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Autore: unknown_girl    27/06/2012    3 recensioni
La storia si basa sulla ricostruzione delle vicende del film "Thor", analizzate e vissute dal punto di vista di Loki, in questo caso il protagonista. Per realizzarla ho utilizzato anche una delle scene eliminate dal film.
[ Sento deboli i miei occhi, bruciano; i battiti del cuore salgono alle tempie e mi frastornano, il mio volto salta da una prospettiva all’altra in cerca di qualcosa, qualcuno. Ma non so cosa. E non so chi. Deglutisco senza difese, inerme. Il tempo si dilata come lo strappo di una tela e mi isola in un turbine di immagini e pensieri che mi accecano. Ma non posso. Non adesso. I Giganti. Thor. Dobbiamo tornare. Fratello, dobbiamo tornare. Adesso. ]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Loki
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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The Hurt Reindeer - The Rebound

- The Rebound -

 

“Qui siamo eretti come un faro di speranza che illumina oltre le stelle…”

Chissà perché mi ritornano in mente queste parole mentre ti osservo avanzare verso il trono.

Forse perché non riesco a riconoscere in te la futura speranza di Asgard, suppongo. È stato solo pochi minuti fa, nel vestibolo, che ci siamo lasciati e per un attimo mi eri sembrato dignitosamente nervoso rispetto ad un simile evento. Ora mi accorgo che mi sono lasciato sfuggire qualche parola di troppo. Non le meritavi e lo riconosco solo adesso che ti vedo procedere come un idiota arrogante di fronte a tutta la corte, a nostra madre, a nostro padre.

Il rapido sguardo che rivolgo a quest’ultimo mi dà la certezza che è del mio stesso pensiero. Sei tronfio, fratello. Scommetto che se te lo dicessi non capiresti neanche che voglia dire. Avevo detto che sembravi un re; anche se in effetti non l’ho mai pensato. Forse avevi ragione quando hai sostenuto che sono incapace di essere sincero. Tuttavia mi rallegro: prima ho avuto un attimo di debolezza nell’anticamera, lo ammetto. Ero sul punto di pentirmi della mia scelta, ma devo dire che la tua capacità di persuasione sta dando notevoli frutti. Il tuo meschino esibizionismo mi salva dal dubbio. Meriti davvero quello che ho preparato per il tuo fausto giorno.

La sottile indisponenza di nostro padre non ti è nemmeno lontanamente visibile. Eppure dovresti conoscerlo bene, ricordare i suoi insegnamenti. A dire il vero mi stupisce che non si sia ancora accorto di niente; forse è vero che i suoi sensi e le sue forze si stanno inesorabilmente affievolendo.

Sì, ecco, bravo. Agita quel tuo bel martello, fagli fare le piroette, infiamma pure gli astanti. Certo. In fondo è il tuo giorno. Non oso pensare a come ti saresti comportato se non ti avessi detto che mi capita di essere invidioso di te, a volte. Un “a volte” che nascondeva un “sempre”. Avevi ragione fratello, manco di sincerità. In ogni caso, denoto con piacere il buon uso che hai fatto delle mie parole; rappresentavano una fraterna confessione, ma è indubbio che la tua mente fosse altrove, anche in quel momento. Non hai mai capito che questa tua condotta ha finito con l’intaccare e l’avvelenare l’affetto che mi lega a te?

Un po’ di silenzio, finalmente. Nostro padre sembra non essersi ancora accorto di niente. Spero quei bestioni riottosi non rovinino il mio dono per l’incoronazione. Sarebbe da stolti, persino per loro, non cogliere una simile occasione. Ecco, il mio pezzo preferito: i giuramenti. Tutti possono sentirti assentire con vigore ma il mio sguardo e la mia conoscenza di te vanno al di là della superficialità. Non sei in grado di mantenere fede a quelle promesse. Persino il padre degli dei lo sospetta. E nonostante questo, ancora mi domando in cosa io sia stato così inferiore a te da non poter essere scelto come erede al trono. Ho cercato una risposta. A lungo. Ma non ho mai compreso.

Accidenti, che tempismo eccezionale. Nostro padre si è accorto dei Giganti appena prima di proclamarti re di Asgard; l’esito dei miei programmi ha superato di gran lunga le aspettative. Quanto trambusto.  Sembra che tu sia passato in secondo piano, Thor. Vediamo ora come si comporterà il nuovo re di fronte ad un simile episodio. Ho già una vaga idea.

 

Come previsto, il Distruttore ha adempiuto al suo compito in maniera impeccabile. Gli Jotun sono stati uccisi e lo scrigno è salvo. Ma la parte migliore viene adesso. Vederti così turbato e collerico, Thor, è un fine che varrebbe qualunque mezzo. Non te la prendere, potresti sempre considerare la mia trovata come una tua prima grande prova; osserva bene, padre, quanto vale il primogenito che hai quasi incoronato. Guarda quanto si mostrerà debole e incapace. Guarda.

Di certo non mi deludi neanche stavolta, caro fratello: le tue parole sono degne di un immaturo. La tua rabbia puerile mi entusiasma, davvero, vorrei la mostrassi in tutta la sua tossicità al padre degli dei. Sì, continua pure a incollerirti. Sei prevedibile quanto un ratto di fronte a del cacio maleodorante. Lo spettacolo comincia a diventare delizioso, quasi zuccherino nelle ultime parole di nostro padre che mettono a tacere la tua stupida insolenza.

Devo dire, comunque, che lo spettacolo della tua collera è anche più appagante. Oh, sembri davvero arrabbiato. Guarda come hai ridotto quel tavolo. Bene, penso che adesso sia il mio turno. Voglio consolarti fratello, davvero, non pensavo saresti stato così immaturo da non riuscire a sostenere nemmeno questa onesta prova alla quale ti ho gentilmente sottoposto. Che disfatta per un neore, proprio nel giorno del suo trionfo; cosa ti ha impedito di sbocciare, Thor? Io lo so. La tua vile inadeguatezza. Vile, perché sostenuta da una intollerabile tracotanza che ti ha reso ingordo di gloria e che ha finito con il renderti inviso anche al destino, evidentemente. Guardalo, come si beffa di te. Come potersi opporre ad una sorte tanto annunciata?

Mi piace ascoltare come segui le mie parole e vederti entusiasta del mio appoggio. È come accontentare un bambino. Pensavo sarei riuscito ad acquietarti, figlio di Odino, e invece non smetti mai di stupirmi: i tuoi occhi traboccano sconsideratezza mentre le tue parole bruciano di rivalsa nel tentativo di riscattare un torto meritatamente subito. Perché sei così sciocco? Andare a Jotunheim disobbedendo esplicitamente ad un comando di nostro padre. Dunque desideri proprio autodistruggerti, umiliare te e tutto il popolo di Asgard? La trovo una follia, ma se tutto ciò potrà contribuire a mostrare le tue mancanze, allora desidero un posto in prima fila per assistere alla tua disfatta. La sola cosa che mi preme è che tu non sia così folle da mettere a repentaglio la mia vita; a quella terrei, particolarmente. Oh, mi correggo: le nostre vite. Vedo che anche i tuoi fedeli compari di idiozie sembrano volersi unire alla folle missione. Come sei fortunato fratello, anche in questo. Quanti compagni sinceri e fedeli ti sono affianco, persino in un frangente tanto ostile. Non c’è che dire, sempre qualche gradino più in alto, non è così? Come ti invidio Thor, come ti invidio.

Quasi non riesco a credere che io stia davvero per venirti dietro in una tale, ridicola, avventura suicida. In parte mi meraviglia. Se non altro, cerco di rendermi utile in qualche modo rivolgendomi all’onesto Heimdall per ottenere un buon lasciapassare. Ma a quanto pare vuoi la rivincita anche in questo. Sbaglio, o pensi forse che io non possa essere utile in alcun modo? Perché è questo che trasuda dalla tua lingua sferzante di colpi e di ammonimenti. Mi credi un inabile da dover ammaestrare? O magari sei solo convinto che tutto quello che tu abbia sia sufficiente al tuo personale successo? Perché continui a comportarti come se tu solo fossi su di un piedistallo? In questo modo potrai solo alimentare il mio disprezzo. Già mi è disagevole temperare l’indignazione provocata dai tuoi scherni, figuriamoci quella che deriva dall’ironia dei tuoi patetici seguaci che certo, lo ammetto, non perdono affatto tempo per aggiungersi alla beffa. Volstagg, poi, la cui unica abilità risulta essere la perizia che adotta nell’ingurgitare tre chili di carni diverse contemporaneamente; un appetito pari solo alla sua stupidità. Un po’ come te in fondo, Thor. E tu permetti ad un simile abietto e osceno di insultare tuo fratello? Fratello che avrebbe potuto diventare anche il suo, di re, se oggi fosse stato incoronato al tuo posto. Sei meschino. Ma d’altronde, essendo tu il primo a godere del mio scherno, dovrei essere uno stolto ad aspettarmi sostegno proprio da te. Ti è sempre piaciuto rimarcare le differenze tra noi, non è vero? Supposte o reali che fossero.

Sì, lo so che sto solo perdendo tempo ed energie nel vacillare ancora in simili pensieri; sono attenzioni dalle quali dovrei distogliermi, tanto più adesso che stiamo per saltare nella terra dei Giganti. Inspiro profondamente. Ne ho un gran bisogno. Ho allenato i miei nervi per tanto tempo, assecondando la mia natura cauta e paziente, ma devo dire che riesci sempre ad essere un ottimo esercizio per essi, caro fratello. I palmi delle mani sono asciutti. Non sono teso. Tu sembri a dir poco sovreccitato, al contrario. Cos’è, il tuo spirito pugnace ti infiamma, forse? Non vedi l’ora di mozzare qualche testa, non è così? Hai sempre avuto una fatale attrazione per l’odore del sangue, per lo scintillio delle lame taglienti che si scontrano sotto un cielo infuocato dall’ardore di giovani guerrieri come te. Eppure, questo non ti rende lodevole. Sei esecrabile proprio quanto la tua avidità. Senti come ruota il guscio dorato del portale. Osserva le faville del Bifrost, sembrano diventare accecanti, non trovi? Anche il ronzio dell’energia che si prepara ad essere sprigionata si adegua ad un crescendo che sappiamo tutti dove ci porterà: Jotunheim. Devo ammetterlo, il tuo entusiasmo e il tuo ottimismo cominciano ad essere contagiosi, sennonché su un punto mi trovo in disaccordo: oggi, invece, potrebbe essere un giorno perfetto per morire.

 

Lo ammetto: ho esagerato.

Non intendevo essere troppo duro, ma devo ammettere che il logorio a cui mi hai sottoposto in questi ultimi anni, in particolare, sta manifestando tutti i suoi devastanti effetti. È stato un pensiero fulmineo e accidentale, sai bene che nessuno potrà mai vincere il mio amore per te. Però te ne prego, fratello, stai attento a non provarmi troppo; temo che il mio sentimento abbia già iniziato a trasformarsi in qualcosa di talmente diverso e complesso che mi è difficile definirlo. Assume contorni distorti, che non sono in grado di controllare come vorrei. Confesso che mi spaventa.

Peccato che i tuoi occhi si poggino sempre più raramente su di me e preferiscano ignorare la responsabilità di allungare lo sguardo aldilà dell’immediatezza delle tue azioni. Perché gli dei non hanno distribuito equamente muscoli ed intelligenza tra noi due consanguinei? Avremmo goduto di un rapporto di gran lunga più equilibrato. Bé, lo riconosco, non è questo il momento più opportuno per abbandonarmi a simili monologhi interiori; una sferzata di vento gelido che mi attraversa la pelle fin nelle vene, me lo ricorda in maniera inflessibile. Dunque Jotunheim. Dunque noi sei poveri ardenti e ingenui difensori del trono di Asgard. Guarda dove ci hai trascinati, Thor. Meno male che non sono l’unico a rendersene contro; almeno c’è qualcun altro che riconosce la follia e la stoltezza di mio fratello. Peccato, non mi consola.

Avanziamo cauti in una terra che sembrerebbe abbandonata se non fossimo a conoscenza dell’esistenza di quei vili Giganti dal potere anche troppo temibile per la nostra misera portata. Come immaginavo, non ci mettono molto ad accorgersi della nostra presenza. In effetti, la discrezione non è certo una tua caratteristica spiccante, fratello; e certo non era neanche tua intenzione entrare in punta di piedi, giusto? O con le pompe o niente, in ogni caso e circostanza. Mi disprezzo da solo di fronte a quanto io riesca a cogliere ogni buona occasione per tornare tra me e me su questo argomento. Se continuo così finirai per occupare ogni mio pensiero, caro Thor. In tutta onestà, non te lo meriti.

Il paesaggio di questo mondo è desolante, pungente nella sua asprezza; massicce rocce scure si frantumano ad intervalli che sembrano essere guidati da un ritmo incalzante. Probabilmente mi sto solo autosuggestionando, e di certo non sono l’unico il cui nervosismo si rende sempre più palpabile. Il silenzio spettrale unito all’impossibilità dei nostri sguardi di incontrare gli sperati interlocutori aumenta la precarietà delle nostre speranze di tornare ad Asgard con qualche risposta; e accresce anche la tensione dei nostri deboli e cedevoli spiriti. I Giganti sono creature ignobili, ma se non altro infine accettano di mostrarsi. Nessun dubbio Laufey sarebbe stato il primo di loro. Una vista immensa, devo dire, per chi come noi non è esattamente incallito da anni di gloriose e faticose battaglie. La sua figura si erge su un possente trono di roccia, si direbbe, anche se l’unica cosa che riesco a distinguere chiaramente è soltanto il rosso sangue dei suoi occhi iniettati di odio. Se non fosse pericoloso potrei addirittura restare ore a contemplarne l’aurea spaventosa.

Ovviamente sei tu che rispondi al capo dei Giganti, nostro baldanzoso caposquadriglia. Che pena sconfortante. Solo ora mi rendo conto di quanto ci siamo potuti rendere ridicoli con una simile azione dettata solo dalla tua smania di ragazzone ancora troppo stupido per poter agire seguendo il senno di poi. Sono certo che è la stessa cosa che sta pensando quell’energumeno dipinto di blu. Non potrei né vorrei dargli torto. L’unica cosa che biasimo è che con le sue parole abbia destato i vostri sospetti riguardo un eventuale traditore nella casa di nostro padre. Ma in fondo sono parole così  forti e disonorevoli che la tua reazione è esattamente quella che mi aspettavo; non crederesti mai alle illazioni del capo dei Giganti e ciò mi fa sentire protetto, al sicuro. Il mio timore si esaurisce infine del tutto con le parole che Laufey ti rivolge immediatamente dopo. È incredibile come sia riuscito a dar voce ai miei stessi pensieri togliendomi le parole di bocca. Questo, fratello mio, è ciò che avrei voluto dirti tante volte. Ma constato facilmente che le sue parole non ti spingono neanche lontanamente alla riflessione; d’altronde non hai ascoltato nemmeno nostro padre, preferendo disobbedirgli, perché mai dovresti prestare orecchio alle parole dei nostri nemici?

Adesso basta però. Non si tratta più di giocare a dimostrare che sei un nobile guerriero assetato di gloria vanesia. Si tratta delle nostre vite. Si tratta di Asgard. Si tratta dei nove regni. Mi avvicino, mi affianco a te. Penso tu ne abbia avute abbastanza di risposte. Il mio tono è deciso, ma per nulla brusco o malevolo. Peccato tu non riesca a ricambiare la gentilezza ed il buon consiglio; sembra proprio che tu non resista alla tentazione di scagliare piccoli dardi avvelenati nel mio piccolo e circoscritto recinto di secondogenito. Il mio posto? E quale dovrebbe essere, il mio posto? Sai bene che siamo fratelli. Sai bene che entrambi siamo nati col diritto di sedere al trono, un giorno. Perché questa tua sete di farmi sentire immeritevole non trova mai un completo appagamento? Ti piace così tanto ricordare a me e a tutti quelli che nelle vicinanze possono udire che io mi trovi un gradino al di sotto di te? E anzi, cosa ti fa credere in maniera così indistruttibile che io sia davvero un gradino al di sotto? Non credere che non ci abbia pensato, sai. Non mi sono sottratto ad un confronto privo di difese. Ho analizzato scrupolosamente le nostre personalità, i nostri pregi, i nostri difetti, le nostre complementarità e le nostre lacune. Il risultato? Ho accettato le mie mancanze: mi sono riconosciuto come indubbiamente meno robusto e vigoroso di te, la mia forza non potrebbe mai eguagliare la tua, negarlo sarebbe infantile; e tuttavia che razza di merito potrebbe mai essere quello di riuscire a sollevare un martello? Andiamo. Non ritengo credibile che questa possa essere una nobile discriminante per l’incoronazione di un re. Fondamentalmente, di meglio non hai null’altro. Sono onesto, ho accettato di mettere a nudo me stesso e ripeto che non ho trovato pregio che ti possa rendere così superiore come credi e come indebitamente ti permetti di ostentare. Al contrario, rispetto a me manchi di moderazione, raziocinio, pazienza, considerazione, acume, linguaggio, persuasione, ossequio, discrezione. Dov’è insita tutta la dovuta gloria che tanto reclami?

La dimostrazione che io riserbi per me tutte queste riflessioni è prova del fatto che nutro una grande capacità di autocontrollo di cui tu sei palesemente privo. Ragiono: siamo sull’orlo di uno scontro spropositatamente impari con i Giganti di ghiaccio, mettersi a discutere con te non avrebbe alcuna rilevanza, anzi peggiorerebbe le cose. Quindi ingoio, ancora una volta, le tue amare e superbe scaglie di arroganza. Forse comprenderò, prima o poi, perché al tuo amor proprio hai dovuto affiancare un così vile disprezzo del mio essere. Non ti bastava indossare le vesti di Narciso?

In ogni caso, sì, rimango a quello che tu chiami il mio posto e devo dire che Laufey sembra essere una creatura molto più avveduta di quanto immaginavo. Il fatto che ci consenta di tornare ad Asgard senza colpo ferire è stupefacente come finale per concludere questa scenetta rivoltante quanto imbarazzante. Come immaginavo, tu non sembri così soddisfatto. Ti agiti, ringhi contro i nostri nemici che pure sono stati così clementi, disapprovi le mie parole di accoglimento rispetto alla loro gentile offerta. Ti manca proprio la diplomazia. E smettila di fare quella faccia contrita di rabbia. A cosa tieni di più? Alla battaglia o alla vita? Forse mi risponderesti che è la battaglia lo scopo della tua vita. Che sciocco infantile. Arretriamo, lentamente. È una di quelle occasioni in cui la fretta è cattiva compagna. Sei restio, percepisco bene la tua avversione a lasciare la terra dei ghiacci senza aver dato dimostrazione di te. Domina la rabbia, fratello. Rischierai di farci ammazzare.

Finalmente ti vedo voltarti e venirmi dietro, grazie al cielo. Non penso che i tuoi amici saranno altrettanto sciocchi da lamentarsi come te. Peccato per un imprevisto che muta completamente le disposizioni prese: una provocazione gratuita e tristemente inopportuna fa crollare ogni mia certezza di lasciare quel luogo funesto sani e salvi. Non nutro alcuna fede nella possibilità che tu possa ignorare o perdonare l’affronto subito. Pertanto, non perdo secondi preziosi neanche ad immaginarmela, una cosa del genere. È un attimo. Nel momento in cui mi volto con uno scatto liberando la mia arma migliore, tu sei già lì col braccio teso, ad osservare la tua prima vittima scaraventata chissà quanti metri lontano grazie al tuo amato martello, compagno di distruzione. Non sei uno che perde tempo, questo è certo. Stupido me, a crederti abbastanza maturo e altruista da non voler mettere in pericolo la vita dei tuoi cari. O magari non ti siamo abbastanza cari.

Ammetto che neanche i tuoi amichetti mostrano tanta voglia di perdere tempo; i loro corpi agili danzano tra i Giganti come se non avessero aspettato altro che questo momento. L’aria sembra farsi più tagliente intorno a noi e il nevischio inizia a mescolarsi al color avio pallido che sgorga dalle ferite di quei mostri. Quanto a me, partecipo allo scontro solertemente: percepisco ogni muscolo del corpo tendersi come un nervo, il sangue infiammarsi grazie all’adrenalina che la paura e l’immancabile istinto di sopravvivenza liberano nelle mie vene. Riesco persino a sentire le pupille vibrare negli occhi. Per liberare la mia mente ottenebrata da pensieri affannosi, non potrei beneficiare di una migliore attività. La battaglia, le grida, i respiri quasi rigurgitati a causa dello sforzo eccezionale, non sono sensazioni che sei il solo ad amare, Thor; la differenza, è che io non le rincorro.

Incredibile. Meno di pochi minuti e comincia ad essere quasi divertente, rilassante. Come una boccata di aria fresca. I Giganti sono numerosi, incredibilmente più di noi, ma vederli cadere inerti e sconfitti dona una rinnovata energia al combattimento. Ho perso il conto del numero delle mie vittime, ma una figura che il mio sguardo sfiora con la coda dell’occhio cattura in un istante tutte le mie amplificate attenzioni. Avevo visto bene: uno di quegli enormi bestioni sta correndo come un indemoniato verso di me. Sembra davvero furioso. Non ho paura. Mi basterà assicurare velocemente la mia posizione per poter sferrare un contrattacco invidiabile. Le piante dei miei piedi arretrano velocemente, pronte ad eseguire uno schema mentale già perfettamente pianificato. Eppure me ne sorprendo; il fatto che io scopra di ritrovarmi di spalle ad un impressionante precipizio mi tradisce. Non è il momento di rimproverarsi. Devo costruire un nuovo e più efficiente piano d’attacco. I passi del Gigante sono come colpi di frusta su quel terreno roccioso e dissestato. Il tuonare del suo possente avanzamento mi fa tremare, ma solo per un istante. Se mi concentro posso sentire il suo cuore pulsare violentemente, mentre la sua mascella spalancata vorrebbe ricordarmi con ruggiti dissennati che la mia fine è vicina. Un gran peccato per lui, visto che ho già disposto tutto per la mia prossima mossa. Sì, corri bestia, vieni a prendermi. Ha un balzo così ampio che non credo abbia avuto nemmeno il tempo di rendersi conto che ciò che ha afferrato tra gli artigli altro non era che un mio ologramma. Lo osservo precipitare e in meno di un respiro il suo corpo massiccio diventa un insignificante puntino nella nebbia, ben presto divorato dalla circostante oscurità. Ho i miei buoni trucchi. Per quanto essi possano essere scarsamente apprezzati da altri.

Una voce familiare tuttavia mi impedisce di godere della mia piccola vittoria strategica. Riconosco la voce di Volstagg, ma onestamente non comprendo del tutto le sue parole. Intuisco solo un impreciso avvertimento riguardo al toccare i Giganti. Come se dovessi avere qualche malsana tentazione di avvicinarmi ad uno di quei bestioni, ottuso scimmione barbuto. Pochi salti e sono nuovamente al centro di quel ciclone di schegge e avversari, già intento ad avventarmi sul mio prossimo sfidante. Torno ad usare la mia lama, sfoderandola con un’ampia bracciata che mi garantisce un colpo potente e sicuro nel ventre del mio avversario. La creatura cade, ma inaspettatamente conserva ancora abbastanza forza per afferrarmi un braccio. Un brivido mi corre lungo la spina dorsale mentre un dolore che in un primo momento percepisco come acuto, si discioglie velocemente in una sensazione disorientante: le sue dita sono ghiacciate e la sua stretta mi spezza in minuscoli frammenti le protezioni dell’avambraccio nonché il polsino. Ma il mio braccio non brucia; non corrode il suo tocco, che avverto diventare tiepido e avvolgente. La mia mente è stordita, persa in una visione che mi confonde e mi dispera. Il mio braccio. La mia pelle. Quale sortilegio è mai questo? Una tinta blu acciaio si espande come olio a partire dalla presa del Gigante e me ne ricopre l’intero arto; anzi no, muta completamente il mio incarnato. Realizzo con sconcerto di possedere per quell’esile istante lo stesso aspetto del mio nemico. Le mie dita sussultano, il mio corpo vacilla, il mio sguardo trema alla vista di quell’orrore e se ne discosta, sollevandosi e incontrando gli occhi fulgidi di quella creatura. Un impeto di rabbia, terrore e disgusto mi pervade e riverbera tutta la collera che quegli accadimenti suscitano nel mio animo ormai vulnerabile. Serro un grido furioso tra i denti e finisco quella bestia repellente con un affondo al torace. Quel suo sguardo fermo su di me come un magnete, prima di sferrargli quel colpo finale, si imprime nella memoria in modo indelebile; mi sembra già di sentire i lembi di quella ferita chiudersi e cicatrizzarsi. I suoi occhi. Quei suoi occhi. Esprimevano qualcosa che non sono riuscito a cogliere, a comprendere, come se fossero consci di una risposta la cui domanda non ho il coraggio di pormi.

Il mio braccio. Il mio braccio muta ancora: osservo dissiparsi quel colorito estraneo, farsi sempre più pallido sulla mia pelle, fino ad essere completamente riassorbito, cancellato, evaporato. Il corpo del Gigante è ai miei piedi, morto, e nonostante tutto provo per la prima volta in vita mia una paura smisurata e sconosciuta. Sento deboli i miei occhi, bruciano; i battiti del cuore salgono alle tempie e mi frastornano, il mio volto salta da una prospettiva all’altra in cerca di qualcosa, qualcuno. Ma non so cosa. E non so chi. Deglutisco senza difese, inerme. Il tempo si dilata come lo strappo di una tela e mi isola in un turbine di immagini e pensieri che mi accecano. Ma non posso. Non adesso. I Giganti. Thor. Dobbiamo tornare. Fratello, dobbiamo tornare. Adesso.

   
 
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