- The Rebound -
“Qui siamo eretti come un faro di
speranza che illumina oltre le stelle…”
Chissà perché mi ritornano in mente
queste parole mentre ti osservo avanzare verso il trono.
Forse perché non riesco a riconoscere
in te la futura speranza di Asgard, suppongo. È stato solo pochi minuti fa, nel
vestibolo, che ci siamo lasciati e per un attimo mi eri sembrato dignitosamente
nervoso rispetto ad un simile evento. Ora mi accorgo che mi sono lasciato
sfuggire qualche parola di troppo. Non le meritavi e lo riconosco solo adesso
che ti vedo procedere come un idiota arrogante di fronte a tutta la corte, a
nostra madre, a nostro padre.
Il rapido sguardo che rivolgo a
quest’ultimo mi dà la certezza che è del mio stesso pensiero. Sei tronfio,
fratello. Scommetto che se te lo dicessi non capiresti neanche che voglia dire.
Avevo detto che sembravi un re; anche se in effetti non l’ho mai pensato. Forse
avevi ragione quando hai sostenuto che sono incapace di essere sincero. Tuttavia
mi rallegro: prima ho avuto un attimo di debolezza nell’anticamera, lo ammetto.
Ero sul punto di pentirmi della mia scelta, ma devo dire che la tua capacità di
persuasione sta dando notevoli frutti. Il tuo meschino esibizionismo mi salva
dal dubbio. Meriti davvero quello che ho preparato per il tuo fausto giorno.
La sottile indisponenza di nostro
padre non ti è nemmeno lontanamente visibile. Eppure dovresti conoscerlo bene,
ricordare i suoi insegnamenti. A dire il vero mi stupisce che non si sia ancora
accorto di niente; forse è vero che i suoi sensi e le sue forze si stanno
inesorabilmente affievolendo.
Sì, ecco, bravo. Agita quel tuo bel
martello, fagli fare le piroette, infiamma pure gli astanti. Certo. In fondo è
il tuo giorno. Non oso pensare a come ti saresti comportato se non ti avessi
detto che mi capita di essere invidioso di te, a volte. Un “a volte” che
nascondeva un “sempre”. Avevi ragione fratello, manco di sincerità. In ogni
caso, denoto con piacere il buon uso che hai fatto delle mie parole; rappresentavano
una fraterna confessione, ma è indubbio che la tua mente fosse altrove, anche
in quel momento. Non hai mai capito che questa tua condotta ha finito con
l’intaccare e l’avvelenare l’affetto che mi lega a te?
Un po’ di silenzio, finalmente.
Nostro padre sembra non essersi ancora accorto di niente. Spero quei bestioni
riottosi non rovinino il mio dono per l’incoronazione. Sarebbe da stolti,
persino per loro, non cogliere una simile occasione. Ecco, il mio pezzo
preferito: i giuramenti. Tutti possono sentirti assentire con vigore ma il mio
sguardo e la mia conoscenza di te vanno al di là della superficialità. Non sei
in grado di mantenere fede a quelle promesse. Persino il padre degli dei lo
sospetta. E nonostante questo, ancora mi domando in cosa io sia stato così
inferiore a te da non poter essere scelto come erede al trono. Ho cercato una
risposta. A lungo. Ma non ho mai compreso.
Accidenti, che tempismo eccezionale.
Nostro padre si è accorto dei Giganti appena prima di proclamarti re di Asgard;
l’esito dei miei programmi ha superato di gran lunga le aspettative. Quanto
trambusto. Sembra che tu sia passato in
secondo piano, Thor. Vediamo ora come si comporterà il nuovo re di fronte ad un
simile episodio. Ho già una vaga idea.
Come previsto, il Distruttore ha
adempiuto al suo compito in maniera impeccabile. Gli Jotun sono stati uccisi e
lo scrigno è salvo. Ma la parte migliore viene adesso. Vederti così turbato e
collerico, Thor, è un fine che varrebbe qualunque mezzo. Non te la prendere, potresti
sempre considerare la mia trovata come una tua prima grande prova; osserva
bene, padre, quanto vale il primogenito che hai quasi incoronato. Guarda quanto
si mostrerà debole e incapace. Guarda.
Di certo non mi deludi neanche
stavolta, caro fratello: le tue parole sono degne di un immaturo. La tua rabbia
puerile mi entusiasma, davvero, vorrei la mostrassi in tutta la sua tossicità
al padre degli dei. Sì, continua pure a incollerirti. Sei prevedibile quanto un
ratto di fronte a del cacio maleodorante. Lo spettacolo comincia a diventare
delizioso, quasi zuccherino nelle ultime parole di nostro padre che mettono a
tacere la tua stupida insolenza.
Devo dire, comunque, che lo
spettacolo della tua collera è anche più appagante. Oh, sembri davvero
arrabbiato. Guarda come hai ridotto quel tavolo. Bene, penso che adesso sia il
mio turno. Voglio consolarti fratello, davvero, non pensavo saresti stato così
immaturo da non riuscire a sostenere nemmeno questa onesta prova alla quale ti
ho gentilmente sottoposto. Che disfatta per un neore, proprio nel giorno del
suo trionfo; cosa ti ha impedito di sbocciare, Thor? Io lo so. La tua vile
inadeguatezza. Vile, perché sostenuta da una intollerabile tracotanza che ti ha
reso ingordo di gloria e che ha finito con il renderti inviso anche al destino,
evidentemente. Guardalo, come si beffa di te. Come potersi opporre ad una sorte
tanto annunciata?
Mi piace ascoltare come segui le mie
parole e vederti entusiasta del mio appoggio. È come accontentare un bambino.
Pensavo sarei riuscito ad acquietarti, figlio di Odino, e invece non smetti mai
di stupirmi: i tuoi occhi traboccano sconsideratezza mentre le tue parole
bruciano di rivalsa nel tentativo di riscattare un torto meritatamente subito.
Perché sei così sciocco? Andare a Jotunheim disobbedendo esplicitamente ad un
comando di nostro padre. Dunque desideri proprio autodistruggerti, umiliare te
e tutto il popolo di Asgard? La trovo una follia, ma se tutto ciò potrà
contribuire a mostrare le tue mancanze, allora desidero un posto in prima fila
per assistere alla tua disfatta. La sola cosa che mi preme è che tu non sia
così folle da mettere a repentaglio la mia vita; a quella terrei,
particolarmente. Oh, mi correggo: le nostre vite. Vedo che anche i tuoi fedeli
compari di idiozie sembrano volersi unire alla folle missione. Come sei
fortunato fratello, anche in questo. Quanti compagni sinceri e fedeli ti sono
affianco, persino in un frangente tanto ostile. Non c’è che dire, sempre
qualche gradino più in alto, non è così? Come ti invidio Thor, come ti invidio.
Quasi non riesco a credere che io stia
davvero per venirti dietro in una tale, ridicola, avventura suicida. In parte
mi meraviglia. Se non altro, cerco di rendermi utile in qualche modo
rivolgendomi all’onesto Heimdall per ottenere un buon lasciapassare. Ma a
quanto pare vuoi la rivincita anche in questo. Sbaglio, o pensi forse che io
non possa essere utile in alcun modo? Perché è questo che trasuda dalla tua
lingua sferzante di colpi e di ammonimenti. Mi credi un inabile da dover ammaestrare?
O magari sei solo convinto che tutto quello che tu abbia sia sufficiente al tuo
personale successo? Perché continui a comportarti come se tu solo fossi su di
un piedistallo? In questo modo potrai solo alimentare il mio disprezzo. Già mi
è disagevole temperare l’indignazione provocata dai tuoi scherni, figuriamoci
quella che deriva dall’ironia dei tuoi patetici seguaci che certo, lo ammetto,
non perdono affatto tempo per aggiungersi alla beffa. Volstagg, poi, la cui
unica abilità risulta essere la perizia che adotta nell’ingurgitare tre chili
di carni diverse contemporaneamente; un appetito pari solo alla sua stupidità.
Un po’ come te in fondo, Thor. E tu permetti ad un simile abietto e osceno di
insultare tuo fratello? Fratello che avrebbe potuto diventare anche il suo, di
re, se oggi fosse stato incoronato al tuo posto. Sei meschino. Ma d’altronde,
essendo tu il primo a godere del mio scherno, dovrei essere uno stolto ad aspettarmi
sostegno proprio da te. Ti è sempre piaciuto rimarcare le differenze tra noi,
non è vero? Supposte o reali che fossero.
Sì, lo so che sto solo perdendo
tempo ed energie nel vacillare ancora in simili pensieri; sono attenzioni dalle
quali dovrei distogliermi, tanto più adesso che stiamo per saltare nella terra
dei Giganti. Inspiro profondamente. Ne ho un gran bisogno. Ho allenato i miei
nervi per tanto tempo, assecondando la mia natura cauta e paziente, ma devo
dire che riesci sempre ad essere un ottimo esercizio per essi, caro fratello. I
palmi delle mani sono asciutti. Non sono teso. Tu sembri a dir poco
sovreccitato, al contrario. Cos’è, il tuo spirito pugnace ti infiamma, forse?
Non vedi l’ora di mozzare qualche testa, non è così? Hai sempre avuto una
fatale attrazione per l’odore del sangue, per lo scintillio delle lame
taglienti che si scontrano sotto un cielo infuocato dall’ardore di giovani
guerrieri come te. Eppure, questo non ti rende lodevole. Sei esecrabile proprio
quanto la tua avidità. Senti come ruota il guscio dorato del portale. Osserva
le faville del Bifrost, sembrano diventare accecanti, non trovi? Anche il
ronzio dell’energia che si prepara ad essere sprigionata si adegua ad un
crescendo che sappiamo tutti dove ci porterà: Jotunheim. Devo ammetterlo, il
tuo entusiasmo e il tuo ottimismo cominciano ad essere contagiosi, sennonché su
un punto mi trovo in disaccordo: oggi, invece, potrebbe essere un giorno
perfetto per morire.
Lo ammetto: ho esagerato.
Non intendevo essere troppo duro, ma
devo ammettere che il logorio a cui mi hai sottoposto in questi ultimi anni, in
particolare, sta manifestando tutti i suoi devastanti effetti. È stato un
pensiero fulmineo e accidentale, sai bene che nessuno potrà mai vincere il mio
amore per te. Però te ne prego, fratello, stai attento a non provarmi troppo;
temo che il mio sentimento abbia già iniziato a trasformarsi in qualcosa di
talmente diverso e complesso che mi è difficile definirlo. Assume contorni
distorti, che non sono in grado di controllare come vorrei. Confesso che mi
spaventa.
Peccato che i tuoi occhi si poggino
sempre più raramente su di me e preferiscano ignorare la responsabilità di
allungare lo sguardo aldilà dell’immediatezza delle tue azioni. Perché gli dei
non hanno distribuito equamente muscoli ed intelligenza tra noi due
consanguinei? Avremmo goduto di un rapporto di gran lunga più equilibrato. Bé,
lo riconosco, non è questo il momento più opportuno per abbandonarmi a simili
monologhi interiori; una sferzata di vento gelido che mi attraversa la pelle
fin nelle vene, me lo ricorda in maniera inflessibile. Dunque Jotunheim. Dunque
noi sei poveri ardenti e ingenui difensori del trono di Asgard. Guarda dove ci
hai trascinati, Thor. Meno male che non sono l’unico a rendersene contro;
almeno c’è qualcun altro che riconosce la follia e la stoltezza di mio
fratello. Peccato, non mi consola.
Avanziamo cauti in una terra che
sembrerebbe abbandonata se non fossimo a conoscenza dell’esistenza di quei vili
Giganti dal potere anche troppo temibile per la nostra misera portata. Come
immaginavo, non ci mettono molto ad accorgersi della nostra presenza. In
effetti, la discrezione non è certo una tua caratteristica spiccante, fratello;
e certo non era neanche tua intenzione entrare in punta di piedi, giusto? O con
le pompe o niente, in ogni caso e circostanza. Mi disprezzo da solo di fronte a
quanto io riesca a cogliere ogni buona occasione per tornare tra me e me su
questo argomento. Se continuo così finirai per occupare ogni mio pensiero, caro
Thor. In tutta onestà, non te lo meriti.
Il paesaggio di questo mondo è
desolante, pungente nella sua asprezza; massicce rocce scure si frantumano ad
intervalli che sembrano essere guidati da un ritmo incalzante. Probabilmente mi
sto solo autosuggestionando, e di certo non sono l’unico il cui nervosismo si
rende sempre più palpabile. Il silenzio spettrale unito all’impossibilità dei
nostri sguardi di incontrare gli sperati interlocutori aumenta la precarietà
delle nostre speranze di tornare ad Asgard con qualche risposta; e accresce
anche la tensione dei nostri deboli e cedevoli spiriti. I Giganti sono creature
ignobili, ma se non altro infine accettano di mostrarsi. Nessun dubbio Laufey
sarebbe stato il primo di loro. Una vista immensa, devo dire, per chi come noi
non è esattamente incallito da anni di gloriose e faticose battaglie. La sua
figura si erge su un possente trono di roccia, si direbbe, anche se l’unica
cosa che riesco a distinguere chiaramente è soltanto il rosso sangue dei suoi
occhi iniettati di odio. Se non fosse pericoloso potrei addirittura restare ore
a contemplarne l’aurea spaventosa.
Ovviamente sei tu che rispondi al
capo dei Giganti, nostro baldanzoso caposquadriglia. Che pena sconfortante.
Solo ora mi rendo conto di quanto ci siamo potuti rendere ridicoli con una
simile azione dettata solo dalla tua smania di ragazzone ancora troppo stupido
per poter agire seguendo il senno di poi. Sono certo che è la stessa cosa che
sta pensando quell’energumeno dipinto di blu. Non potrei né vorrei dargli
torto. L’unica cosa che biasimo è che con le sue parole abbia destato i vostri
sospetti riguardo un eventuale traditore nella casa di nostro padre. Ma in
fondo sono parole così forti e
disonorevoli che la tua reazione è esattamente quella che mi aspettavo; non
crederesti mai alle illazioni del capo dei Giganti e ciò mi fa sentire
protetto, al sicuro. Il mio timore si esaurisce infine del tutto con le parole
che Laufey ti rivolge immediatamente dopo. È incredibile come sia riuscito a
dar voce ai miei stessi pensieri togliendomi le parole di bocca. Questo,
fratello mio, è ciò che avrei voluto dirti tante volte. Ma constato facilmente
che le sue parole non ti spingono neanche lontanamente alla riflessione;
d’altronde non hai ascoltato nemmeno nostro padre, preferendo disobbedirgli,
perché mai dovresti prestare orecchio alle parole dei nostri nemici?
Adesso basta però. Non si tratta più
di giocare a dimostrare che sei un nobile guerriero assetato di gloria vanesia.
Si tratta delle nostre vite. Si tratta di Asgard. Si tratta dei nove regni. Mi
avvicino, mi affianco a te. Penso tu ne abbia avute abbastanza di risposte. Il
mio tono è deciso, ma per nulla brusco o malevolo. Peccato tu non riesca a
ricambiare la gentilezza ed il buon consiglio; sembra proprio che tu non
resista alla tentazione di scagliare piccoli dardi avvelenati nel mio piccolo e
circoscritto recinto di secondogenito. Il mio posto? E quale dovrebbe essere,
il mio posto? Sai bene che siamo fratelli. Sai bene che entrambi siamo nati col
diritto di sedere al trono, un giorno. Perché questa tua sete di farmi sentire
immeritevole non trova mai un completo appagamento? Ti piace così tanto
ricordare a me e a tutti quelli che nelle vicinanze possono udire che io mi
trovi un gradino al di sotto di te? E anzi, cosa ti fa credere in maniera così
indistruttibile che io sia davvero un gradino al di sotto? Non credere che non
ci abbia pensato, sai. Non mi sono sottratto ad un confronto privo di difese.
Ho analizzato scrupolosamente le nostre personalità, i nostri pregi, i nostri
difetti, le nostre complementarità e le nostre lacune. Il risultato? Ho
accettato le mie mancanze: mi sono riconosciuto come indubbiamente meno robusto
e vigoroso di te, la mia forza non potrebbe mai eguagliare la tua, negarlo
sarebbe infantile; e tuttavia che razza di merito potrebbe mai essere quello di
riuscire a sollevare un martello? Andiamo. Non ritengo credibile che questa
possa essere una nobile discriminante per l’incoronazione di un re.
Fondamentalmente, di meglio non hai null’altro. Sono onesto, ho accettato di
mettere a nudo me stesso e ripeto che non ho trovato pregio che ti possa
rendere così superiore come credi e come indebitamente ti permetti di
ostentare. Al contrario, rispetto a me manchi di moderazione, raziocinio, pazienza,
considerazione, acume, linguaggio, persuasione, ossequio, discrezione. Dov’è
insita tutta la dovuta gloria che tanto reclami?
La dimostrazione che io riserbi per
me tutte queste riflessioni è prova del fatto che nutro una grande capacità di
autocontrollo di cui tu sei palesemente privo. Ragiono: siamo sull’orlo di uno
scontro spropositatamente impari con i Giganti di ghiaccio, mettersi a
discutere con te non avrebbe alcuna rilevanza, anzi peggiorerebbe le cose.
Quindi ingoio, ancora una volta, le tue amare e superbe scaglie di arroganza.
Forse comprenderò, prima o poi, perché al tuo amor proprio hai dovuto
affiancare un così vile disprezzo del mio essere. Non ti bastava indossare le
vesti di Narciso?
In ogni caso, sì, rimango a quello
che tu chiami il mio posto e devo dire che Laufey sembra essere una creatura
molto più avveduta di quanto immaginavo. Il fatto che ci consenta di tornare ad
Asgard senza colpo ferire è stupefacente come finale per concludere questa
scenetta rivoltante quanto imbarazzante. Come immaginavo, tu non sembri così
soddisfatto. Ti agiti, ringhi contro i nostri nemici che pure sono stati così
clementi, disapprovi le mie parole di accoglimento rispetto alla loro gentile
offerta. Ti manca proprio la diplomazia. E smettila di fare quella faccia
contrita di rabbia. A cosa tieni di più? Alla battaglia o alla vita? Forse mi
risponderesti che è la battaglia lo scopo della tua vita. Che sciocco
infantile. Arretriamo, lentamente. È una di quelle occasioni in cui la fretta è
cattiva compagna. Sei restio, percepisco bene la tua avversione a lasciare la
terra dei ghiacci senza aver dato dimostrazione di te. Domina la rabbia,
fratello. Rischierai di farci ammazzare.
Finalmente ti vedo voltarti e
venirmi dietro, grazie al cielo. Non penso che i tuoi amici saranno altrettanto
sciocchi da lamentarsi come te. Peccato per un imprevisto che muta
completamente le disposizioni prese: una provocazione gratuita e tristemente
inopportuna fa crollare ogni mia certezza di lasciare quel luogo funesto sani e
salvi. Non nutro alcuna fede nella possibilità che tu possa ignorare o
perdonare l’affronto subito. Pertanto, non perdo secondi preziosi neanche ad
immaginarmela, una cosa del genere. È un attimo. Nel momento in cui mi volto
con uno scatto liberando la mia arma migliore, tu sei già lì col braccio teso,
ad osservare la tua prima vittima scaraventata chissà quanti metri lontano
grazie al tuo amato martello, compagno di distruzione. Non sei uno che perde
tempo, questo è certo. Stupido me, a crederti abbastanza maturo e altruista da
non voler mettere in pericolo la vita dei tuoi cari. O magari non ti siamo
abbastanza cari.
Ammetto che neanche i tuoi amichetti
mostrano tanta voglia di perdere tempo; i loro corpi agili danzano tra i
Giganti come se non avessero aspettato altro che questo momento. L’aria sembra
farsi più tagliente intorno a noi e il nevischio inizia a mescolarsi al color
avio pallido che sgorga dalle ferite di quei mostri. Quanto a me, partecipo
allo scontro solertemente: percepisco ogni muscolo del corpo tendersi come un
nervo, il sangue infiammarsi grazie all’adrenalina che la paura e l’immancabile
istinto di sopravvivenza liberano nelle mie vene. Riesco persino a sentire le
pupille vibrare negli occhi. Per liberare la mia mente ottenebrata da pensieri
affannosi, non potrei beneficiare di una migliore attività. La battaglia, le
grida, i respiri quasi rigurgitati a causa dello sforzo eccezionale, non sono
sensazioni che sei il solo ad amare, Thor; la differenza, è che io non le
rincorro.
Incredibile. Meno di pochi minuti e
comincia ad essere quasi divertente, rilassante. Come una boccata di aria
fresca. I Giganti sono numerosi, incredibilmente più di noi, ma vederli cadere inerti
e sconfitti dona una rinnovata energia al combattimento. Ho perso il conto del
numero delle mie vittime, ma una figura che il mio sguardo sfiora con la coda
dell’occhio cattura in un istante tutte le mie amplificate attenzioni. Avevo
visto bene: uno di quegli enormi bestioni sta correndo come un indemoniato
verso di me. Sembra davvero furioso. Non ho paura. Mi basterà assicurare
velocemente la mia posizione per poter sferrare un contrattacco invidiabile. Le
piante dei miei piedi arretrano velocemente, pronte ad eseguire uno schema
mentale già perfettamente pianificato. Eppure me ne sorprendo; il fatto che io scopra
di ritrovarmi di spalle ad un impressionante precipizio mi tradisce. Non è il
momento di rimproverarsi. Devo costruire un nuovo e più efficiente piano
d’attacco. I passi del Gigante sono come colpi di frusta su quel terreno
roccioso e dissestato. Il tuonare del suo possente avanzamento mi fa tremare, ma
solo per un istante. Se mi concentro posso sentire il suo cuore pulsare violentemente,
mentre la sua mascella spalancata vorrebbe ricordarmi con ruggiti dissennati
che la mia fine è vicina. Un gran peccato per lui, visto che ho già disposto
tutto per la mia prossima mossa. Sì, corri bestia, vieni a prendermi. Ha un
balzo così ampio che non credo abbia avuto nemmeno il tempo di rendersi conto
che ciò che ha afferrato tra gli artigli altro non era che un mio ologramma. Lo
osservo precipitare e in meno di un respiro il suo corpo massiccio diventa un
insignificante puntino nella nebbia, ben presto divorato dalla circostante
oscurità. Ho i miei buoni trucchi. Per quanto essi possano essere scarsamente
apprezzati da altri.
Una voce familiare tuttavia mi
impedisce di godere della mia piccola vittoria strategica. Riconosco la voce di
Volstagg, ma onestamente non comprendo del tutto le sue parole. Intuisco solo
un impreciso avvertimento riguardo al toccare i Giganti. Come se dovessi avere
qualche malsana tentazione di avvicinarmi ad uno di quei bestioni, ottuso
scimmione barbuto. Pochi salti e sono nuovamente al centro di quel ciclone di
schegge e avversari, già intento ad avventarmi sul mio prossimo sfidante. Torno
ad usare la mia lama, sfoderandola con un’ampia bracciata che mi garantisce un
colpo potente e sicuro nel ventre del mio avversario. La creatura cade, ma
inaspettatamente conserva ancora abbastanza forza per afferrarmi un braccio. Un
brivido mi corre lungo la spina dorsale mentre un dolore che in un primo
momento percepisco come acuto, si discioglie velocemente in una sensazione disorientante:
le sue dita sono ghiacciate e la sua stretta mi spezza in minuscoli frammenti
le protezioni dell’avambraccio nonché il polsino. Ma il mio braccio non brucia;
non corrode il suo tocco, che avverto diventare tiepido e avvolgente. La mia
mente è stordita, persa in una visione che mi confonde e mi dispera. Il mio
braccio. La mia pelle. Quale sortilegio è mai questo? Una tinta blu acciaio si
espande come olio a partire dalla presa del Gigante e me ne ricopre l’intero
arto; anzi no, muta completamente il mio incarnato. Realizzo con sconcerto di
possedere per quell’esile istante lo stesso aspetto del mio nemico. Le mie dita
sussultano, il mio corpo vacilla, il mio sguardo trema alla vista di
quell’orrore e se ne discosta, sollevandosi e incontrando gli occhi fulgidi di
quella creatura. Un impeto di rabbia, terrore e disgusto mi pervade e riverbera
tutta la collera che quegli accadimenti suscitano nel mio animo ormai vulnerabile.
Serro un grido furioso tra i denti e finisco quella bestia repellente con un
affondo al torace. Quel suo sguardo fermo su di me come un magnete, prima di
sferrargli quel colpo finale, si imprime nella memoria in modo indelebile; mi
sembra già di sentire i lembi di quella ferita chiudersi e cicatrizzarsi. I
suoi occhi. Quei suoi occhi. Esprimevano qualcosa che non sono riuscito a
cogliere, a comprendere, come se fossero consci di una risposta la cui domanda
non ho il coraggio di pormi.
Il mio braccio. Il mio braccio muta
ancora: osservo dissiparsi quel colorito estraneo, farsi sempre più pallido
sulla mia pelle, fino ad essere completamente riassorbito, cancellato,
evaporato. Il corpo del Gigante è ai miei piedi, morto, e nonostante tutto
provo per la prima volta in vita mia una paura smisurata e sconosciuta. Sento
deboli i miei occhi, bruciano; i battiti del cuore salgono alle tempie e mi
frastornano, il mio volto salta da una prospettiva all’altra in cerca di
qualcosa, qualcuno. Ma non so cosa. E non so chi. Deglutisco senza difese,
inerme. Il tempo si dilata come lo strappo di una tela e mi isola in un turbine
di immagini e pensieri che mi accecano. Ma non posso. Non adesso. I Giganti.
Thor. Dobbiamo tornare. Fratello, dobbiamo tornare. Adesso.