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Autore: ___MoonLight    27/06/2012    4 recensioni
Dal Capitolo 2: [...] sentì un fragore di vetri infranti. Si voltò interdetta, già pronta a scagliare la lama, ma vide il sicario barcollare in avanti, un fiotto di sangue che gli colava lungo il collo.
Natasha lanciò uno sguardo fulmineo al vetro della finestra con un foro e un reticolo di crepe che lo circondava. Sulla parete opposta era infissa una freccia grondante di sangue.
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Lime, Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter 1
-
Rainy Day

 
 
La pioggia sferzava senza sosta gli oblò dell'aereo che traballava pericolosamente mentre iniziava la sua discesa sull'aeroporto di Nuova Delhi.
Un sussulto più violento degli altri fece svegliare Clint di soprassalto, convinto di essere stato appena attaccato da qualcuno e sbattuto contro un muro.
Si rilassò quando vide che l'unica minaccia al momento era l'atterraggio, che si preannunciava tutt'altro che facile.
Alzò gli occhi al cielo: quando aveva chiesto un po' di "fresco" non intendeva certo quello, ma ultimamente niente andava per il verso giusto, quindi non stette troppo ad autocompatirsi e si limitò a riporre gli occhiali da sole in una tasca dello zaino, preannunciando molti, grigi giorni senza la minima traccia di sole: era la stagione dei monsoni, dopotutto.
Nel mezzo minuto che impiegò a scendere dall'aereo e a salire sulla navetta si inzuppò fino al midollo, e si scrollò infastidito la giacca fradicia, sentendosi immerso in un brodo. Iniziava a rimpiangere Buenos Aires.
Sbrigò rapidamente le pratiche burocratiche, mostrando tranquillallmente un passaporto, ovviamente falso, e uscendo direttamente dall'aeroporto per prendere un taxi: non doveva recuperare alcun bagaglio, dato che tutto ciò di cui aveva bisogno era contenuto nel suo capiente zaino, compreso il suo arco iper-leggero con annesse frecce e faretra progettati per sfuggire al controllo dei metal detector aeroportuali.
Rassegnato a rimanere fradicio, aspettò sotto la pioggia che un taxi si facesse vivo, scrutandosi attorno oltre la muraglia d'acqua per accertarsi di non essere seguito, come se fosse possibile.
Finalmente riuscì a ripararsi dentro un'auto gialla e, accompagnato dalla parlantina del tassista in un inglese stentato, si impegnò per tutta la durata del viaggio verso il Settore 16 della città a strizzarsi i vestiti grondanti e a sbirciare il palmare per riaccertarsi della sua missione e della sua area d'azione.
A quanto gli avevano inviato, c'era un monolocale libero nel Blocco E, probabilmente di proprietà della S.H.I.E.L.D., nel quale avrebbe alloggiato durante il suo breve soggiorno. Non osò pensare alle sue condizioni: vivere nelle favelas di Buenos Aires era stato alquanto scomodo, ma dopo la sua ultima esperienza in una città indiana sapeva che poteva essere molto peggio.
Aveva la netta impressione che quella missione si sarebbe rivelata un incubo.
 
 

***

 
 
Il trillo penetrante della sveglia gli trapanò un timpano, facendolo scattare a sedere all'istante, frastornato.
Mise a tacere quell'aggeggio infernale e guardò di sfuggita la finestra spalancata, convinto di scorgere le prime luci dell'alba, ma al loro posto colse il riflesso caotico di migliaia di luci e uno spicchio di cielo d'inchiostro schermato da lanterne colorate e gocce di pioggia. Erano le dieci di sera e, prevedibilmente, pioveva a dirotto. Sbadigliò, maledicendo il fuso orario e il suo orologio biologico che faceva le bizze. Nell'ultimo mese aveva fatto il giro del mondo almeno tre volte e si sentiva totalmente scombussolato, nonché privato di un centinaio di ore di sonno.
Il suo umore si risollevò al pensiero della missione che lo aspettava: forse valeva la pena farsi in quattro, data la posta in gioco.
Animato da una nuova vitalità, balzò giù dal letto e iniziò a indossare con cura la sua divisa, attento a stringere al massimo ogni singolo laccio ma facendo in modo di avere la massima libertà di movimento. Calzò gli anfibi da combattimento e strinse il pugno per verificare la presa dei guanti, che aderirono perfettamente alla sua mano.
Sentì la sua concentrazione e la tensione dei suoi muscoli salire ad ogni passaggio, mentre si calava completamente nel suo ruolo e cominciava a percepire il mondo attorno a sé non più come un ammasso di oggetti e persone, ma come ostacoli e bersagli, proprio come’era abituato a fare.
Strinse con mosse decise i paraginocchia e indossò lo smanicato, tirando la zip fino al collo e sentendosi molto più protetto ora che aveva un centimetro e mezzo di kevlar a proteggere il suo corpo. Assicurò anche una piccola semiautomatica nella fondina accando alla faretra, giusto per sicurezza. Buttò un occhio all'ora: le dieci e un quarto. Aveva tutto il tempo per sciogliersi un po'. Passò i successivi quindici minuti a fare stretching e allungamenti, sentendosi man mano più elastico e pronto all'azione. Infine impugnò fulmineo l'arco e lo aprì con un gesto secco e calcolato, già in posizione di tiro, una freccia immaginaria incoccata e pronta a scattare.
Soddisfatto, mise a tracolla la faretra high-tech e selezionò con mosse sicure le frecce tradizionali, dotate però di rampino.
Indossò gli occhiali a visione notturna e la stanza sembrò illuminata a giorno; saltò agile sul davanzale e scrutò il suolo gremito di folla più di venti metri sotto; il muro d'acqua rendeva difficile calcolare le distanze e mettere bene a fuoco, ma gli occhiali lo aiutavano almeno in parte.
Premette un piccolo pulsante sulla stanghetta e un reticolo virtuale si srotolò nel suo campo visivo, segnalando con precisione la natura e i dettagli di ogni singola cosa su cui spostasse la sua attenzione e ridefinendo i contorni degli edifici.
Sorrise appena: adorava le tecnologie Stark.
Saltò sul tetto opposto, ad appena due metri di distanza, e atterrò senza rumore, accovacciato. La pioggia batteva incessante sulle sue spalle, inzuppandogli i capelli, ma scivolava dai vestiti idrorepellenti. Lesse rapido le informazioni che scorrevano in un angolo, riguardanti il suo obbiettivo: doveva dirigersi verso la Banca Centrale, da dove Atal Avanindra sarebbe uscito a breve. Apprese così che era un uomo d'affari probabilmente in contatto col gruppo dei Dieci Anelli, a cui forniva armi e finanze. Seguiva un elenco interminabile di altri crimini e malefatte minori che si interruppero al calare della sua attenzione e furono sostituite dalle indicazioni per raggiungere la banca.
Un altro flusso di dati riguardanti la sua missione secondaria e le modalità per concluderla cominciò a scorrere in basso, ma Clint lo scacciò con un secco battito di palpebre, lasciando nella sua visuale esclusivamente l'indicatore che l'avrebbe guidato per i tetti di Delhi.
Scattò in una rapida corsa, attento a tenersi negli angoli più bui e meno in vista mentre saltava e scivolava da un tetto all'altro e soprattutto a non perdere l’equilibrio sull'infida patina bagnata dei cornicioni. L'acqua gli sferzava il viso e gli solleticava le braccia, ma mantenne la stessa andatura per tutto il percorso, accompagnato dal lieve sciacquio dei suoi anfibi nelle pozzanghere.
Giunse senza intoppi alla banca, leggermente ansimante per la corsa e zuppo fino al midollo. Si acquattò dietro un tubo su un tetto a poche decine di metri dalla terrazza-bar della banca, cinque o sei metri più in alto rispetto alla sua posizione.
Scrutò per qualche istante l'edificio di vetro lucido e immacolato che si affacciava su delle palazzine diroccate e, appena più in là, sulle baracche che erano la casa di quasi metà dei cittadini. Fece una smorfia: le cose non cambiavano molto anche andando all'altro capo del mondo.
Tornò a concentrarsi sull'edificio in sé, pizzicando appena la corda dell'arco per saggiarne la tensione. Si mise in posizione di tiro e incordò l'arco, strizzando appena un occhio. Scoccò la freccia, che a metà della sua parabola verso la terrazza di aprì in un rampino che si arpionò alla ringhiera, collegata da una robusta corda al suo arco. Clint si lanciò nel vuoto senza esitare dopo aver premuto il pulsante di trazione, che lo sollevò nell'aria mentre si dava la spinta verso il terrazzo.
Atterrò con un po' troppo slancio e piegò le ginocchia per attutire l'impatto, un'altra freccia già pronta a partire contro qualsiasi aggressore.
La zona era libera.
Si rialzò rapido e si affacciò sull'altro lato: l'uscita secondaria della banca all'undicesimo piano, quella che portava al parcheggio sopraelevato, era in piena vista, e le persone che entravano e uscivano erano perfettamente visibili, anche se molto piccoli. Gli bastò socchiudere le palpebre per ingrandire leggermente la visuale e distinguerli meglio.
Si preparò all'attesa, la mano destra che tamburellava sull'impugnatura dell'arco e la sinistra che rigirava una freccia normale tra le dita.
Trattenne il fiato quando finalmente, dopo quasi venti minuti d'attesa sotto la pioggia battente, Avanindra uscì dalla porta, segnalato da un cerchietto rosso sulla sua testa in parte coperta  da un ombrello.
Tolse gli occhiali, ora solo d'impiccio, e incoccò rapidissimo la freccia, già pronto a scagliarla precisamente nella testa del bersaglio. Era un tiratore infallibile e a quella distanza, poi, era impossibile sbagliare. Stava per lasciare la corda quando un movimento fulmineo accanto alla vittima lo distrasse per un istante. Immobilizzò la mano un istante prima di far partire il dardo e digrignò i denti, frustrato. Qualcuno si era frapposto tra lui e l’obbiettivo; possibile che proprio in quel...
Alzò appena un sopracciglio, piacevolmente sorpreso nel riconoscere anche da quella distanza la sagoma che adesso parlava concitata con la sua vittima, che però non sembrava realmente interessata alle sue argomentazioni e sembrava volerla scacciare via.
Senza perdere un istante, Clint premette un altro pulsante sull'arco, che si accartocciò velocemente fino a formare la base di una rudimentale ma precisissima balestra, in cui inserì un minuscolo dardo dalla punta più piccola di mezzo centimetro.
Non aveva tempo per prendere seriamente la mira, così catalizzò tutto se stesso nell'istinto quando fece partire l'arma, che perse l'asta a metà della sua traiettoria.
La punta del dardo si conficcò precisamente nel collo della ragazza, che scostò i capelli rosso scuro da quel punto come infastidita, ma non allarmata. Il dolore doveva essere stato come quello di una puntura d'insetto, e di insetti ce n'erano a milioni in India.
Staccò la stanghetta degli occhiali, rivelando un auricolare, e lo infilò nell'orecchio, riuscendo a sentire la conversazione che si stava svolgendo decine di metri più sotto con assoluta chiarezza, grazie al sistema GPS e al microfono inseriti nel dardo.
Ascoltò con estrema attenzione, a occhi chiusi, un sorriso appena accennato che si allargava sul suo volto.
I due si salutarono rapidamente dopo aver raggiunto un accordo, ognuno per la sua strada, e Clint seguì con lo sguardo la ragazza, segretamente compiaciuto.
Avanindra poteva ritenersi al sicuro... per ora.
Quel bersaglio era decisamente più interessante.

 

***

 
Natasha si sfregò stizzita i capelli, fradici e incollati alla fronte. Era a Delhi da appena due giorni e già la detestava.
Si passò sovrappensiero una mano sul collo, dove un altro maledetto insetto l'aveva punta, e seguì Avanindra che si avviava tranquillo verso il parcheggio. Era stato facile ingannarlo, e il fatto che fosse un verme incredibilmente attratto da ragazze molto più belle e giovani di lui aveva giocato a suo favore. Adesso doveva solo aspettare un paio d'ore, e poi ucciderlo prima che potesse posare le sue viscide mani su di lei.
Niente di più facile.
Uscì dalla banca a passo veloce, rinunciando a prendere un ombrello quando vide che si era alzato un forte vento: dopotutto era alloggiata a poca distanza da lì.
Si mischiò al fiume di gente che percorreva la strada in modo caotico e disordinato, sentendo un fastidioso prurito alla nuca, come se qualcuno la stesse osservando.
Si girò appena, ma dietro di lei c'era solo un'anziana coppia; rialzò di scatto lo sguardo, ma anche i tetti erano deserti.
S'incupì, perplessa, e rimase all'erta finchè non raggiunse il suo rifugio, ma non notò nulla di sospetto, così entrò nel palazzo un po' fatiscente decisamente più rilassata, diretta al piccolo appartamento al settimo piano.
La prima cosa che fece non appena entrata fu di tirare la tenda della finestra sulla strada dopo aver buttato un'occhiata sospettosa all'esterno. Riconfermata l'assenza di minacce si impose di rilassarsi e iniziò a prepararsi: dopotutto, aveva un appuntamento.

 

***

 
Clint fece una smorfia di disappunto quando vide che Natasha aveva chiuso la tenda della finestra, impedendogli di vedere all'interno. Rassegnato, attivò la visione termica e riprese a seguire i movimenti della donna.
Poteva ben sopportare due ore di attesa, anche con quel tempaccio, così si accucciò in una posizione comoda dalla quale poter tirare rapidamente con l'arco.
 
"Si ritorna a Budapest, agente Romanov."

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Note delle Autrici:

Siamo viveeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! *Tono alla Frankestein, pronunciato Frankenstin XD*
Il momento cruciale si avvicina *^* Attendete fan-girl! Non rimarrete deluse... Speriamo :D *Hawkeye e Natasha si stringono forte, tremanti* 
Ringraziamo ___Nick, MissBarton90 e Rogue92 per aver recensito e chiunque abbia letto!
Al prossimo capitolo,
 
Sunset In The Darkness aka Light&MoonRay

   
 
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