Capitolo 25
Come back to the past
Elena
rimase in silenzio, per qualche secondo, così tanto da farle credere
che avesse riattaccato. Nicole sapeva che non l’aveva realmente fatto
grazie al suo respiro concitato e spezzato. Elena non sapeva come
replicare a quell’affermazione e la sorella comprese che era proprio
quello a turbarle l’esistenza. Elena sognava di poter ancora essere
quella ragazza, ma doveva lasciarla andare, doveva rinascere dinanzi a
una nuova alba che aveva sconfitto la notte buia e paurosa. Solo così
sarebbe potuta essere veramente felice, solo così i fantasmi del suo
passato sarebbero scomparsi. Rebekah le posò un ultimo bacio tra i
capelli prima di rientrare in casa, comprendendo che oramai per lei era
ora di tornarvici per passare una notte da sola, senza il calore e
l’amore del suo Klaus. Era giusto che lui parlasse con i suoi fratelli
e con sua madre senza interventi esterni. Sebbene necessitasse di lui
come l’ossigeno che stava respirando a fatica in quel momento.
Comprendendo che era troppo ostico per lei ribattere a
quell’affermazione, fu Nicole a interrompere la comunicazione poi si
diresse a passo svelto verso la jeep. Era certa che se avesse atteso
maggiormente, non sarebbe più andata via. Dinanzi a sé non vedeva che
gli splendidi occhi del suo Klaus velati di lacrime mentre osservava la
donna che l’aveva messo al mondo un millennio prima. Percepiva dei
suoni, avevano cominciato a discorrere tra loro. Riconobbe la voce di
Kol farsi più alta e inveire contro suo padre, poi si chiuse lo
sportello e scelse di non ascoltare più nulla. Era intimo e privato,
non aveva alcun diritto di udirli in quel frangente. Mise in moto e
cominciò a guidare per le vie vuote della sua città. V’erano pochi
ragazzi per le strade e, sebbene non ve ne fosse necessità, passò per
il Grill. Era lì che si radunavano i suoi più cari amici del periodo
oscuro. Se Elena l’avesse saputo, probabilmente l’avrebbe uccisa, ma
parcheggiò dinanzi al locale ancora aperto e uscì nell’aria fredda e
autunnale. Quella sera era stata terribile e poi una sigaretta e un
bicchiere di qualsivoglia alcol non l’avrebbero fatta ricadere nel
baratro. Con quelle consapevolezze si avvicinò al vicolo laterale dove
poteva vedere il rosso di una sigaretta accesa. Le risate erano alte,
alcune volgari e maleducate, quelle dei ragazzi presenti, mentre le
giovani emettevano dei piccoli versi di appagamento. Era tutto come due
anni prima. Stesso posto, vicino ai cassonetti del Grill che, una
volta, avevano fatto esplodere troppo
ubriachi e fatti per accorgersi del loro folle gesto. Stesso cerchio.
Sembravano quasi un’attività satanista, ma per loro l’ordine era tutto
e non lo intaccavano nemmeno quando non si ricordavano più chi fossero.
Notò che il suo posto era stato occupato da un altro, ma in quel
momento non era importante chi fosse. Riconobbe subito la chioma dorata
di Blair e sorrise soddisfatta prima di cercare quella bruna di Morag
al suo fianco. Le stava tenendo per la vita e aveva il capo abbandonato
sulla spalla, nella mano destra una bottiglia di rum, sicuramente
rubata dalle scorte del Grill.
«
Ehi ragazzi, abbiamo visite,» esclamò, sornione e con un velo di
malizia e arroganza, quello che prontamente inquadrò come Jack Diaz, il
fratello di Morag, quello strano, il ragazzo che, si mormorava, avesse
lasciato accesa, di proposito, una candela che aveva incendiato le
tende della camera da letto dei genitori mentre questi dormivano quando
aveva solamente sette anni. Tutti si girarono a contemplarla mentre
Nicole rimaneva all’inizio del vicolo con la spalla destra appoggiata
al muro logoro e il capo inclinato, gli occhi scrutanti nell’ombra.
«
Gilbert?» domandò incredula, con la voce strascicata a causa
dell’alcol, Morag, issandosi quasi in piedi, scattando. Non si sedevano
quasi mai, si appoggiavano solamente al corrimano che avevano costruito
i ragazzi, ma Morag e Blair, e anche lei dopo esserlo guadagnato,
avevano diritto a una mensola. Nicole rise, lievemente, notando quanto
fosse ubriaca e li raggiunse velocemente, arrivando al centro del
vicolo. Nella penombra della notte riconobbe i visi dei suoi vecchi
amici. Jack, scompostamente abbracciato a Gwen, una ragazza dai lunghi
capelli rossi come delle fiamme e gli occhi grigi come il mare
d’inverno, che si appoggiava al cassonetto per non rovinare a terra.
Natalia e Kevin intenti ad amoreggiare, quasi non accorgendosi di lei,
troppo presi nelle loro effusioni. L’ultimo ragazzo, seduto a quello
che era stato il suo posto sulla mensola, la fece sobbalzare.
«
Jer?» lo chiamò incerta. Suo fratello sbuffò e riemerse dall’ombra di
Morag, issandosi in piedi e mettendo le mani nelle tasche dei jeans
logori. Nicole schiuse le labbra meravigliata nel vederlo con un
bicchiere in mano, ma Jer scosse il capo e le fece un cenno verso
Morag. La ragazza, quella che era stata l’ultima a vederla quella
notte, avanzò verso di lei, traballando sui suoi tacchi vertiginosi e
poi l’abbracciò, allacciandole le braccia al collo. Aveva la stessa
espressione di una bambina con quelle labbra carnose e rosse, quasi
gonfie, imbronciate e umide di rum. A Nicole ricordò terribilmente
Rebekah e le sorrise con tenerezza, un sorriso che Morag non ricambiò.
«
Dove diavolo sei stata, maledetta?» le domandò collerica. Il suo alito
sapeva di rum, tabacco e il sapore amaro della droga. Erano degli odori
così familiari da farle distendere maggiormente le labbra sottili.
L’aveva chiamata maledetta, come soleva fare negli ultimi tempi della
loro amicizia. Maledetta poiché tutti avevano cominciato a parlarle
alle spalle, mormoravano che qualcosa di terribile doveva essere
accaduto alla favorita della moglie del sindaco, alla fidanzata del
capitano della squadra di football, se si comportava in quel modo.
Maledetta poiché sapeva della sua magia, avendola sorpresa a farsi
riempire un bicchierino di vodka quando il cameriere del Grill glielo
aveva negato. Maledetta poiché tutti la stavano allontanando come se
avesse avuto un marchio sulla pelle che mostrava di essere la figlia
del demonio. Ed era così che si era sentita. Da parte di Morag non era
un insulto, lo sapeva bene. Morag amava quelle che gli altri reputavano
stranezze. Morag era diversa dalle altre ragazze, non aveva nulla nella
testa, se non un grande ingegno e tanta, troppa, furbizia. Quella
ragazza avrebbe potuto carpirle mille segreti senza che lei nemmeno se
ne accorgesse.
« Richmond e poi Chicago,» rivelò atona
mentre Morag si scostava di poco, rimanendo comunque ancorata al suo
collo. I suoi occhi neri, velati da un trucco pesante di un blu scuro, sembravano essere soddisfatti da quella confessione. Si
ricordava bene quante volte le avesse detto di fuggire da Mystic Falls
e viaggiare per il mondo. In fondo, molto in fondo, era quello che
Nicole voleva, ma sicuramente non avrebbe mai desiderato recarvisici da
sola. Avrebbe tanto bramato viaggiare con Tyler, durante il loro
viaggio di nozze avrebbero potuto fare il giro del mondo. Quel pensiero
passato non la intristì più del dovuto. Era quello che le aveva
promesso il suo Klaus. Lui l’avrebbe portata ovunque avesse voluto.
Sorrise e si morse il labbro inferiore mentre un sorriso malizioso
increspava le labbra di Morag.
«
Nemmeno una… una…,» ripeté con la voce arrochita dall’alcol che le
stava facendo percepire i suoi effetti, mischiato alla droga. Rise
lievemente del suo balbettare e la fidanzata di Jack, Gwen, con lei.
Oramai il ragazzo l’aveva lasciata andare e la stava guardando con
un’espressione da predatore. Si ricordò di una notte in cui, proprio
lì, davanti a tutti, Jack l’aveva presa e l’aveva baciata a lungo,
quasi spogliandola. Era totalmente ubriaca e l’aveva lasciato fare,
almeno sino a quando non aveva chiuso gli occhi e rivisto le iridi nere
del suo Tyler. Si era subito scostata. Era stata una sciocca e aveva
sperato che il fidanzato non sarebbe mai venuto a conoscenza di
quell’attimo di cedimento. La voce di Morag la riportò al presente, «
telefonata, piccola strega?» continuò indispettita. Nicole rise,
lievemente, quasi sensuale. Era quell’atmosfera a renderla la stessa
ragazza del periodo oscuro, si convinse, o forse era per tutta la
tensione accumulata quella sera. Voleva solamente divertirsi un po’,
senza eccedere, e poi tornare a casa di sua nonna e sperare che il
giorno dopo fosse migliore del precedente.
«
Non ci ho mai pensato, love,» esclamò, tirando fuori uno dei suoi più
sfrontati sorrisi. Morag sorrise e Blair scosse il capo, divertita
dalla risposta. Si chiese, per un istante, dove fosse Robert prima di
notare che non portava più la fedina di argento all’anulare. Dovevano
essersi lasciati. Di nuovo, « Adesso allontanati e datemi una
sigaretta,» ordinò con finta perentorietà. Morag si allontanò,
indispettita, e mugugnò tutto il suo risentimento prima di accomodarsi
al fianco di suo fratello e mettere una mano nella tasca dei jeans.
Jeremy la lasciò fare e quella consapevolezza le fece schiudere le
labbra. Morag indugiò nello sfiorarlo e Jeremy sorrideva, soddisfatto
da quella carezza. Decise che non le importava quando vide della
sensuale passione nello sguardo dolce di suo fratello.
«
Non sei cambiata per niente,» affermò Jack divertito prima che si
sedesse al fianco di Blair. Morag le passò una sigaretta, Jeremy la
bottiglia e Blair un accendino e li ringraziò con un breve sorriso, «
Mi piace,» continuò languido, avvicinandosi a lei mentre accendeva la
sigaretta e se la portava alle labbra. Jack le posò i palmi aperti
sulle cosce fasciate dal jeans e Nicole trattenne a stento una smorfia
infastidita. Le sue mani, grandi e abbronzate, erano diverse da quelle
che lei desiderava, quelle di Klaus che la sfioravano con dolcezza, ma
tanta, tanta bramosia, come se temesse che la sua forte attrazione
potesse turbarla. Prese la prima boccata e si sentì subito meglio. Due
anni interi. Era trascorsi due anni dall’ultima volta in cui aveva
fumato. A Richmond, ben attenta a non farsi notare da suo padre, beveva
un bicchiere di qualsivoglia alcolico ogni domenica, ma non di più, «
Ci potremmo divertire come l’ultima volta, che ne dici, love?» le
domandò malizioso, facendole un occhiolino. Nicole scosse il capo con
foga, poi si abbassò per non espirare dinanzi al suo volto glabro.
«
Non ci pensare, Jackie. Sono impegnata,» chiarì piccata, dinanzi al suo
sguardo interrogativo. Sentì gli occhi perforanti di Jeremy fissi su di
sé e si immerse in quelli color della notte di Jack.
«
Impegnata?» domandò indignato, allontanandosi di poco da lei e
assottigliando gli occhi scuri e dardeggianti, ingelositi. Nicole quasi
sorrise, internemente, ma si limitò ad annuire con una certa
soddisfazione evidente. Non avrebbe permesso che niente e nessuno si
mettesse tra lei e Klaus e così sarebbe stato, « Con chi? Sarà
sicuramente un damerino ricco e stupido. E borioso. Come quell’idiota
di Tyler,» esclamò indispettito. Un lampo baluginò negli occhi chiari
di Nicole e sciolse il piccolo sorriso che le aveva fatto sollevare
l’angolo sinistro delle labbra, « Oh cielo, non dirmi che è Tyler,» la
pregò quasi, disgustato da una simile prospettiva. Nicole si appoggiò
nuovamente la sigaretta alle labbra e chiuse gli occhi ispirando.
«
Ma no, fratello,» ribatté Morag incredula e ilare, quando Nicole era in
procinto di negare, « Sta con quella sciacquetta della Forbes e Gil è
troppo virtuosa per stare insieme a un ragazzo impegnato,» continuò più
seria. Tutti la osservarono per quel tono, persino Natalia e Kevin che
avevano appena smesso di avvinghiarsi l’uno all’altra e le stavano
rivolgendo un sorriso di benvenuto, sino a che non scoppiò a ridere con
ironia e sarcasmo. Bevve un abbondante sorso di rum dalla propria
bottiglia personale, quasi soffocandosi e Jeremy rise lievemente.
«
Non lo è,» confermò rivolta a Jack, « E fatti gli affari tuoi, Diaz,»
esclamò inviperita guardando Morag in tralice. Blair posò una mano
sulla sua per riportare la calma e sorrise, tristemente, abbandonando
il capo sulla sua spalla. Sembrava stanca, oppure era solamente satura
di mestizia. I suoi lunghi capelli biondi le solleticarono la spalla e
Nicole la strinse a sé mentre vedeva Jack sedersi sull’asfalto sporco
del vicolo, accanto a lei, e quello a Nicole non sfuggì.
«
Klaus? » le domandò Jeremy incredulo e sbalordito, negativamente
sorpreso. Nicole annuì, sorridendo dolcemente prima di terminare la
sigaretta e accendersene subito un’altra dopo una generosa dose di rum,
« Davvero? » continuò quasi indignato, con le sopracciglia sollevate e
le labbra contratte in una smorfia di puro sdegno. Nicole inclinò il
capo e imbronciò le labbra. Per quella sera non voleva ascoltare
nessuno, men che meno le critiche di suo fratello. Tutte le sue
relazioni erano state più che discutibili, da Vicki ad Anna, e in quel
momento, forse, anche Morag. Era una delle sue più care amiche, ma non
era per nulla adatta a suo fratello. E poi aveva notato il baluginio di
tenero, infantile, imbarazzo quando aveva nominato Rebekah di sfuggita.
«
Jer,» lo riprese scuotendo il capo per comunicargli tutto il proprio
disappunto. Jeremy alzò le mani al cielo, poi sorrise e estrasse una
sigaretta dal pacchetto. Morag, con un sorriso malizioso, l’accese.
«
Sono troppo fatto per dirti di andarti a fare una visita,» affermò
divertito prima di ridere e prendere un prolungato respiro, «
Ricordamelo domani,» aggiunse più serio, espirando del fumo bianco come
le nuvole. Nicole si incantò ad osservarlo mentre si rarefaceva
nell’aria e non protestò. Sapeva bene quanto il suo piccolo Jer potesse
divenire insistente quando si trattava di lei, o di Elena.
«
Perché una visita? È così brutto?» domandò ironicamente Blair. La sua
voce era un tintinnio di campane in quel momento, delicata, armonica,
quasi sognante. Nicole la strinse maggiormente, comprendendo che quello
era causato dalla mestizia che le oscurava l’animo. Doveva aver
litigato furiosamente, lei e Bob, oppure era ancora turbata dalla morte
di suo padre, sebbene fossero trascorsi molti giorni dalla notte
dell’Illuminazione.
«
Non è affatto brutto,» negò, imbarazzata, avvampando nel ricordare
l’avvenenza di Klaus. Sembrava un dio greco, forte e possente, e poi
quegli occhi, così profondi da parere un Oceano ricolmo d’arte, cultura
e intelligenza. Klaus era davvero l’uomo più bello che avesse mai
incontrato, con quel suo fascino misterioso, quei modi cortesi e
cordiali, con quelle labbra che non si sarebbe mai stancata di lambire.
«
è solo un cattivo soggetto, un pessimo soggetto,» si corresse Jeremy
prima di bere un altro sorso dal proprio bicchiere. Elena sicuramente
non sapeva, e non avrebbe dovuto sapere nulla. Era già abbastanza
difficile per lei combattere contro gli ostacoli di ogni giorno per
preoccuparsi anche di quelli dei suoi fratelli. Nicole non avrebbe
detto nulla ed era certa che Jeremy avrebbe fatto altrettanto.
«
Oh. Il piccolo Gilbert ha paura per sua sorella. Che cosa tenera, e
dolce,» enfatizzò Morag, caustica, prima di ridere di gusto,
sguaiatamente, senza un minimo di decoro, e pizzicandogli le guance
magre e prive di barba.
«
Ero tenero e dolce anche quando…,» alluse sensuale e malizioso
prendendola per i fianchi e baciandola in modo talmente passionale da
farle volgere lo sguardo altrove. Era pur sempre il suo fratellino e
Nicole non voleva che stesse con una ragazza come Morag Diaz. Terminò
la seconda sigaretta e quasi bevve sino all’ultimo, sino a farsi
mancare completamente il respiro, il caldo liquore per non percepire i
mugolii di piacere provenienti da Morag. Non aveva notato che, oltre a
essere divenuto più alto, muscoloso e uomo, il suo piccolo Jer era
anche prestante e avvenente e non si stupì che avesse suscitato
l’interesse di Morag, sebbene odiasse pensare che, in quel modo, stava
nuovamente tradendo Bonnie. Era anche per quello che non voleva dir
nulla a Elena. Sicuramente qualcosa sarebbe trapelato e Bonnie ne
sarebbe uscita umiliata, proprio come lo era stata lei con Tyler. Non
voleva che la sua migliore amica subisse lo stesso trattamento che
avevano arrecato a lei. Avrebbe parlato con Jeremy, ma non quella sera,
si disse. Quella notte era tutta per lei e non doveva essere annientata
da problemi esterni.
«
Zitto, Gil,» mugugnò provocante, sfregando il corpo adulto contro
quello di suo fratello. Quasi si issò in piedi e si trattenne a stento
dall’emettere un verso di puro disgusto, e diniego. Quello non la
aiutava a calmarsi, proprio per nulla. Blair se ne accorse e spostò il
capo verso Morag e Jeremy, intenti a ridere lievemente.
«
Morag, rallenta,» la riprese accigliata, pizzicandole il fianco
fasciato da una maglietta nera e aderente, che lasciava ben poco
all’immaginazione. Morag smise di ridere e spostò lo sguardo sulla sua
amica, « Non vedi che effetto ha su Nicole?» continuò più indispettita.
Nicole si accorse degli occhi, perforanti come schegge, di Morag fissi
su di sé mentre posava la bottiglia, oramai vuota, a terra, a pochi
centimetri da suo fratello, e alzò i propri, « È il suo fratellino,»
aggiunse ragionevole. Morag sbuffò, mentre Jeremy rimase in silenzio,
osservandola senza che dal suo sguardo scuro, ma immensamente dolce, si
evincesse un qualche sentimento o una qualche inclinazione.
«
Suvvia, Gil, non sarai ritornata a essere la puritana di un tempo,
voglio sperare,» esclamò sdegnata, risentita, odiando il fatto di
essere stata interrotta per una così vana ragione. Nicole si trattenne
dallo stringere i pugni, ma la guardò con astio che non tentò nemmeno
di celare. Per Morag, Jeremy era solo una preda, un stolto come un
altro che era caduto nella sua rete di sotterfugi e inganni. Elena
aveva ragione, perfettamente, nel dire che quella compagnia era davvero
deplorevole.
« Non preoccuparti, Diaz,» soffiò divertita,
sorridendo causticamente. Puritana non lo era mai stata, ma certo non
sarebbe mai stata così espansiva come Morag.
«
Io non mi preoccupo affatto,» replicò la giovane, ridendo appena e
scansandosi del tutto da Jeremy, « Sei tu quella tesa,» continuò
oltrepassando, con la mano destra, il corpo di Blair per sfiorarle una
mano, quella sinistra su cui spiccava l’anello dei Gilbert, serrata a
pugno, « Cos’è? Gelosa?» le domandò con la voce lamentosa di una
bambina bramosa di attenzioni. Nicole quasi scattò, ma si trattenne.
Erano state amiche, una volta, e non voleva comportarsi male con loro,
soprattutto per Blair e Jer, « Per una volta non sei al centro
dell’attenzione? » Sobbalzò per quell’ultima domanda. Al centro
dell’attenzione. Era vero, sapeva che era dannatamente vero. Lei aveva
sempre amato essere al centro dell’attenzione di chiunque, dei suoi
genitori, di Elena, di Jeremy, di Tyler, di Carol, « Quando tuo
fratello aveva bisogno di te, tu eri a Richmond, o a Chicago a
divertirti.» Quella fu l’ultima goccia. Divertirsi? Lei? Aveva tentato
di riallacciare il rapporto con suo padre, di costruirsi una famiglia,
di far sì che quella luce che era sempre stata la sua non venisse
inghiottita dall’oscurità delle tenebre della sua esistenza. A Chicago
aveva appreso che poteva essere una strega migliore delle sue antenate
grazie a Gloria. Aveva studiato, era cresciuta, maturata, aveva tentato
di mutare quegli atteggiamenti infantili che l’accompagnavano dalla
fanciullezza e soprattutto aveva compreso che il mondo non era un posto
pacifico.
« Sai che c’è, Morag?» le domandò ironicamente,
issandosi in piedi, non trattenuta da nessuno, nemmeno da Blair. Morag
la guardò, soddisfatta poiché quella inutile discussione era oramai
volta al termine, e la invitò a continuare, « Me ne vado a letto. È
stato un vero piacere,» esclamò, rivolta anche agli altri, prima di
voltare le spalle e percorrere velocemente il vicolo. Una folata di
vento gelido la investì, ma non vi fece caso. Era stato causato da lei,
dalla sua collera. Si avvicinò alla jeep che avrebbe dovuto restituire
a Klaus il prima possibile e percepì dei rumori di passi che si
appropinquavano velocemente. Fece scattare la serratura e aprì lo
sportello. Non voleva sentire altro quella notte.
«
Nicole, Nicole, aspetta, per favore,» esclamò suo fratello, posandole
entrambe le mani sulle sue spalle per farla volgere dolcemente verso di
sé, ma Nicole si oppose a quella mite presa, e rimase con lo sguardo
puntato ai sedili.
«
Torna con i tuoi amichetti, Jer,» mormorò monocorde, atona, quasi
insensibile. Sentì Jeremy sbuffare, ancora una lieve pressione sulle
spalle, e scelse di tornare a guardarlo. Incontrò i suoi splendidi
occhi ereditati dalla loro cara madre e la sua collera vacillò di
molto. Era Jeremy, il suo adorato fratello, e mai sarebbe potuta essere
arrabbiata con lui. Jeremy fece scendere le mani lungo le sue braccia
sino a fare incontrare i loro polpastrelli, poi le allontanò e spostò
il peso sul piede sinistro.
«
Erano anche i tuoi, una volta, se mi ricordo bene,» affermò divertito,
sollevando le sopracciglia e aggrottando la fronte, un lieve sorriso
ironico a increspargli le labbra esangui. Nicole chinò lo sguardo e si
cinse le braccia per proteggersi dal gelo. Non doveva averlo causato
lei. Oramai quell’ira era scomparsa, lasciando il posto alla tristezza
e alla spossatezza. Scosse il capo con foga e rialzò gli occhi
determinati e fieri, due mari in tempesta in un cui si lottava per
emergere dall’abisso infinito.
« Non adesso, non più,»
negò accorata, stringendogli le mani tra le proprie prima di volgere il
capo verso casa sua, a sinistra del Grill. Non era più quella ragazza,
il periodo oscuro era giunto al termine. Era tornata a essere lei,
Nicole Gilbert, non quella di tre anni prima, né quella di due. Era
tornata a essere la ragazza che rideva con suo padre e gli preparava la
cena, ben attenta a non metterci troppo sale. La prima volta che aveva
cucinato per lui, la prima in assoluto in verità, aveva preparato della
pasta al formaggio e aveva ecceduto così tanto nel mettere il sale da
farla divenire immangiabile. Suo padre aveva riso e aveva mangiato lo
stesso, dicendo che era già abbastanza che fosse lì, con lui, per lui,
che fossero lì insieme. Nicole avrebbe tanto voluto ci fossero due
persone lì con lei e fu a una a cui volò il proprio pensiero, « Elena…
oh cielo, Elena mi ucciderebbe davvero,» esclamò esasperata,
poggiandosi alla jeep e passandosi una mano tra i capelli sciolti,
socchiudendo gli occhi. Jeremy le posò i palmi aperti sulle braccia e
si avvicinò di un passo, spostando il capo sotto il proprio per poterle
guardare gli occhi.
«
Elena? Cosa c’entra Elena adesso?» domandò incerto. Nicole lo osservò
nuovamente, le labbra serrate, poi sbuffò e scosse il capo. Se avesse
parlato, era certa che non si sarebbe mai potuta fermare. Ma non si
trattenne.
«
Siamo i suoi fratelli e la stiamo lasciando da sola a occuparsi di
questo immenso disastro,» rispose esasperata, sgranando gli occhi e
posando una mano sulla tempia. Le stava salendo un forte mal di testa
provocato dall’alcol che aveva ingerito in pochi secondi. Stava
defluendo in tutte le cellule del suo corpo che divennero tese e
irrequiete. Gli occhi di Jeremy si assottigliarono e scostò le mani
dalle sue braccia, sbuffando per tutto il proprio disappunto.
«
No, tu ci hai lasciati soli contro questo disastro,» esclamò
indispettito, puntandole un dito contro, accusatore e orgoglioso.
Nicole quasi chinò il capo, costernata, « E poi sei tornata qui per il
funerale dello zio John, bellissima e fiera, sempre con quel carattere
forte e indomito, con quella testa orgogliosamente tenuta alta,»
ricordò dispiaciuto quanto lei, abbassando il dito e facendolesi più
vicino. Le sollevò il mento con delicatezza infinita e fece scontrare
le loro iridi completamente dissimili, « Ma quegli occhi, Dio mio,
avrei tanto voluto che tu avessi uno specchio per vedere com’erano i
tuoi occhi,» affermò sgomento, « Gelidi, imperturbabili, un muro di
cemento armato. Fu come se mi avessero pugnalato dritto nel cuore
quella mattina, dopo il sacrificio. Perché Elena stava così male, ma
tentava di essere forte. Quando le consegnai la lettera dello zio John,
mi rinchiusi in camera mia, ma la sentì piangere comunque. Quando
tornammo a casa, Elena non mi guardò nemmeno in volto prima di serrare
la porta della sua stanza, della vostra stanza. Per non farmi
soffrire,» le raccontò con il petto scosso dai singhiozzi e dalle
lacrime che stavano fluendo sulle sue gote pallide. Nicole tentò di
rivolgere lo sguardo altrove per non vederlo piangere, le avrebbe fatto
troppo male, ma rimase ancorata a lui, per non perderlo per sempre, «
Cosa diavolo avevi quel giorno, Nicole? » le chiese irato, collerico,
inchiodandola alla jeep, « Per l’amor di Dio, siamo i tuoi fratelli e…»
«
Avevo appena perso mio padre, Jer,» lo interruppe sgomenta quanto lui.
Non era un muro di cemento armato, non era gelida e non era nemmeno
imperturbabile. Stava così male che le gambe le tremavano, ma aveva
schiacciato il pulsante e non aveva permesso alla sua umanità di
riaffiorare sino a quando non era tornata in macchina, « Come diavolo
credi tu che mi sentissi io? E quel gelo, quella freddezza, quella
calma, erano un modo per…,» si interruppe. Non voleva, non poteva
esplicare ad alta voce quello che stava pensando. Non dinanzi a suo
fratello.
« Un modo per?» la incalzò atono e monocorde.
«
Per… farmi… per farmi odiare da voi,» rivelò imbarazza, sottovoce,
quasi sperando che non la udisse davvero, prima di chinare il capo.
Jeremy perdurò nel sollevarle il mento e Nicole tenne gli occhi fissi
nei suoi.
« Cosa?» le domandò incredulo, con la voce acuta e instabile.
« Volevo che voi comprendeste che oramai ero irrecuperabile, che non dovevate più soffrire per una causa persa come me.»
«
Tu non sei una causa persa…,» esclamò stringendola tra le sue braccia
forti e protettive. Non v’era nulla di più bello, di più profondo, di
quel contatto e Nicole si lasciò cingere da lui sino a quando non le
prese il volto tra le dita. Causa persa. Avrebbe voluto lo pensassero
davvero. Avrebbe voluto non la cercassero mai più per non dover
soffrire. Avrebbe voluto, sì, ma non era stato così. Jeremy ed Elena
non si erano dimenticati di lei, non si erano arresi nemmeno per un
secondo, e li ringraziava così tanto per non averla lasciata sola, «
Credi che saremmo mai riusciti ad arrenderci con te? Cielo, pensavo
fossi ingenua, non stupida,» esclamò, ricevendo un’occhiata torva, «
Sei nostra sorella, Nicole, e noi ti amiamo. L’abbiamo sempre fatto.
Siamo una famiglia. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro, ci aiutiamo a
vicenda. Non potremmo odiarti mai, nemmeno se avessi compiuto dei
crimini orribili,» le rivelò dolcemente, sorridendo, prima di posare le
labbra sulla sua fronte. Nicole chiuse gli occhi e sorrise a sua volta
prima di scuotere il capo.
«
Sarebbe stato più facile se voi mi aveste odiato, sai? Sarebbe stato
più semplice pensare che eravate felici senza di me. Volevo che voi
foste felici, Jer. Tutti voi. La mamma, papà, tu, Elena, lo zio John,
la zia Jenna, Care, Bonnie, Mattie, Tyler. Volevo che le vostre vite
fossero serene.»
« Ma non è stato così. La mamma e papà
sono morti, così come gli zii. Care è una vampira, ha appena perso suo
padre e il suo ragazzo l’ha morsa. Bonnie è una strega e io l’ho
tradita nel peggiore dei modi. Tyler è stato asservito a un pazzoide.
Matt è l’unico che potrebbe avere una vita normale, ma così perderebbe
tutti noi e non può permettersi di perdere nessun altro dopo Vicki. Ed
Elena, dobbiamo seriamente parlare di che casino è diventata la vita di
nostra sorella, Nicole?» le domandò ironicamente divertito, sarcastico,
sbuffando. Nicole scosse il capo, ridendo amaramente. L’aveva ben
delineata nella sua mente la situazione della sua sorellina. Non
serviva esplicarla, « E la tua di vita, sorella? » continuò dolcemente,
riportandola alla realtà. Alzò il capo di scatto, sgranando gli occhi.
In quelli di suo fratello non vide che dolore, afflizione e mestizia.
Lui sapeva. Come Elena. Aveva fallito. Non era riuscita a proteggere
nessuno dei due da quell’amara verità, da quel passato che sembrava
artigliarla per riportarla a sé. Doveva combattere. Ancora una volta.
«
Tu… sai? » sussurrò con un filo di voce, sperando che negasse, che le
dicesse che non sapeva di cosa stesse parlando, ma Jer annuì, spezzando
quell’inutile speranza.
« Ho sentito Damon ed Elena che
ne parlavano. Sai, non volevo origliare, ma Elena stava piangendo e
stavo ponderando l’idea di piantare un paletto nel cuore di Damon
perché la teneva così stretta a sé. Non ne hanno il diritto, nessuno
dei due,» borbottò più indispettito prima di continuare il proprio
racconto, « Poi ho sentito le parole di Elena e… Dio, Nicole, cosa ti
hanno fatto, sorella? » le domandò piangente, prendendole il volto tra
le mani e avvicinandola maggiormente a sé, « Non posso, non riesco a
crederci. Tu, così forte, così piena di vita, così bella, così
ostinata,» continuò con la voce instabile e acuta. Nicole lo strinse a
sé, abbracciandolo con foga, tentando di lenire la sua sofferenza con
le proprie carezze. Non voleva che soffrissero ancora.
«
Ehi Jer, su, ora calmati. Non vorrai farmi piangere, fratellino,»
mormorò ridente, prima di posare le labbra sulla sua guancia.
« No. Non voglio più vedervi piangere, sorella. Né te né Elena,» affermò risoluto, facendola sorridere.
«
Allora lascia perdere questa storia. È tutto passato, okay? È solo
un’ombra. È andata via. Ci ha pensato lo zio John a mandarla via,»
sussurrò dolcemente, ricordando il bel volto di suo padre. Era vero.
Lei stava bene esclusivamente grazie a suo padre, « Andiamo a casa, che
ne dici? » gli domandò dolcemente. Jeremy annuì e le permise di entrare
in macchina poi lui si accomodò sul sedile del passeggero. Guidò e
nell’abitacolo calò un silenzio quasi surreale. Nicole era
perfettamente cosciente che suo fratello la stava guardando, ma non
aveva desiderio di parlare. Parcheggiò dinanzi alla villetta di sua
nonna e Jeremy aggrottò le sopracciglia.
«
Casa della nonna? » domandò, uscendo dalla jeep. Nicole la chiuse e si
avvicinarono insieme all’entrata, « Perché?» continuò incredulo. Nicole
poggiò il capo sulla sua spalla e sorrise dolcemente, prima di estrarre
le chiavi dalla tasca dei jeans e aprire la porta.
«
Te lo spiego domani, Jer, » sussurrò, non volendogli raccontare di
Alaric. Si sedettero sul divano e Nicole notò che Mikael aveva
sistemato tutto, togliendo anche il bicchierino di vodka che aveva
bevuto quella mattina. Lo ringraziò con il pensiero. La verità era che
Mikael le piaceva, somigliava a suo padre in certi atteggiamenti e poi
aveva notato quanto amava la propria famiglia. Poggiò il gomito sulla
sommità del divano e la mano aperta sul viso e guardò a lungo suo
fratello. Sembrava a disagio. Gli sorrise dolcemente e accavallò le
gambe, « Quante volte sei stato con Morag, esattamente? » gli domandò a
bruciapelo, prendendolo alla sprovvista. Annaspò per un attimo e la
osservò con gli occhi sgranati, stupito da quella richiesta così
assurda, per lui. Avvampò, ma non si sottrasse agli occhi indagatori di
sua sorella.
« Due,» le rivelò in un borbottio appena accennato, chinando il capo, « Ed è imbarazzante parlarne.»
«
Perché? » domandò, alzando le spalle, leggera. Jeremy alzò lo sguardo
sbalordito sino a incontrare il suo, « Abbiamo sempre parlato di
tutto,» gli ricordò blanda, « Parlami di quello che ti sta succedendo.
C’è stata Vicki, la tua prima vera cotta. Poi Anna, il primo amore. Poi
Bonnie, che hai tradito. E adesso Morag? Le opzioni sono due: o stati
diventando un seduttore niente male oppure hai qualche problema e tenti
di sfogarti in qualche modo,» esclamò atona, ma profondamente divertita
da tutto quell’imbarazzo. Fare una rassegna delle fidanzate di suo
fratello non era propriamente divertente, non per lei, così abituata a
pensarlo bambino e innocente, ma il suo volto, quello sì. Era rosso di
vergogna e imbarazzo e gli occhi erano illuminati da un baluginio di
ansietà mentre le labbra erano schiuse e sbalordite. Scosse il capo e
quasi si issò in piedi.
« Nicole, per l’amor di Dio. Te ne prego, è davvero troppo. Non abbiamo mai parlato di questo.»
«
Già, ma avevi quattordici anni e il massimo che facevi era disegnare
dei cuoricini intorno al nome di Judith Stanford,» ricordò sarcastica,
rimembrando il viso di una ragazzina che frequentava la sua stessa
classe. Aveva gli occhi azzurri e i capelli neri, il viso gentile di
una bambolina di porcellana. Jeremy si era preso davvero una bella
cotta per lei, almeno sino a quando Judith non aveva cominciato a
uscire con Geoff Collins.
«
Nicole… senti, io… credo che mi piaccia una ragazza,» le rivelò
imbarazzato, avvicinandosi a lei e cercando il suo supporto. Nicole
aggrottò le sopracciglia, intenerita e gli sfiorò la guancia.
« Anna? » domandò comprensiva. Jeremy scosse il capo.
«
No, Anna no, non più. E non è nemmeno Morag, se lo stai pensando. È
complicato da spiegare, ma appena l’ho vista qualcosa dentro di me si è
illuminato. Lei è bella, solare, meravigliosa,» le raccontò emozionato,
quasi sognante, perdendosi nella contemplazione di una giovane a lei
sconosciuta. Avrebbe voluto conoscerla se Jeremy era così preso da lei.
«
E allora perché non le chiedi di uscire?» domandò dolcemente. Il
ragazzo scosse il capo e posò il capo sulla sua spalla, stringendola
maggiormente a sé.
« Perché lei non… accetterebbe mai. Non credo che mi veda nemmeno.»
«
è una ragazza più grande?» Jeremy annuì e chiuse gli occhi, sospirando
leggermente. Doveva davvero tenerci molto se stava cotanto male e in
Morag doveva aver trovato una sorta di diversivo. Sollevò le
sopracciglia ed emise un suono a metà tra uno sbuffo e un soffio.
Chissà chi gli aveva insegnato a comportarsi in quel modo, « E tu credi
ti veda solamente come un ragazzino?»
« Io credo che non
sappia nemmeno il mio nome,» affermò mesto e quasi esasperato prima di
scostarsi e indicarsi, « Guardami, Nicole,» la spronò come per dirle
che non era nulla di speciale. Sua sorella non la pensava in quel modo.
Jeremy era un ragazzo eccezionale, fantastico, meraviglioso e qualsiasi
ragazza avrebbe potuto innamorarsi di lui.
« Ti guardo, Jer, e tutto quello che vedo è pura, genuina, bellezza.»
« Tu sei mia sorella, cosa potresti dire?» esclamò sconsolato e triste.
«
Io sono una ragazza. Posso sapere chi sia questa misteriosa giovane che
ha rubato il cuore del mio fratellino?» domandò maliziosa, prima di
ridere. Suo fratello la seguì subito dopo più felice e sereno.
«
Preferirei di no, sai com’è, questione di privacy,» ironizzò divertito,
prima di issarsi in piedi e porgerle la mano per fare lo stesso. Nicole
lo seguì verso le scale e le stanze superiori. Aveva la stessa
disposizione della loro casa e Nicole ricordava tutto a menadito.
«
Ah davvero? Eppure io ed Elena ti diciamo tutto,» esclamò quando già
erano arrivati dinanzi alla porta della camera della nonna, l’unica ad
avere un letto matrimoniale. Era pulita, in ordine, nemmeno un granello
di polvere sui mobili di mogano. Elena era sempre stata pragmatica,
ordinata, tutto il proprio contrario. Sorrise di quel pensiero prima di
buttarsi sul letto che scricchiolò di poco sotto il suo peso. Jeremy la
seguì e l’abbracciò, tenendola stretta a sé, contro il suo petto,
proprio come quando erano bambini e voleva essere confortato. Jeremy
non cercava quasi mai Elena, o i loro genitori, ma sempre lei perché
con Nicole si poteva parlare di tutto senza temere di essere giudicati.
«
A proposito, dimmi, davvero li sopporti? » sussurrò tra i suoi capelli
prima di posarvici un lieve bacio. Nicole lo strinse per un altro
istante, prima di puntellarsi sui gomiti per poterlo guardare in volto.
«
I Salvabrothers? È strano, Jer, lo so, ma, se solamente Damon fosse
umano, non ci penserei due volte a vederlo al fianco di nostra
sorella,» gli rivelò blanda, prima di guardare il soffitto. Era vero.
Damon era passionale, forte, indomito, travolgente, così diverso da
Elena. Era tutto ciò di cui sua sorella aveva bisogno, di un ragazzo
che l’amava talmente tanto da non preoccuparsi delle conseguenze e
seguire solamente il proprio cuore per la donna che amava.
« Da-Damon? Seriamente?»
«
La ama, Jer. La ama così tanto che si farebbe uccidere, e anche odiare,
piuttosto che vederla soffrire. Stefan… lui è diverso. Non… non lo so,»
sospirò lievemente. Stefan le piaceva, o almeno quello prima della fase
Squartatore, ma era troppo, troppo ragionevole e serio per sua sorella.
« Tu e i tuoi sentimentalismi,» sbuffò caustico, « Certe volte penso che abbia una seconda personalità.»
«
Ma smettila. Adesso andiamo a dormire,» sussurrò stringendolo
nuovamente a sé, « È tardi ed è stata una giornata lunga. A domani,
Jer.»
« Notte, sorellina.»
Nicole
quella notte non sognò nulla che non evincesse dalla normalità, o
almeno dalla sua quotidianità. I ricordi delle giornate felici
irruppero nella sua mente stanca, ma era così provata che erano
solamente scene confuse e ingarbugliate, una serie di colori dalle
tinte troppo accese per essere compresi appieno. Poi, verso l’alba,
quando la dormiveglia sopraggiungeva rendendo più chiaro ogni pigmento,
una memoria lontana occupò tutta se stessa, riportandola a quella notte
in cui la sua vita era cambiata del tutto.
«
Nicole, tesoro, mi aiuteresti a preparare la tavola,» esclamò sua madre
dalla cucina. Lei e Jer stavano giocando alla playstation, il regalo di
Natale della zia Jenna, al nuovo gioco di macchine. Nicole aveva quasi
vinto la corsa quando la voce gentile della mamma l’aveva chiamata.
Scelse quasi di ignorarla. Sicuramente ci avrebbe pensato Elena. Lei
preferiva stare lì con Jer che si stava affannando a raggiungerla con
gli occhi spalancati e le labbra schiuse. Rise quasi, ma sua mamma,
comprendendo che in quel modo non avrebbe ottenuto la sua attenzione,
parlò, « Lo zio John sarà qui tra poco,» annunciò divertita. Nicole si
issò in piedi, a un metro dal traguardo, e si volse verso la cucina
dove Miranda stava armeggiando tra le pentole per cucinare una cena
adeguata. Sua madre non sapeva cucinare molto bene, ma Grayson le aveva
insegnato qualche trucco per un ottimo roast beef.
«
Davvero, lo zio verrà qui?» domandò allegra, con un ampio sorriso che
le arrivò sino agli occhi. Nicole adorava lo zio John e lo vedeva così
poco tempo che ogni volta era una festa. Lo zio John non le portava più
la barretta di cioccolato, come quando era bambina, diceva che oramai
era troppo grande, ma le regalava sempre qualcosa di unico, un souvenir
acquistato nei tanti posti che visitava grazie al suo lavoro di
consigliere diplomatico, « Che bello, mamma,» aggiunse quando vide
Miranda annuire. Batté le mani e abbandonò la consolle avvicinandosi
alla cucina per aiutarla. Probabilmente Elena non aveva sentito.
«
Ehi Nicole,» la chiamò indispettito suo fratello, con le labbra
spalancate per l’indignazione. Nicole si volse verso di lui,
continuando ad avanzare verso sua madre, e alzò le spalle.
«
Scusa Jer. Gioca con Elena,» propose prima di prendere la tovaglia
bianca, ricamata all’uncinetto da sua nonna, quella delle occasioni
speciali.
«
Ma con Elena non c’è gusto,» sentì provenire dalla sala la voce
lamentosa del suo fratellino di tredici anni. Quattordici, si corresse.
Li avrebbe compiuti la settimana successiva, il giovedì per
l’esattezza, ma oramai voleva che non si parlasse più di lui come un
tredicenne, « Perde sempre,» sbuffò. Nicole scosse il capo e anche la
loro madre, ancora trafelata, ma soddisfatta del risultato, emise un
suono di divertito diniego. Era vero. Elena perdeva sempre, ma solo
perché non sapeva giocare. Preferiva molto di più leggere o scrivere
piuttosto che stare dinanzi a un televisore e farsi salire un forte mal
di testa, diceva sempre. Jeremy pensava che fosse solo una scusa perché
non era abbastanza brava, lei che eccelleva sempre in tutto, e non
perdeva occasione per prenderla in giro per quello.
«
Non essere sciocco, Jer,» esclamò Nicole andando a prendere i piatti di
ceramica bianca rifiniti da alcuni disegni floreali, dono della nonna
Norah, la madre di Miranda.
« Elena è ancora con Matt,» comunicò Jeremy intraprendendo una nuova gara contro la consolle, « Ha detto che tornerà alle otto.»
«
Giusto in tempo,» esclamò la mamma sorridente guardando il forno dove
si stava cuocendo la carne di manzo, « Vostro padre ha avuto un impegno
urgente in ospedale. Mi ha chiamata poco fa,» mormorò mentre Nicole
disponeva le posate e i tovaglioli nel modo che la signora Lockwood le
aveva insegnato.
« Nulla di grave, spero,» affermò guardando sua madre in tralice prima di prendere i bicchieri.
«
No, cara. La signora McCullough ha avuto le contrazioni, ma è ancora
troppo presto. È alla fine dell’ottavo mese,» mormorò spostandosi dal
forno e sedendosi a capotavola, osservandola sorridente e amorevole.
Nicole sorrise e annuì. La signora McCullough era una donna bassina,
con folti capelli rossi e milioni di efelidi sul bel volto ovale di
porcellana. Era molto giovane, trent’anni appena compiuti, e quello era
il suo primo figlio.
« Comprendo,» sussurrò dolcemente sedendosi a sua volta.
«
A proposito, tesoro, prima che venga tuo zio ci vorrà almeno una
mezzora. Potresti farmi una commissione? » le domandò gentilmente prima
di issarsi in piedi e versarsi un calice di vino bianco.
« Certo, mamma. Dimmi.»
«
Nello studio di papà ci sono delle carte che interessano allo zio John.
Sono sul nonno Jeremy. Un resoconto di guerra e lo zio John vorrebbe
vederle,» le raccontò velocemente. Nicole annuì e si issò in piedi. Lo
studio di suo padre era a soli due isolati da casa loro, « Potresti
cercarle? » domandò cortese, « Papà tornerà molto stanco,» aggiunse in
un sospiro. Grayson tornava sempre spossato in quei giorni. Era
divenuto primario del reparto e v’era ogni giorno molto lavoro da
sbrigare, moduli da riempire, cartelle da aggiornare, azioni che solo
lui poteva compiere. Nicole annuì nuovamente e si issò in piedi
prendendo al volo le chiavi che sua madre le stava lanciando, « Stai
attenta, tesoro, e metti il giubbotto,» le raccomandò quando già era
arrivata alla porta. Afferrò la prima giacca che le capitò a tiro, «
Fuori fa freddo.»
«
Sì, mamma. Torno tra poco. Non preoccuparti,» snocciolò velocemente
prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle. Era di Elena, ma le
andava bene lo stesso. Era di pelle nera, quella che sua sorella
preferiva, e si strinse in essa per proteggersi dal freddo. Quella
notte era gelida e indossava quello che poteva considerarsi un pigiama,
una semplice maglietta di cotone grigio e una gonna a balze bianca con
un paio di ballerine, « Tanto qui a Mystic Falls non succede mai
nulla,» borbottò tra sé, giocando con un ricciolo che le era ricaduto
sul viso. Tyler l’avrebbe presa in giro per quel tono così annoiato e
mesto, per quelle labbra imbronciate come quelle di una bambina. Nicole
sorrise di quel pensiero prima di ricordarsi che Tyler era in Florida
con la sua famiglia per andare a trovare suo zio Mason. Percorse
velocemente i due isolati, bramosa di tornare il prima possibile per
poter rivedere lo zio. Forse le avrebbe regalato delle scarpe, o magari
un profumo, o forse un libro. Non lo sapeva, era sempre una sorpresa
con lo zio John. Era imprevedibile e a Nicole piaceva proprio per
quello. Era una persona incredibilmente profonda, davvero troppo
malinconica e triste per avere solo trentacinque anni. Era un uomo
solitario e abbastanza sarcastico e per quello si era inimicato molte
persone, ma non avrebbe cambiato il proprio atteggiamento per nulla al
mondo. Proprio come lei. Arrivò dinanzi alla porta dello studio e
l’aprì, per poi accedere le luci e rivelare uno spazio interamente
bianco, molto pulito e ordinato. Percorse il breve corridoio dov’erano
le poltrone per gli ospiti con il tavolino delle riviste e quello della
segretaria ed entrò nello studio vero e proprio. V’era il profumo,
fresco e buono, di suo padre e la fece sorridere. Si avvicinò alla
scrivania di cristallo dove v’erano delle carte sparse e aggrottò le
sopracciglia. Suo padre era una persona oltremodo ordinata, ma forse
non aveva avuto il tempo di impilarle a dovere. Si sedette sulla sua
poltrona nera e comoda e cercò quelle che servivano allo zio. Le trovò
quasi subito, sotto la cartella della signora King.
Jeremy Gilbert
Mystic Falls, 1940 - Ho Chi Minh, 1975
Era
quella che stava cercando. La prese e si alzò, pronta a tornare a casa,
ma un altro foglio attirò la propria attenzione. Si sedette nuovamente,
per meglio dire si abbandonò, e lo afferrò con mani tremanti, già
avvertendo un possibile pericolo.
Nicole ed Elena Gilbert
Mystic Falls, 22 Giugno 1992
Aprì
la cartella e notò che vi erano alcuni fogli su di loro. Sfogliò il
fascicolo velocemente, aggrottando le sopracciglia dorate e sorridendo
nel notare le ecografie di quando erano ancora dei feti. Sorrise e
sospirò dal sollievo. Il suo sesto senso aveva sbagliato quella volta,
non v’era nulla di cui preoccuparsi. Erano solo le loro immagini.
Carezzò lievemente quelle piccole creature che sarebbero divenute lei e
sua sorella, poi un nome attirò la sua attenzione. Isobel Flemming.
Sollevò le sopracciglia e imbronciò le labbra, impensierita. Non aveva
mai sentito nominare quella donna. Sicuramente non apparteneva alla sua
famiglia. Scorse i fogli sino ad arrivare a uno, l’ultimo, che non era
stampato. Era una lettera. La staccò dalle altre e se la portò dinanzi
agli occhi, sgranandoli per quello che lesse nei minuti successivi.
Grayson,
non posso più mentire, né a te né a Miranda. Nostra madre sa tutto, lo
sapeva anche senza che io lo avessi rivelato. Mi dispiace così tanto,
fratello. So che per te sarà terribile dover leggere queste parole, ma
ho bisogno di dirti la verità sulle bambine. Ricordi la ragazza, la
sedicenne, che aiutasti a partorire, la madre naturale di Elena e
Nicole? Isobel era il suo nome. Non era che una bambina e ti ho sempre
detto che eravamo stati compagni di scuola. Non è vero. Lei abitava nel
paese vicino al nostro e io mi ero innamorato di lei, uno dei tanti, in
verità. Fui uno sciocco, Grayson. Lei non mi ha mai amato, ma pensavo
che il mio amore bastasse per entrambi. Rimase incinta. Avevo diciotto
anni e lei sedici. Non avremmo mai potuto prederci cura di due bambine
e tu e Miranda volevate così tanto avere un bimbo. Pensai fosse la
scelta migliore e la portai da te. Isobel aveva già scelto e le avrebbe
lasciato in un orfanotrofio piuttosto che prenderle con sé e io non… io
non ci riuscivo, Gray. Sarei stato un pessimo padre per loro. Nicole ed
Elena non dovranno mai sapere questo. Non dovranno mai sapere chi sono
i loro veri genitori, promettimelo, Gray. Tu e Miranda siete stati
perfetti e non potrebbero desiderare due genitori migliori di voi. Non
so perché te lo stia dicendo proprio adesso, ma ho bisogno di dire la
verità. Non posso più mentire, non ci riesco, non guardando gli occhi
splendenti della piccola Nicole. È diventata grande adesso, è diventata
una signorina bellissima, un Sole luminoso e puro, e la somiglianza si
nota di più. Ha i capelli biondi e gli occhi azzurri proprio come me,
la mia stessa introversione ed è l’unica a volermi bene. Chissà perché
lo fa. Io sono solo un idiota, un patetico stronzetto di un paese di
provincia scappato di casa. Non posso mentire guardando la splendida
ragazza che è diventata Elena. Somiglia a Miranda, alla tua
meravigliosa moglie, è forte, piena di vita, determinata, ostinata, un
fiume in piena. Sono così orgoglioso di loro perché non sono come me.
Come lei. Spero che mi perdonerai, un giorno, fratello. Spero che le
bambine non lo sappiano mai. Spero che Nicole ed Elena abbiano una vita
meravigliosa e priva di ostacoli e pericoli. So già che tu le
proteggesti da tutto ed è per questo che mi sono affidato a te. Perché
sei un uomo migliore di me.
Tuo fratello.
Nicole
dovette leggere due volte quella lettera per comprendere che quelle
parole non erano frutto della sua mente, che quelle parole erano
davvero scritte con la calligrafia del suo caro zio John. Di suo padre.
Un singhiozzò le squassò il petto e lasciò cadere la lettera tra altre
carte. Si portò le mani tremanti sulle labbra per non far fuoriuscire
alcun suono, proprio come le aveva insegnato Tanya Fell quando era
bambina. Le signorine dell’alta società non piangono mai scompostamente. Spostò
le mani e lasciò andare i singhiozzi. Non era una signorina dell’alta
società, non in quel momento, mai più se fosse servito a cancellare
tutto quel dolore. Le faceva male il cuore. Sembrava essere stretto in
una morsa, come se un serpente lo stesse stritolando tra le sue spire
velenose. Le mancava l’ossigeno e le lacrime scorrevano velocemente,
bagnandole anche il collo perlaceo. Doveva calmarsi. Doveva
dimenticare. Doveva tentare di issarsi in piedi e fuggire da
quell’ufficio. Doveva, sì, ma rimase lì. Strinse i pugni. L’afflizione
aveva lasciato il posto alla collera. Una vita intera. Le aveva mentito
per una vita intera. Lo zio John. Lei lo adorava. Era l’unica volergli
davvero bene. Era l’unica a cercare lui quando voleva parlare di
qualche problema. Elena aveva la mamma. Jeremy aveva papà. Lei aveva lo
zio John. Anche da lontano le offriva tutto il proprio supporto morale
e Nicole era felice così. Perché odiava chi la vedeva soffrire, anche
se fossero stati Elena o Jeremy. Perché lei era forte e dannatamente
orgogliosa. Perché lo zio John sapeva sempre pronunciare le parole
giuste per farla sentire meglio. Tranne quella volta. Guardò la
lettera, con gli occhi dardeggianti e colmi d’ira, le labbra tremanti
per la rabbia, i pugni stretti. La ridusse in tanti piccoli pezzi e non
fu soddisfatta sino a quando non rimase più nulla di quelle parole
incomprensibili. Non servì a farla sentire meglio, quello no, ma la
fece di poco calmare. Lo squillo del telefono la riportò alla realtà.
Era Jeremy. Deglutì, ingerendo anche il duro colpo del tradimento, e
rispose.
« Ehi Nicole, dove sei finita? » le domandò
accorto, la voce confusa, « La mamma si sta preoccupando. Elena è
tornata e ha detto di aver litigato con Matt. Di nuovo. Si è rinchiusa
in camera vostra e ha detto che non vuole cenare. Lo zio John è appena
arrivato e papà anche. Si sono incontrati per strada. Mamma sta
servendo il roast beef,» le raccontò velocemente, imprimendo una
stiletta gelata nel suo cuore. Avrebbe voluto urlare, in quel momento,
dirgli che no, non era la sua mamma quella che stava servendo il roast
beef, non la sua mamma, ma sua zia. Avrebbe voluto dirgli che il papà
era appena arrivato e lo zio Grayson anche. Avrebbe voluto che, che
fosse tutto diverso da quello che effettivamente era. Ma si trattenne.
Non era con Jeremy che doveva urlare, « Nicole? » la chiamò prolungando
l’ultima sillaba del suo nome, « Tutto bene? Perché non mi rispondi?»
chiese preoccupato, riscuotendola da quello stato di torpore che
l’aveva avvolta nel pensare a una prospettiva diversa. Amava i suoi
genitori, sì, ma… ma non voleva che vi fossero bugie e menzogne.
«
Sì, Jer… tutto… tutto bene,» sussurrò stupefatta, la voce tremula e
instabile, « Sono allo studio di…,» si interruppe. Grayson non era suo
padre, e nemmeno John, pensò con rabbia, « Torno a casa. Il tempo di
arrivare,» esclamò trattenendo l’ira dentro di sé. Suo fratello era
innocente e non poteva permettere che il suo candore venisse intaccato
da quella verità.
«
Okay,» mormorò non molto convinto da quella risposta ambigua, « Sicura
che vada tutto bene?» insistette. Nicole chiuse gli occhi e si preparò
a mentire.
« Sì, certo, perché no?» domandò ironicamente
e fortunatamente Jeremy non se ne accorse. Perché no? Forse perché
tutte le sue certezze erano andate in frantumi. O magari perché l’uomo
che adorava con tutta se stessa, per il quale provava un bene
dell’anima, l’aveva tradita nel peggiore dei modi. Se davvero era una
signorina bellissima, se davvero era un Sole luminoso e puro, perché
l’aveva abbandonata? Perché non le aveva detto la verità e tenuta con
sé? Perché aveva preferito guardarla in un posto che non era suo
piuttosto che essere suo padre? Cosa c’era di così sbagliato in lei da
far allontanare persino suo padre?
« Se lo dici tu. A tra
poco,» mormorò suo fratello prima di interrompere la comunicazione.
Nicole non se ne accorse nemmeno e si abbandonò contro lo schienale
della poltrona. Tentò di prendere dei lunghi respiri per calmarsi poi
fuggì via di lì, lasciando persino la cartella del nonno Jeremy,
dimenticandosi di chiudere a chiave la porta dello studio. Corse tra le
vie vuote della sua cittadina, per non piangere, e si ritrovò in pochi
minuti dinanzi alla porta di casa sua. Poteva percepire le parole di
tutti, i piccoli suoni delle posate che venivano spostate, il dondolio
leggero di Jeremy.
« Dov’è tua sorella, Jeremy?» domandò
John leggero, guardando suo nipote dall’altro lato del tavolo. Grayson
e Miranda erano a capotavola ed Elena non c’era, grazie al cielo. Non
avrebbe saputo fingere dinanzi ai suoi occhi che tanto amava. Entrò in
casa e si chiuse la porta alle spalle senza fare il minimo rumore.
Voleva andare al piano di sopra per evitarli, tutti, ma Jeremy la
intercettò.
« Eccola lì,» esclamò, indicandola con il
capo per poi tornare a gustare la carne, « Ehi mamma, stai imparando
finalmente. È buono davvero,» continuò con un sorriso dolce. Miranda si
alzò e posò un dolce bacio tra i suoi capelli e Grayson sorrise,
annuendo lievemente.
«
Piccola, che bello rivederti,» affermò ilare lo zio John prima di
issarsi in piedi e compiere velocemente quel breve tratto che li
separava. Nicole si sentì cingere dalle sue braccia forti e protettive
e tentò di ricambiare la stretta. Non respirò nemmeno in quel momento,
per non sentire il suo dolce profumo di dopobarba alla menta, e posò le
mani sulle sue spalle. John la lasciò andare quasi subito prima di
prendere il piccolo pacco adagiato sulla consolle dell’ingresso. Era
come se sentisse più freddo, un gelo fasullo e dettato solamente dalla
sua mente, da quando John si era allontanato. Tornò a respirare
normalmente e tentò di non scoppiare in lacrime. Chinò il capo verso il
pavimento e le labbra tremarono per un impercettibile istante. Sarebbe
voluta fuggire per rinchiudersi nella sua stanza e seppellire il volto
nel cuscino, non udendo più il male entrare nel suo cuore, facendosi
spazio tra le arterie e le vene. Quello che le stava accadendo era
profondamente malvagio e scorretto. Lei non lo meritava, non quando il
suo bene per loro sovrastava ogni altro affetto, « L’ho preso a Londra
la settimana scorsa,» le comunicò, porgendole il pacco rosso con un
fiocco bianco e vaporoso, « Spero ti piaccia,» aggiunse dolcemente,
rivolgendole un ampio sorriso che la catturò, come sempre. Lo guardò
con tanta di quella attenzione che avrebbe fatto avvampare chiunque, ma
John rimase solamente confuso da quel comportamento inusuale. Era vero.
Aveva perfettamente ragione. Lo stesso colore di capelli, degli occhi,
le stesse labbra. Erano così simili, quella somiglianza era troppo
marcata. Le aveva sempre fatto piacere somigliare a quell’uomo così
buono e gentile, forse bizzarro e inconsueto, ma in quel momento
qualcosa nel cuore si incrinò terribilmente. Quello era il tradimento
peggiore che avessero potuto escogitare a suo danno, « Cosa c’è? » le
chiese incredulo continuando a porgere il regalo. Dovevano essere
trascorsi alcuni secondi, ma la famiglia non vi aveva fatto caso.
Miranda stava servendo il dolce, la torta al cioccolato che aveva
preparato Elena proprio quella mattina, e Jeremy aveva già le posate
pronte e un sorriso che gli distendeva le labbra esangui, « Non vuoi
aprirlo?» mormorò quasi deluso, certamente più triste e mesto, chinando
di poco lo sguardo. Nicole, vedendo così, accettò il regalo e sorrise,
pensando a ciò che la rendeva più felice al mondo, a ciò che illuminava
le sue giornate e le sollevava l’animo da ogni preoccupazione. I suoi
fratelli. Il sorriso di Elena, la timidezza di Jeremy.
«
No, zio, certo che voglio,» esclamò lieta, prima di incominciare a
scartarlo dinanzi agli occhi più sereni di quello che era suo padre.
Doveva essere stata cieca per non essersene accorta prima, molto più di
Elena. Sua sorella non somigliava a nessuno in famiglia, forse solo a
sua madre, per certi tratti, però il viso era totalmente diverso. Ma
lei no, « Se è di Londra, è sicuramente splendido,» aggiunse tra sé.
Era una scatola bianca e si affrettò a schiuderla per poi poggiarla
sulla consolle. Era un vestito che le fece sgranare di poco gli occhi.
Era un abito elegante, di chiffon celeste impalpabile, con una fascia
sotto il seno che luccicava per le paillettes di una tonalità più
scura. Lo stesso motivo era sulle spalline. Era davvero bellissimo,
aveva gli stessi colori del mare calmo che tanto amava. Le mani quasi
le tremavano e gli occhi le si velarono per la commozione. Era
bellissimo, sì, ma a cosa serviva un vestito se non aveva l’affetto e
l’amore di chi glielo aveva donato? « Grazie,» si ritrovò a sussurrare atona.
«
Capisco, non ti piace,» esclamò dispiaciuto prima di sospirare
lievemente, « Mi dispiace.» Nicole non alzò lo sguardo, ma lo fece
vagare sull’abito.
«
Mancato il colpo, fratellino,» scherzò Grayson con un sorriso bonario
sul volto più adulto di quello di John. Non pensava di poter sopportare
oltre, non quella sera. La vista le si era appannata per tutte le
lacrime che stava trattenendo. John si volse verso suo fratello con un
sorrisetto sarcastico, il suo solito, e per un attimo si sentì meglio
senza gli occhi di suo padre che la scrutavano come nel tentativo di
analizzare quell’atteggiamento.
« Ma, tesoro, è un
vestito meraviglioso,» esclamò Miranda, incredula. Sua figlia aveva
sempre avuto buon gusto nel vestire e adorava suo zio. Non comprendeva
perché si stesse comportando in quel modo, come anche Jeremy.
«
Infatti,» concordò prima di volgersi verso le scale per nascondere le
lacrime alla vista dei familiari, « Io lo adoro,» aggiunse veritiera
prima di portarselo al petto, come se fosse uno scudo con cui
proteggersi. Però era solamente un vestito di stoffa leggera e soffice,
non certo un disco di ferro, « Scusatemi, non… non mi sento bene. Vado
a letto,» mormorò spostando il peso sul piede destro e guardando con
trepidante ansia verso la scalinata.
« Siete delle
sorelle noiose,» borbottò Jeremy, prima di prendere il secondo pezzo di
torta. Avrebbe voluto piangere ancora di più in quel momento. Jeremy,
il suo piccolo, adorato, pestifero Jeremy. Non era suo fratello, ma suo
cugino, « Ho litigato con Matt, non mi sento bene,» imitò la voce delle
due, risultando solamente troppo acuto e annoiato, un tono che
l’avrebbe fatta ridere in un altro frangente, « Uffa. Un po’ di vita,»
le spronò.
« Grazie, Jer. Sempre dolcissimo,» scherzò
lievemente, dimentica delle lacrime. Suo fratello aveva sempre la
capacità di farla stare bene, di farle ritornare il sorriso sulle
labbra.
« Tesoro, le carte del nonno?» domandò sua madre,
guardando le sue mani che stringevano ancora, quasi ossessivamente,
l’abito. Aveva notato che John era tornato a osservarla con il consueto
affetto.
« Io… devo averle lasciate sulla scrivania.»
« Le carte del nonno…?» chiese incredulo suo padre, quasi sobbalzando e sgranando gli occhi azzurri.
«
Sì, ho pensato che avrebbe fatto piacere a John poterle leggere, sai?
Caro, tutto bene?» aggiunse sua madre, vendendolo così sbigottito,
quasi sconvolto.
« Nicole, tesoro mio…,» incominciò
cautamente mentre notava come fossero divenuti dardeggianti di ira e
perforanti gli occhi di Nicole. Distese i palmi aperti sul tavolo e si
issò in piedi senza far rumore per non turbare la quiete nella stanza.
John e Miranda osservavano dall’uno all’altra con le sopracciglia
aggrottate per la confusione mentre lo sguardo di Jeremy era ancorato a
quello di sua sorella. Poche volte l’aveva vista così arrabbiata,
doveva esserle accaduto qualcosa di terribile o di estremamente triste.
«
Scusa, ne parliamo domani,» borbottò velocemente prima di dirigersi a
passo svelto verso le camere da letto, quasi correndo sulle scale,
ancora con il vestito in mano. Aprì la porta della loro, poi la
richiuse alle sue spalle. Serrò gli occhi azzurrini e si appoggiò al
muro per poi cadere e ritrovarsi sul pavimento. Scoppiò in un pianto
talmente silenzioso da farle male il petto e abbandonò l’abito sul
pavimento. Si strinse le ginocchia al petto e rimase lì per molti
minuti sino a quando non riuscì a ritrovare il proprio ferreo
controllo. Poi alzò il viso e guardò verso il letto di sua sorella.
Dormiva profondamente sul fianco destro, coperta interamente dal
piumone bianco, il diario abbandonato sulle coltri così come la sua
penna preferita. Sorrise per l’espressione beata presente sul viso
della sua adorata sorellina, poi si issò in piedi e avanzò verso di
lei. Si sedette e posò la mano sulla sua guancia, scostandole una
ciocca liscia e setosa che le era ricaduta sull’occhio. Aveva le labbra
schiuse e sembrava stesse facendo un bel sogno, ignara di tutto ciò
che, invece, stava accadendo a lei. No. Elena non avrebbe mai dovuto
saper nulla, né in quel momento né mai. Era suo compito proteggerla.
Era certa che Elena avrebbe fatto lo stesso per lei se si fossero
invertite di ruolo. Sospirò lievemente.
«
Mi spiace, sorellina,» sussurrò costernata, sfiorandole la gota prima
che una lacrima le rigasse il viso pallido, « Sono obbligata a fare ciò
che più aborro: mentire. A te, che sei la persona che amo di più a
questo mondo. Ma devo. Spero mi perdonerai, un giorno, ma è per te che
lo sto facendo, perché tu non debba provare lo stesso dolore che sta
affliggendo me. Fa male, Lena, fa davvero male essere traditi. Ti
spezza il cuore. Spero soltanto che tu non sappia mai come ci si
senta,» mormorò prima di posare le labbra tra i suoi bei capelli
profumati e issarsi in piedi, ben attenta a non far rumore. Prese
l’abito dal pavimento e lo posò sulla toletta, abbandonalo
scompostamente lì, poi aprì la porta e uscì, richiudendosela alle
spalle accompagnandola con delicatezza infinita. Si guardò intorno. La
porta di Jeremy era chiusa, segno che oramai aveva terminato di cenare
ed era andato a riposarsi, ma le luci della cucina erano ancora tutte
accese e provenivano delle voci concitate, ma basse, maschili. Cominciò
a discendere la scalinata, non facendosi vedere e le ascoltò.
«
Grayson, io non capisco. Cosa sta succedendo?» domandò sua madre
confusa. Nicole sobbalzò. Lei non sapeva nulla, nulla di quella storia.
Un’ondata di pura rabbia la investì, sebbene non sapesse a chi fosse
indirizzata.
«
Miranda, tesoro, perdonami,» la pregò Grayson avanzando verso sua
moglie e stringendole le mani tra le proprie. Nei suoi occhi vi era una
supplica che anche il più spregevole tra gli uomini avrebbe accolto.
«
Perdonarti? Per cosa? Per favore, caro, non riesco a vederti così
costernato,» esclamò dolcemente Miranda stringendo il marito a sé. John
avanzava per la camera, tenendosi il volto tra le mani, non riuscendo a
capacitarsi di ciò che era appena accaduto. Fu a lui che Nicole rivolse
la sua occhiata più gelida.
«
è solamente colpa mia, soltanto mia. Non avrei mai dovuto scriverti
quella lettera. Ho combinato un disastro, come sempre. E ora Nicole lo
sa,» aggiunse con un tono talmente costernato da farla sobbalzare. Non
pensava che un uomo potesse provare tanto dolore, ma doveva ammettere
che Jonathan Gilbert riusciva sempre a stupirla. Aveva ragione. La
colpa era soltanto sua. Non avrebbe mai dovuto abbandonarla, darla in
adozione. Avrebbe mille volte preferito vivere con lui, nella verità,
piuttosto che con altri nella menzogna.
« Cosa sa
Nicole?» domandò Miranda, scostandosi dolcemente da suo marito che
continuava a stringerla per i fianchi. Era la sua forza, sua moglie, e
in quel momento aveva bisogno di lei più che mai.
« Sa
che sono suo padre. Biologico,» aggiunse quasi in una risata isterica.
Non riteneva di essere il padre di quello splendido angelo biondo.
Nicole scattò e percorse l’ultimo tratto della scalinata, ma nessuno si
accorse di lei. Miranda era sobbalzata e Grayson si era scostato. La
donna avanzò verso il cognato con gli occhi assottigliati per lo
sbigottimento e l’incredulità.
« Cosa… cosa sei tu, John?» mormorò a pochi centimetri da lui, tremando e controllandosi a stento.
«
Sono il padre naturale di Nicole ed Elena,» esternò seriamente
guardandola dritto negli occhi, non volendosi sottrarre a quello
sguardo indagatore e terribilmente struggente. Era come se le stessero
portando via le sue bambine che tanto amava. Miranda rimase inerme solo
per un paio di istanti prima di voltarsi di scatto verso suo marito.
John chinò il capo e Nicole rimase sulla soglia della cucina. Grayson
non aveva occhi che per sua moglie, proprio come Miranda per lui.
«
E tu lo sapevi?» esclamò indignata, gli occhi dardeggianti e le lacrime
che fluivano sulle belle gote magre come quelle di Elena, « Per l’amor
di Dio, Gray, come hai potuto tenermi all’oscuro di una cosa del
genere? Dannazione,» imprecò malamente, chiudendo gli occhi e
portandosi le dita alle tempie, sollevando alcune ciocche scure. Nicole
si avvolse nelle braccia, come per proteggersi dinanzi all’espressione
di sua madre. Mai l’aveva vista talmente triste e arrabbiata e sperava
che mai più si fossero ritrovate in una situazione del genere. Poi
Miranda spalancò i suoi begli occhi marroni e guardò John che,
sentendosi osservato, rialzò il proprio sguardo azzurrino, « E tu
perché diavolo hai fatto quello che hai fatto? Sono le tue bambine,
come hai potuto vederle crescere senza dir nulla?» Nicole sbuffò, per
la prima volta emettendo un suono, e tutti si volsero verso di lei.
Sorrise divertita, sebbene dentro di sé sentisse un vuoto abissale che
la stava trascinando in un baratro buio e senza fine.
«
Nicole,» la chiamò John sottovoce, come se pensasse non fosse davvero
lì, come se fosse soltanto a sua immaginazione a giocargli brutti
scherzi. La giovane alzò la mano destra per bloccare qualsiasi tipo di
parola esterna e scrollò le spalle.
« Non serve che si
aggiunga altro. Non serve che tentiate di… che so, consolarmi. Non ho
bisogno di voi, di nessuno di voi,» affermò, sapendo di mentire,
guardando tutti e tre con astio che non tentava nemmeno di celare. Li
detestava per ciò che le avevano fatto, ma sapeva che non avrebbe mai
potuto odiarli.
«
Nicole, non parlare così,» mormorò sua madre, facendo un passo verso di
lei. Lo sguardo di pietra che le rivolse la inchiodò sul posto,
facendola bloccare.
« Tu… proprio tu mi dici di non
parlare così? Siamo state adottate. Anche se John non fosse stato mio
padre, avevo il diritto di sapere che non ero la vostra figlia
naturale.»
« Te l’avremmo detto, cara,» cominciò Grayson, distendendo la mano nel vano tentativo di sfiorarla e farla calmare.
«
Quando?» lo interruppe alzando la voce di un’ottava, avvampando per la
rabbia e trattenendo a stento le lacrime. Si portò una mano sul volto,
asciugandosene malamente una che aveva rischiato di inumidirle le
labbra. Non voleva mostrarsi debole dinanzi a nessuno, « Abbiamo sedici
anni, non siamo delle bambine. Capiamo,» aggiunse esasperata.
Probabilmente soltanto Elena avrebbe capito la situazione e l’avrebbe
accettata, ammettendo che, nonostante tutto quello che uno sciocco e
asettico test del DNA potesse rivelare, lei era la figlia di Grayson e
Miranda Gilbert. Lei non sarebbe stata mai dello stesso avviso.
«
Nicole,» la chiamò John, ragionevole. Sussultò per quella voce così
dannatamente seria e preoccupata e lo guardò. Le fece male osservarlo.
Il mostro dentro di lei, al centro dello stomaco, premette per
incendiare tutte le sue cellule, trasportato dal sangue come un
ossigeno di morte e distruzione, e Nicole lo lasciò fare.
«
Non rivolgermi la parola. Non ne sei degno,» aggiunse con cattiveria,
ferendolo con il peggiore dei pugnali. La ferita sanguinava, avrebbero
dovuto lasciarle il tempo di medicarsi, ma non si sarebbe sottratta.
Lei non era una vigliacca.
« Comprendo il tuo odio, Nicole. Comprendo che adesso mi detesti.»
«
Tu non comprendi nulla,» lo interruppe sdegnata, ridendo appena,
sfiorando l’isteria. Chiuse gli occhi per un attimo avvertendo la
spiacevole sensazione che le lacrima causavano all’interno della sua
anima. Si sentiva sporca, macchiata. Era come se la sua innocenza le
fosse stata strappata brutalmente via, « Tu non puoi immaginare quello
che sto passando io in questo momento. Mi avete mentito per tutta una
vita, con quale coraggio?» tuonò, guardando Grayson e Miranda. Con
quale coraggio avevano potuto vederle crescere, sentirsi chiamare mamma
e papà senza dir nulla? Senza sentirsi in colpa nel tacere la verità? «
Non contiamo nemmeno un po’ io ed Elena?» aggiunse tremando, temendo
che le gambe potessero flettersi e farla rovinare sul pavimento lucido
che tante volte l’aveva accolta mentre giocava con la sua sorellina.
fortunatamente lei dormiva beata al piano di sopra, ignara di tutto
quello. Non avrebbe mai potuto sopportare che lei avesse potuto provare
il suo stesso dolore.
« No,» esclamò sua madre,
costernata, avanzando di un passo verso di lei, « Cosa stai dicendo,
amore? Noi vi amiamo. Siete le nostre bambine, noi vi amiamo,» continuò
ad affermare, non sapendo che il pugnale velenoso della menzogna le
stava bruciando le membra.
« Odio chi mente perché io
sono una persona onesta, Miranda,» sibilò irata, collerica, piena di
rabbia, stringendo i pugni e inchiodandola con quello sguardo
tagliente. Miranda strabuzzò gli occhi e spalancò le labbra. mai si
sarebbe potuta aspettare che la sua bambina, quel tenero scricciolo,
non l’avrebbe chiamata mamma, ma Miranda.
« Non chiamarmi
così. Sono la mamma,» sussurrò tentando di farla impietosire con quei
suoi grandi occhi da cerbiatta spalancati. Ma non ci riuscì. La collera
era troppo forte per poterla controllare.
«
Ti prego, Nicole. Se c’è una persona con la quale tu debba arrabbiarti,
quella sono io. Lasciateci soli, per favore,» mormorò John rivolto a
suo fratello e a sua cognata. Nicole scosse il capo con foga.
«
Ti ammazzo se rimango nella stessa stanza con te, John,» lo avvertì,
facendogli capire che quella minaccia era più che reale. Doveva
riversare il proprio dolore in qualche modo e ferire l’uomo che l’aveva
abbandonata era il mezzo più giusto, o perlomeno più semplice.
«
Correrò il rischio, allora,» le assicurò, guardandola dritto negli
occhi, senza alcuna paura o remora, ma anche senza sminuire la sua
rabbia e la sua afflizione. Grayson e Miranda si guardarono per un
secondo, poi osservarono lei. La donna sospirò, prese la mano del
marito e lo condusse fuori dalla cucina, lasciandoli soli, « Siediti,
per favore,» aggiunse quando non le vide far alcun cenno. Nicole scosse
il capo con veemenza e non obbedì mentre John si abbandonava sulla
panca, troppo spossato per rimanere in piedi.
«
Come hai potuto farmi una cosa del genere? » gli domandò accusatrice e
austera, cingendosi con le braccia per mitigare il dolore, prima di
avanzare e sedersi. Non sarebbe potuta rimanere in piedi un istante di
più. Le faceva troppo male. John non le rispose, incapace di farlo
mentre l’osservava assorto e dispiaciuto, riconoscendo nel suo sguardo
un dolore che una bambina come lei non avrebbe mai dovuto provare. «
Sono l’unica a pensare che tu non sia uno stronzo e mi dimostri quanto
mi sia sbagliata in questi anni.» Abbassò lo sguardo subito dopo, per
nascondere le lacrime che le occupavano le iridi chiare e percepì John
sospirare lievemente, forse anche un po’ divertito da tutta quella
paradossale situazione. Non pensava certo che dopo sedici anni avrebbe
potuto scoprire la verità, non in quel modo così spregevole. Non
avrebbe mai voluto che loro, che le sue figlie, i suoi angeli nati da
quello che era stato l’amore della sua intera vita, sapessero, ma il
danno era oramai fatto e lui doveva affrontare le conseguenze di quella
lettera scritta in un momento di puro sconforto.
«
Già. È vero, è tutto vero. Sono un vero stronzo, Nicole Alexandra, e
sei stata una sciocca a voler vedere qualcosa di diverso in me. Non
valgo niente, né come uomo né come padre,» pronunciò quelle parole con
astio verso se stesso e profondo affetto per quella giovane. Nel sentir
proferire i suoi due nomi, Nicole aveva alzato lo sguardo e l’aveva
osservato indispettita, ma subito aveva cambiato atteggiamento nel
notare quanta sofferenza albergasse in quegli occhi così tanto simili
ai propri. Chinò nuovamente il volto per non scorgere tutto quel dolore
e John sorrise, addolcito da quella premura che serbava per ogni
persona le stesse affianco, anche la peggiore. John, suo padre, si
sporse sino a sfiorarle il mento con l’indice. Nicole sussultò per
quella carezza improvvisa e calda, paterna, ma non rialzò il capo, «
Alza lo sguardo, Nicole. Guardami, cosa vedi? » aggiunse speranzoso di
poter rivedere i suoi splendidi occhi. Nicole lo perforò con uno
sguardo dardeggiante e furioso. John non si scostò, ma le carezzò ancora la pelle perlacea del viso, non potendo farne a meno.
«
Un traditore, ecco quello che vedo. Io ti volevo bene, così tanto. E tu
mi hai tradita. Mi hai mentito, mi sei stato accanto per anni. Sono
stata l’unica a provare vero affetto per te, un affetto che sorpassava
ogni cosa, e tu… tu,» si interruppe non riuscendo ad aggiungere altro.
Non sopportava più nulla. Avrebbe tanto voluto piangere ed essere cinta
dalle sue braccia forti e capaci di consolarla, ma non avrebbe mai più
trovato quel porto sicuro che la accoglieva da sempre. John comprese
subito il suo stato d’animo e si issò in piedi per poi avvicinarsi a
lei e inginocchiarsi dinanzi a lei per stare alla sua stessa altezza.
Sorrideva a stento e Nicole lo osservò interrogativa. Non comprendeva
come facesse a sorridere in una situazione del genere, mentre il suo
cuore si spezzava sempre di più.
« Io ti ho tradita e non
merito niente da te. Però ascoltami, un’ultima volta. Sei tutto ciò che
ho sempre sognato che fossi. Sei bellissima, sei raggiante, sei piena
di vita. Sei forte, determinata, dannatamente testarda e orgogliosa.
Sei un fiume in piena, sei un puro fuoco quando devi difendere le
persone che ami. Sei dolce, buona, gentile. Hai un sorriso che
illumina. Sei il Sole, sei la stessa più luminosa del firmamento. Sei
straordinaria e io… io sono così… così patetico. Nicole, io so che… che
mi odierai per tutta la vita, ma ricordati….»
« Smettila.
Smettila di mentirmi, smettila,» lo interruppe quasi urlando. Non le
importava nulla che potessero sentirla. Doveva esternare tutto il
proprio dolore. L’anima le stava gridando di reagire e lei non riusciva
a interrompere che le lacrime le rigassero le guance piene come quelle
di una bambina. John sobbalzò nel vederla così triste e spenta. Lui
sapeva che non stava mentendo. Credeva in tutto ciò che aveva
pronunciato, « Non lo sopporto. Non ti sopporto. Se davvero sono così
“straordinaria”, perché mi hai abbandonata? No, non rispondere. Non c’è
bisogno. Non ne vale la pena. Io non conto niente per nessuno. Nemmeno
per mio padre.»
questo qui è l’abito che John regala a Nicole. Grazie a tutti quelli che seguono la storia, anche silenziosamente