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Autore: WrongHysteria    26/06/2012    3 recensioni
Vite che bruciano. Sentimenti che scottano. Come fuoco ardente queste storie s'insinueranno in voi, lasciando i piccoli semi del male che compaiono nella mia mente malata, seminando distruzione nel vostro cuore.
Almeno è ciò a cui miro.
I mostri sono reali, i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono. Stephen King.
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~egoismo


I was there when they took all the people
I was alone in a mental revine
You breathe life when you break the walls down
You breathe life when you set me free

Where is my head
Where are my bones
Why are my days so far from home?
Where is my head
Where are my bones
Can you save me from myself?
Bush, Head full of ghosts.


Cassandra passeggiava avanti e indietro per la camera quasi del tutto buia, metodica. Aspettava. Aspettava di prendere una decisione. Dopo qualche ora, si era finalmente calmata.
Il cadavere pareva essere lì da giorni. Cassie, una volta prosciugata la sua energia, lo vedeva grigio. Prima era splendente.
Cosa mi è successo?, pensò, fermandosi di colpo. La luce fioca rendeva la situazione ancora più inquietante e spettrale di quanto già non fosse. Le ombre del tavolo e della libreria si allungavano a dismisura, divenendo orribili mostri pronti a balzarle addosso, le lunghe braccia non aspettavano altro che acchiapparla e trascinarla con loro. Che cos’hai fatto, che cos’hai fatto, le sussurravano nell’orecchio. Sei una creatura del Demonio. Come noi. Vieni da noi, Cassie. Vieni.
 - Non sono come voi! - urlò la ragazza alle ombre, mentre sentiva le lacrime scenderle lungo le guance e un groppo salirle in gola.
L’uomo era sdraiato prono sul parquet di legno scuro, con le gambe scomposte; se non fosse stato per l’odore di muffa, sarebbe potuto apparire semplicemente addormentato. Ma quando sollevò il capo mostrò due orbite vuote da cui colava un liquido nero. - Sì, tu sei un’ombra, venuta per nutrirti delle persone vive - sussurrò, una voce strana, gutturale, rauca. Non di questo mondo.
Cassandra urlò. Usò tutto il fiato che aveva in corpo, un po’ per paura di un morto che le stava parlando, un po’ per liberarsi di tutta la sua frustrazione, dell’odio verso se stessa, verso le vicende degli ultimi tempi. Calciò la testa dell’uomo ed uscì dalla stanza, respirando affannosamente.
Probabilmente era stata un’allucinazione. Tutto una finzione. Presto si sarebbe svegliata nella stanza bianca accecante di qualche ospedale, con l’odore di disinfettante che in quel momento avrebbe potuto anche rassicurarla. Chiuse gli occhi, se li sfregò e poi incrociò le dita; ma quando li riaprì si ritrovò davanti il corridoio di qualcun altro, con la riproduzione di un Van Gogh in una cornice dorata e un termosifone verde acqua sull’intonaco bianco. Chiuse a chiave la porta dietro di sé e poi si appoggiò alle proprie ginocchia con le mani, portando il viso verso il basso, a fissare le venature del parquet. Si sforzò di tranquillizzarsi. Recitò due Ave Maria, a bassa voce, così velocemente che lei stessa non distingueva le parole. Sfiorò il rosario che portava al collo, come per cercare conforto; poi lo strappò via e lo lanciò contro il muro, piena di rabbia.
 - Io credevo in te! Perché mi hai fatto questo? - urlò, mentre esso spariva nel termosifone e lei scivolava a terra, in lacrime. Le guance bruciavano, ma a parte il dolore interno, il senso di colpa che niente poteva più cancellare, si sentiva benissimo. L’energia del padrone di casa l’aveva invasa di un senso di completezza unico. Non che le servisse. Era un semplice contorno per lei.
Ma cos’era, lei?
Cassandra fu colpita da questa incertezza. Sapeva cos’era stata, ma non cosa fosse in quel momento. Si sentiva sperduta.
Aveva ucciso così tante persone.
Ed era così giovane. Così normale, fino a pochi giorni prima.
Una diciassettenne, una semplice liceale con gli occhi blu e i capelli neri come la notte più buia, con una frangetta piena, smozzicata, che tentava invano di rendere aggressivo il suo viso tondo, quasi infantile.
Ed ora? Un’assassina, una figlia del Demonio, un essere sovrannaturale.
Se solo non fosse andata all’apertura del negozio di Arti Magiche.

***

Era un martedì pomeriggio lievemente freddo. Ottobre stava portando grosse nuvole grigie, impazienti di liberarsi della loro carica d’acqua e disperderla tra le foglie già in procinto di cadere. Gli alberi avevano un aspetto fragile mentre ondeggiavano obbedienti al soffio della tramontana. Così come ondeggiava la lunga gonna di pizzo di Cassandra, che cercava di camminare come una ragazza molto impegnata ed impaziente di raggiungere i suoi amici al centro commerciale.
Ma non c’era alcun amico ad attenderla. Ci sarebbe stato, forse, se lei ne avesse avuto almeno uno.
Non le pesava stare da sola, anzi, le piaceva passare il tempo in camera sua con un buon libro o passeggiando nel parco per osservare le persone. Chi faceva jogging, chi fumava su una panchina, ognuno di loro aveva una storia e Cassandra si divertiva a inventarla, per poi giungere al motivo per cui si trovavano lì, in quel parco desolato frequentato ormai solamente da patiti della ginnastica mattutina e anziani soli.
Il problema era stare sola in un luogo affollato. Le voci erano così tante da confonderla, le risate e le urla la indisponevano; il calore trasmesso da un corpo all’altro l’avvolgeva in un affetto falso ed ipocrita, che non sapeva se disprezzare o invidiare. La sua esagerata riservatezza le aveva sempre impedito di farsi conoscere a fondo, o di risultare simpatica con una semplice battuta al momento giusto. Capitava che la sua timidezza fosse scambiata per altezzosità e Cassie fosse universalmente emarginata, talvolta schernita. S’era abituata ben presto a non essere considerata e le sue opinioni si erano rassegnate a restarle nella mente. Cassandra aveva quasi iniziato a disprezzare l’amore; sembrava essere una delle poche persone in grado di vedere la sofferenza che esso portava e le bugie nascoste dietro un’espressione di dolcezza.
Eppure… talvolta le capitava di sognare una migliore amica a cui telefonare di tanto in tanto, o con cui uscire il sabato sera; un corpo caldo accanto al suo, o anche un semplice saluto di un compagno di classe. Si sarebbe accontentata di poco, bastava che fosse qualcosa di più umano dei suoi libri macchiati e ormai ingialliti dal tempo, che le conferivano un’aria triste e malinconica, come se i vestiti larghi, scuri ed anonimi non bastassero. Non sapeva che il suo destino sarebbe stato immerso in un lago di corpi freddi e grigi.
Cassandra non era una persona triste; amava sorridere delle piccole cose ed era felice con poco. Per questo si stava dirigendo al centro commerciale, anche se da sola. Non aveva intenzione di acquistare nulla, solo sentire l’odore dell’inchiostro fresco e delle pagine appena stampate, e vedere qualche sgargiante vestito in saldo che lei non si sarebbe mai sognata di indossare.
Il centro commerciale distava giusto un paio di chilometri da casa sua; per arrivarci doveva passare per il vecchio parco che tanto amava, per cui il tragitto non le pesava mai. Con gli auricolari dell’iPod nelle orecchie e il ritmo pulsante nel cuore, ogni passo acquistava elasticità e grazia; tutto prendeva a muoversi al battito della musica inudibile dal resto del mondo e lei diveniva una semplice e divertita spettatrice di un musical dalle strane danze.
Questa volta, come del resto tutte le altre, il tempo passò tanto in fretta che Cassandra quasi non si accorse del grande edificio grigio, simile a un casermone, che le si presentava davanti.
Internamente era completamente diverso. Fu accolta dalle luci accecanti e dal calore delle persone; si muovevano indaffarate, frenetiche, a passi tanto svelti da sembrare coinvolti in una gara di velocità. I negozi mostravano la loro mercanzia, e commesse alle entrate erano pronte all’assalto, cariche di campioncini di profumi e cosmetici. Cassandra badò di tenersi alla larga e tentò di confondersi tra la gente, diretta verso la libreria. La sua testa si voltava ora da una parte, ora dall’altra, ad osservare le vetrine colorate e ricolme di stoffe unite a formare bellissimi abiti, i quali si alternavano a negozi di elettronica che esponevano l’ultimo modello di iPhone che nessuno avrebbe potuto permettersi. Il vociare dei bambini e di adulti attaccati al cellulare era quasi assordante; Cassandra era impaziente di trovare la pace e la tranquillità di infiniti scaffali ricolmi di fantasia.
Il negozio sembrava distare chilometri, tanto che la ragazza sentiva già le gambe stanche di muoversi: il tempo si dilata quando si è vicini a ciò che si vuole. Dopo quelle che sembrarono ore, l'insegna rossa e nera, con un grosso libro bianco luminoso, le apparve davanti agli occhi. Sentì il cuore ribaltarsi e fare capriole dalla gioia mentre varcava quella soglia e s'immergeva nell'odore di pagine stampate. Galleggiando nella luce appena meno intensa rispetto al centro commerciale, si infilò nel reparto Narrativa, gli occhi finalmente accesi e scintillanti. Si guardò intorno incuriosita, come se non conoscesse a memoria ogni centimetro di quel luogo, alla ricerca di nuove uscite. Le sue richieste vennero esaudite: uno stand ospitava grossi volumi del colore del cielo notturno, il titolo impresso a lettere dorate in una lingua che non conosceva. Una bambina con i capelli scuri e gli occhi blu l'ammonì silenziosamente con il suo sguardo di cartone mentre Cassie prendeva il libro sulla sommità del mucchio e lo voltava per leggerne la trama. Una ragazza ed un nuovo, terribile potere acquistato in un centro commerciale... che idiozia!
Rimise a posto il volume e riprese ad addentrarsi nel reparto, con meno entusiasmo. Se tutte le nuove uscite fossero state con una trama simile, non avrebbe avuto più motivo di curiosare là dentro.
Di lì in poi ebbe più fortuna: trovò racconti divertenti, interessanti, magici. Sarebbe rimasta a leggere per ore se non si fosse resa conto che alle cinque e mezzo, in ottobre, la sera già cominciava a calare. Fece dietrofront, ripercorrendo l'infinito corridoio del centro commerciale, senza più voglia di dare un'occhiata alle vetrine: era esausta e voleva solo dormire. Gli occhi fissi a terra, sui suoi piedi che parevano correre su un tapis-roulant, uscì dalle porte automatiche. Ad aspettarla trovò un'aria più gelida e violenta del solito e una lieve pioggerellina che ben presto si sarebbe trasformata nel preannunciato temporale. Camminò velocemente verso casa, lasciandosi alle spalle il negozio di Arti Magiche ancora in costruzione, coperto da manifesti che offrivano "magia a piccole dosi".

La pioggerellina fastidiosa, abbastanza pigra da non inzupparle gli abiti, l'accompagnò per tutta la strada; quando arrivò a casa aveva una sgradevole sensazione di umido addosso. Si tolse il cappotto leggero e lo appoggiò sul termosifone del salotto, avvicinando ad esso le mani perché un debole calore la rassicurasse. Sentiva le palpebre pesanti e il sonno scivolarle addosso: come facevano i suoi coetanei a uscire il sabato sera senza addormentarsi sui tavoli o sulle poltroncine del cinema?
Osservò per qualche momento le gocce d'acqua che picchiettavano sul vetro e cadevano sempre più grosse, chiedendosi se anche loro si sentissero sole. Poi le gambe cedettero alla spossatezza e Cassandra si accasciò sul divano, sospirando. La casa le stava stretta. La sua vita le stava anche più stretta. E presto sua madre sarebbe tornata, carica di borse della spesa, più stanca di lei ma con l'aria radiosa che sfoggiava da quand'era incinta.
Che assurda idea, restare incinta a quarantacinque anni. Cassie non credeva nemmeno che fosse possibile, si era rassegnata a restare figlia unica per il resto dei suoi giorni e nemmeno le dispiaceva. E invece, tutt'a un tratto -bam!-, la scioccante notizia. Il suo decrepito padre e la sua impegnata madre avevano messo in cantiere un bambino. Cassandra non li aveva mai visti tanto felici, ma doveva ammettere di non riuscire ad esserlo altrettanto. Un bambino avrebbe significato responsabilità e decisione e, inevitabilmente, un lavoro da baby sitter a tempo pieno.
Si sentì egoista mentre pensava a quanto tempo libero le sarebbe stato tolto da quel pargolo strillante, ed incoerente perché non desiderava quel genere di alternativa alla sua solitudine.
Le sue riflessioni furono interrotte dal rumore secco della chiave che girava nella serratura e dall'invocazione d'aiuto di sua madre, sepolta dietro un oceano di cibo appena comprato. Cassie si alzò a malincuore, le andò incontro, la liberò dei sacchetti più grandi e li portò in cucina, appoggiandoli sul tavolo e sulle sedie lì accanto ed iniziando la complicata operazione di smistamento dei pacchetti; intanto Anne, sua madre, si lasciava cadere su una sedia vicina e si toglieva le scarpe con il tacco basso, massaggiandosi i piedi doloranti. Nonostante l'età che avanzava inesorabile, restava una bella donna: portava i biondi capelli ricci fino alle spalle (quel giorno erano legati in una morbida e disordinata treccia) e con un trucco leggero evidenziava gli occhi di un blu chiaro, incorniciati da una pelle luminosa e quasi priva di rughe. Il suo essere paffuta, invece di penalizzarla, le rendeva le guance rosa e piene assolutamente irresistibili. Nel complesso sembrava una dolce bambina appena cresciuta. Con la figlia manteneva un rapporto sereno e pacifico: entrambe stavano attente a lasciarsi spazio e a fidarsi l'una dell'altra; i litigi erano radi a casa Brookner, e persino l'arrivo di un bambino da Cassie non desiderato era stato preso con tranquillità, senza nemmeno una discussione. Dopotutto Cassandra non era abituata a reagire con aggressività: mai avrebbe contestato una decisione della madre, se illustrata con accurate motivazioni. Anzi, tendeva a prendersi cura di lei; la madre era figlia e la figlia era madre.
Questo fu appurato mentre Anne, ancora seduta, si lagnava della coda infinita alla cassa e Cassie, con un sorrisino, finiva finalmente di sistemare le cibarie nelle diverse credenze, si avvicinava alla madre e le dava un bacio leggero sulla fronte.
Si chiese se avesse potuto uscire con lei, qualche volta, ma il pensiero fu subito cancellato dalla sua mente: andare in giro con la madre era per gli sfigati, secondo i suoi coetanei. Poco intelligenti, avrebbe aggiunto. Non nutriva una grande stima per persone secondo le quali una firma su un abito lo rendeva irresistibile e una persona grassottella, con gli occhiali o bruttina che fosse, era assolutamente da evitare.
- Grazie, angelo mio, - disse Anne, alzando lo sguardo stanco a cercare gli occhi di Cassie. - Sono proprio esausta e tuo padre sarà qui a momenti.
La ragazza annuì, cercando una pentola in cui far bollire l'acqua per la pasta. Era di poche parole quella sera.
Anne parve non accorgersene. Si alzò, infilò le pantofole di peltro rosso ed uscì lentamente dalla stanza; poco dopo lo sciacquio della doccia sovrastò quello della pioggia. Cassandra lo trovava rassicurante: si sedette accanto al termosifone, chiudendo gli occhi e assaporando quella sensazione di familiarità e sicurezza.
Il tempo parve volare finché non arrivò suo padre, un uomo più sulla sessantina che verso i quaranta, con argentei capelli corti e dei baffi brizzolati. Al contrario della moglie, era alto e scheletrico e possedeva un’aria distinta e severa che nemmeno il professore più austero avrebbe saputo eguagliare.  I suoi sorrisi e le sue parole erano radi quanto i capelli: pareva che Anne fosse l’unica fonte di gioia nella sua vita. Spesso Cassie si chiedeva se suo padre le volesse bene; la ritrosia di quest’ultimo a esternare i propri sentimenti non le aveva mai dato certezze.
Difatti, l’uomo chiuse la porta con forza ma senza proferire parola. Dopo pochi secondi si sentì il rumore, attutito dalla moquette, di una ventiquattrore che veniva appoggiata nell’ingresso e il volto arrossato di suo padre apparve in cucina. Con mani esperte s’allentò la cravatta; Cassie si limitò a puntargli addosso i suoi grandi occhi curiosi. Quel gesto veloce e ripetitivo l’aveva sempre affascinata; spesso, da piccola, si svegliava di buon mattino solo per osservare il padre annodarsi quel semplice pezzo di stoffa attorno al collo, inspirando l’odore acre di dopobarba che per lei aveva il significato di “papà”.
Finalmente Jonathan Brookner alzò gli occhi per incrociare quelli di sua figlia. Cassandra gli fece un debole sorriso, ovviamente non ricambiato. Scrollò le spalle, incerta, e si alzò per apparecchiare la tavola, sbattendo le stoviglie il più silenziosamente possibile. I momenti di solitudine con il padre la imbarazzavano: essendo entrambi individui taciturni, non avevano mai nulla di cui parlare e il silenzio che si riscontrava era tutt’altro che piacevole e rilassato. Entrambi attendevano con ansia l’arrivo della donna di casa, moglie, madre, cuoca e chiacchierona.
Arrivò dopo pochi minuti, con i capelli ancora umidi ma rinvigorita, gettò il sale nell’acqua della pentola e protese il viso verso il marito perché le baciasse le gote rosee.
Cenarono in silenzio; l’unica persona sorridente era Anne. Jonathan sembrava stanco e Cassandra non era da meno. Ripulì in fretta il suo piatto, lo appoggiò sul lavello e si diresse verso la sua camera, augurando la buonanotte ai genitori: non era in vena di aiutare a sparecchiare.
Imboccò il corridoio che portava alle stanze da letto, strisciando i piedi sulla moquette color avorio. La sua porta di legno bianco l’attendeva come una vecchia amica. Si aprì con uno scricchiolio lievemente sinistro e la luce tremò appena mentre la lampadina illuminava la stanza con un ronzio. Cassandra sospirò e si buttò sul suo piumone lilla, caldo e morbido, su cui era impossibile non rilassarsi. Prese il computer portatile dal comodino, lo sistemò sulle sue gambe e lo accese. Eccoli, i suoi amici: utenti di forum e siti per fotografi, persone virtuali che mai avrebbe incontrato. Con loro riusciva ad aprirsi come con nessun altro, complice lo schermo che le impediva di mostrarsi rossa di vergogna, o di balbettare. Le dita correvano sui tasti, leggiadre come farfalle e in balia della sua fantasia. Talvolta si improvvisava una ballerina di Cuba, altre volte una ricercatrice universitaria. Il ruolo che amava di meno era quello di Cassandra, adolescente timida e chiusa. Passava ore ad inventarsi altre storie, altre vite più interessanti della sua, vite che valesse la pena raccontare. Non si era mai confusa, né tradita: i suoi alter ego erano più simpatici e socievoli di lei, e mai avrebbe rivelato il suo vero Io.
A volte si fermava a riflettere sulle implicazioni etiche e si chiedeva se Dio la potesse perdonare per tutte quelle bugie. Sfiorò il rosario che portava al collo, nascosto sotto tutti i vestiti, come in cerca di risposte. Spense il pc, infilò il pigiama e si inginocchiò accanto al letto, recitando la solita Ave Maria; poi scostò le coperte e ci si nascose sotto, continuando a dialogare mentalmente, un po’ con il Signore e un po’ con se stessa, finché l’oblio non la raggiunse e cadde in un sonno profondo.

Il giorno dopo, per la prima volta nella sua vita, venne notata. Una ragazza estremamente pallida, totalmente vestita di nero, l’avvicinò nel corridoio della scuola. - Ciao, sei una Wicca? - le chiese.
Cassandra sapeva bene cos’era la Wicca e quella domanda destò la sua curiosità. - No, non sono religiosa. Perché me lo chiedi? - domandò, corrugando la fronte. Non capita tutti i giorni che una sconosciuta venga a chiederti cose del genere.
La ragazza sorrise beffarda. - Ne hai proprio l’aspetto, - commentò. Cassandra si sentì presa in giro per l’ennesima volta, come se dal suo modo di comportarsi si potesse dedurre che passava il tempo a fare Sabbat nuda. Stava per voltarsi e tornare sui suoi passi senza replicare, quando la sconosciuta le tese la mano. - Sono Morgana. Della classe accanto alla tua. Sei in quarta B, vero?
Cassandra sbatté le palpebre un paio di volte, incerta sul da farsi. Si decise troppo tardi e quando fece per stringere la mano di Morgana, questa l’aveva già ritirata; dunque annuì, ammutolita. - Ti ho osservata, sai - continuò la sconosciuta, quasi divertita dalla soggezione che doveva provare quella sfigata. - Penso che potremmo essere amiche. Ci vediamo al centro commerciale questo pomeriggio? Ho visto che aprirà un negozio di arti magiche e vado matta per quella roba.
Cassandra si appuntò mentalmente tutti i suoi dubbi e li confrontò con il suo desiderio disperato di avere un’amica. Accettò l’invito con una lieve esitazione, ma Morgana sembrò non farci caso.

Il centro commerciale, accanto a un’amica dalla parlantina inarrestabile, sembrava addirittura meno piacevole del solito. Finalmente Cassandra aveva ciò che desiderava, eppure in tal modo si sentiva ancora più estraniata dal resto del mondo. Le sembrava di galleggiare su una nuvola, di vedersi dall’alto annuire e rispondere a Morgana distrattamente. Non voleva che la sua nuova amica cambiasse idea, ma allo stesso tempo iniziava a capire quanto la condizione della solitudine potesse essere piacevole.
Nonostante il giorno prima fosse ancora in costruzione, quel mercoledì il negozio di Arti Magiche era aperto. Dall’esterno si potevano vedere solo le pareti blu scuro, le luci soffuse e un tavolo su cui erano disposte diverse pietre colorate. Morgana entrò nel negozio senza indugiare; Cassandra, intimorita, la seguì.
All’interno il negozio, se possibile, era ancora più strano. Ovunque erano drappeggiati teli di velluto scuro, pericolosamente vicini alle candele. I diversi scaffali ospitavano gli oggetti più strani.
Cassandra avanzò lentamente nel negozio, affascinata. C’era anche un reparto per gli animali. Le teche, in legno e vetro, davano alloggio a gatti spelacchiati, serpenti e iguane.
Morgana sorrise prima di svanire nel retrobottega.
Cassandra continuò a camminare, sentendosi i piedi piumati. Tutto le appariva come in un sogno, lievemente distorto, surreale. Lo scaffale dei libri catturò la sua attenzione, come sempre. Ci si avvicinò e sfiorò con la mano il dorso di alcuni di essi. Prese un libro dalla copertina nera; non presentava alcun titolo né disegno in copertina. Mentre sfogliava le pagine ingiallite, l’odore di muffa e di stantio le solleticarono le narici; ma non ci fece caso, interessata com’era al contenuto. Frequentava un liceo classico e dunque studiava il greco, ma non riusciva a capire una parola di quant’era scritto in quel volume. Forse era il greco più antico. Lesse e rilesse, cercando di capire cosa diamine ci fosse scritto.
I caratteri iniziarono lentamente a cambiare forma sotto i suoi occhi, piegandosi e modellandosi fino a formare delle parole per lei comprensibili. Era come se un ordine improvviso avesse costretto il libro a rivelarsi, a svelare il proprio contenuto alla ragazza che l’aveva scelto.
Cassandra si mise a leggere.

Lasciò cadere il libro a terra, sconvolta. Si voltò ed uscì di corsa dal negozio - Morgana riemerse dal retrobottega, compiaciuta - percorse i corridoi del centro commerciale senza quasi rendersene conto. Salì precipitosamente le scale che portavano al parcheggio del piano superiore, e salì ancora finché non raggiunse il tetto dell’edificio. Continuò a correre. Il parapetto sembrava venirle incontro, invitante.
Continuò a correre.
Scavalcò la ringhiera e si buttò nel vuoto. Rimase sospesa in aria, il rosario appeso al collo si agitava nel vento, come la gonna di pizzo che portava anche il giorno prima. Il dolore avvolgeva ogni cellula del suo corpo, ma non riusciva più a muoversi. Era paralizzata. Avrebbe voluto aprire la bocca e urlare, urlare la propria sofferenza con quanto fiato aveva in corpo, nel corpo che continuava incredibilmente a salire verso il cielo. Sembrava posseduta.
Qualche secondo dopo, Cassandra cadde. Cadde per un centinaio di metri, a tutta velocità, facendo capriole nell’aria come una tuffatrice, cercando disperatamente di nuotare. Si schiantò scomposta sull’asfalto, prona, con entrambe le gambe rotte, forse il collo, il viso sicuramente devastato dall’impatto.
Cassandra aprì gli occhi.


_______________________________

Note dell'autrice
Il titolo, Egoismo, non è dovuto al comportamento di Cassandra bensì a quello di Morgana.
Non sono una seguace della Wicca, quindi tutto ciò che ho inserito a riguardo è fatto assolutissimamente sulla base di ricerche superficiali che ho fatto molto tempo fa.
Originariamente questo racconto era nato come libro, ma mi sono resa conto che non avrei saputo sviluppare decentemente la trama, per cui invece di continuarlo ho deciso di farlo finire qui. Spero che vi sia piaciuto, vi prego di farmi sapere la vostra opinione a riguardo :) alla prossima!
   
 
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