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Autore: Kurokami    29/06/2012    2 recensioni
"2134, Giappone, Distretto 24."
Questa è la mia unica premessa per la mia prima fanfiction AU e di genere fantascientifico. Il resto lo trovate tra gli avvertimenti e nella storia. Grazie per la vostra attenzione. ^^
(Ah, ho due avvertimenti da fare: il primo è che questa fiction è a rating giallo, ma potrebbe cambiare. Il secondo è che le altre due fiction che ho in corso, "The truth- revisioned and corrected" e "Black Holes" sono momentaneamente sospese)
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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MEETING_
 
 
 
 
 
 
Se fosse esistita una classifica delle persone più impazienti del mondo, Sasuke Uchiha avrebbe probabilmente occupato il podio. Suo fratello maggiore Itachi si divertiva a dire che aveva “I nervi più veloci del West”, nel senso che Sasuke era capace di arrabbiarsi in tempi fin troppo brevi anche per un andromediano (razza aliena famosissima per il carattere focoso e piuttosto guerrafondaio).
Fortunatamente, non erano poi tantissime le cose che facevano infuriare Sasuke: infatti, per la maggior parte del tempo, era una persona piuttosto tranquilla con la passione per la tecnologia. Suo passatempo preferito era riparare o creare oggetti di qualsiasi tipo, e Itachi gli aveva suggerito la brillante idea di fare di questa passione una professione: così, chiunque nel quartiere avesse qualcosa da aggiustare o perfezionare si rivolgeva a Sasuke, che faceva qualsiasi tipo di riparazione a prezzi modici (questo anche perché sostituire gli oggetti malfunzionanti con dei nuovi costava ormai un occhio della testa, e molti non potevano permetterselo).
 
 
In quel momento, mentre sfrecciava con la sua moto a energia solare, veicolo costruito da lui stesso (simile a una moto d’acqua, ma molto più sofisticata e con dei propulsori gravitazionali dietro, ndA), tra i palazzi del Distretto 24,  Sasuke si trovava in quella fase in cui la rabbia deve ancora sbollire, e stava continuando a mormorare maledizioni verso il negoziante che gli aveva venduto dei pezzi di ricambio per androidi, per i quali aveva dovuto fare una fatica immane per trattare sul prezzo: tutto questo grazie al suo principale rifornitore di pezzi di ricambio nonché migliore amico, Naruto Uzumaki, il quale al momento non possedeva i pezzi che gli servivano. Inoltre faceva un freddo cane (non che il clima fosse tanto diverso il resto dell’anno), e nonostante i guanti a mezzo dito e il casco, aveva le dita, il naso e le orecchie completamente gelate. E quando Sasuke aveva freddo, chi gli rivolgeva la parola lo faceva a proprio rischio e pericolo.
 
-Quello stupido dobe deficiente…- sussurrò a denti stretti, mentre scendeva leggermente di quota per evitare un gigantesco Space-bus –quando me lo ritrovo davanti, le sentirà-.
 
Sasuke premette con decisione sul pedale dell’acceleratore, con l’intenzione di arrivare il più presto possibile a casa, rischiando tra l’altro di farsi travolgere da un paio di auto: voleva soltanto starsene al calduccio nel suo laboratorio e finire alcune riparazioni che gli avevano commissionato qualche giorno prima. 
Lanciò un paio di imprecazioni a un pilota di Gala-taxi (il taxi del futuro, ndA) che gli aveva tagliato la strada, e scese ancora di quota: casa sua si trovava al Livello Tre della città, e lui si trovava ancora al Livello Quattro. 
Infatti nella zona del Livello Tre, escluso Naruto, c’erano solo venditori che rifilavano pezzi di ricambio da quattro soldi, “che andavano bene solo per pulirci il cesso” come Sasuke amabilmente li definiva. Per non parlare dei Livelli Due e Uno: erano praticamente la discarica della città (e infatti era lì che Naruto qualche volta andava a recuperare dei pezzi di ricambio, quando erano ancora in buono stato).
Dal Livello Quattro fino all’ultimo, cioè il Sette, la gente invece viveva praticamente nel lusso, e questa era un'altra cosa per cui Sasuke andava fuori di testa dalla rabbia: perché se c’era una cosa che lo faceva davvero infuriare a morte erano i parassiti come quelli, che vivevano a spese dei Livelli inferiori. Inoltre, odiava tutte quelle persone appartenenti ai Livelli superiori, che ogni volta lo squadravano dall’alto in basso, storcendo i loro “delicati” nasi, come se si fosse trattato di un pezzente della peggior specie.
 
E pensare che un tempo anche lui apparteneva a quel mondo…
 
Sasuke scosse la testa, scacciando via quei ricordi: non era il momento di pensarci, soprattutto perché non voleva rischiare di fare uno scontro frontale con uno Space-bus.
Arrivò finalmente al Livello Tre, e iniziò a rallentare: ormai era quasi arrivato.
Si fermò a mezz’aria davanti a una piccola saracinesca; la aprì con un piccolo telecomando, e parcheggiò dentro al garage la moto solare. Una volta chiusa la saracinesca, salì le scalette di metallo che portavano nell’appartamento dove lui e suo fratello vivevano.
 
-Sono a casa!- urlò, facendosi sentire anche negli altri due o tre isolati contigui.
 
-Me ne sono accorto!- gli rispose di rimando Itachi, comparendo sulla soglia della porta che portava alla cucina –come è andata?- chiese, anche se si capiva lontano un miglio che Sasuke era ancora arrabbiato.
 
-Quello stronzo del negoziante voleva vedermi gli arti bionici e i circuiti cerebrali a 400 ryo- sbottò Sasuke.
 
Itachi annuì, sospirando: sapeva già come era andata a finire. Quando Sasuke voleva assolutamente una cosa, usava la tecnica dello sfinimento, ossia continuava a contrattare finché lo sventurato di turno non cedeva alle sue condizioni, pur di levarselo di torno; evidentemente però il negoziante non si era dato subito per vinto, dato che Sasuke, quando non otteneva in tempi brevi (ossia entro massimo cinque minuti) ciò che voleva, si arrabbiava sempre di più, fino a esplodere letteralmente.
 
-Almeno spero che tu sia stato clemente e non gli abbia messo a soqquadro il negozio- scherzò Itachi, sorridendo ironico.
 
Sasuke gli lanciò un’occhiata assassina.
 
-Vaffanculo- disse, voltando le spalle e dirigendosi verso la sua camera.
 
-Grazie e altrettanto- rispose Itachi, senza smettere di sorridere. Sapeva che Sasuke non diceva mai sul serio quando lo insultava, e ormai ci aveva fatto l’abitudine.
 
In fondo come poteva biasimarlo, dopo tutto quello che avevano passato…
 
Itachi sospirò di nuovo, girandosi verso un mobiletto alla sua destra: sopra c’era un piccolo schermo, delle dimensioni di un diario, con dei piccoli pulsanti di lato.
Lui ne premette uno e immediatamente sullo schermo comparve un’immagine: loro due, Itachi e Sasuke da bambini, e dietro di loro due persone, un uomo e una donna. L’uomo aveva un’aria burbera e guardava verso l’obiettivo con severità, la donna invece era bellissima, con dei lunghi capelli neri e un’espressione amorevole negli occhi: i loro genitori.
 
Itachi ricordava ancora benissimo il giorno dell’incidente: lui aveva tredici anni e Sasuke sette.
Si trovavano tutti e quattro in auto, di ritorno da una delle solite feste in cui Itachi si annoiava mortalmente, non trovando mai nessuno di interessante con cui conversare, mentre Sasuke si divertiva un mondo a nascondersi sotto i tavoli e far venire un mezzo infarto ai malcapitati che si trovavano a tiro.
Purtroppo per Itachi, era indispensabile che tutti i membri della famiglia partecipassero, dato che si trattava di una delle famiglie più importanti del Distretto 24: gli Uchiha, una dei maggiori produttori di automi del Giappone.
 
 
Lui l’aveva notato. Aveva visto quella cosa nera e spaventosamente enorme che arrivava a una velocità al di sopra del normale alla sinistra della loro auto, ma inizialmente non ci aveva fatto caso. 
Quando però aveva visto l’ombra di quella cosa sovrastare la loro auto, capì che stava puntando proprio verso di loro e che non si sarebbe fermata.
 
Non seppe con precisione che cosa lo spinse a farlo. Fatto sta che, una frazione di secondo prima che quella cosa si schiantasse con violenza contro l’auto, Itachi prese Sasuke e gli fece da scudo con il proprio corpo.
 
Poi l’impatto.
Per un tempo che a Itachi sembrò infinito, l’auto continuò a ruzzolare, mandandolo a sbattere da tutte le parti. Lui però continuava a tenere stretto a sé Sasuke, non curandosi di tutto il dolore che provava: a costo della propria vita, doveva proteggere il suo fratellino minore.
Un dolore lancinante gli attraversò la testa, e per un po’ Itachi non sentì più nulla.
 
Fu la voce di Sasuke a risvegliarlo, una voce flebile e rotta dal pianto.
 
-Nii-san… nii-san, svegliati…-
 
Itachi aprì con fatica gli occhi. Prima di tutto, si accorse che il suo corpo era tutto un dolore, e in particolar modo sentiva la gamba sinistra bruciargli, il che significava che doveva essersi infilato un pezzo di vetro o di qualcos’altro; poi, la macchina era rovesciata, i vetri completamente rotti e la portiera sinistra sfasciata. Alzò la testa, verso i posti di guida: la parte anteriore dell’auto non c’era più, come se fosse stata divorata.
 
-Nii-san, che è successo…?- chiese Sasuke. Itachi si accorse che lo stava ancora stringendo a sé, e lasciò la presa.
 
-N…non lo so, Sasuke…ma va tutto bene, ci sono qua io con te…- sussurrò Itachi. Sapeva che gli tremava la voce, ma, anche se forse non sarebbe servito a nulla, voleva rassicurarlo.
 
-Nii-san…dove sono mamma e papà?-
 
Itachi sentì una stretta al cuore, e trattenne a sento le lacrime che gli erano salite agli occhi.
 
-Non…non ne ho idea, Sasuke…- rispose.
 
 
Il suono della porta della camera di Sasuke che veniva sbattuta lo fece ridestare. Itachi spense lo schermo della fotografia, e questo tornò nero come prima.
Vide Sasuke arrivare a grandi falcate, con un’espressione stranamente preoccupata sul volto.
 
-Sasuke, che succede?- chiese Itachi, sorpreso.
 
-C’è qualcuno là fuori, ed è nei guai- rispose Sasuke, infilandosi la giacca in fretta e furia.
 
-Guarda che Naruto non…- iniziò a dire Itachi, pensando che la persona a cui si riferisse Sasuke fosse il suo malcapitato amico.
 
-Non si tratta di Naruto- lo interruppe Sasuke. Aprì la porta di casa e uscì, senza dire altro.
 
 
 
 
 
Sasuke non era di indole eroica, né aveva mai fantasticato sull’essere un paladino della giustizia e cretinate simili: certo, ad essere coraggioso lo era eccome (anche fin troppo), ma non era il tipo da montarsi la testa. Quando la situazione non lo richiedeva o quando non era assolutamente il caso di mettersi a fare l’eroe, preferiva restare in disparte.
Ma quando aveva visto quella persona, vestita soltanto con un body dal colore improbabile e dall’aspetto così fragile trascinarsi a stento lungo il cavalcavia che fiancheggiava il palazzo, poco sotto la sua finestra, Sasuke si era sentito in dovere di aiutarla.
 
Già in precedenza lui e suo fratello avevano dato una mano come potevano a persone in difficoltà, magari dando un po’ di soldi, cibo o indumenti, oppure facendo riparazioni e altri lavoretti gratis; infatti, tutti coloro che potevano permetterselo davano una mano a chi si trovava in difficoltà, secondo uno spirito di reciproca cooperazione che era via via nato tra chi abitava nei Livelli Tre, Due e Uno.
Per questo Sasuke si era precipitato giù, vedendo che quella persona non doveva stare affatto bene: prima di tutto indossava un semplice body, e fuori dovevano esserci perlomeno cinque gradi sottozero; poi camminava lentamente, leggermente curva su sé stessa e ciondolando di tanto in tanto, come se stesse per svenire da un momento all’altro.
 
Man mano che si avvicinava, Sasuke notò che la persona era una ragazza, ma che non era un’ essere umano. A prima vista, sembrava un ibrido tra un umano e un gatto, ma Sasuke non aveva mai visto una razza aliena di quelle fattezze: aveva i capelli rosa confetto, tagliati corti e leggermente spettinati, da cui spuntavano due orecchie bianche da gatto; aveva la pelle di un colore chiarissimo, quasi bianco, mentre le guance erano leggermente rosse, come una bambola di porcellana. Da dietro spuntava una coda bianca, che somigliava a un grosso cavo, lunga fino a terra.
 
-Ehi! Ehi tu!- la chiamò Sasuke, quando si trovò a pochi metri da lei.
 
La ragazza sollevò la testa di scatto e Sasuke si ritrovò a specchiare in due occhi stranamente rilucenti, come se fossero stati fatti di vetro, di colore verde chiaro. L’espressione che rimandavano era di sorpresa e paura.
 
-Tutto bene? Senti, fa un freddo cane, e non mi pare il caso di…- iniziò a dire Sasuke. 
 
Venne interrotto da un pugno, sferrato in piena faccia.
 
Per poco il ragazzo non cadde all’indietro, ma fortunatamente riuscì a ritrovare l’equilibrio. Si rigirò di scatto, infuriato come una serpe e massaggiandosi la guancia.
 
-Ma che dia…!- stava per inveire, ma quando vide la reazione della ragazza si zittì di nuovo.
 
Lei sussultò, spalancando i suoi grandi occhi verdi, e lo guardò con un’espressione di assoluta contrizione.
 
-Oh! Oh, scusami! N…non so cosa mi è preso, non volevo farti male! Scusa, scusa davvero, non avrei dovuto reagire così!- esclamò, mettendo le mani chiuse a pugno davanti al petto –per favore, io…!-
 
-Ok, va bene! Ora piantala- la zittì Sasuke. Non era più arrabbiato, bensì sconcertato: prima gli aveva dato un pugno, poi gli aveva chiesto scusa?
 
-Cos’è, dalle tue parti si saluta così la gente?- continuò Sasuke, più ironico che altro.
 
Lei lo guardò come se non avesse capito di cosa stava parlando.
 
-Dalle…mie parti?- chiese, evidentemente confusa.
 
Sasuke era, se possibile, ancora più perplesso. “Questa qui è completamente suonata” pensò.
 
-Insomma, da dove vieni? Di certo non sei un essere umano, quindi…- disse Sasuke, ma si interruppe.
 
Guardandola bene, si accorse che intorno ai punti di giunzione degli arti c’erano delle sottili linee che a stento si notavano da lontano, molto simili a quelle che si vedevano su normali androidi. Inoltre, sulla tutina, all’altezza del petto, era cucito un numero: S42.
E finalmente Sasuke capì.
 
-Sei un androide- disse.
 
La ragazza si fece di colpo seria, e abbassò lo sguardo.
 
-Sì- disse soltanto, quasi come se fosse una cosa vergognosa.
 
Sasuke ormai era completamente confuso. Com’era possibile che lei fosse un androide? Prima di tutto, il numero che era cucito sulla tuta era un numero di serie che Sasuke non aveva mai visto prima, né sapeva che ne esistesse uno simile; poi, era evidente che lei provava sentimenti e emozioni come un normale essere umano, cosa che nessun’androide era capace di fare.
 
-Aspetta un attimo…non è possibile che tu sia un androide. Gli androidi non…- iniziò a dire Sasuke
 
-…Provano sentimenti? Già. Ad essere precisi, io sono qualcosa che voi avete chiamato “cyborg”, ma immagino che per te sia la stessa cosa- completò lei, senza cambiare espressione: il suo tono di voce era amaro.
 
Sasuke deglutì. Cyborg? I cyborg erano semplicemente frutto dell’immaginazione dell’essere umano, non esisteva ancora nulla di simile. O meglio, c’erano moltissime persone che possedevano arti bionici, per un motivo o per altro, ma si trattava sempre di poche componenti robotiche: invece il corpo di quella ragazza, almeno dall’esterno, sembrava completamente meccanico.
 
-Se sei un cyborg…questo vuol dire che al tuo interno ci sono organi umani, giusto?- chiese Sasuke, ormai completamente dimentico del motivo per cui si era precipitato lì. La curiosità si stava risvegliando in lui, e voleva arrivare a fondo della questione.
 
-Credo di sì, non lo so con precisione…- rispose lei, incerta –in realtà sono stata creata da molto poco- concluse, con un certo imbarazzo.
 
“Questo vuol dire che è un esperimento fallito, o qualcosa del genere” pensò Sasuke “e probabilmente o si volevano sbarazzare di lei, o sarà scappata lei stessa dal laboratorio”.
 
-D’accordo, ne riparleremo dopo. Ora sarà meglio rientrare in casa, sto gelando- decretò Sasuke, ficcandosi le mani intirizzite dal freddo in tasca.
Fece per avviarsi, ma vide che l’androide non lo stava seguendo.
 
-Che c’è?- disse, guardandola perplesso.
 
Lei sembrava parecchio indecisa, e anche leggermente impaurita.
 
-Non mi riporterai lì, vero?- chiese.
 
Sasuke sospirò, leggermente spazientito.
 
-Certo che no, non so nemmeno da dove vieni, e ci sarà un motivo per cui tu sei qui. Non sono tanto stronzo da costringere una persona a ritornare in un posto dove evidentemente non vuole stare- disse.
La faccenda iniziava a puzzargli, e Sasuke voleva indagare per bene sulle origini di quel cyborg, prima di decidere sul da farsi. Su una cosa era certo, però: se quell’androide non voleva tornare da dove era venuta, allora lui non l’avrebbe certo obbligata a farlo.
 
Lei sembrò convincersi.
 
-Fidati di me- concluse Sasuke, tendendole la mano.
 
La ragazza esitò. Poi, finalmente, allungò anche lei la mano, e si lasciò tenere da quel ragazzo così strano, e nel contempo così affascinante.








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Ecco a voi il secondo capitolo!
Allora, immagino che ci siano alcune cose da chiarire: prima di tutto la differenza tra "androide" e "cyborg", dato che forse non tutti la conoscono (io per prima ero ignorante in materia, ma Wikipedia mi ha salvata XD).
L'androide è semplicemente un robot, di natura interamente artificiale, ma con fattezze umane; il cyborg invece è di natura biologica, quindi al suo interno ci sono componenti organiche, mentre il resto è artificiale (un esempio di cyborg sono C17 e C18, oppure Mecha-Freezer, di DragonBall).
In ogni caso, ho deciso di usare i termini "cyborg" e "androide" come sinonimi.
Per qualsiasi altro dubbio, o per segnalare errori e imprecisioni sapete cosa fare. Alla prossima! ^^
   
 
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