Hogwarts
Horror Story
- Part 1: Fall –
8.
Make It Right
The world
seems not the same,
though I
know nothing has changed.
It's all my
state of mind,
I can't
leave it all behind.
I have stand
up to be stronger.
(Pale, Within Temptation)
Il dolore era ovunque.
Era in lei e in tutte le cose attorno, era l’essenza stessa
del mondo. Era ciò che la teneva ancora in vita, era l’ultima barriera che le
impediva di morire.
Si contorceva per terra come un serpente, mentre dalle sue
labbra scaturivano urla e preghiere che non riconosceva come sue. Era la voce
di un’altra, che si era insinuata nella sua testa e tra la sua pelle, aveva
preso possesso del suo sangue, e ora la dilaniava dentro, gustando ogni piccolo
morso.
La risata di Bellatrix si allargò in quel massacrante vuoto,
riempiendo ogni cosa. Il suo odio si annidò nel nulla che costituiva
l’esistenza e si rintanò in lei, tra le sue ossa, facendole male, scuotendola
da capo a piedi, ridandole vigore.
Era l’odio che la manteneva in vita, adesso.
Il dolore cessò, ma l’odio non passò mentre Bellatrix si allontanava,
contaminando la stanza con l’eco delle sue risa. Risuonavano ovunque.
Lei rimase a terra, paralizzata, versando lacrime e urlando
al solo ricordo del dolore.
Lui si avvicinò con l’incedere di una fata o un serpente, i
suoi passi non producevano alcun rumore contro quel marmo nero.
Hermione alzò gli occhi su di lui, scoppiò in un nuovo pianto
nello scorgere la sua veste nera e il volto ricoperto da quella maschera da
scheletro. Il Marchio Nero gli incendiava il braccio, s’imprimeva a sangue nella
pelle, ed era quel sangue che cadeva lungo il suo braccio sinistro da sotto la
manica della tunica, depositandosi sul suo viso.
«Per favore» implorò Hermione. Nelle sue orecchie rimbombava
la voce di Bellatrix, l’ardore delle sue Maledizioni, la dolcezza lacerante del
suo dolore.
«Non uccidermi» pianse Hermione. «Per favore.»
Draco Malfoy le tese la mano. Sollevandosi in ginocchio,
Hermione la prese e lui l’aiuto ad alzarsi.
Anche quando gli fu di fronte, lei non riuscì a capire se
Draco la stesse guardando in viso. Quella maschera da morto oscurava il suo
sguardo, così lei gliela sfilò e quella si dissolse tra le sue mani come
polvere.
Hermione sfiorò con lo sguardo la pesantezza di quegli occhi
grigi, che la guardavano senza emozione, come quelli vacui di un cieco. Fece
scorrere il suo sguardo sulla dolcezza di quei lineamenti eleganti, sui capelli
tanto biondi da apparire quasi bianchi, così serici da desiderare di
accarezzarli, e quella pelle intatta, pallida, perfetta.
Si baciarono.
Hermione si aggrappò alle sue spalle e lui la sorresse per la
vita, lei accarezzò quelle labbra con le proprie, e mise in quel bacio tutta la
dolcezza di cui era capace, era il suo modo di chiedere perdono.
Continuò a baciarlo; e anche quando dalle sue labbra scaturì una
ragnatela di tenebre che si diffuse sul viso di Draco come una malattia, lei
continuò a baciarlo. Neanche quando il suo volto divenne una maschera di male e
buio ben più tetra di quella che aveva portato fino ad allora, neanche in quel
momento Hermione smise di baciarlo.
Lo uccise così, svuotando in lui tutto l’odio che le
attanagliava il cuore, che le imprigionava l’anima, che le soffocava il
respiro.
Dopo, tra le mani, le rimase solo una tunica nera e la
scheletrica maschera da Mangiamorte che rideva di lei col suo beffardo sorriso.
***
«Hermione.»
Qualcuno le sfiorò una
guancia. Aprì gli occhi.
Si tirò a sedere,
sbadigliando, la mente ancora scossa dall’ombra di un incubo.
«Ciao, Lavanda» mugugnò, con
voce impastata.
Lavanda Brown le sorrideva,
seduta sulla sponda del suo letto. Indossava una vestaglia sopra il pigiama che
lasciava ben in mostra la lunga cicatrice che le percorreva il collo e il viso
fino agli angoli della bocca.
«Ho visto che ti muovevi nel
sonno e ho pensato di svegliarti» disse la ragazza. «Ginny, Demelza e Vicky
sono già scese.»
Hermione si destò del tutto.
Si stropicciò gli occhi con la mano, dando un’occhiata rapida al quadrante
della sua sveglia.
«E’ tardi» borbottò, tirando
le coperte mentre Lavanda si alzava per lasciarla scendere.
Afferrò rapidamente i suoi
vestiti e corse in bagno, ben sapendo che l’aspettava una lunga giornata.
La prima cosa che fece una
volta fuori dalla Torre di Grifondoro fu recarsi in Infermeria. In Sala Comune
Neville le aveva detto che Harry e Ron erano ancora sopra, così poté sperare di
avere qualche minuto libero prima del loro appuntamento.
L’infermeria era vuota
quando entrò. A parte, naturalmente, Madama Chips e il letto occupato da Draco
Malfoy. L’infermiera le rivolse un cenno di saluto e un tiepido “Buongiorno”,
mentre la ragazza prendeva posto sulla sedia lasciata vicino al letto di Draco.
Malfoy dormiva. In realtà,
Hermione ebbe come l’impressione che fingesse, ma non poteva averne la certezza
così restò semplicemente ferma a guardare.
Da quel poco del suo viso
che non era ricoperto da bende, si intuiva che la sua espressione fosse serena
e distesa. Magari si era sbagliata, forse dormiva davvero. La maledizione,
incantesimo, fattura, o qualunque cosa fosse, si era propagata anche in alto nella
parte sinistra del volto, prima che Madama Chips potesse impedirne
l’avanzamento. Le sue cure dovevano aver sicuramente alleviato i danni, perché
almeno la parte destra della bocca e del volto risultava quasi del tutto
illesa.
La sera prima, quando il professor
Lumacorno aveva portato il ragazzo in Infermeria, Madama Chips aveva agito
immediatamente con impacchi di erbe e lozioni che avrebbero dovuto arrestare il
propagarsi delle ferite. Il che avveniva solo momentaneamente, visto che quella
fitta ragnatela di crepe sul viso sembrava rigenerarsi.
Lumacorno e la Chips avevano
naturalmente chiesto spiegazioni, che neanche loro avevano saputo dare. Magia
Oscura di livello avanzato, ben oltre le possibilità di uno studente, seppur
brillante come Hermione, era stato il verdetto finale. La conclusione più
plausibile a cui il professor Lumacorno era giunto era che qualcuno volesse
nuocere in qualche modo a Draco Malfoy, ipotesi non così improbabile
considerata la numerosa schiera di nemici che sicuramente il ragazzo si era
fatto in quegli anni, per azioni proprie o anche per quelle che altri –
nello specifico, i suoi genitori o i suoi zii – avevano compiuto.
Del resto, Hermione non
avrebbe saputo dire altro. Pur sapendo di essere stata indubbiamente lei la
causa scatenante di quella magia, dettaglio su cui gli altri avevano
elegantemente sorvolato per difenderla, Hermione sapeva di non aver
avuto l’intenzione di procurare a Malfoy quelle ferite. Almeno, non
volontariamente. Primo, perché non aveva idea di che magia fosse quella, e
concordava con Lumacorno nel ritenere che si trattasse di Magia Oscura al di
fuori della sua portata. Ma non capiva ugualmente come e perché quel qualcuno,
chiunque fosse, che aveva deciso di punire Malfoy in quel modo così macabro,
avesse pensato di servirsi di lei per quel compito.
Le sue mani non avevano
nulla che non andasse, l’aveva constatato con se stessa e con gli altri, sui
quali una sua carezza o, beh, uno schiaffo, non causavano di certo quegli
effetti. Ed era anche abbastanza sicura che un altro contatto con la pelle di
Malfoy non avrebbe portato alle stesse conseguenze, un po’ perché le doveva
essere sicuramente capitato di sfiorarlo mentre aiutava Harry e Anthony a
portarlo in Infermeria senza procurargli ulteriori danni, un po’ perché
semplicemente sentiva che quella magia, fluita in qualche modo attraverso di
lei, si era dissolta.
In ogni caso, non avrebbe di
certo corso nuovamente il rischio sfiorandolo di nuovo.
Tuttavia, il suo sentirsi
almeno moralmente innocente non le risparmiò la preoccupazione né i sensi di
colpa. Che l’avesse voluto o no, qualcosa era chiaramente successa, e
considerato tutto la rabbia che era corsa tra di lei e Malfoy in quei giorni, e
in quel momento in biblioteca soprattutto, non poté fare a meno di chiedersi se
lei fosse totalmente esente da qualsiasi colpa.
Mentre guardava il viso
addormentato di Malfoy, il ricordo dell’incubo di quella notte tornò a
turbarla.
«Si faccia da parte un
attimo, signorina Granger» la scosse la voce di Madama Chips, che si avvicinò a
Malfoy con una serie di unguenti. Anche la ragazza poté notare alcune sottili
crepe nere sbucare fuori dalle bende. Le ferite si diffondevano ancora.
«Non migliora?» chiese
Hermione all’infermiera.
«Fintanto che non sappiamo
con esattezza di cosa si tratti, qualunque cura sarà insufficiente» precisò la
Chips. Prima di togliere le bende dal viso del ragazzo e applicare le
medicazioni, l’infermiera si voltò a guardare Hermione.
«Io, il professor Twycross e
la professoressa McGranitt ce ne stiamo occupando» aggiunse, quasi a voler
ammorbidire il suo precedente tono un po’ burbero. «Stia tranquilla, signorina
Granger.»
Lasciò Madama Chips al suo
lavoro e uscì dall’Infermeria. Lungo i corridoi incrociò Theodore Nott e Pansy
Parkinson, e soprattutto quest’ultima non le risparmiò uno sguardo furente e
carico d’odio. Camminavano in direzione opposta alla sua, così Hermione suppose
che stessero andando a trovare Malfoy. La Serpeverde sibilò qualcosa al
compagno e fece per uscire la bacchetta, ma Nott la fermò passandole un braccio
attorno alle spalle e la superarono senza altri inconvenienti.
L’appuntamento con Harry e
Ron era alla capanna di Hagrid. Per quanto la vicenda di Malfoy avesse
scacciato via ogni altro pensiero, Hermione aveva anche un’altra questione di
cui occuparsi.
Il piccolo problema squamoso
saltellava allegro sopra il tavolo della cucina di Hagrid. Thor lo guardava
sospettoso, ma evidentemente abituato alle strane bestie che Hagrid gli portava
in casa, se ne stette accucciato tranquillo ai piedi della sedia di Harry.
«Zucchero?» chiese Hagrid a
Hermione, dopo averla fatta accomodare insieme agli altri e averle offerto una
tazza di tè. Hermione rifiutò cordialmente.
Charlie Weasley, il fratello
secondogenito di Ron, non aveva nulla da invidiare al maggiore Bill in quanto a
fascino, soprattutto dopo che Greyback aveva dato il suo nobile contributo,
pensò Hermione con amarezza. Anche se Charlie non possedeva la bellezza palese
di Bill, aveva un fascino nuovo, diverso, nel portamento e nei gesti che lo
rendeva attraente al pari del fratello. Forse era il sorriso insinuante che
ricordava un po’ quello dei gemelli, o semplicemente le sue vaste conoscenze,
patrimonio dei suoi innumerevoli viaggi, che gli conferivano una rassicurante
sicurezza che lo rendeva l’esatto modello di persona interessante.
«E’ un Lindworm» affermò
subito Charlie, senza esitazioni, mentre accarezzava con perizia il dorso
lucente del drago. Nei suoi gesti non c’era nulla della ritrosia che caratterizzava
i movimenti dei tre ragazzi quando avevano a che fare con quella creatura.
Charlie sapeva esattamente quali punti toccare per calmare il drago, e quali
invece evitare anche solo di sfiorare per non infastidirlo.
Al pari di Charlie, Hagrid
appariva altrettanto incantato.
«Un cosa?» ripeté Harry,
guardando ora Charlie ora Hermione, quasi si aspettasse anche da lei una
risposta, ma lei non poté fare altro che stringersi nelle spalle e ammettere la
sua ignoranza in materia.
«Un Lindworm» scandì ancora
Charlie. «E’ una creatura originaria dei paesi nordici, in particolare
Scandinavia e Germania. Oggi sono molto rari, le loro squame vengono vendute a
prezzi altissimi al mercato nero, sono uno degli ingredienti essenziali per la
fabbricazione della Felix Felicis, anche se il più delle volte vengono
sostituite con squame di altri rettili più facilmente reperibili.» Charlie fece
una pausa, mentre gli altri tre osservavano non senza un certo timore i
movimenti sinuosi del Lindworm. Certo adesso potevano dire di averci fatto un
po’ l’abitudine, ma i suoi scatti ricordavano ancora troppo quelli di un
serpente per non rimanerne impressionati almeno un poco.
«Dove hai detto che l’hai
trovato, Hermione?» chiese poi Charlie.
«Al limitare della Foresta»
si precipitò a rispondere Ron. Avevano concordato sul fatto che neanche Hagrid
poteva sapere dei reali dettagli del duello tra lui e Malfoy; anche se era per
prima cosa loro amico, restava pur sempre un professore di Hogwarts.
«Strano che non l’ho visto
prima io» disse il guardiacaccia. «Ci abito qui.»
«Sì, curioso» convenne con
un sorriso nervoso Ron.
Hermione allungò una mano
per accarezzare il drago, che subito si avvicinò a lei per lasciarsi toccare.
Dapprima la ragazza lo sfiorò appena, non potendo impedirsi di provare un
brivido di fastidio nel sentire le squame a contatto con la sua pelle. Era
esattamente come accarezzare un serpente. Ma, se non altro, era un serpente che
non cadeva agonizzante al suo minimo tocco.
«Alcuni non lo considerano
nemmeno un drago» continuò Charlie.
«Perché?» chiese Harry,
fissando la creatura dubbiosa.
«Beh, tra i miei colleghi i
pareri sono discordanti, ma c’è chi afferma che al Lindworm manchino alcune
caratteristiche essenziali che impediscano di classificarlo come drago.»
Hermione sobbalzò ed emise
una specie di strillo acuto quando la creatura le saltò in braccio,
arrampicandosi con le sue due uniche zampe sulle spalle della ragazza, che lo
tenne come meglio poteva, cercando di assecondare i suoi scatti repentini.
«Per prima cosa, le dimensioni»
elencò Charlie. «I draghi hanno tutti una stazza notevole, mentre il Lindworm,
anche nel caso degli esemplari più grossi, non supera mai la lunghezza di due
metri. Quello che avete trovato voi è ancora giovane, a giudicare dalla
lucentezza delle squame, ma in ogni caso non credo che, crescendo, diventerà
molto più grosso di come è ora.»
Estremamente a disagio,
Hermione fu ben felice di passare la creatura tra le mani più esperte di
Hagrid, che lo lasciò adagiarsi elegantemente tra il suo braccio e la spalla.
«Seconda cosa, non volano»
continuò Charlie. «O meglio, quelli più grandi non ci riescono. Le loro ali
sono troppo piccole per sostenere il loro peso. Nel caso di esemplari più
esili, come questo, le ali sono forti abbastanza da permetterne un accenno di
volo, anche se avrà sempre la tendenza a muoversi per grandi balzi, qualora è
possibile. Di contro, i Lindworm sono grandi viaggiatori. Nonostante la fatica
che comporti, amano compiere grandi viaggi, anche quelli al di fuori della loro
portata. Hanno un ottimo senso dell’orientamento.»
Il che, forse, pensò
Hermione, spiegava come avesse fatto a guidare lei e Malfoy fuori dalla Foresta
Proibita. Ma questo, naturalmente, evitò di farlo presente ad alta voce.
«Come avrete notato, non
sputano fuoco» aggiunse ancora Charlie. «Al massimo, scintille e sbuffi di
fumo.»
Come a conferma di quanto
appena detto, il Lindworm emise una specie di starnuto che procurò solo alcuni
innocui sbuffi di fumo dalle narici.
«Insomma che accidenti
fanno?» bofonchiò Ron deluso. «Sono dei lucertoloni mal cresciuti.»
«Una volta tra le famiglie
Purosangue era costume portare un Lindworm in dono alla propria sposa, come
regalo di nozze» disse ancora Charlie.
«E ti pareva» bisbigliò Ron
all’orecchio di Harry. «Loro e le loro stupide manie.»
«Per una strega, ricevere un
Lindworm in dono era motivo di grande vanto, data la difficoltà nel trovare una
creatura del genere. Bisognava acquistarlo dai contrabbandieri, pagarlo a peso
d’oro e godere delle giuste conoscenze per procurarsene uno. Era sicuramente
indice che il mago che stavano per sposare era di famiglia altolocata e
prestigiosa» disse Charlie. «Per la loro natura innocua e le dimensioni
ridotte, i Lindworm venivano considerati alla stregua di animali da compagnia.
In più, sono creature estremamente fedeli: riconoscono un padrone e uno
soltanto, e a loro sono fedeli per tutta la vita… che generalmente è molto,
molto lunga. Ben più di quella di un uomo, ovviamente. Se trovate un Lindworm
selvaggio, impossibile da addomesticare, probabilmente è ancora fedele al suo
vecchio padrone, ormai morto. Domarlo, in quei casi, è quasi impossibile.»
«E’ questo qui è fedele a
Hermione?» domandò Harry, osservando il modo in cui il drago, o qualunque cosa
fosse, cercava continuamente le attenzioni della ragazza.
Charlie sospirò.
«Sicuramente ti ha preso in simpatia» disse, rivolto a Hermione, che non seppe
se prendere la notizia come buona o meno. «Però, beh, è un po’ presto per
sapere se ti ha scelto come padrona. L’ipotesi che tu lo possa diventare, un
giorno, non è comunque assurda: come ho già detto, è ancora una specie di
cucciolo, è molto probabile che non ne abbia ancora uno.»
Il Lindworm saltò giù dalla
presa di Hagrid, atterrando sul tavolo.
«Ma la motivazione
principale che spinge alcuni ricercatori a non classificarlo come drago è
un’altra» concluse Charlie, con una soddisfazione simile a quella di Lumacorno
quando si lasciava le pozioni migliori per ultime. «I Lindworm si esprimono in
Serpentese.»
«Cosa?» esclamò Harry,
sorpreso.
«Già» confermò Charlie. «I
Lindworm parlano la lingua dei serpenti. In realtà, condividono molte
caratteristiche con questo animale. In molti non li considerano veri e propri
draghi proprio perché la loro natura è data da una sorta di incrocio tra un serpente
e un drago. Ritengono che siano creature ibride. Io non sono d’accordo. Voglio
dire, ci sono anche altre specie di draghi, molto più imponenti, che non
riescono a levarsi in volo. In più, le loro peculiarità essenziali sono quelle
di un drago, hanno una vita media che coincide con quelle delle creature
mitologiche, non di un comune serpente. Anche la conformazione delle loro
squame è differente, anche se i movimenti ricordano quelli di un rettile, il
che è dovuto al fatto che hanno un solo paio di zampe e anche di ridotte
dimensioni. Quanto ai loro artigli, sfido io a non considerarli quelli di un
drago. Anzi, per essere corretti, i loro effetti sono ben più potenti di quelli
di un drago comune.»
Harry, Hermione e Ron
guardarono confusi la creatura. Sembrava davvero innocua.
«E noi ora cosa dovremmo
farci?» disse Harry infine, dando voce al dilemma comune.
Charlie esitò. «Beh, si può
avviare una pratica per allevarlo, se volete. In alcuni Paesi, la Gran Bretagna
tra questi, possedere un Lindworm non è illegale, per la loro natura ibrida.
Certo è un percorso lungo, dovreste dimostrare di avere determinate conoscenze,
che potete acquisire nel frattempo se ci tenete, e dimostrare di possedere un
ambiente ideale nel quale farlo crescere
e…»
«Noi non vogliamo allevarlo»
lo interruppe subito Hermione. «E’ solo che non riesco a liberarmene. Mi segue,
una volta l’ho trovato in camera mia e non ho la più pallida idea di come abbia
fatto a entrare. Vorrei solo lasciarlo libero.»
Charlie annuì comprensivo.
«Capisco. Posso portarlo con
me, se volete. Gli troverei una riserva dove stare. Ciò comunque non toglie che
se davvero ti ha riconosciuta come padrona troverà un modo per tornare prima o
poi, ma visto che non ne siamo certi, si potrebbe fare un tentativo. Oppure…»
«…Oppure?» incalzarono gli
altri tre.
«Oppure niente, Hagrid lo
riporterà nella Foresta, dove presumibilmente stava prima, per quanto la cosa
sia strana, visto che non ci sono specie di draghi in questa regione, e voi
sperate che ci resti. O che migri da qualche altra parte. Se dovesse continuare
a cercare la tua compagnia, Hermione, qualora la cosa dovesse destare
complicazioni potrete prendere provvedimenti. E’ pur sempre una creatura
selvatica, è libera di vivere dove vuole, a patto di non arrecare danni a cose
o persone. E se ha scelto la Foresta di Hogwarts come sua casa… beh, avete
sopportato acromantule giganti e basilischi, in quanto a pericolosità un
Lindworm non è neanche lontanamente paragonabile a loro.»
Rimasero in silenzio a
osservare il piccolo drago emettere strani versi. Un’idea colpì fulminea Ron.
«E se Harry gli chiedesse di
lasciarci in pace? O gli domandasse da dove viene? Insomma, amico, conversi con
micidiali serpentoni per il tubo di scarico, questo qui sarà almeno un po’ più
ragionevole, no?» Il ricordo del basilisco fece sorgere una nuova
considerazione in Ron, che si voltò verso Hermione come illuminato. «A
proposito, Hermione, fossi in te mi preoccuperei. Cominci a piacere a troppi
serpenti, non ti pare?»
«Divertente» borbottò la ragazza
squadrandolo truce. Per qualche motivo, la battuta l’aveva messa un po’ a
disagio.
«Harry potrebbe provarci,
certo» rispose Charlie. «Ma non è detto che ottenga una risposta. Anche per
comunicare, i Lindworm si espongono solo con coloro a cui decidono di essere
fedeli. Certo la Rettilofonia potrebbe determinare la scelta del loro padrone,
ma se non ne ha ancora designato uno, o ha già scelto Hermione, è difficile che
ti dia retta. Diversamente da quel che crede la gente, sono draghi, non
cagnolini da salotto.»
Ancora una volta, Ron parve
deluso.
Hagrid tornò ad accarezzare
il Lindworm, troppo esaltato all’idea di averne uno in casa per potersi lasciar
deludere dal fatto che non fosse un potente drago alato e sputa fuoco.
«Certo che però è proprio
bella» disse il guardiacaccia, accarezzando il Lindworm vicino all’attaccatura
delle ali.
«Bella?» fecero Ron e Harry in coro.
«E’ femmina, non l’avevo
detto?» si scusò Charlie. «E’ una lei.
Il che la rende estremamente permalosa, vi consiglio di non offenderla. Potreste rimetterci un occhio.»
***
I have to try
To break free
From the thoughts in
my mind
Use the time that I
have
I can say goodbye
Have to make it right
Have to fight
'Cause I know in the
end it's worthwhile
That the pain that I
feel slowly fades away
It will be all right.
(Pale, Within Temptation)
Anche quella sera, dopo cena, Hermione mollò Harry e Ron con una scusa
per recarsi in Infermeria. Aveva reso partecipi i suoi amici dei suoi dubbi
riguardo la sua presunta o meno colpevolezza nella maledizione che aveva
colpito Draco Malfoy, ma non della visita di quella mattina e neanche di quella
che si apprestava a fare.
Purtroppo per lei, quella volta non fu fortunata come di mattina. Quando
arrivò in Infermeria, questa non era vuota, ma c’era Pansy Parkinson che stava
ancora a fianco del letto di Malfoy. Gli diceva qualcosa, ma lui sembrava
irritato. Hermione si fece di lato nascondendosi oltre lo stipite della porta,
domandandosi se non fosse il caso di rimandare. Non aveva voglia di fermarsi a
fare quattro chiacchiere con la Parkinson. Ma, proprio nel momento in cui
cominciava a valutare con più serietà quest’ipotesi, sobbalzò nel trovarsi la
Serpeverde a un metro da lei, altrettanto stupita di vederla lì. La sua
sorpresa si tramutò nella frazione di un secondo in fastidio, e Hermione
rimpianse amaramente di non essersene andata prima.
Saltando con classe i convenevoli, Pansy le puntò la bacchetta alla
gola, spingendola al muro.
«I tuoi amici potranno anche difenderti, se vogliono, ma Barry mi ha
detto come sono andate davvero le cose» sibilò la ragazza. «Augurati che Draco
guarisca, perché se la situazione peggiora sarò io a dare la giusta versione dei fatti e a
fartela pagare amaramente.»
Hermione alzò lentamente una mano, per
allontanare la punta della bacchetta dalla sua gola, ma Pansy la strinse ancora
più saldamente e, se prima la sfiorava appena, adesso gliela premeva contro con
rabbia.
«Sono preoccupata quanto te, Parkinson»
chiarì Hermione.
Pansy ghignò. «No, non credo proprio.»
«Non voglio essere la causa del male di
Malfoy. Ti assicuro che io non ho fatto niente» precisò, ma Pansy era
irremovibile nella sua collera.
«Se peggiora…» Hermione avvertì un groppo
alla gola mentre parlava. «Puoi essere certa che mi occuperò io stessa di
rivelare qualunque informazione possa essere d’aiuto» la rassicurò.
Pur non covando la minima fiducia in lei,
Pansy le credette. Sapeva quale assurdo senso dell’onestà dominasse l’animo dei
Grifondoro, ed era più che convinta che la Granger avrebbe mantenuto fede a
quanto aveva detto. La cosa, comunque, non le impedì di premere quella
bacchetta più a fondo contro il collo della Granger.
«Stagli alla larga» sibilò la ragazza. «Non
vuole vederti.»
«Sì, lo credo bene» convenne Hermione,
mettendo avanti le mani per invitarla a ritrarsi, ma la Parkinson non si
ammorbidì per nulla. «Voglio solo capire cosa è successo. Potrebbe essere
utile, non trovi?»
Pansy continuò a fissarla inviperita, ma non
rispose.
«Non avrei mai voluto causargli quelle
ferite» ripeté ancor Hermione. «Non avrei mai desiderato qualcosa del genere
per nessuno.»
Pansy sospirò. Alla fine abbassò la
bacchetta.
«Tu prova ancora a giocarci uno scherzetto
del genere, Granger, e te la faremo pagare cara» le bisbigliò minacciosa
all’orecchio. Poi, non senza averle rivolto un’ultima, gelida occhiata, le
diede le spalle e sparì.
Allora Hermione poté entrare in Infermeria.
Malfoy sembrò essersi accorto dell’amorevole
scambio di battute tra Hermione e la sua ragazza, perché non appena lei varcò
la soglia lui le aveva già puntato lo sguardo addosso. Hermione sedette dove fino
a poco prima era stata Pansy. Draco la seguì con gli occhi fino a quando lei si
fu sistemata, poi voltò il capo dall’altro lato, in silenzio. Aveva ancora il
volto fasciato per metà, e di certo con tutte quelle bende a immobilizzargli
parte della bocca non avrebbe potuto neanche parlare.
«Ciao» fece Hermione, torturandosi
nervosamente le mani. Lui non diede neanche segno di aver sentito e Hermione si
sentì molto stupida.
Stupida per esserlo andato a trovare, quando
era ovvio che lui non aveva voglia di vedere chi lo aveva costretto lì; stupida
perché in ogni caso non avrebbe avuto voglia di vederla comunque, considerato
che non si parlavano e quando lo facevano era solo per gettarsi addosso veleno.
E stupida anche per quel “Ciao”, che risultò così ridicolo. Qualunque domanda
sulla scia del “Come va?”, “Stai meglio?”, “Fa ancora male?” le sembrò perfino
più fuori luogo della sua presenza lì. Del resto, lui non sembrava neanche aspettarsi
che lei parlasse, ma Hermione detestava i silenzi imbarazzanti e non poté
trattenersi dal dire qualcosa.
«Mi dispiace» disse. Anche se aveva il capo
voltato dalla parte opposta, Hermione si accorse che aveva atteggiato la
porzione sana di labbra in una smorfia di sarcasmo.
«Mi dispiace davvero. Anche se non
sono stata io.» Altra smorfia dall’altra parte. Forse era una fortuna che non
potesse parlare. «Ti prometto che cercherò di risolvere la cosa, Malferret.
Cioè, Malfoy» si corresse dopo, accorgendosi di averlo anche chiamato
col nomignolo con cui di solito lei, Ron e Harry lo prendevano in giro. Davvero
un gesto carino. Lui comunque non vi badò nemmeno.
«E poi, beh» disse ancora, passando a
torturarsi il bordo della gonna a pieghe. «Visto che non puoi parlare, e quindi
posso finalmente dirti quello che voglio senza che tu mi interrompa, volevo
solo farti sapere che chiunque sia stato a desiderare di farti questo, io,
ecco, non lo approvo. Voglio dire, mi dispiace che continuiamo ancora a farci
tutti male.»
Non suonava granché come discorso.
Soprattutto perché non solo lui non la interrompeva, ma non dava neanche segno
di prestarle ascolto. Però sentiva, era indubbio che lo facesse, quindi tanto
valeva approfittarne, no?
«Quindi» riepilogò infine, «quello che ti
volevo dire fin dall’inizio, e che forse ho già detto, è che scoprirò cosa è
successo. E che in tutta questa storia io non sono coinvolta. Mi dispiace. L’ho
già detto.»
Poggiò le mani sulle ginocchia e si alzò. Si
chiese se non fosse il caso di aggiungere qualcosa, ma aveva l’impressione che
non avrebbe fatto differenza. Malfoy continuava a non guardarla.
«Allora… ciao.»
Attese ancora qualche istante e poi andò.
Magari lo infastidiva davvero e gli impediva di riposare. A Hermione non
piaceva essere di troppo.
Poco prima di uscire si fermò a parlare con
Madama Chips. L’infermiera stava armeggiando con alcune provette di medicinali.
«Qualche novità?» s’informò la Grifondoro.
Madama Chips scosse la testa.
«Nessuna. Se non ci sono progressi, saremo
costretti a trasferirlo al San Mungo. Qui non abbiamo le risorse necessarie per
occuparci di un caso come questo.»
Il tragitto lungo i corridoi Hermione lo
percorse sovrappensiero. Arrivata alle scale, decise di deviare e invece che
alla Torre di Grifondoro decise di andare al bagno delle ragazze. La biblioteca
a quell’ora era chiusa, e lei aveva bisogno di stare alcuni minuti da sola.
Optò per il bagno di Mirtilla, quello non lo
frequentava nessuno. Entrò di fretta, senza badare a nulla. Ma quando intravide
la sagoma sottile di Susan Bones appoggiata a un lavandino non poté fare finta
di niente.
«Ciao» disse, dopo un momento di sorpresa.
Susan aveva la treccia bionda tutta in
disordine e il contorno degli occhi un po’ scuro per il mascara colato.
Sembrava che avesse appena pianto, e solo dopo Hermione si accorse della
sigaretta babbana che si portò alle labbra.
«Ciao» replicò mesta la Tassorosso. Era una
versione di Susan che non conosceva affatto. La ricordava sempre in ordine e ben
curata ed era abbastanza sicura di non averla mai vista fumare prima.
Ritenendo che fosse scortese andare via
subito, Hermione si avvicinò alla ragazza. Ebbe l’istinto di farle notare che
era vietato fumare nei bagni, ma dopotutto anche Susan era Caposcuola e non era
solita infrangere il regolamento, a differenza di Hermione che a due settimane
dall’inizio della scuola era stata invischiata in un duello a mezzanotte, una
scampagnata nella Foresta Proibita e aveva anche mandato un ragazzo in
Infermeria per magia oscura. Non era esattamente nella posizione più adatta per
fare la saccente.
«Ho saputo di Malfoy» buttò lì Susan.
«Non è stata colpa mia» si difese subito
Hermione.
Susan diede un tiro di sigaretta.
«Sì, Anthony mi ha detto anche questo.»
Già, Anthony Goldstein. Lui e Susan Bones
erano sempre stati molto uniti.
Hermione sentì il bisogno di parlare con
qualcuno. Non poteva fare a meno di sentirsi un po’ sola, da quando si erano
freddati i rapporti con Ginny. C’erano Harry e Ron, naturalmente, ma a volte
sentiva il bisogno dell’appoggio di una figura femminile, del consiglio di
un’amica. E tutto sommato, poteva anche essere la nuova eroina della Seconda
Guerra Magica, ma a parte Ginny e Luna non aveva mai avuto amiche.
Susan Bones era una ragazza popolare e
carina. Piaceva più o meno a tutti, non aveva nemici, aveva un carattere
bendisposto e socievole. Amava fare conversazione, prender parte a qualunque
avvenimento si tenesse a Hogwarts, avere buoni voti ed essere sempre circondata
da gente. Aveva un ragazzo, dei migliori amici e parecchi conoscenti. Per
sentito dire, Hermione sapeva che la sua famiglia ne aveva sopportate tante
durante le due guerre, ma l’immagine che Susan dava di lei era quella di
un’adolescente serena e felice.
Nonostante questo, lei e Hermione non erano
mai state davvero amiche. Si erano ritrovate più volte a chiacchierare in
classe, o a commentare una lezione, e un paio di volte avevano anche rivisto
qualche argomento insieme in biblioteca. Per la prima volta Hermione pensò che
il problema fosse unicamente suo; non aveva mai curato la sua vita sociale
tantomeno le sue amicizie, e del resto lo studio e le continue magagne in cui
si ritrovava annualmente infognata insieme a Ron e Harry non le lasciavano
spazio per curare i rapporti umani.
Un po’ la capiva, Ginny. Cosa c’era di male a
desiderare solo una vita ordinaria e normale, ora che tutto era passato?
Per la prima volta in vita sua, Hermione si
chiese come sarebbe stato essere quell’altra ragazza. Quella che ha
tanti amici, si diverte, va alle feste, conosce tutti e non serba rancore per
nessuno. Le ragazze come Lavanda, come Calì, come Susan Bones. Normali. Ebbe
l’impressione di aver fatto cose straordinarie, in quei suoi pochi anni di
vita, ma di essersi persa per strada una porzione di se stessa.
«Ehm, qualcosa non va?» chiese allora,
squadrando Susan. Probabilmente, se Hermione fosse stata Lavanda o Ginny,
avrebbe trovato qualcosa di meglio da dire; magari avrebbe anche intuito
subito, come fanno di solito le ragazze, di cosa si trattasse, anche solo per
averlo udito da voci di corridoi; e di certo avrebbe avuto maggiore
dimestichezza nel parlare con lei, nello starla ad ascoltare, forse darle un
consiglio su come liquidare quel ragazzo, quell’amica o chiunque fosse che la
stava facendo soffrire.
La sua adolescenza, invece, Hermione l’aveva
interamente dedicata a quella guerra. Aveva conoscenti che la fermavano per i
corridoi anche solo per complimentarsi con lei, durante i primi tempi perfino
giornalisti che le stavano alle costole per avere un resoconto dettagliato
della ricerca degli Horcrux, c’erano Harry e Ron che in quegli otto anni si
erano sempre affidati a lei, quando qualcosa non andava. Ma non c’era una sola
persona che l’avrebbe presa di parte con uno sguardo d’intesa per confidarle i
suoi problemi, sperando di trovare in lei una buona amica.
Susan scrollò la cenere nel lavandino.
«Altre volte andava peggio» rispose soltanto,
con sguardo vuoto.
Hermione non insistette oltre; e, se anche avesse
voluto, quella conversazione non sarebbe mai andata più lontano di così.
Infatti, proprio mentre Susan dava l’ultimo
tiro e spegneva la cicca nel lavandino, Morag MacDougal entrò trafilata nel
bagno delle ragazze. Sia Hermione che Susan si girarono a guardarla perplesse,
perché non era cosa di tutti i giorni vedere la MacDougal così agitata.
«Ti ho cercata ovunque, Granger» disse Morag,
dopo aver rivolto appena un cenno di saluto a Susan.
Si avvicinò alle due ragazze.
«Davvero?» fece Hermione scettica, ma Morag
non vi badò.
«Credo di sapere cosa è successo a Malfoy.»
***
N/A
Non
posso che scusarmi per la discontinuità degli aggiornamenti. Non so ancora a
quando, ma ringrazio sempre chi segue con uguale interesse questa storia e mi
riprometto anche di rispondere al più presto alle ultime recensioni.
Deja.