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Autore: Eternal Fantasy    08/01/2007    4 recensioni
Gli spiriti inquieti ritornano... Ricomincia la Caccia al Drago!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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A Escaflowne Fanfiction

A Tenku no Escaflowne Fanfiction

Scritta da Eternal Fantasy

 

NdA: Questa storia è nata sulle note e le parole delle canzoni dell’album “Dragonslayer” dei Dream Evil, 2002. Consiglio di leggere  il prologo e il primo capitolo ascoltando “The Prophecy”.

 

 

Prologo

 

Hitomi Kanzaki mescolò il suo mazzo di tarocchi. Ogni volta che le sue dita si posavano sulla liscia, lucida e vagamente scivolosa superficie di quelle carte che custodivano così tanti ricordi, e ancor più segreti, la sua mente tornava a volare verso Gaea, agli eventi che l’avevano coinvolta in quel mondo al di là del cielo; avventure magnifiche e terribili, che le avevano posto di fronte agli occhi meraviglie e orrori oltre la realtà, tanto da farle pensare al suo viaggio come ad un magico sogno. Ma quando nella sua mente ricomparivano i volti di coloro che aveva imparato a conoscere ed amare, sentiva che il calore generato dal suo cuore non poteva essere ingannevole: il suo caro Van e tutti gli altri non potevano essere mero frutto della sua fantasia.

Sorridendo, permise alle immagini dei suoi amici lontani di scorrere di fronte agli occhi della sua mente; per ognuno di loro aveva un ricordo e un pensiero, felice e malinconico allo stesso tempo. Rivide con gioia e nostalgia tutti quei volti tanto familiari, nitidi come quando, sei mesi prima, li aveva salutati tutti al momento dell’addio: Van, che la guardava con quei suoi grandi occhi scuri, il sorriso amichevole di Merle, Allen che la salutava mantenendo una stretta mista di sollievo e incredulità sulle spalle della sorella inaspettatamente ritrovata, Serena…

Hitomi avvertì improvvisamente un brivido, che la scosse con violenza, facendole cadere una carta di mano: nel suo ricordo i limpidi occhi azzurri di Serena Shezar s’erano accesi per un istante d’un infuocato bagliore scarlatto, e il suo tranquillo sorriso celava una consapevolezza misteriosa.

Hitomi cercò di regolarizzare il respiro; era solo la sua immaginazione, nient’altro; in realtà, durante la separazione dai suoi amici, nulla aveva lasciato trapelare che nella ritrovata Lady Shezar si celassero ancora tracce di…

Deglutì il nodo che le si era bloccato in gola e si chinò a raccogliere la carta caduta. L’incubo era finito, non aveva intenzione di pronunciare di nuovo, neppure nella sua mente, il nome del più temibile guerriero di Zaibach, il demone di fuoco che alla testa dei suoi Dragonslayers aveva contribuito a rendere Gaea un inferno di guerra.

Le sue dita tremanti si posarono sulla carta riversa a terra e la raccolsero: dall’altro lato di quel piccolo specchio profetico le sorrise il tetro ghigno della Morte.

 

 

Dragonslayer

 

Capitolo primo

 

La fresca primavera simboleggiava speranza e rinascita, dopo un anno segnato indelebilmente dagli orrori della guerra che aveva sconvolto Gaea. La novella stagione era però ancora agli albori, non ancora completamente giunta a far sbocciare le campagne che circondavano la capitale d’Asturia, Palas.

Le prime foglie degli alberi che circondavano la casa avita degli Shezar, stillanti di rugiada nelle prime ore del mattino, scintillavano sotto la pallida luce azzurrina della Luna dell’Illusione e della sua perlacea sorella minore; quell’atmosfera sospesa tra sogno e veglia era la più indicata a celare, col contribuivano del fitto sottobosco, le due tenebrose figure all’apparenza umane: emerse dalla notte, sembravano portarne con sé l’oscurità più profonda, sfidando i timidi raggi del sole nascente. Immobili al limitare della selva, osservavano muti l’edificio davanti a loro.

La costruzione, grande ed elegante, parlava di antica nobiltà e di una ricchezza forse recentemente un po’ decaduta, ma in grado di sostentare in modo decoroso gli abitanti della casa, che in questo momento, buia e silenziosa, appariva disabitata.

Questa supposizione venne però smentita dal lieve cigolio di una porta aperta con cautela. Una figura snella ed agile scivolò furtivamente fuori dall’abitazione, evitando di esporsi alla rivelatrice luminescenza celeste, allontanandosi verso l’estremità più ombrosa del cortile, in cui aleggiava ancora una tenue nebbiolina.

La fioca luce che precede l’alba si riflesse in un fulmineo bagliore sulla lama snudata, e la persona che la impugnava, piccola e sottile come solo un ragazzo appena adolescente poteva essere, cominciò l’allenamento mattutino alla spada; a lungo si esibì in metodici esercizi di affondi, parate e fulminei fendenti, rivelando una grazia e un’abilità davvero fuori dal comune.

Quando il sole fu completamente oltre l’orizzonte i lievi rumori provenienti dalla casa, che segnalavano il destarsi dell’altro occupante, costrinsero il giovane spadaccino a interrompere la propria esercitazione clandestina. Un veloce guizzo verso la porta fu l’unica cosa che uno spettatore umano avrebbe potuto scorgere… insieme al meraviglioso scintillare del sole su corti, luminosi capelli biondi.

Protette dalle tenebre, le due misteriose figure si scambiarono uno sguardo compiaciuto.

 

L’improvviso alzarsi di voci concitate dall’interno della casa riportò la loro attenzione alla soglia, che venne spalancata dall’uscita di un uomo: lunghi capelli color grano, una divisa azzurra e una spada al fianco. Il volto attraente del Cavaliere Celeste Allen Shezar era tirato da una smorfia irata, ma la vista troppo acuta dei due osservatori riuscì a scorgere chiaramente sotto il nervosismo un’ombra di lacerante paura.

La sua voce s’alzò, nascondendo dietro la rabbia la corrente di emozioni negative che lo tormentavano: “Questa è la mia ultima parola, Serena. Il tuo comportamento è assolutamente disdicevole per una nobile damigella di Asturia; uscire da sola, prima dell’alba, per maneggiare le armi! Vestire da uomo! Parlare ed esprimere opinioni con eccessiva libertà! Salire senza permesso sul *mio* Guymelef! Ho tollerato per sei mesi credendo che si trattasse solo di una fase d’irrequietezza, ma in nome dell’affetto che provo per te credo sia giunto il momento di correggere le tue pessime abitudini e il tuo atteggiamento…”

“Consegnandomi alla tua preziosa Regina Millerna e alle sue petulanti damine? Imprigionandomi in una gabbia dorata e costringendomi a una vita di reclusione che mi è odiosa? Trasformandomi in una bambola graziosa e vuota, priva di anima e personalità? È questo che tu consideri amore, fratello? Cancellare ciò che sono?”

Allen si bloccò come paralizzato, pugnalato alle spalle dalle parole furiose e affilate della sorella, che lo fissava a testa alta e con occhi scintillanti di fiera collera. Senza dirlo esplicitamente, lei lo accusava di comportarsi come gli esecrati Alchimisti di Zaibach: loro avevano manipolato il suo Destino, trasformando il suo corpo e la sua mente spinti dall’ambizione di creare il soldato perfetto; lui stava facendo la stessa cosa, per trasformarla nell’immagine della sorella perfetta che per anni aveva cullato nella sua mente, ignaro della realtà della persona in carne e ossa che ora aveva accanto.

“Non… tu non sei…” Allen inspirò profondamente e si voltò a guardare la giovane donna che gli stava di fronte; la sua maschera d’indignazione infranta, schiacciata, e tutto ciò che poté proferire fu la sua unica certezza: “Tu sei la mia amata sorella: Serena Shezar.”

La rabbia di Serena sembrò placarsi, le fiamme cremisi che bruciavano dietro i suoi occhi furono sostituite da un’azzurra, malinconica consapevolezza:

“Per quanto tu ti sforzi, mio caro fratello, troppi fantasmi inquieti ancora vagano su questa terra, e nella mia mente; la guerra è finita, ma loro non hanno potuto trovare la pace.”

A quel tono così colmo di tristezza, Allen cercò di ammorbidire la propria voce in cui si univano tremulo sollievo e disperata speranza:

“Supereremo ogni cosa, Serena. Dimenticheremo tutto, sarà come se nulla di tutto ciò fosse mai accaduto. Ora che ti ho ritrovato, non ti lascerò mai più andare.” E d’impulso l’abbracciò.

Negli occhi di Serena, fissi oltre la spalla robusta di Allen, passò un lampo d’insofferenza che sembrava dire –Cos’è, una minaccia?- ma quando li riportò sul viso del fratello quell’ombra era già svanita.

“Ora devo proprio andare. Mi aspettano a Palazzo.” E si diresse verso le stalle a prelevare la sua cavalcatura.

Serena si morse la punta delle dita, come a voler trattenere le parole che però le uscirono ugualmente dalla bocca: “Allen, limitati a fare salamelecchi a Dryden e Millerna; guai a te se prendi accordi per rinchiudermi a corte! Tutti quei pizzi e quelle gonne mi danno l’orticaria!”

Allen le lanciò un’occhiataccia molto contrariata, ma si limitò ad un teso “Ne riparleremo al mio ritorno” e partì a spron battuto.

 

Dopo che la figura del cavaliere fu scomparsa alla vista, Serena si diresse nuovamente alla porta… ma prima ancora di arrivare alla veranda, si voltò di scatto verso il bosco oltre il cortile e ordinò con voce autoritaria: “Chi è là?! Mostratevi!”

Dai recessi dell’oscurità avanzarono due figure avvolte da neri mantelli, e non appena misero piede sul terreno aperto Serena mosse inconsciamente le mani verso la cintura, ad impugnare una spada che non c’era; il solo modo di muoversi di quei due sconosciuti urlava pericolo al suo istinto da guerriero veterano, la cadenza elastica e sicura del loro passo rivelava un’attitudine al combattimento chiaramente riconoscibile agli occhi di un loro pari… o di una fanciulla che, nascosta per dieci anni nel corpo e nell’anima del soldato perfetto, aveva guidato eserciti in battaglia fin dall’infanzia.

Indurendo lo sguardo e ponendosi istintivamente in posizione di guardia, ripeté: “Mostratevi e rivelate i vostri nomi, stranieri!”

Essi portarono ai cappucci due mani di insolito pallore, dalle dita lunghe ed agili, ma forti e temprate dall’uso delle armi. La stoffa che ricopriva le loro teste rivelò folte chiome di capelli corvini, benché uno li portasse corti e l’altro più lunghi, fino a coprire la schiena. I due volti avevano lineamenti finemente scolpiti, ma la grazia non nascondeva la loro durezza, il taglio sottile e freddo delle bocche e gli occhi scuri, rapaci. Anche nella corporatura erano piuttosto simili, non molto alti (poco più di lei, dato che era alta per una ragazza), snelli, dai muscoli sottili ma ben definiti; quello dai capelli corti vestiva completamente di nero con una casacca a maniche lunghe e a collo alto, pantaloni di cuoio e stivali sopra il ginocchio. L’altro si differenziava nell’abbigliamento solo per la presenza di un cappotto di pelle lungo fino alle caviglie, lasciato aperto a rivelare una camicia di seta color ruggine sbottonata sul petto; la pelle chiara esaltava in contrasto un ciondolo color rosso scuro –rosso sangue-, una gemma a goccia assicurata al suo collo da tre giri di un laccio di cuoio.

Fu proprio quest’ultimo a rispondere con voce calma, rassicurante e piacevolmente morbida:

“Buondì madamigella. Il mio nome è Harold Midnight Hawk, e il mio compagno si chiama Hiro Kurosuzaku no Shinigami. Chiedo scusa per essere entrati senza invito nelle terre che vi appartengono, ma abbiamo compiuto un lungo viaggio.”

“Questo è certo; non credo d’aver mai visto uomini con un aspetto simile al vostro. Se non sono indiscreta, da quanto tempo siete rimasti nascosti vicino a casa nostra?”

I due si scambiarono una fulminea occhiata, poi il giovane dai capelli lunghi le rivolse un sorriso sibillino e, ignorando la domanda, le chiese dolcemente

“Siete felice, Serena?”

Serena, presa alla sprovvista, si ritrovò a scendere i gradini della veranda e fissare direttamente lo sguardo in quegli occhi oscuri… che s’illuminarono di stupefacenti scintille dorate, quasi una corona attorno alla pupilla, una raggiera di affilate schegge metalliche roventi e gelide al tempo stesso.

“Cosa… intendete dire?” sussurrò quasi ipnotizzata, catturata da quelle iridi da falco che sembravano conoscere sogni ed incubi della sua anima enigmatica.

“Siete una guerriera, madamigella Serena.” Più un’affermazione che una domanda, posta dalla voce tagliente e diretta dell’altro straniero; essa squarciò il velo onirico che sembrava aver avvolto la ragazza per un istante, riportando la sua attenzione sul giovane nerovestito che si era fatto udire per la prima volta. “Era di questo che vostro fratello si lamentava; volevate sapere se avevamo sentito? Si, e non sono d’accordo con lui. Una donna ha il diritto di sapersi difendere da sé.”

Serena spostò lo sguardo verso il punto in cui il fratello era sparito e non riuscì a celare una smorfia d’amarezza: “Allen mi proibisce di allenarmi con lui. Dice che è ‘disdicevole’ per una dama. Sono costretta ad esercitarmi da sola, di nascosto.”

Il giovane dai capelli corti scostò la falda del suo mantello, rivelando una spada di squisita fattura: “Allora, mi farebbe l’onore di disputare un breve scontro con me? Un semplice allenamento, nulla di più.”

Gli occhi di Serena brillarono quando vide la splendida lama, che snudata sembrava rifulgere di lampi d’argento su un acciaio scuro come lei non aveva mai visto. “Dove avete trovato un’arma simile?”

“Essa fu creata e mi venne donata dalla persona che a me è più cara della vita stessa.”

Un fugace sguardo al suo compagno le fece intuire che tale persona si trovava esattamente al suo fianco.

Esaltata dalla prospettiva di un autentico duello per la prima volta (o forse solo dopo molto tempo?) la fanciulla corse in casa a recuperare una delle spade del fratello dal nascondiglio non-più-segreto dove lui le custodiva. Solo quando ebbe la lama tra le mani si rese conto che quegli stranieri conoscevano il suo nome. Certo, potevano averlo sentito da Allen… ma qualcosa dentro di lei le diceva che lo conoscevano fin da prima; e le strane sensazioni che quei due agitavano nei recessi più tenebrosi della sua anima non la lasciavano tranquilla. Strinse la presa sull’elsa della spada: lei non era una comune fanciulla indifesa, tutt’altro; se quei due avevano cattive intenzioni, avrebbero avuto modo di pentirsene amaramente.

 

I duellanti si misero in posizione e lo scontro cominciò.

Le lame guizzavano come serpenti di luce, fulminei, sibilando nell’aria armonie mortali. Gioco di polsi e di gambe, occhi e muscoli, nervi tesi e respiri affrettati; il cuore di Serena cantava un inno alla battaglia, feroce e violento, sanguinario e selvaggio, il sangue che bruciava di un fuoco mai dimenticato.

“Siete straordinariamente forte per essere una fanciulla fragile e delicata.” Le giunse la voce del suo avversario mentre incrociavano le spade vicino all’elsa.

“Sarò pure una fanciulla, ma chi vi dice che io sia *fragile*?” replicò con un sorriso pericoloso sulle labbra rosse, ripartendo all’attacco.

Il modo di combattere di Serena era basato su una straordinaria velocità e precisione, un’energia la cui foga era imbrigliata da un controllo totale, e una fantasia straordinaria che rendeva i suoi colpi imprevedibili: sempre, perfettamente, potenzialmente letale. Un sorriso compiaciuto sfuggì alle labbra pallide e severe di Shinigami:

“Ottima tecnica, Lady Shezar!”

“Non chiamarmi così!” ruggì lei, ridendo di pura esaltazione.

“Perché? Non è forse questo il vostro nome?” stuzzicò insinuante il suo avversario.

Serena rimase un attimo senza risposta, poi, nel momento in cui intravedeva un’apertura nella guardia dell’avversario e si lanciava in affondo, gridò:

“No! Non ora! In questo momento io sono…”

Le spade s’incrociarono sprizzando scintille e Serena, colta da un improvviso sconcertante pensiero, lasciò la presa sulla spada, che volò nell’aria conficcandosi a terra molti metri più in là. Lei cadde seduta a terra, lo sguardo perso nel vuoto… o dentro di sé.

Senza apparentemente far caso all’errore che aveva portato alla fine dello scontro, Harold si avvicinò ai contendenti battendo educatamente le mani: “Straordinario. Siete una spadaccina di raro talento, Serena.”

Hiro posò su di lei uno sguardo intenso quanto quello del proprio compagno: “Concordo. La vostra tecnica di scherma però non somiglia affatto a quella in uso ad Asturia. Inoltre, è assolutamente perfetta… *perfettamente* simile a quella padroneggiata dai migliori combattenti dell’impero di Zaibach.”

A quell’osservazione, Serena sbiancò: “Credo che vi stiate sbagliando…” ma un solo sguardo a quegli occhi oscuri screziati d’argento le fece capire che no, loro *sapevano*.

Shinigami scrutò il suo volto pallido e l’anima divisa che vi si celava dietro, e ad essa si rivolse: “Esisteva un solo spadaccino che possedesse un modo di combattere tanto peculiare e inconfondibile quanto il vostro… non desiderate conoscerne il nome?”

Serena rialzò lo sguardo; i suoi occhi azzurri rivelavano una forzata calma e sicurezza di sé mentre fissavano senza timore i due oscuri stranieri di fronte a lei:

“Conosco il suo nome. State parlando di Dilandau Albatou.”

 

 

 

 

 

NdA: Questo è l’inizio di una storia che desideravo scrivere da molto tempo; amo troppo Dilandau e i suoi Dragonslayers per accettare la loro scomparsa come la fine di Tenku no Escaflowne ce la presenta. Personaggi del genere meritano molto di più che un’etichetta di comparse troppo presto cancellate dalla storia. Intendo farli tornare e dare loro l’occasione di dimostrare quel che valgono.

Ricomincia la Caccia al Drago!

 

  
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