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Autore: Dejanira    27/06/2012    1 recensioni
Draco e Hermione. Ridotti allo scheletro di loro stessi, nello scenario della Hogwarts più devastata di sempre. Cosa significa essere studenti nel dopoguerra? Fare i conti con le ombre dei cadaveri che costellano i propri incubi, e con i banchi lasciati vuoti dagli amici morti. Significa aver bisogno di fiabe, e di sentirsele sussurrare all’orecchio nascondendosi tra le spire di una notte di velluto. Scendere a patti con le fate, che siano vanitose creature alate o indaffarate e amorevoli fate madrine, solo un po’ più brille e drogate. Potrebbe voler dire essere un po’ meno se stessi, per potersi accettare.
Dopo il sangue, dopo i caduti, dopo la guerra, essere Draco o Hermione può ancora significare qualcosa?
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Il trio protagonista, Serpeverde, Susan Bones, Theodore Nott | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

8.

Make It Right

 

 

 

 

The world seems not the same,

though I know nothing has changed.

It's all my state of mind,

I can't leave it all behind.

I have stand up to be stronger.

(Pale, Within Temptation)

 

 

 

Il dolore era ovunque.

Era in lei e in tutte le cose attorno, era l’essenza stessa del mondo. Era ciò che la teneva ancora in vita, era l’ultima barriera che le impediva di morire.

Si contorceva per terra come un serpente, mentre dalle sue labbra scaturivano urla e preghiere che non riconosceva come sue. Era la voce di un’altra, che si era insinuata nella sua testa e tra la sua pelle, aveva preso possesso del suo sangue, e ora la dilaniava dentro, gustando ogni piccolo morso.

La risata di Bellatrix si allargò in quel massacrante vuoto, riempiendo ogni cosa. Il suo odio si annidò nel nulla che costituiva l’esistenza e si rintanò in lei, tra le sue ossa, facendole male, scuotendola da capo a piedi, ridandole vigore.

Era l’odio che la manteneva in vita, adesso.

Il dolore cessò, ma l’odio non passò mentre Bellatrix si allontanava, contaminando la stanza con l’eco delle sue risa. Risuonavano ovunque.

Lei rimase a terra, paralizzata, versando lacrime e urlando al solo ricordo del dolore.

Lui si avvicinò con l’incedere di una fata o un serpente, i suoi passi non producevano alcun rumore contro quel marmo nero.

Hermione alzò gli occhi su di lui, scoppiò in un nuovo pianto nello scorgere la sua veste nera e il volto ricoperto da quella maschera da scheletro. Il Marchio Nero gli incendiava il braccio, s’imprimeva a sangue nella pelle, ed era quel sangue che cadeva lungo il suo braccio sinistro da sotto la manica della tunica, depositandosi sul suo viso.

«Per favore» implorò Hermione. Nelle sue orecchie rimbombava la voce di Bellatrix, l’ardore delle sue Maledizioni, la dolcezza lacerante del suo dolore.

«Non uccidermi» pianse Hermione. «Per favore.»

Draco Malfoy le tese la mano. Sollevandosi in ginocchio, Hermione la prese e lui l’aiuto ad alzarsi.

Anche quando gli fu di fronte, lei non riuscì a capire se Draco la stesse guardando in viso. Quella maschera da morto oscurava il suo sguardo, così lei gliela sfilò e quella si dissolse tra le sue mani come polvere.

Hermione sfiorò con lo sguardo la pesantezza di quegli occhi grigi, che la guardavano senza emozione, come quelli vacui di un cieco. Fece scorrere il suo sguardo sulla dolcezza di quei lineamenti eleganti, sui capelli tanto biondi da apparire quasi bianchi, così serici da desiderare di accarezzarli, e quella pelle intatta, pallida, perfetta.

Si baciarono.

Hermione si aggrappò alle sue spalle e lui la sorresse per la vita, lei accarezzò quelle labbra con le proprie, e mise in quel bacio tutta la dolcezza di cui era capace, era il suo modo di chiedere perdono.

Continuò a baciarlo; e anche quando dalle sue labbra scaturì una ragnatela di tenebre che si diffuse sul viso di Draco come una malattia, lei continuò a baciarlo. Neanche quando il suo volto divenne una maschera di male e buio ben più tetra di quella che aveva portato fino ad allora, neanche in quel momento Hermione smise di baciarlo.

Lo uccise così, svuotando in lui tutto l’odio che le attanagliava il cuore, che le imprigionava l’anima, che le soffocava il respiro.

Dopo, tra le mani, le rimase solo una tunica nera e la scheletrica maschera da Mangiamorte che rideva di lei col suo beffardo sorriso.

 

***

 

«Hermione.»

Qualcuno le sfiorò una guancia. Aprì gli occhi.

Si tirò a sedere, sbadigliando, la mente ancora scossa dall’ombra di un incubo.

«Ciao, Lavanda» mugugnò, con voce impastata.

Lavanda Brown le sorrideva, seduta sulla sponda del suo letto. Indossava una vestaglia sopra il pigiama che lasciava ben in mostra la lunga cicatrice che le percorreva il collo e il viso fino agli angoli della bocca.

«Ho visto che ti muovevi nel sonno e ho pensato di svegliarti» disse la ragazza. «Ginny, Demelza e Vicky sono già scese.»

Hermione si destò del tutto. Si stropicciò gli occhi con la mano, dando un’occhiata rapida al quadrante della sua sveglia.

«E’ tardi» borbottò, tirando le coperte mentre Lavanda si alzava per lasciarla scendere.

Afferrò rapidamente i suoi vestiti e corse in bagno, ben sapendo che l’aspettava una lunga giornata.

La prima cosa che fece una volta fuori dalla Torre di Grifondoro fu recarsi in Infermeria. In Sala Comune Neville le aveva detto che Harry e Ron erano ancora sopra, così poté sperare di avere qualche minuto libero prima del loro appuntamento.

L’infermeria era vuota quando entrò. A parte, naturalmente, Madama Chips e il letto occupato da Draco Malfoy. L’infermiera le rivolse un cenno di saluto e un tiepido “Buongiorno”, mentre la ragazza prendeva posto sulla sedia lasciata vicino al letto di Draco.

Malfoy dormiva. In realtà, Hermione ebbe come l’impressione che fingesse, ma non poteva averne la certezza così restò semplicemente ferma a guardare.

Da quel poco del suo viso che non era ricoperto da bende, si intuiva che la sua espressione fosse serena e distesa. Magari si era sbagliata, forse dormiva davvero. La maledizione, incantesimo, fattura, o qualunque cosa fosse, si era propagata anche in alto nella parte sinistra del volto, prima che Madama Chips potesse impedirne l’avanzamento. Le sue cure dovevano aver sicuramente alleviato i danni, perché almeno la parte destra della bocca e del volto risultava quasi del tutto illesa.

La sera prima, quando il professor Lumacorno aveva portato il ragazzo in Infermeria, Madama Chips aveva agito immediatamente con impacchi di erbe e lozioni che avrebbero dovuto arrestare il propagarsi delle ferite. Il che avveniva solo momentaneamente, visto che quella fitta ragnatela di crepe sul viso sembrava rigenerarsi.

Lumacorno e la Chips avevano naturalmente chiesto spiegazioni, che neanche loro avevano saputo dare. Magia Oscura di livello avanzato, ben oltre le possibilità di uno studente, seppur brillante come Hermione, era stato il verdetto finale. La conclusione più plausibile a cui il professor Lumacorno era giunto era che qualcuno volesse nuocere in qualche modo a Draco Malfoy, ipotesi non così improbabile considerata la numerosa schiera di nemici che sicuramente il ragazzo si era fatto in quegli anni, per azioni proprie o anche per quelle che altri – nello specifico, i suoi genitori o i suoi zii – avevano compiuto.

Del resto, Hermione non avrebbe saputo dire altro. Pur sapendo di essere stata indubbiamente lei la causa scatenante di quella magia, dettaglio su cui gli altri avevano elegantemente sorvolato per difenderla, Hermione sapeva di non aver avuto l’intenzione di procurare a Malfoy quelle ferite. Almeno, non volontariamente. Primo, perché non aveva idea di che magia fosse quella, e concordava con Lumacorno nel ritenere che si trattasse di Magia Oscura al di fuori della sua portata. Ma non capiva ugualmente come e perché quel qualcuno, chiunque fosse, che aveva deciso di punire Malfoy in quel modo così macabro, avesse pensato di servirsi di lei per quel compito.

Le sue mani non avevano nulla che non andasse, l’aveva constatato con se stessa e con gli altri, sui quali una sua carezza o, beh, uno schiaffo, non causavano di certo quegli effetti. Ed era anche abbastanza sicura che un altro contatto con la pelle di Malfoy non avrebbe portato alle stesse conseguenze, un po’ perché le doveva essere sicuramente capitato di sfiorarlo mentre aiutava Harry e Anthony a portarlo in Infermeria senza procurargli ulteriori danni, un po’ perché semplicemente sentiva che quella magia, fluita in qualche modo attraverso di lei, si era dissolta.

In ogni caso, non avrebbe di certo corso nuovamente il rischio sfiorandolo di nuovo.

Tuttavia, il suo sentirsi almeno moralmente innocente non le risparmiò la preoccupazione né i sensi di colpa. Che l’avesse voluto o no, qualcosa era chiaramente successa, e considerato tutto la rabbia che era corsa tra di lei e Malfoy in quei giorni, e in quel momento in biblioteca soprattutto, non poté fare a meno di chiedersi se lei fosse totalmente esente da qualsiasi colpa.

Mentre guardava il viso addormentato di Malfoy, il ricordo dell’incubo di quella notte tornò a turbarla.

«Si faccia da parte un attimo, signorina Granger» la scosse la voce di Madama Chips, che si avvicinò a Malfoy con una serie di unguenti. Anche la ragazza poté notare alcune sottili crepe nere sbucare fuori dalle bende. Le ferite si diffondevano ancora.

«Non migliora?» chiese Hermione all’infermiera.

«Fintanto che non sappiamo con esattezza di cosa si tratti, qualunque cura sarà insufficiente» precisò la Chips. Prima di togliere le bende dal viso del ragazzo e applicare le medicazioni, l’infermiera si voltò a guardare Hermione.

«Io, il professor Twycross e la professoressa McGranitt ce ne stiamo occupando» aggiunse, quasi a voler ammorbidire il suo precedente tono un po’ burbero. «Stia tranquilla, signorina Granger.»

Lasciò Madama Chips al suo lavoro e uscì dall’Infermeria. Lungo i corridoi incrociò Theodore Nott e Pansy Parkinson, e soprattutto quest’ultima non le risparmiò uno sguardo furente e carico d’odio. Camminavano in direzione opposta alla sua, così Hermione suppose che stessero andando a trovare Malfoy. La Serpeverde sibilò qualcosa al compagno e fece per uscire la bacchetta, ma Nott la fermò passandole un braccio attorno alle spalle e la superarono senza altri inconvenienti.

L’appuntamento con Harry e Ron era alla capanna di Hagrid. Per quanto la vicenda di Malfoy avesse scacciato via ogni altro pensiero, Hermione aveva anche un’altra questione di cui occuparsi.

Il piccolo problema squamoso saltellava allegro sopra il tavolo della cucina di Hagrid. Thor lo guardava sospettoso, ma evidentemente abituato alle strane bestie che Hagrid gli portava in casa, se ne stette accucciato tranquillo ai piedi della sedia di Harry.

«Zucchero?» chiese Hagrid a Hermione, dopo averla fatta accomodare insieme agli altri e averle offerto una tazza di tè. Hermione rifiutò cordialmente.

Charlie Weasley, il fratello secondogenito di Ron, non aveva nulla da invidiare al maggiore Bill in quanto a fascino, soprattutto dopo che Greyback aveva dato il suo nobile contributo, pensò Hermione con amarezza. Anche se Charlie non possedeva la bellezza palese di Bill, aveva un fascino nuovo, diverso, nel portamento e nei gesti che lo rendeva attraente al pari del fratello. Forse era il sorriso insinuante che ricordava un po’ quello dei gemelli, o semplicemente le sue vaste conoscenze, patrimonio dei suoi innumerevoli viaggi, che gli conferivano una rassicurante sicurezza che lo rendeva l’esatto modello di persona interessante.

«E’ un Lindworm» affermò subito Charlie, senza esitazioni, mentre accarezzava con perizia il dorso lucente del drago. Nei suoi gesti non c’era nulla della ritrosia che caratterizzava i movimenti dei tre ragazzi quando avevano a che fare con quella creatura. Charlie sapeva esattamente quali punti toccare per calmare il drago, e quali invece evitare anche solo di sfiorare per non infastidirlo.

Al pari di Charlie, Hagrid appariva altrettanto incantato.

«Un cosa?» ripeté Harry, guardando ora Charlie ora Hermione, quasi si aspettasse anche da lei una risposta, ma lei non poté fare altro che stringersi nelle spalle e ammettere la sua ignoranza in materia.

«Un Lindworm» scandì ancora Charlie. «E’ una creatura originaria dei paesi nordici, in particolare Scandinavia e Germania. Oggi sono molto rari, le loro squame vengono vendute a prezzi altissimi al mercato nero, sono uno degli ingredienti essenziali per la fabbricazione della Felix Felicis, anche se il più delle volte vengono sostituite con squame di altri rettili più facilmente reperibili.» Charlie fece una pausa, mentre gli altri tre osservavano non senza un certo timore i movimenti sinuosi del Lindworm. Certo adesso potevano dire di averci fatto un po’ l’abitudine, ma i suoi scatti ricordavano ancora troppo quelli di un serpente per non rimanerne impressionati almeno un poco.

«Dove hai detto che l’hai trovato, Hermione?» chiese poi Charlie.

«Al limitare della Foresta» si precipitò a rispondere Ron. Avevano concordato sul fatto che neanche Hagrid poteva sapere dei reali dettagli del duello tra lui e Malfoy; anche se era per prima cosa loro amico, restava pur sempre un professore di Hogwarts.

«Strano che non l’ho visto prima io» disse il guardiacaccia. «Ci abito qui.»

«Sì, curioso» convenne con un sorriso nervoso Ron.

Hermione allungò una mano per accarezzare il drago, che subito si avvicinò a lei per lasciarsi toccare. Dapprima la ragazza lo sfiorò appena, non potendo impedirsi di provare un brivido di fastidio nel sentire le squame a contatto con la sua pelle. Era esattamente come accarezzare un serpente. Ma, se non altro, era un serpente che non cadeva agonizzante al suo minimo tocco.

«Alcuni non lo considerano nemmeno un drago» continuò Charlie.

«Perché?» chiese Harry, fissando la creatura dubbiosa.

«Beh, tra i miei colleghi i pareri sono discordanti, ma c’è chi afferma che al Lindworm manchino alcune caratteristiche essenziali che impediscano di classificarlo come drago.»

Hermione sobbalzò ed emise una specie di strillo acuto quando la creatura le saltò in braccio, arrampicandosi con le sue due uniche zampe sulle spalle della ragazza, che lo tenne come meglio poteva, cercando di assecondare i suoi scatti repentini.

«Per prima cosa, le dimensioni» elencò Charlie. «I draghi hanno tutti una stazza notevole, mentre il Lindworm, anche nel caso degli esemplari più grossi, non supera mai la lunghezza di due metri. Quello che avete trovato voi è ancora giovane, a giudicare dalla lucentezza delle squame, ma in ogni caso non credo che, crescendo, diventerà molto più grosso di come è ora.»

Estremamente a disagio, Hermione fu ben felice di passare la creatura tra le mani più esperte di Hagrid, che lo lasciò adagiarsi elegantemente tra il suo braccio e la spalla.

«Seconda cosa, non volano» continuò Charlie. «O meglio, quelli più grandi non ci riescono. Le loro ali sono troppo piccole per sostenere il loro peso. Nel caso di esemplari più esili, come questo, le ali sono forti abbastanza da permetterne un accenno di volo, anche se avrà sempre la tendenza a muoversi per grandi balzi, qualora è possibile. Di contro, i Lindworm sono grandi viaggiatori. Nonostante la fatica che comporti, amano compiere grandi viaggi, anche quelli al di fuori della loro portata. Hanno un ottimo senso dell’orientamento.»

Il che, forse, pensò Hermione, spiegava come avesse fatto a guidare lei e Malfoy fuori dalla Foresta Proibita. Ma questo, naturalmente, evitò di farlo presente ad alta voce.

«Come avrete notato, non sputano fuoco» aggiunse ancora Charlie. «Al massimo, scintille e sbuffi di fumo.»

Come a conferma di quanto appena detto, il Lindworm emise una specie di starnuto che procurò solo alcuni innocui sbuffi di fumo dalle narici.

«Insomma che accidenti fanno?» bofonchiò Ron deluso. «Sono dei lucertoloni mal cresciuti.»

«Una volta tra le famiglie Purosangue era costume portare un Lindworm in dono alla propria sposa, come regalo di nozze» disse ancora Charlie.

«E ti pareva» bisbigliò Ron all’orecchio di Harry. «Loro e le loro stupide manie.»

«Per una strega, ricevere un Lindworm in dono era motivo di grande vanto, data la difficoltà nel trovare una creatura del genere. Bisognava acquistarlo dai contrabbandieri, pagarlo a peso d’oro e godere delle giuste conoscenze per procurarsene uno. Era sicuramente indice che il mago che stavano per sposare era di famiglia altolocata e prestigiosa» disse Charlie. «Per la loro natura innocua e le dimensioni ridotte, i Lindworm venivano considerati alla stregua di animali da compagnia. In più, sono creature estremamente fedeli: riconoscono un padrone e uno soltanto, e a loro sono fedeli per tutta la vita… che generalmente è molto, molto lunga. Ben più di quella di un uomo, ovviamente. Se trovate un Lindworm selvaggio, impossibile da addomesticare, probabilmente è ancora fedele al suo vecchio padrone, ormai morto. Domarlo, in quei casi, è quasi impossibile.»

«E’ questo qui è fedele a Hermione?» domandò Harry, osservando il modo in cui il drago, o qualunque cosa fosse, cercava continuamente le attenzioni della ragazza.

Charlie sospirò. «Sicuramente ti ha preso in simpatia» disse, rivolto a Hermione, che non seppe se prendere la notizia come buona o meno. «Però, beh, è un po’ presto per sapere se ti ha scelto come padrona. L’ipotesi che tu lo possa diventare, un giorno, non è comunque assurda: come ho già detto, è ancora una specie di cucciolo, è molto probabile che non ne abbia ancora uno.»

Il Lindworm saltò giù dalla presa di Hagrid, atterrando sul tavolo.

«Ma la motivazione principale che spinge alcuni ricercatori a non classificarlo come drago è un’altra» concluse Charlie, con una soddisfazione simile a quella di Lumacorno quando si lasciava le pozioni migliori per ultime. «I Lindworm si esprimono in Serpentese.»

«Cosa?» esclamò Harry, sorpreso.

«Già» confermò Charlie. «I Lindworm parlano la lingua dei serpenti. In realtà, condividono molte caratteristiche con questo animale. In molti non li considerano veri e propri draghi proprio perché la loro natura è data da una sorta di incrocio tra un serpente e un drago. Ritengono che siano creature ibride. Io non sono d’accordo. Voglio dire, ci sono anche altre specie di draghi, molto più imponenti, che non riescono a levarsi in volo. In più, le loro peculiarità essenziali sono quelle di un drago, hanno una vita media che coincide con quelle delle creature mitologiche, non di un comune serpente. Anche la conformazione delle loro squame è differente, anche se i movimenti ricordano quelli di un rettile, il che è dovuto al fatto che hanno un solo paio di zampe e anche di ridotte dimensioni. Quanto ai loro artigli, sfido io a non considerarli quelli di un drago. Anzi, per essere corretti, i loro effetti sono ben più potenti di quelli di un drago comune.»

Harry, Hermione e Ron guardarono confusi la creatura. Sembrava davvero innocua.

«E noi ora cosa dovremmo farci?» disse Harry infine, dando voce al dilemma comune.

Charlie esitò. «Beh, si può avviare una pratica per allevarlo, se volete. In alcuni Paesi, la Gran Bretagna tra questi, possedere un Lindworm non è illegale, per la loro natura ibrida. Certo è un percorso lungo, dovreste dimostrare di avere determinate conoscenze, che potete acquisire nel frattempo se ci tenete, e dimostrare di possedere un ambiente ideale nel quale farlo crescere  e…»

«Noi non vogliamo allevarlo» lo interruppe subito Hermione. «E’ solo che non riesco a liberarmene. Mi segue, una volta l’ho trovato in camera mia e non ho la più pallida idea di come abbia fatto a entrare. Vorrei solo lasciarlo libero.»

Charlie annuì comprensivo.

«Capisco. Posso portarlo con me, se volete. Gli troverei una riserva dove stare. Ciò comunque non toglie che se davvero ti ha riconosciuta come padrona troverà un modo per tornare prima o poi, ma visto che non ne siamo certi, si potrebbe fare un tentativo. Oppure…»

«…Oppure?» incalzarono gli altri tre.

«Oppure niente, Hagrid lo riporterà nella Foresta, dove presumibilmente stava prima, per quanto la cosa sia strana, visto che non ci sono specie di draghi in questa regione, e voi sperate che ci resti. O che migri da qualche altra parte. Se dovesse continuare a cercare la tua compagnia, Hermione, qualora la cosa dovesse destare complicazioni potrete prendere provvedimenti. E’ pur sempre una creatura selvatica, è libera di vivere dove vuole, a patto di non arrecare danni a cose o persone. E se ha scelto la Foresta di Hogwarts come sua casa… beh, avete sopportato acromantule giganti e basilischi, in quanto a pericolosità un Lindworm non è neanche lontanamente paragonabile a loro.»

Rimasero in silenzio a osservare il piccolo drago emettere strani versi. Un’idea colpì fulminea Ron.

«E se Harry gli chiedesse di lasciarci in pace? O gli domandasse da dove viene? Insomma, amico, conversi con micidiali serpentoni per il tubo di scarico, questo qui sarà almeno un po’ più ragionevole, no?» Il ricordo del basilisco fece sorgere una nuova considerazione in Ron, che si voltò verso Hermione come illuminato. «A proposito, Hermione, fossi in te mi preoccuperei. Cominci a piacere a troppi serpenti, non ti pare?»

«Divertente» borbottò la ragazza squadrandolo truce. Per qualche motivo, la battuta l’aveva messa un po’ a disagio.

«Harry potrebbe provarci, certo» rispose Charlie. «Ma non è detto che ottenga una risposta. Anche per comunicare, i Lindworm si espongono solo con coloro a cui decidono di essere fedeli. Certo la Rettilofonia potrebbe determinare la scelta del loro padrone, ma se non ne ha ancora designato uno, o ha già scelto Hermione, è difficile che ti dia retta. Diversamente da quel che crede la gente, sono draghi, non cagnolini da salotto.»

Ancora una volta, Ron parve deluso.

Hagrid tornò ad accarezzare il Lindworm, troppo esaltato all’idea di averne uno in casa per potersi lasciar deludere dal fatto che non fosse un potente drago alato e sputa fuoco.

«Certo che però è proprio bella» disse il guardiacaccia, accarezzando il Lindworm vicino all’attaccatura delle ali.

«Bella?» fecero Ron e Harry in coro.

«E’ femmina, non l’avevo detto?» si scusò Charlie. «E’ una lei. Il che la rende estremamente permalosa, vi consiglio di non offenderla. Potreste rimetterci un occhio.»

 

***

I have to try

To break free

From the thoughts in my mind

Use the time that I have

I can say goodbye

Have to make it right

Have to fight

'Cause I know in the end it's worthwhile

That the pain that I feel slowly fades away

It will be all right.

(Pale, Within Temptation)

 

 

Anche quella sera, dopo cena, Hermione mollò Harry e Ron con una scusa per recarsi in Infermeria. Aveva reso partecipi i suoi amici dei suoi dubbi riguardo la sua presunta o meno colpevolezza nella maledizione che aveva colpito Draco Malfoy, ma non della visita di quella mattina e neanche di quella che si apprestava a fare.

Purtroppo per lei, quella volta non fu fortunata come di mattina. Quando arrivò in Infermeria, questa non era vuota, ma c’era Pansy Parkinson che stava ancora a fianco del letto di Malfoy. Gli diceva qualcosa, ma lui sembrava irritato. Hermione si fece di lato nascondendosi oltre lo stipite della porta, domandandosi se non fosse il caso di rimandare. Non aveva voglia di fermarsi a fare quattro chiacchiere con la Parkinson. Ma, proprio nel momento in cui cominciava a valutare con più serietà quest’ipotesi, sobbalzò nel trovarsi la Serpeverde a un metro da lei, altrettanto stupita di vederla lì. La sua sorpresa si tramutò nella frazione di un secondo in fastidio, e Hermione rimpianse amaramente di non essersene andata prima.

Saltando con classe i convenevoli, Pansy le puntò la bacchetta alla gola, spingendola al muro.

«I tuoi amici potranno anche difenderti, se vogliono, ma Barry mi ha detto come sono andate davvero le cose» sibilò la ragazza. «Augurati che Draco guarisca, perché se la situazione peggiora sarò io a dare la giusta versione dei fatti e a fartela pagare amaramente.»

Hermione alzò lentamente una mano, per allontanare la punta della bacchetta dalla sua gola, ma Pansy la strinse ancora più saldamente e, se prima la sfiorava appena, adesso gliela premeva contro con rabbia.

«Sono preoccupata quanto te, Parkinson» chiarì Hermione.

Pansy ghignò. «No, non credo proprio.»

«Non voglio essere la causa del male di Malfoy. Ti assicuro che io non ho fatto niente» precisò, ma Pansy era irremovibile nella sua collera.

«Se peggiora…» Hermione avvertì un groppo alla gola mentre parlava. «Puoi essere certa che mi occuperò io stessa di rivelare qualunque informazione possa essere d’aiuto» la rassicurò.

Pur non covando la minima fiducia in lei, Pansy le credette. Sapeva quale assurdo senso dell’onestà dominasse l’animo dei Grifondoro, ed era più che convinta che la Granger avrebbe mantenuto fede a quanto aveva detto. La cosa, comunque, non le impedì di premere quella bacchetta più a fondo contro il collo della Granger.

«Stagli alla larga» sibilò la ragazza. «Non vuole vederti.»

«Sì, lo credo bene» convenne Hermione, mettendo avanti le mani per invitarla a ritrarsi, ma la Parkinson non si ammorbidì per nulla. «Voglio solo capire cosa è successo. Potrebbe essere utile, non trovi?»

Pansy continuò a fissarla inviperita, ma non rispose.

«Non avrei mai voluto causargli quelle ferite» ripeté ancor Hermione. «Non avrei mai desiderato qualcosa del genere per nessuno.»

Pansy sospirò. Alla fine abbassò la bacchetta.

«Tu prova ancora a giocarci uno scherzetto del genere, Granger, e te la faremo pagare cara» le bisbigliò minacciosa all’orecchio. Poi, non senza averle rivolto un’ultima, gelida occhiata, le diede le spalle e sparì.

Allora Hermione poté entrare in Infermeria.

Malfoy sembrò essersi accorto dell’amorevole scambio di battute tra Hermione e la sua ragazza, perché non appena lei varcò la soglia lui le aveva già puntato lo sguardo addosso. Hermione sedette dove fino a poco prima era stata Pansy. Draco la seguì con gli occhi fino a quando lei si fu sistemata, poi voltò il capo dall’altro lato, in silenzio. Aveva ancora il volto fasciato per metà, e di certo con tutte quelle bende a immobilizzargli parte della bocca non avrebbe potuto neanche parlare.

«Ciao» fece Hermione, torturandosi nervosamente le mani. Lui non diede neanche segno di aver sentito e Hermione si sentì molto stupida.

Stupida per esserlo andato a trovare, quando era ovvio che lui non aveva voglia di vedere chi lo aveva costretto lì; stupida perché in ogni caso non avrebbe avuto voglia di vederla comunque, considerato che non si parlavano e quando lo facevano era solo per gettarsi addosso veleno. E stupida anche per quel “Ciao”, che risultò così ridicolo. Qualunque domanda sulla scia del “Come va?”, “Stai meglio?”, “Fa ancora male?” le sembrò perfino più fuori luogo della sua presenza lì. Del resto, lui non sembrava neanche aspettarsi che lei parlasse, ma Hermione detestava i silenzi imbarazzanti e non poté trattenersi dal dire qualcosa.

«Mi dispiace» disse. Anche se aveva il capo voltato dalla parte opposta, Hermione si accorse che aveva atteggiato la porzione sana di labbra in una smorfia di sarcasmo.

«Mi dispiace davvero. Anche se non sono stata io.» Altra smorfia dall’altra parte. Forse era una fortuna che non potesse parlare. «Ti prometto che cercherò di risolvere la cosa, Malferret. Cioè, Malfoy» si corresse dopo, accorgendosi di averlo anche chiamato col nomignolo con cui di solito lei, Ron e Harry lo prendevano in giro. Davvero un gesto carino. Lui comunque non vi badò nemmeno.

«E poi, beh» disse ancora, passando a torturarsi il bordo della gonna a pieghe. «Visto che non puoi parlare, e quindi posso finalmente dirti quello che voglio senza che tu mi interrompa, volevo solo farti sapere che chiunque sia stato a desiderare di farti questo, io, ecco, non lo approvo. Voglio dire, mi dispiace che continuiamo ancora a farci tutti male.»

Non suonava granché come discorso. Soprattutto perché non solo lui non la interrompeva, ma non dava neanche segno di prestarle ascolto. Però sentiva, era indubbio che lo facesse, quindi tanto valeva approfittarne, no?

«Quindi» riepilogò infine, «quello che ti volevo dire fin dall’inizio, e che forse ho già detto, è che scoprirò cosa è successo. E che in tutta questa storia io non sono coinvolta. Mi dispiace. L’ho già detto.»

Poggiò le mani sulle ginocchia e si alzò. Si chiese se non fosse il caso di aggiungere qualcosa, ma aveva l’impressione che non avrebbe fatto differenza. Malfoy continuava a non guardarla.

«Allora… ciao.»

Attese ancora qualche istante e poi andò. Magari lo infastidiva davvero e gli impediva di riposare. A Hermione non piaceva essere di troppo.

Poco prima di uscire si fermò a parlare con Madama Chips. L’infermiera stava armeggiando con alcune provette di medicinali.

«Qualche novità?» s’informò la Grifondoro.

Madama Chips scosse la testa.

«Nessuna. Se non ci sono progressi, saremo costretti a trasferirlo al San Mungo. Qui non abbiamo le risorse necessarie per occuparci di un caso come questo.»

Il tragitto lungo i corridoi Hermione lo percorse sovrappensiero. Arrivata alle scale, decise di deviare e invece che alla Torre di Grifondoro decise di andare al bagno delle ragazze. La biblioteca a quell’ora era chiusa, e lei aveva bisogno di stare alcuni minuti da sola.

Optò per il bagno di Mirtilla, quello non lo frequentava nessuno. Entrò di fretta, senza badare a nulla. Ma quando intravide la sagoma sottile di Susan Bones appoggiata a un lavandino non poté fare finta di niente.

«Ciao» disse, dopo un momento di sorpresa.

Susan aveva la treccia bionda tutta in disordine e il contorno degli occhi un po’ scuro per il mascara colato. Sembrava che avesse appena pianto, e solo dopo Hermione si accorse della sigaretta babbana che si portò alle labbra.

«Ciao» replicò mesta la Tassorosso. Era una versione di Susan che non conosceva affatto. La ricordava sempre in ordine e ben curata ed era abbastanza sicura di non averla mai vista fumare prima.

Ritenendo che fosse scortese andare via subito, Hermione si avvicinò alla ragazza. Ebbe l’istinto di farle notare che era vietato fumare nei bagni, ma dopotutto anche Susan era Caposcuola e non era solita infrangere il regolamento, a differenza di Hermione che a due settimane dall’inizio della scuola era stata invischiata in un duello a mezzanotte, una scampagnata nella Foresta Proibita e aveva anche mandato un ragazzo in Infermeria per magia oscura. Non era esattamente nella posizione più adatta per fare la saccente.

«Ho saputo di Malfoy» buttò lì Susan.

«Non è stata colpa mia» si difese subito Hermione.

Susan diede un tiro di sigaretta.

«Sì, Anthony mi ha detto anche questo.»

Già, Anthony Goldstein. Lui e Susan Bones erano sempre stati molto uniti.

Hermione sentì il bisogno di parlare con qualcuno. Non poteva fare a meno di sentirsi un po’ sola, da quando si erano freddati i rapporti con Ginny. C’erano Harry e Ron, naturalmente, ma a volte sentiva il bisogno dell’appoggio di una figura femminile, del consiglio di un’amica. E tutto sommato, poteva anche essere la nuova eroina della Seconda Guerra Magica, ma a parte Ginny e Luna non aveva mai avuto amiche.

Susan Bones era una ragazza popolare e carina. Piaceva più o meno a tutti, non aveva nemici, aveva un carattere bendisposto e socievole. Amava fare conversazione, prender parte a qualunque avvenimento si tenesse a Hogwarts, avere buoni voti ed essere sempre circondata da gente. Aveva un ragazzo, dei migliori amici e parecchi conoscenti. Per sentito dire, Hermione sapeva che la sua famiglia ne aveva sopportate tante durante le due guerre, ma l’immagine che Susan dava di lei era quella di un’adolescente serena e felice.

Nonostante questo, lei e Hermione non erano mai state davvero amiche. Si erano ritrovate più volte a chiacchierare in classe, o a commentare una lezione, e un paio di volte avevano anche rivisto qualche argomento insieme in biblioteca. Per la prima volta Hermione pensò che il problema fosse unicamente suo; non aveva mai curato la sua vita sociale tantomeno le sue amicizie, e del resto lo studio e le continue magagne in cui si ritrovava annualmente infognata insieme a Ron e Harry non le lasciavano spazio per curare i rapporti umani.

Un po’ la capiva, Ginny. Cosa c’era di male a desiderare solo una vita ordinaria e normale, ora che tutto era passato?

Per la prima volta in vita sua, Hermione si chiese come sarebbe stato essere quell’altra ragazza. Quella che ha tanti amici, si diverte, va alle feste, conosce tutti e non serba rancore per nessuno. Le ragazze come Lavanda, come Calì, come Susan Bones. Normali. Ebbe l’impressione di aver fatto cose straordinarie, in quei suoi pochi anni di vita, ma di essersi persa per strada una porzione di se stessa.

«Ehm, qualcosa non va?» chiese allora, squadrando Susan. Probabilmente, se Hermione fosse stata Lavanda o Ginny, avrebbe trovato qualcosa di meglio da dire; magari avrebbe anche intuito subito, come fanno di solito le ragazze, di cosa si trattasse, anche solo per averlo udito da voci di corridoi; e di certo avrebbe avuto maggiore dimestichezza nel parlare con lei, nello starla ad ascoltare, forse darle un consiglio su come liquidare quel ragazzo, quell’amica o chiunque fosse che la stava facendo soffrire.

La sua adolescenza, invece, Hermione l’aveva interamente dedicata a quella guerra. Aveva conoscenti che la fermavano per i corridoi anche solo per complimentarsi con lei, durante i primi tempi perfino giornalisti che le stavano alle costole per avere un resoconto dettagliato della ricerca degli Horcrux, c’erano Harry e Ron che in quegli otto anni si erano sempre affidati a lei, quando qualcosa non andava. Ma non c’era una sola persona che l’avrebbe presa di parte con uno sguardo d’intesa per confidarle i suoi problemi, sperando di trovare in lei una buona amica.

Susan scrollò la cenere nel lavandino.

«Altre volte andava peggio» rispose soltanto, con sguardo vuoto.

Hermione non insistette oltre; e, se anche avesse voluto, quella conversazione non sarebbe mai andata più lontano di così.

Infatti, proprio mentre Susan dava l’ultimo tiro e spegneva la cicca nel lavandino, Morag MacDougal entrò trafilata nel bagno delle ragazze. Sia Hermione che Susan si girarono a guardarla perplesse, perché non era cosa di tutti i giorni vedere la MacDougal così agitata.

«Ti ho cercata ovunque, Granger» disse Morag, dopo aver rivolto appena un cenno di saluto a Susan.

Si avvicinò alle due ragazze.

«Davvero?» fece Hermione scettica, ma Morag non vi badò.

«Credo di sapere cosa è successo a Malfoy.»

***

 

N/A

Non posso che scusarmi per la discontinuità degli aggiornamenti. Non so ancora a quando, ma ringrazio sempre chi segue con uguale interesse questa storia e mi riprometto anche di rispondere al più presto alle ultime recensioni.

Deja.

 

 

 

  
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