’aria. Niente si muoveva. Non un minuscolo suono, nemmeno una voce.
 
Hinata si sforzò di aprire gli occhi. Sbatté piano un paio di volte le palpebre pesanti, un gesto che le costò fatica poiché sentiva che il corpo era diventato inspiegabilmente pesante e raggelato, senza dubbio per l’essere rimasta sdraiata sulla neve per un po’ di istanti. Ora ogni gesto, anche il più piccolo fra i microscopici, le costava uno sforzo tale da mandarla di nuovo al tappeto. Infatti, nonostante si sforzasse di mettere a fuoco l’immagine davanti a lei, impiegò un bel po’ di tempo per realizzare che era entrata nel passaggio.
 
Era stesa a terra, sbatteva il viso coperto di capelli umidi contro le fredde pietre del pavimento. Cercò di alzare la testa, anche se di poco, e vide davanti, dietro e sopra altre tre pareti fatte dello stesso materiale del pavimento, rischiarate fiocamente da due torce che si fronteggiavano appese ai muri, a destra e a sinistra, invece, il corridoio continuava.
I passaggi si dividevano, giravano, tiravano dritto, si riunivano; sembravano fatti con lo stampo.
 
La ragazza provò a sollevarsi, aiutandosi con le braccia, ma qualcosa le impediva di separarle. Qualcosa di piccolo e sottile le stringeva i polsi e le faceva male.
Una corda.
Tastandola notò che era legata a un’altra estremità che era ricaduta lungo la sua gamba destra.
 
«Finalmente ti sei svegliata.».
 
La Hyuganon trasalì nel sentire ancora quella voce traditrice che l’aveva di nuovo presa alle spalle, era troppo debole e ancora mezza stordita dalla botta alla schiena e dal semicongelamento.
Con uno sforzo sovrumano, riuscì a girarsi sul fianco destro e ad alzare la testa per vedere di nuovo da dove proveniva quella voce dal tono pungente. Vide ancora una volta quei lunghi capelli argentati raccolti in una coda, quegli occhiali dalla forma sferica e quei beffardi occhi neri.
 
«Tu… che cosa ci fai qui?» cercò di chiedere con un filo di voce.
«Si da il caso che questo sia il posto in cui vivo.» le rispose Kabuto, lanciandole un’occhiata di disprezzo.
«Quindi… siamo entrati…».
«Già. Ed è di là, la persona che mi ha ordinato di portarti qui.».
«Me?...».
«Non tu in particolare. Mi ha solo detto di catturare le possibili spie e di portarle da lui per interrogarle…».
 
Hinata mantenne un espressione impassibile, o almeno così provò a fare prima e dopo che Kabuto le disse quelle frasi.
 
«…prima di ucciderle, si intende.».
Una frase. Una frase pronunciata scandendo velenosamente ogni singola parola. Un’asserzione perfida, al punto da far tremare la ragazza di terrore, farle sgranare gli occhi fin quasi a lasciarglieli guizzare fuori dalle orbite e farle salire il magone alla gola. Sentì che la fronte era di nuovo madida di sudore freddo, aveva ricominciato a trattenere il respiro per bloccare le lacrime che minacciavano di scenderle copiosamente sulle gote impallidite.
 
Il cuore le batteva fortissimo, e la ragazza temeva che anche il suo nemico lo potesse sentire, ma poi pensò che il rumore dei battiti si dovesse perdere con quello che faceva il suo corpo, ora che tremava come una foglia scossa dal vento.
Quanto rimpiangeva la scelta che aveva fatto nel bosco! Ma perché aveva deciso di dar retta a quel casinista di Kiba? Perché? Perché?? PERCHÉ???
Se non fosse stato per la sua stupida idea di dividersi per la perlustrazione dei territori, a quell’ora lei sarebbe ritornata a casa sua e avrebbe potuto crogiolarsi beatamente nella sua vasca da bagno, immersa nell’acqua calda che le avrebbe sciolto gli arti dal congelamento e restituito la circolazione del sangue…
 
E invece no!
Ma dove diavolo sono gli amici quando hai bisogno di loro?
 
ACCIDENTI! ACCIDENTI! ACCIDENTI! ACCIDENTI! ACCIDENTI!!
 
«Forza ora! Alzati in piedi, andiamo.» esordì a quel punto Kabuto, drizzandosi per primo e tirando forte la corda, fino a far male alla povera ragazza che si sentiva debole e dolorante dappertutto.
«…Andiamo dove?» chiese fievolmente la Hyuga, cercando di riprendere il controllo degli arti e di sollevarsi di propria volontà, per non sentire troppo male ai polsi che si stavano intorpidendo sotto la possente stretta della corda, tanto stretta da cominciare a lasciare un livido violetto sulla candida pelle di lei.
«Il “dove” non è affar tuo. Ti basti sapere che ci dobbiamo andare, quindi muoviti!».
 
Con una brusca tirata, di gran lunga più violenta delle altre, il ragazzo dai capelli argentati la sollevò da terra e la mise in piedi.
Hinata constatò che quel traditore era rimasto riflessivo e calcolatore come quando l’aveva incontrato all’esame di selezione dei Chunin, infatti non l’aiutò quando le sue gambe barcollarono facendola sbandare da una parte e poi da un’altra, minacciando di cedere da un momento all’altro e di farla rifinire con la faccia per terra.
Ma nonostante il suo atteggiamento freddo, lei riuscì a mantenere un’espressione seria e impassibile anche sotto le sue continue spinte che per poco non la facevano cadere al suolo.
 
Camminarono per un lungo corridoio, imboccandone molti altri uguali. Hinata davanti e Kabuto dietro di lei, intento a controllarla e a badare che non si liberasse con un forte strattone. Ma egli non poteva sapere che la ragazza avanzava, anche se con lentezza, solo grazie alla sua forza di volontà, e avrebbe potuto mollare tutto quando e come le pareva, se non si fosse sentita così tanto in dovere di arrivare alla fine di quel corridoio lucida e cosciente per vedere con i propri occhi cosa c’era ad attenderla.
 
Varcarono un’ultima porta, e aldilà di questa c’era una stanza enorme. Era quadrata, scavata nel terreno roccioso, immensamente grande, con un grosso serpente e delle colonne scolpiti in pietra sulla parete di rimpetto alla porta, tutta debolmente illuminata da varie torce appese ai muri; faceva un gran freddo e l’aria aveva un odore strano, pungente e fastidioso. Nell’insieme piuttosto inquietante.
Kabuto, dopo averla fatta avanzare di pochi passi dalla soia, con un forte calcio alla schiena la fece cadere a terra. Hinata picchiò proprio il viso, che ora aveva tutti i muscoli indolenziti, e non osò muoversi prima che il dolore non fosse passato. Avvertiva anche una fitta lancinante all’altezza della schiena, e provava un male insopportabile dappertutto. Si sentiva debole e infreddolita, come se il suo corpo fosse diventato di porcellana super-delicata, che si incrinava a ogni contatto con le altre cose. Il pavimento, la corda, l’aria, il calcio di lui.
Tutto intorno le suonava cosi esasperatamente estraneo. Era stata portata sotto il mondo, via dalla luce. Sentiva che quella non era casa sua. Nulla di tutto quello che era all’interno del nascondiglio riusciva a darle un minuscolo senso di conforto. Neanche sapere che forse aveva portato a termine la sua missione. Niente lì dentro la faceva sentire viva.
 
Si udirono dei passi, passi dal suono calmo e lento.
Kabuto e Hinata sollevarono la testa e puntarono, lo sguardo su una misteriosa figura apparsa improvvisamente nel buio.  Era comparsa davanti al muso del serpente, nera come la pece, circondata dall’oscurità.
 
«Sei tornato, Kabuto. Era ora, direi…» disse la sua voce rauca e tagliente.
 
«Mi scusi, mio signore.» disse subito Kabuto. «Avrei dovuto sbrigarmi, lo so, ma è sorto qualche problema nella cattura di questa spia.».
La sagoma nera avanzava con lentezza e l’eco dei suoi passi rimbombava per la stanza. E più si avvicinava più Hinata sentiva l’ansia crescerle dentro.
Quando fu abbastanza vicina da mostrare i suoi colori, i suoi lineamenti e i suoi occhi, la ragazza riconobbe…
L’ anima rischiò di venirle strappata dal corpo.
 
«Quindi… sarebbe lei la piccola spia giunta dal Villaggio della Foglia?» domandò Orochimaru, rivolgendo alla ragazza uno sguardo e un mezzo sorriso beffardo.
«Sissignore.» rispose prontamente quel tirapiedi di Kabuto. «L’ho trovata qui fuori, appostata dietro a dei cespugli. Stava di sicuro studiando la posizione del covo.» e detto questo le diede intenzionalmente una ginocchiata alla schiena.
In preda al panico e dolorante per i colpi subiti, Hinata girò di scatto la testa verso la sua spalla. Inutile. La piccola libellula verde-azzurra non c’era più. Questo bastò a darle un senso di disperazione fastidiosamente dolente. Non gliene importava niente della presenza di due nemici potentissimi, avrebbe voluto rompere il silenzio che si era creato con i suoi singhiozzi fino ad allora trattenuti.
 
«E sentiamo…» la voce dell’uomo dagli occhi di serpente si era fatta ancora più fredda e glaciale di prima, eppure quel ghigno sul suo viso cadaverico si ostinava a rimanere al suo posto. Largo da una guancia all’altra, sotto due occhi gialli sgranati e dalle sopracciglia corrucciate. Incuteva una paura tale che Hinata non si rese conto di quello che faceva il suo corpo. Tremava così velocemente che a occhio nudo non si riusciva a distinguere quali fossero i suoi movimenti, aveva la fronte grondante di sudore freddo e i suoi occhi stavano per guizzare via dal volto, contorto in un’espressione che incarnava la disperazione. «Chi sarebbe questa bella ragazzina?» la guardò con il suo sguardo di ghiaccio, appuntito e intimorente come nessun altro.
Eppure quella domanda, “E sentiamo… chi sarebbe questa bella ragazzina?”, ebbe inspiegabilmente su di lei un effetto contrario a quello che i suoi due nemici si aspettavano. La ragazza parve tornare in sé, perché il suo sguardo riacquistò un vigore inaspettato. In effetti lei aveva preso quella domanda come una sfida da affrontare: se avesse risposto a quel tizio dalla voce morta e dal sorriso falso,  allora sarebbe stata una sconfitta in tutto e per tutto, che le avrebbe lasciato una ferita di debolezza nell’animo. Avrebbe significato che l’Hinata Hyuga che tutti conoscevano non aveva compiuto alcun passo avanti, in tutto il tempo che era passato dall’esame di selezione dei chunin, dove aveva perso una lotta contro il suo stesso cugino. Sarebbe stato un segno che avrebbe fatto comprendere all’istante quale fosse il suo carattere: timida e insicura, impacciata e maldestra, timorosa e inattiva.
No! Questo non poteva assolutamente accettarlo. Non avrebbe accettato per l’ennesima volta di restare vittima di forze superiori a lei. Assolutamente NO!!
 
Era ancora inginocchiata e le ginocchia cominciavano a far male, ma non si mosse. Si limitò a corrucciare le sopracciglia e a lanciare uno sguardo fulminante al ninja traditore dagli occhi di serpente; o almeno così provò a fare, visto che purtroppo il suo tentativo di incutere paura non sortì alcun effetto su Orochimaru. Invece Kabuto le stava facendo gli occhiacci: non gli stava bene che qualcuno avesse la faccia tosta di lanciare sguardi acuminati al suo padrone.
«Oooh! Vedo che per te non è un problema, metterti contro chi ti è superiore, giusto?» esordì ancora una volta Orochimaru, con la sua voce dal tono serpentino paralizzante. Hinata lo stava ancora fissando con quello sguardo freddo quasi del tutto convincente.
«Ma ora, riprendiamo: vuoi rispondermi oppure no?» stavolta la sua voce aveva assunto un tono sorprendentemente più addolcito, come se volesse persuaderla a rivelare la propria identità. Ma lei, ferma e ostinata, non si scompose: abbassò il volto, girandolo dalla parte sinistra, per non guardare  più in faccia il leggendario Sannin, facendo così intendere che la sua risposta era un “no” chiaro e definitivo. Un secondo dopo ricevette un forte schiaffo, e i lunghi capelli ancora un po’ umidi le volarono in avanti coprendole il viso: Kabuto, ancora dietro di lei con la corda in mano, non tollerava questo tipo di comportamento nei confronti del suo signore. L’aveva schiaffeggiata con tanta forza da farle voltare tutta la testa e il collo nella direzione destra, e ora il dolore alla guancia bruciava abbastanza forte.
Ma anche dopo un tale gesto, che in qualche modo l’aveva ferita interiormente, Hinata non dette segno di voler cambiare atteggiamento: non ritirò su la testa, né strusciò la guancia sulla spalla per massaggiare il dolore, semplicemente lasciava che questo scivolasse via da solo, senza opporre resistenza.
 
Per cui Kabuto fece per colpirla di nuovo, ma proprio quando la sua mano era ormai dinnanzi alla faccia di lei, qualcosa gliela bloccò. Un’altra mano dalla pelle praticamente bianca e fredda, quella di Orochimaru, serrava ferme le dita intorno al polso del suo sottoposto. Kabuto, sorpreso più che mai, lo guardò in volto e venne trapassato dai suoi terrificanti occhi giallo-ocra, che lo stavano rimproverando per le sue intenzioni, con il ghigno maligno ancora esasperatamente presente sotto di essi.
«Kabuto» la voce si era fatta terribilmente più maligna. «non ti hanno insegnato come ci si comporta con le donne?» a quelle parole la linfa vitale nel corpo di Kabuto parve sparire temporaneamente dal suo regno, poiché il ninja diventò pallido in volto, la fronte grondava sudore e il suo braccio con la presa estranea cominciò a tremare, gli occhi erano dilatati e vuoti e sembravano riflettere tutta la paura e il rimorso che un essere umano possa provare.
 
«Nessuno ti ha mai detto che le signorine vanno trattate con un’infinità di riguardo?».
«Mi…mi scusi, signore.» balbettò lui con voce tremante. Si allontanò da Hinata e da Orochimaru e non osò non rispettare una distanza di cinque passi. Hinata aveva seguito la scena, pur non vedendo direttamente i loro movimenti, ma le era parso spaventevole che qualcuno riuscisse a incutere terrore solo con lo sguardo. Ma anche questa consapevolezza, sommata al grosso livido che le era venuto sulla guancia sinistra,  non riuscì comunque a smuoverla: restò immobile.
 
Fu questione di attimi.
Un nanosecondo dopo, Orochimaru si era inginocchiato di fronte a lei e la guardava ancora con quell’espressione tra lo spaventoso e l’amichevole.
La ragazza tremò quando sentì le sue mani scostarle i capelli via dal viso, e quando le sue fredde dita della mano sinistra le sollevarono dolcemente il mento per farle alzare la testa. Si ritrovò a doverlo guardare in faccia, e la cosa non le piacque per niente.
 
Orochimaru aveva 54 anni e non ne dimostrava nessuno. Sul suo viso erano ancora evidenti i bei lineamenti pallidi di quando era giovane. Risplendevano ancora i denti bianchi del suo largo sorriso. Erano ancora visibili i muscoli del suo corpo, un po’ anche da sotto i vestiti. E nei suoi occhi divampava ancora la forza di un uomo che non ha mai smesso di fare qualunque cosa pur di diventare più potente degli altri.
Ora la guardava con un misto tra la sorpresa e l’interesse. Sembrava un bambino che ha appena catturato una piccola libellula, adesso pronto a strapparle le ali.
 
Il Sannin la studiò e la esaminò per degli infiniti istanti, tanto che Hinata non sapeva più che atteggiamento assumere, per cui la sua espressione si fece vuota e incolore e il suo corpo non si mosse più di un millimetro.
 
«Uhm…Sì, mi pare di aver capito.».
 
Kabuto e Hinata trasalirono al suono malizioso della voce di Orochimaru. Era come un serpente invisibile che ti entrava nelle orecchie e ti metteva in confusione tutto il sistema nervoso. In un certo senso sembrava quasi una forma di tortura.
Ad un tratto spostò l’altra mano in direzione del suo occhio
«Bulbi oculari di questo tipo possono essere…possono appartenere solo…» riprese l’uomo, fissando attentamente e con interesse gli occhi cristallini di Hinata. «…a una Hyuga. Ecco! Tu sei uno dei membri del clan Hyuga del Villaggio della Foglia. Un clan fra i più noti, a quanto dicono, famoso per il Byakugan. Già…la famosa abilità che permette di vedere ed attaccare il sistema circolatorio all’interno del corpo.».
La ragazza era sconcertata.
Orochimaru era riuscito a svelare la sua identità solo studiando il suo viso. Inaudito! Assolutamente inaudito!
Come aveva fatto ad estorcere tali informazioni soltanto con uno sguardo? Tra gli individui che conosceva, specializzati nel campo degli interrogatori, solo il suo lontano esaminatore chunin, Ibiki Morino, era in grado di adottare  misure drastiche a tal punto. Era la seconda volta che in vita sua la Hyuga assisteva a un tale esercizio di tecniche con lo scopo di raccogliere informazioni da un nemico con la bocca sigillata. Hinata era sgomenta.
«D’altro canto lo si poteva capire subito dai tuoi occhi bianchi...».
 
«Lilla.».
 
Tutti si voltarono.
Sarà stata l’ennesima volta che il cuore della ragazza perdeva un battito per tutte le cose che accadevano così di sorpresa. Ma stavolta la sorpresa fu enorme. Oh, eccome se fu enorme!
 
Guardò davanti a lei, in direzione della statua del serpente di roccia. Era apparsa dal nulla un’altra figura, tutta nera immersa nel buio e nell’oscurità, che si era seduta sulla piattaforma di pietra sopra la quale era eretto il serpente.
Hinata ridusse gli occhi a fessura per cercare di vedere meglio. Inutile. Era troppo scura, per poterne distinguere i lineamenti. Così la Hyuga non perse un attimo: attivò immediatamente il Byakugan e spronò l’abilità innata sui suoi occhi, così da poter distinguere i contorni della misteriosa figura e anche le molteplici incanalazioni per il chakra che facevano il giro di tutto il sistema circolatorio. Ma il bisogno di usare la sua capacità di chiaroveggenza non durò a lungo: la figura si alzò dal grande serpente di roccia e, lentamente, con il suo ritmo calmo, camminò per raggiungere gli altri tre presenti.
 
«Ah, bene. Era ora che arrivassi. Dov’eri finito, non riuscivamo più a trovarti?» lo accolse Orochimaru, alzandosi in piedi; mentre Kabuto rimaneva al suo posto, però con la sua espressione di sempre che era tornata a farsi viva sulla sua faccia.
Hinata non capiva. Di colpo le era parso che l’atmosfera si fosse fatta meno soffocante, che un caldo rassicurante le avesse sciolto i muscoli.
Le sembrava di aver già visto quell’individuo, ma proprio non ricordava dove. Eppure sentiva che c’era qualcosa di familiare in lui. Come se lo avesse già incontrato in un lontano passato. Come se lo conoscesse già da una vita. Come se in precedenza egli avesse occupato un qualche ruolo importante nella sua vita, e che proprio per questo lei aveva voluto dimenticare.
 
«Ero ad allenarmi.» rispose lui, senza badare troppo alle parole del Sannin.
«Già, lo immaginavo. Piuttosto…» fece Orochimaru, guardando di striscio Hinata. «avvicinati, vieni qui con noi. E dimmi…».
La figura era ormai in prossimità del punto della stanza in cui le torce illuminavano tutto, quindi da un momento all’altro avrebbe passato il punto e la luce avrebbe rivelato chi fosse costui, una buona volta.
«non è che per caso tu al consoci…» disse ancora Orochimaru, accennando a Hinata. «…Sasuke?».
 
Come?
 
Ormai il buio non lo nascondeva più. E finalmente la ragazza, con gli occhi dilatati a non finire, poté vedere il suo viso: sempre incantevole e pallido. E la sua espressione seria, concentrata e profonda. Con i suoi occhi neri come la pece, e i capelli lisci dello stesso colore che gli erano un po’ cresciuti.
Quello però fu, senza dubbio, il colpo più duro che Hinata dovette subire.
Non sentiva più nulla.
Non capiva più nulla.
Tutto intorno a lei si era fermato di colpo.
  
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