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Autore: almeisan_    30/06/2012    1 recensioni
E se Elena Gilbert, l’ultima doppelgänger Petrova, stretta in un triangolo fatale, avesse una sorella gemella, totalmente dissimile da lei? E se questa sorella, Nicole, fuggita da Mystic Falls anni prima e di cui non si hanno più notizie, fosse una strega discendente da una delle più importanti dinastie di Salem? E se Klaus, l’ibrido invincibile, proprio per questo cercasse il suo appoggio?
Questa storia si ambienta nella terza stagione, per cui ci sono spoiler per chi dovesse ancora vederle, dall’episodio 3x03 e ha come protagonisti prevalentemente la famiglia Gilbert e quella degli Originari, come sfondo la cittadina di Mystic Falls attraversata dalle morti e dagli scontri soprannaturali e i suoi abitanti.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 25

Come back to the past

 

Elena rimase in silenzio, per qualche secondo, così tanto da farle credere che avesse riattaccato. Nicole sapeva che non l’aveva realmente fatto grazie al suo respiro concitato e spezzato. Elena non sapeva come replicare a quell’affermazione e la sorella comprese che era proprio quello a turbarle l’esistenza. Elena sognava di poter ancora essere quella ragazza, ma doveva lasciarla andare, doveva rinascere dinanzi a una nuova alba che aveva sconfitto la notte buia e paurosa. Solo così sarebbe potuta essere veramente felice, solo così i fantasmi del suo passato sarebbero scomparsi. Rebekah le posò un ultimo bacio tra i capelli prima di rientrare in casa, comprendendo che oramai per lei era ora di tornarvici per passare una notte da sola, senza il calore e l’amore del suo Klaus. Era giusto che lui parlasse con i suoi fratelli e con sua madre senza interventi esterni. Sebbene necessitasse di lui come l’ossigeno che stava respirando a fatica in quel momento. Comprendendo che era troppo ostico per lei ribattere a quell’affermazione, fu Nicole a interrompere la comunicazione poi si diresse a passo svelto verso la jeep. Era certa che se avesse atteso maggiormente, non sarebbe più andata via. Dinanzi a sé non vedeva che gli splendidi occhi del suo Klaus velati di lacrime mentre osservava la donna che l’aveva messo al mondo un millennio prima. Percepiva dei suoni, avevano cominciato a discorrere tra loro. Riconobbe la voce di Kol farsi più alta e inveire contro suo padre, poi si chiuse lo sportello e scelse di non ascoltare più nulla. Era intimo e privato, non aveva alcun diritto di udirli in quel frangente. Mise in moto e cominciò a guidare per le vie vuote della sua città. V’erano pochi ragazzi per le strade e, sebbene non ve ne fosse necessità, passò per il Grill. Era lì che si radunavano i suoi più cari amici del periodo oscuro. Se Elena l’avesse saputo, probabilmente l’avrebbe uccisa, ma parcheggiò dinanzi al locale ancora aperto e uscì nell’aria fredda e autunnale. Quella sera era stata terribile e poi una sigaretta e un bicchiere di qualsivoglia alcol non l’avrebbero fatta ricadere nel baratro. Con quelle consapevolezze si avvicinò al vicolo laterale dove poteva vedere il rosso di una sigaretta accesa. Le risate erano alte, alcune volgari e maleducate, quelle dei ragazzi presenti, mentre le giovani emettevano dei piccoli versi di appagamento. Era tutto come due anni prima. Stesso posto, vicino ai cassonetti del Grill che, una volta, avevano fatto esplodere  troppo ubriachi e fatti per accorgersi del loro folle gesto. Stesso cerchio. Sembravano quasi un’attività satanista, ma per loro l’ordine era tutto e non lo intaccavano nemmeno quando non si ricordavano più chi fossero. Notò che il suo posto era stato occupato da un altro, ma in quel momento non era importante chi fosse. Riconobbe subito la chioma dorata di Blair e sorrise soddisfatta prima di cercare quella bruna di Morag al suo fianco. Le stava tenendo per la vita e aveva il capo abbandonato sulla spalla, nella mano destra una bottiglia di rum, sicuramente rubata dalle scorte del Grill. 
« Ehi ragazzi, abbiamo visite,» esclamò, sornione e con un velo di malizia e arroganza, quello che prontamente inquadrò come Jack Diaz, il fratello di Morag, quello strano, il ragazzo che, si mormorava, avesse lasciato accesa, di proposito, una candela che aveva incendiato le tende della camera da letto dei genitori mentre questi dormivano quando aveva solamente sette anni. Tutti si girarono a contemplarla mentre Nicole rimaneva all’inizio del vicolo con la spalla destra appoggiata al muro logoro e il capo inclinato, gli occhi scrutanti nell’ombra.
« Gilbert?» domandò incredula, con la voce strascicata a causa dell’alcol, Morag, issandosi quasi in piedi, scattando. Non si sedevano quasi mai, si appoggiavano solamente al corrimano che avevano costruito i ragazzi, ma Morag e Blair, e anche lei dopo esserlo guadagnato, avevano diritto a una mensola. Nicole rise, lievemente, notando quanto fosse ubriaca e li raggiunse velocemente, arrivando al centro del vicolo. Nella penombra della notte riconobbe i visi dei suoi vecchi amici. Jack, scompostamente abbracciato a Gwen, una ragazza dai lunghi capelli rossi come delle fiamme e gli occhi grigi come il mare d’inverno, che si appoggiava al cassonetto per non rovinare a terra. Natalia e Kevin intenti ad amoreggiare, quasi non accorgendosi di lei, troppo presi nelle loro effusioni. L’ultimo ragazzo, seduto a quello che era stato il suo posto sulla mensola, la fece sobbalzare.
« Jer?» lo chiamò incerta. Suo fratello sbuffò e riemerse dall’ombra di Morag, issandosi in piedi e mettendo le mani nelle tasche dei jeans logori. Nicole schiuse le labbra meravigliata nel vederlo con un bicchiere in mano, ma Jer scosse il capo e le fece un cenno verso Morag. La ragazza, quella che era stata l’ultima a vederla quella notte, avanzò verso di lei, traballando sui suoi tacchi vertiginosi e poi l’abbracciò, allacciandole le braccia al collo. Aveva la stessa espressione di una bambina con quelle labbra carnose e rosse, quasi gonfie, imbronciate e umide di rum. A Nicole ricordò terribilmente Rebekah e le sorrise con tenerezza, un sorriso che Morag non ricambiò. 
« Dove diavolo sei stata, maledetta?» le domandò collerica. Il suo alito sapeva di rum, tabacco e il sapore amaro della droga. Erano degli odori così familiari da farle distendere maggiormente le labbra sottili. L’aveva chiamata maledetta, come soleva fare negli ultimi tempi della loro amicizia. Maledetta poiché tutti avevano cominciato a parlarle alle spalle, mormoravano che qualcosa di terribile doveva essere accaduto alla favorita della moglie del sindaco, alla fidanzata del capitano della squadra di football, se si comportava in quel modo. Maledetta poiché sapeva della sua magia, avendola sorpresa a farsi riempire un bicchierino di vodka quando il cameriere del Grill glielo aveva negato. Maledetta poiché tutti la stavano allontanando come se avesse avuto un marchio sulla pelle che mostrava di essere la figlia del demonio. Ed era così che si era sentita. Da parte di Morag non era un insulto, lo sapeva bene. Morag amava quelle che gli altri reputavano stranezze. Morag era diversa dalle altre ragazze, non aveva nulla nella testa, se non un grande ingegno e tanta, troppa, furbizia. Quella ragazza avrebbe potuto carpirle mille segreti senza che lei nemmeno se ne accorgesse.
« Richmond e poi Chicago,» rivelò atona mentre Morag si scostava di poco, rimanendo comunque ancorata al suo collo. I suoi occhi neri, velati da un trucco pesante di un  blu scuro, sembravano essere soddisfatti da quella confessione.  Si ricordava bene quante volte le avesse detto di fuggire da Mystic Falls e viaggiare per il mondo. In fondo, molto in fondo, era quello che Nicole voleva, ma sicuramente non avrebbe mai desiderato recarvisici da sola. Avrebbe tanto bramato viaggiare con Tyler, durante il loro viaggio di nozze avrebbero potuto fare il giro del mondo. Quel pensiero passato non la intristì più del dovuto. Era quello che le aveva promesso il suo Klaus. Lui l’avrebbe portata ovunque avesse voluto. Sorrise e si morse il labbro inferiore mentre un sorriso malizioso increspava le labbra di Morag. 
« Nemmeno una… una…,» ripeté con la voce arrochita dall’alcol che le stava facendo percepire i suoi effetti, mischiato alla droga. Rise lievemente del suo balbettare e la fidanzata di Jack, Gwen, con lei. Oramai il ragazzo l’aveva lasciata andare e la stava guardando con un’espressione da predatore. Si ricordò di una notte in cui, proprio lì, davanti a tutti, Jack l’aveva presa e l’aveva baciata a lungo, quasi spogliandola. Era totalmente ubriaca e l’aveva lasciato fare, almeno sino a quando non aveva chiuso gli occhi e rivisto le iridi nere del suo Tyler. Si era subito scostata. Era stata una sciocca e aveva sperato che il fidanzato non sarebbe mai venuto a conoscenza di quell’attimo di cedimento. La voce di Morag la riportò al presente, « telefonata, piccola strega?» continuò indispettita. Nicole rise, lievemente, quasi sensuale. Era quell’atmosfera a renderla la stessa ragazza del periodo oscuro, si convinse, o forse era per tutta la tensione accumulata quella sera. Voleva solamente divertirsi un po’, senza eccedere, e poi tornare a casa di sua nonna e sperare che il giorno dopo fosse migliore del precedente. 
« Non ci ho mai pensato, love,» esclamò, tirando fuori uno dei suoi più sfrontati sorrisi. Morag sorrise e Blair scosse il capo, divertita dalla risposta. Si chiese, per un istante, dove fosse Robert prima di notare che non portava più la fedina di argento all’anulare. Dovevano essersi lasciati. Di nuovo, « Adesso allontanati e datemi una sigaretta,» ordinò con finta perentorietà. Morag si allontanò, indispettita, e mugugnò tutto il suo risentimento prima di accomodarsi al fianco di suo fratello e mettere una mano nella tasca dei jeans. Jeremy la lasciò fare e quella consapevolezza le fece schiudere le labbra. Morag indugiò nello sfiorarlo e Jeremy sorrideva, soddisfatto da quella carezza. Decise che non le importava quando vide della sensuale passione nello sguardo dolce di suo fratello.
« Non sei cambiata per niente,» affermò Jack divertito prima che si sedesse al fianco di Blair. Morag le passò una sigaretta, Jeremy la bottiglia e Blair un accendino e li ringraziò con un breve sorriso, « Mi piace,» continuò languido, avvicinandosi a lei mentre accendeva la sigaretta e se la portava alle labbra. Jack le posò i palmi aperti sulle cosce fasciate dal jeans e Nicole trattenne a stento una smorfia infastidita. Le sue mani, grandi e abbronzate, erano diverse da quelle che lei desiderava, quelle di Klaus che la sfioravano con dolcezza, ma tanta, tanta bramosia, come se temesse che la sua forte attrazione potesse turbarla. Prese la prima boccata e si sentì subito meglio. Due anni interi. Era trascorsi due anni dall’ultima volta in cui aveva fumato. A Richmond, ben attenta a non farsi notare da suo padre, beveva un bicchiere di qualsivoglia alcolico ogni domenica, ma non di più, « Ci potremmo divertire come l’ultima volta, che ne dici, love?» le domandò malizioso, facendole un occhiolino. Nicole scosse il capo con foga, poi si abbassò per non espirare dinanzi al suo volto glabro. 
« Non ci pensare, Jackie. Sono impegnata,» chiarì piccata, dinanzi al suo sguardo interrogativo. Sentì gli occhi perforanti di Jeremy fissi su di sé e si immerse in quelli color della notte di Jack.
« Impegnata?» domandò indignato, allontanandosi di poco da lei e assottigliando gli occhi scuri e dardeggianti, ingelositi. Nicole quasi sorrise, internemente, ma si limitò ad annuire con una certa soddisfazione evidente. Non avrebbe permesso che niente e nessuno si mettesse tra lei e Klaus e così sarebbe stato, « Con chi? Sarà sicuramente un damerino ricco e stupido. E borioso. Come quell’idiota di Tyler,» esclamò indispettito. Un lampo baluginò negli occhi chiari di Nicole e sciolse il piccolo sorriso che le aveva fatto sollevare l’angolo sinistro delle labbra, « Oh cielo, non dirmi che è Tyler,» la pregò quasi, disgustato da una simile prospettiva. Nicole si appoggiò nuovamente la sigaretta alle labbra e chiuse gli occhi ispirando.  
« Ma no, fratello,» ribatté Morag incredula e ilare, quando Nicole era in procinto di negare, « Sta con quella sciacquetta della Forbes e Gil è troppo virtuosa per stare insieme a un ragazzo impegnato,» continuò più seria. Tutti la osservarono per quel tono, persino Natalia e Kevin che avevano appena smesso di avvinghiarsi l’uno all’altra e le stavano rivolgendo un sorriso di benvenuto, sino a che non scoppiò a ridere con ironia e sarcasmo. Bevve un abbondante sorso di rum dalla propria bottiglia personale, quasi soffocandosi e Jeremy rise lievemente.  
« Non lo è,» confermò rivolta a Jack, « E fatti gli affari tuoi, Diaz,» esclamò inviperita guardando Morag in tralice. Blair posò una mano sulla sua per riportare la calma e sorrise, tristemente, abbandonando il capo sulla sua spalla. Sembrava stanca, oppure era solamente satura di mestizia. I suoi lunghi capelli biondi le solleticarono la spalla e Nicole la strinse a sé mentre vedeva Jack sedersi sull’asfalto sporco del vicolo, accanto a lei, e quello a Nicole non sfuggì.
« Klaus? » le domandò Jeremy incredulo e sbalordito, negativamente sorpreso. Nicole annuì, sorridendo dolcemente prima di terminare la sigaretta e accendersene subito un’altra dopo una generosa dose di rum, « Davvero? » continuò quasi indignato, con le sopracciglia sollevate e le labbra contratte in una smorfia di puro sdegno. Nicole inclinò il capo e imbronciò le labbra. Per quella sera non voleva ascoltare nessuno, men che meno le critiche di suo fratello. Tutte le sue relazioni erano state più che discutibili, da Vicki ad Anna, e in quel momento, forse, anche Morag. Era una delle sue più care amiche, ma non era per nulla adatta a suo fratello. E poi aveva notato il baluginio di tenero, infantile, imbarazzo quando aveva nominato Rebekah di sfuggita. 
« Jer,» lo riprese scuotendo il capo per comunicargli tutto il proprio disappunto. Jeremy alzò le mani al cielo, poi sorrise e estrasse una sigaretta dal pacchetto. Morag, con un sorriso malizioso, l’accese.
« Sono troppo fatto per dirti di andarti a fare una visita,» affermò divertito prima di ridere e prendere un prolungato respiro, « Ricordamelo domani,» aggiunse più serio, espirando del fumo bianco come le nuvole. Nicole si incantò ad osservarlo mentre si rarefaceva nell’aria e non protestò. Sapeva bene quanto il suo piccolo Jer potesse divenire insistente quando si trattava di lei, o di Elena. 
« Perché una visita? È così brutto?» domandò ironicamente Blair. La sua voce era un tintinnio di campane in quel momento, delicata, armonica, quasi sognante. Nicole la strinse maggiormente, comprendendo che quello era causato dalla mestizia che le oscurava l’animo. Doveva aver litigato furiosamente, lei e Bob, oppure era ancora turbata dalla morte di suo padre, sebbene fossero trascorsi molti giorni dalla notte dell’Illuminazione.  
« Non è affatto brutto,» negò, imbarazzata, avvampando nel ricordare l’avvenenza di Klaus. Sembrava un dio greco, forte e possente, e poi quegli occhi, così profondi da parere un Oceano ricolmo d’arte, cultura e intelligenza. Klaus era davvero l’uomo più bello che avesse mai incontrato, con quel suo fascino misterioso, quei modi cortesi e cordiali, con quelle labbra che non si sarebbe mai stancata di lambire. 
« è solo un cattivo soggetto, un pessimo soggetto,» si corresse Jeremy prima di bere un altro sorso dal proprio bicchiere. Elena sicuramente non sapeva, e non avrebbe dovuto sapere nulla. Era già abbastanza difficile per lei combattere contro gli ostacoli di ogni giorno per preoccuparsi anche di quelli dei suoi fratelli. Nicole non avrebbe detto nulla ed era certa che Jeremy avrebbe fatto altrettanto.
« Oh. Il piccolo Gilbert ha paura per sua sorella. Che cosa tenera, e dolce,» enfatizzò Morag, caustica, prima di ridere di gusto, sguaiatamente, senza un minimo di decoro, e pizzicandogli le guance magre e prive di barba.  
« Ero tenero e dolce anche quando…,» alluse sensuale e malizioso prendendola per i fianchi e baciandola in modo talmente passionale da farle volgere lo sguardo altrove. Era pur sempre il suo fratellino e Nicole non voleva che stesse con una ragazza come Morag Diaz. Terminò la seconda sigaretta e quasi bevve sino all’ultimo, sino a farsi mancare completamente il respiro, il caldo liquore per non percepire i mugolii di piacere provenienti da Morag. Non aveva notato che, oltre a essere divenuto più alto, muscoloso e uomo, il suo piccolo Jer era anche prestante e avvenente e non si stupì che avesse suscitato l’interesse di Morag, sebbene odiasse pensare che, in quel modo, stava nuovamente tradendo Bonnie. Era anche per quello che non voleva dir nulla a Elena. Sicuramente qualcosa sarebbe trapelato e Bonnie ne sarebbe uscita umiliata, proprio come lo era stata lei con Tyler. Non voleva che la sua migliore amica subisse lo stesso trattamento che avevano arrecato a lei. Avrebbe parlato con Jeremy, ma non quella sera, si disse. Quella notte era tutta per lei e non doveva essere annientata da problemi esterni. 
« Zitto, Gil,» mugugnò provocante, sfregando il corpo adulto contro quello di suo fratello. Quasi si issò in piedi e si trattenne a stento dall’emettere un verso di puro disgusto, e diniego. Quello non la aiutava a calmarsi, proprio per nulla. Blair se ne accorse e spostò il capo verso Morag e Jeremy, intenti a ridere lievemente. 
« Morag, rallenta,» la riprese accigliata, pizzicandole il fianco fasciato da una maglietta nera e aderente, che lasciava ben poco all’immaginazione. Morag smise di ridere e spostò lo sguardo sulla sua amica, « Non vedi che effetto ha su Nicole?» continuò più indispettita. Nicole si accorse degli occhi, perforanti come schegge, di Morag fissi su di sé mentre posava la bottiglia, oramai vuota, a terra, a pochi centimetri da suo fratello, e alzò i propri, « È il suo fratellino,» aggiunse ragionevole. Morag sbuffò, mentre Jeremy rimase in silenzio, osservandola senza che dal suo sguardo scuro, ma immensamente dolce, si evincesse un qualche sentimento o una qualche inclinazione. 
« Suvvia, Gil, non sarai ritornata a essere la puritana di un tempo, voglio sperare,» esclamò sdegnata, risentita, odiando il fatto di essere stata interrotta per una così vana ragione. Nicole si trattenne dallo stringere i pugni, ma la guardò con astio che non tentò nemmeno di celare. Per Morag, Jeremy era solo una preda, un stolto come un altro che era caduto nella sua rete di sotterfugi e inganni. Elena aveva ragione, perfettamente, nel dire che quella compagnia era davvero deplorevole.
« Non preoccuparti, Diaz,» soffiò divertita, sorridendo causticamente. Puritana non lo era mai stata, ma certo non sarebbe mai stata così espansiva come Morag. 
« Io non mi preoccupo affatto,» replicò la giovane, ridendo appena e scansandosi del tutto da Jeremy, « Sei tu quella tesa,» continuò oltrepassando, con la mano destra, il corpo di Blair per sfiorarle una mano, quella sinistra su cui spiccava l’anello dei Gilbert, serrata a pugno, « Cos’è? Gelosa?» le domandò con la voce lamentosa di una bambina bramosa di attenzioni. Nicole quasi scattò, ma si trattenne. Erano state amiche, una volta, e non voleva comportarsi male con loro, soprattutto per Blair e Jer, « Per una volta non sei al centro dell’attenzione? » Sobbalzò per quell’ultima domanda. Al centro dell’attenzione. Era vero, sapeva che era dannatamente vero. Lei aveva sempre amato essere al centro dell’attenzione di chiunque, dei suoi genitori, di Elena, di Jeremy, di Tyler, di Carol, « Quando tuo fratello aveva bisogno di te, tu eri a Richmond, o a Chicago a divertirti.» Quella fu l’ultima goccia. Divertirsi? Lei? Aveva tentato di riallacciare il rapporto con suo padre, di costruirsi una famiglia, di far sì che quella luce che era sempre stata la sua non venisse inghiottita dall’oscurità delle tenebre della sua esistenza. A Chicago aveva appreso che poteva essere una strega migliore delle sue antenate grazie a Gloria. Aveva studiato, era cresciuta, maturata, aveva tentato di mutare quegli atteggiamenti infantili che l’accompagnavano dalla fanciullezza e soprattutto aveva compreso che il mondo non era un posto pacifico.
« Sai che c’è, Morag?» le domandò ironicamente, issandosi in piedi, non trattenuta da nessuno, nemmeno da Blair. Morag la guardò, soddisfatta poiché quella inutile discussione era oramai volta al termine, e la invitò a continuare, « Me ne vado a letto. È stato un vero piacere,» esclamò, rivolta anche agli altri, prima di voltare le spalle e percorrere velocemente il vicolo. Una folata di vento gelido la investì, ma non vi fece caso. Era stato causato da lei, dalla sua collera. Si avvicinò alla jeep che avrebbe dovuto restituire a Klaus il prima possibile e percepì dei rumori di passi che si appropinquavano velocemente. Fece scattare la serratura e aprì lo sportello. Non voleva sentire altro quella notte.
« Nicole, Nicole, aspetta, per favore,» esclamò suo fratello, posandole entrambe le mani sulle sue spalle per farla volgere dolcemente verso di sé, ma Nicole si oppose a quella mite presa, e rimase con lo sguardo puntato ai sedili. 
« Torna con i tuoi amichetti, Jer,» mormorò monocorde, atona, quasi insensibile. Sentì Jeremy sbuffare, ancora una lieve pressione sulle spalle, e scelse di tornare a guardarlo. Incontrò i suoi splendidi occhi ereditati dalla loro cara madre e la sua collera vacillò di molto. Era Jeremy, il suo adorato fratello, e mai sarebbe potuta essere arrabbiata con lui. Jeremy fece scendere le mani lungo le sue braccia sino a fare incontrare i loro polpastrelli, poi le allontanò e spostò il peso sul piede sinistro. 
« Erano anche i tuoi, una volta, se mi ricordo bene,» affermò divertito, sollevando le sopracciglia e aggrottando la fronte, un lieve sorriso ironico a increspargli le labbra esangui. Nicole chinò lo sguardo e si cinse le braccia per proteggersi dal gelo. Non doveva averlo causato lei. Oramai quell’ira era scomparsa, lasciando il posto alla tristezza e alla spossatezza. Scosse il capo con foga e rialzò gli occhi determinati e fieri, due mari in tempesta in un cui si lottava per emergere dall’abisso infinito.
« Non adesso, non più,» negò accorata, stringendogli le mani tra le proprie prima di volgere il capo verso casa sua, a sinistra del Grill. Non era più quella ragazza, il periodo oscuro era giunto al termine. Era tornata a essere lei, Nicole Gilbert, non quella di tre anni prima, né quella di due. Era tornata a essere la ragazza che rideva con suo padre e gli preparava la cena, ben attenta a non metterci troppo sale. La prima volta che aveva cucinato per lui, la prima in assoluto in verità, aveva preparato della pasta al formaggio e aveva ecceduto così tanto nel mettere il sale da farla divenire immangiabile. Suo padre aveva riso e aveva mangiato lo stesso, dicendo che era già abbastanza che fosse lì, con lui, per lui, che fossero lì insieme. Nicole avrebbe tanto voluto ci fossero due persone lì con lei e fu a una a cui volò il proprio pensiero, « Elena… oh cielo, Elena mi ucciderebbe davvero,» esclamò esasperata, poggiandosi alla jeep e passandosi una mano tra i capelli sciolti, socchiudendo gli occhi. Jeremy le posò i palmi aperti sulle braccia e si avvicinò di un passo, spostando il capo sotto il proprio per poterle guardare gli occhi. 
« Elena? Cosa c’entra Elena adesso?» domandò incerto. Nicole lo osservò nuovamente, le labbra serrate, poi sbuffò e scosse il capo. Se avesse parlato, era certa che non si sarebbe mai potuta fermare. Ma non si trattenne. 
« Siamo i suoi fratelli e la stiamo lasciando da sola a occuparsi di questo immenso disastro,» rispose esasperata, sgranando gli occhi e posando una mano sulla tempia. Le stava salendo un forte mal di testa provocato dall’alcol che aveva ingerito in pochi secondi. Stava defluendo in tutte le cellule del suo corpo che divennero tese e irrequiete. Gli occhi di Jeremy si assottigliarono e scostò le mani dalle sue braccia, sbuffando per tutto il proprio disappunto. 
« No, tu ci hai lasciati soli contro questo disastro,» esclamò indispettito, puntandole un dito contro, accusatore e orgoglioso. Nicole quasi chinò il capo, costernata, « E poi sei tornata qui per il funerale dello zio John, bellissima e fiera, sempre con quel carattere forte e indomito, con quella testa orgogliosamente tenuta alta,» ricordò dispiaciuto quanto lei, abbassando il dito e facendolesi più vicino. Le sollevò il mento con delicatezza infinita e fece scontrare le loro iridi completamente dissimili, « Ma quegli occhi, Dio mio, avrei tanto voluto che tu avessi uno specchio per vedere com’erano i tuoi occhi,» affermò sgomento, « Gelidi, imperturbabili, un muro di cemento armato. Fu come se mi avessero pugnalato dritto nel cuore quella mattina, dopo il sacrificio. Perché Elena stava così male, ma tentava di essere forte. Quando le consegnai la lettera dello zio John, mi rinchiusi in camera mia, ma la sentì piangere comunque. Quando tornammo a casa, Elena non mi guardò nemmeno in volto prima di serrare la porta della sua stanza, della vostra stanza. Per non farmi soffrire,» le raccontò con il petto scosso dai singhiozzi e dalle lacrime che stavano fluendo sulle sue gote pallide. Nicole tentò di rivolgere lo sguardo altrove per non vederlo piangere, le avrebbe fatto troppo male, ma rimase ancorata a lui, per non perderlo per sempre, « Cosa diavolo avevi quel giorno, Nicole? » le chiese irato, collerico, inchiodandola alla jeep, « Per l’amor di Dio, siamo i tuoi fratelli e…»
« Avevo appena perso mio padre, Jer,» lo interruppe sgomenta quanto lui. Non era un muro di cemento armato, non era gelida e non era nemmeno imperturbabile. Stava così male che le gambe le tremavano, ma aveva schiacciato il pulsante e non aveva permesso alla sua umanità di riaffiorare sino a quando non era tornata in macchina, « Come diavolo credi tu che mi sentissi io? E quel gelo, quella freddezza, quella calma, erano un modo per…,» si interruppe. Non voleva, non poteva esplicare ad alta voce quello che stava pensando. Non dinanzi a suo fratello.
« Un modo per?» la incalzò atono e monocorde.
« Per… farmi… per farmi odiare da voi,» rivelò imbarazza, sottovoce, quasi sperando che non la udisse davvero, prima di chinare il capo. Jeremy perdurò nel sollevarle il mento e Nicole tenne gli occhi fissi nei suoi.
« Cosa?» le domandò incredulo, con la voce acuta e instabile.
« Volevo che voi comprendeste che oramai ero irrecuperabile, che non dovevate più soffrire per una causa persa come me.»
« Tu non sei una causa persa…,» esclamò stringendola tra le sue braccia forti e protettive. Non v’era nulla di più bello, di più profondo, di quel contatto e Nicole si lasciò cingere da lui sino a quando non le prese il volto tra le dita. Causa persa. Avrebbe voluto lo pensassero davvero. Avrebbe voluto non la cercassero mai più per non dover soffrire. Avrebbe voluto, sì, ma non era stato così. Jeremy ed Elena non si erano dimenticati di lei, non si erano arresi nemmeno per un secondo, e li ringraziava così tanto per non averla lasciata sola, « Credi che saremmo mai riusciti ad arrenderci con te? Cielo, pensavo fossi ingenua, non stupida,» esclamò, ricevendo un’occhiata torva, « Sei nostra sorella, Nicole, e noi ti amiamo. L’abbiamo sempre fatto. Siamo una famiglia. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro, ci aiutiamo a vicenda. Non potremmo odiarti mai, nemmeno se avessi compiuto dei crimini orribili,» le rivelò dolcemente, sorridendo, prima di posare le labbra sulla sua fronte. Nicole chiuse gli occhi e sorrise a sua volta prima di scuotere il capo. 
« Sarebbe stato più facile se voi mi aveste odiato, sai? Sarebbe stato più semplice pensare che eravate felici senza di me. Volevo che voi foste felici, Jer. Tutti voi. La mamma, papà, tu, Elena, lo zio John, la zia Jenna, Care, Bonnie, Mattie, Tyler. Volevo che le vostre vite fossero serene.»
« Ma non è stato così. La mamma e papà sono morti, così come gli zii. Care è una vampira, ha appena perso suo padre e il suo ragazzo l’ha morsa. Bonnie è una strega e io l’ho tradita nel peggiore dei modi. Tyler è stato asservito a un pazzoide. Matt è l’unico che potrebbe avere una vita normale, ma così perderebbe tutti noi e non può permettersi di perdere nessun altro dopo Vicki. Ed Elena, dobbiamo seriamente parlare di che casino è diventata la vita di nostra sorella, Nicole?» le domandò ironicamente divertito, sarcastico, sbuffando. Nicole scosse il capo, ridendo amaramente. L’aveva ben delineata nella sua mente la situazione della sua sorellina. Non serviva esplicarla, « E la tua di vita, sorella? » continuò dolcemente, riportandola alla realtà. Alzò il capo di scatto, sgranando gli occhi. In quelli di suo fratello non vide che dolore, afflizione e mestizia. Lui sapeva. Come Elena. Aveva fallito. Non era riuscita a proteggere nessuno dei due da quell’amara verità, da quel passato che sembrava artigliarla per riportarla a sé. Doveva combattere. Ancora una volta.
« Tu… sai? » sussurrò con un filo di voce, sperando che negasse, che le dicesse che non sapeva di cosa stesse parlando, ma Jer annuì, spezzando quell’inutile speranza.
« Ho sentito Damon ed Elena che ne parlavano. Sai, non volevo origliare, ma Elena stava piangendo e stavo ponderando l’idea di piantare un paletto nel cuore di Damon perché la teneva così stretta a sé. Non ne hanno il diritto, nessuno dei due,» borbottò più indispettito prima di continuare il proprio racconto, « Poi ho sentito le parole di Elena e… Dio, Nicole, cosa ti hanno fatto, sorella? » le domandò piangente, prendendole il volto tra le mani e avvicinandola maggiormente a sé, « Non posso, non riesco a crederci. Tu, così forte, così piena di vita, così bella, così ostinata,» continuò con la voce instabile e acuta. Nicole lo strinse a sé, abbracciandolo con foga, tentando di lenire la sua sofferenza con le proprie carezze. Non voleva che soffrissero ancora.
« Ehi Jer, su, ora calmati. Non vorrai farmi piangere, fratellino,» mormorò ridente, prima di posare le labbra sulla sua guancia. 
« No. Non voglio più vedervi piangere, sorella. Né te né Elena,» affermò risoluto, facendola sorridere.  
« Allora lascia perdere questa storia. È tutto passato, okay? È solo un’ombra. È andata via. Ci ha pensato lo zio John a mandarla via,» sussurrò dolcemente, ricordando il bel volto di suo padre. Era vero. Lei stava bene esclusivamente grazie a suo padre, « Andiamo a casa, che ne dici? » gli domandò dolcemente. Jeremy annuì e le permise di entrare in macchina poi lui si accomodò sul sedile del passeggero. Guidò e nell’abitacolo calò un silenzio quasi surreale. Nicole era perfettamente cosciente che suo fratello la stava guardando, ma non aveva desiderio di parlare. Parcheggiò dinanzi alla villetta di sua nonna e Jeremy aggrottò le sopracciglia. 
« Casa della nonna? » domandò, uscendo dalla jeep. Nicole la chiuse e si avvicinarono insieme all’entrata, « Perché?» continuò incredulo. Nicole poggiò il capo sulla sua spalla e sorrise dolcemente, prima di estrarre le chiavi dalla tasca dei jeans e aprire la porta.  
« Te lo spiego domani, Jer, » sussurrò, non volendogli raccontare di Alaric. Si sedettero sul divano e Nicole notò che Mikael aveva sistemato tutto, togliendo anche il bicchierino di vodka che aveva bevuto quella mattina. Lo ringraziò con il pensiero. La verità era che Mikael le piaceva, somigliava a suo padre in certi atteggiamenti e poi aveva notato quanto amava la propria famiglia. Poggiò il gomito sulla sommità del divano e la mano aperta sul viso e guardò a lungo suo fratello. Sembrava a disagio. Gli sorrise dolcemente e accavallò le gambe, « Quante volte sei stato con Morag, esattamente? » gli domandò a bruciapelo, prendendolo alla sprovvista. Annaspò per un attimo e la osservò con gli occhi sgranati, stupito da quella richiesta così assurda, per lui. Avvampò, ma non si sottrasse agli occhi indagatori di sua sorella.
« Due,» le rivelò in un borbottio appena accennato, chinando il capo, « Ed è imbarazzante parlarne.»
« Perché? » domandò, alzando le spalle, leggera. Jeremy alzò lo sguardo sbalordito sino a incontrare il suo, « Abbiamo sempre parlato di tutto,» gli ricordò blanda, « Parlami di quello che ti sta succedendo. C’è stata Vicki, la tua prima vera cotta. Poi Anna, il primo amore. Poi Bonnie, che hai tradito. E adesso Morag? Le opzioni sono due: o stati diventando un seduttore niente male oppure hai qualche problema e tenti di sfogarti in qualche modo,» esclamò atona, ma profondamente divertita da tutto quell’imbarazzo. Fare una rassegna delle fidanzate di suo fratello non era propriamente divertente, non per lei, così abituata a pensarlo bambino e innocente, ma il suo volto, quello sì. Era rosso di vergogna e imbarazzo e gli occhi erano illuminati da un baluginio di ansietà mentre le labbra erano schiuse e sbalordite. Scosse il capo e quasi si issò in piedi.
« Nicole, per l’amor di Dio. Te ne prego, è davvero troppo. Non abbiamo mai parlato di questo.»
« Già, ma avevi quattordici anni e il massimo che facevi era disegnare dei cuoricini intorno al nome di Judith Stanford,» ricordò sarcastica, rimembrando il viso di una ragazzina che frequentava la sua stessa classe. Aveva gli occhi azzurri e i capelli neri, il viso gentile di una bambolina di porcellana. Jeremy si era preso davvero una bella cotta per lei, almeno sino a quando Judith non aveva cominciato a uscire con Geoff Collins. 
« Nicole… senti, io… credo che mi piaccia una ragazza,» le rivelò imbarazzato, avvicinandosi a lei e cercando il suo supporto. Nicole aggrottò le sopracciglia, intenerita e gli sfiorò la guancia. 
« Anna? » domandò comprensiva. Jeremy scosse il capo. 
« No, Anna no, non più. E non è nemmeno Morag, se lo stai pensando. È complicato da spiegare, ma appena l’ho vista qualcosa dentro di me si è illuminato. Lei è bella, solare, meravigliosa,» le raccontò emozionato, quasi sognante, perdendosi nella contemplazione di una giovane a lei sconosciuta. Avrebbe voluto conoscerla se Jeremy era così preso da lei.
« E allora perché non le chiedi di uscire?» domandò dolcemente. Il ragazzo scosse il capo e posò il capo sulla sua spalla, stringendola maggiormente a sé. 
« Perché lei non… accetterebbe mai. Non credo che mi veda nemmeno.» 
« è una ragazza più grande?» Jeremy annuì e chiuse gli occhi, sospirando leggermente. Doveva davvero tenerci molto se stava cotanto male e in Morag doveva aver trovato una sorta di diversivo. Sollevò le sopracciglia ed emise un suono a metà tra uno sbuffo e un soffio. Chissà chi gli aveva insegnato a comportarsi in quel modo, « E tu credi ti veda solamente come un ragazzino?»
« Io credo che non sappia nemmeno il mio nome,» affermò mesto e quasi esasperato prima di scostarsi e indicarsi, « Guardami, Nicole,» la spronò come per dirle che non era nulla di speciale. Sua sorella non la pensava in quel modo. Jeremy era un ragazzo eccezionale, fantastico, meraviglioso e qualsiasi ragazza avrebbe potuto innamorarsi di lui.
« Ti guardo, Jer, e tutto quello che vedo è pura, genuina, bellezza.» 
« Tu sei mia sorella, cosa potresti dire?» esclamò sconsolato e triste.
« Io sono una ragazza. Posso sapere chi sia questa misteriosa giovane che ha rubato il cuore del mio fratellino?» domandò maliziosa, prima di ridere. Suo fratello la seguì subito dopo più felice e sereno.
« Preferirei di no, sai com’è, questione di privacy,» ironizzò divertito, prima di issarsi in piedi e porgerle la mano per fare lo stesso. Nicole lo seguì verso le scale e le stanze superiori. Aveva la stessa disposizione della loro casa e Nicole ricordava tutto a menadito.  
« Ah davvero? Eppure io ed Elena ti diciamo tutto,» esclamò quando già erano arrivati dinanzi alla porta della camera della nonna, l’unica ad avere un letto matrimoniale. Era pulita, in ordine, nemmeno un granello di polvere sui mobili di mogano. Elena era sempre stata pragmatica, ordinata, tutto il proprio contrario. Sorrise di quel pensiero prima di buttarsi sul letto che scricchiolò di poco sotto il suo peso. Jeremy la seguì e l’abbracciò, tenendola stretta a sé, contro il suo petto, proprio come quando erano bambini e voleva essere confortato. Jeremy non cercava quasi mai Elena, o i loro genitori, ma sempre lei perché con Nicole si poteva parlare di tutto senza temere di essere giudicati. 
« A proposito, dimmi, davvero li sopporti? » sussurrò tra i suoi capelli prima di posarvici un lieve bacio. Nicole lo strinse per un altro istante, prima di puntellarsi sui gomiti per poterlo guardare in volto. 
« I Salvabrothers? È strano, Jer, lo so, ma, se solamente Damon fosse umano, non ci penserei due volte a vederlo al fianco di nostra sorella,» gli rivelò blanda, prima di guardare il soffitto. Era vero. Damon era passionale, forte, indomito, travolgente, così diverso da Elena. Era tutto ciò di cui sua sorella aveva bisogno, di un ragazzo che l’amava talmente tanto da non preoccuparsi delle conseguenze e seguire solamente il proprio cuore per la donna che amava. 
« Da-Damon? Seriamente?»
« La ama, Jer. La ama così tanto che si farebbe uccidere, e anche odiare, piuttosto che vederla soffrire. Stefan… lui è diverso. Non… non lo so,» sospirò lievemente. Stefan le piaceva, o almeno quello prima della fase Squartatore, ma era troppo, troppo ragionevole e serio per sua sorella.  
« Tu e i tuoi sentimentalismi,» sbuffò caustico, « Certe volte penso che abbia una seconda personalità.»
« Ma smettila. Adesso andiamo a dormire,» sussurrò stringendolo nuovamente a sé, « È tardi ed è stata una giornata lunga. A domani, Jer.»
« Notte, sorellina.»

 

Nicole quella notte non sognò nulla che non evincesse dalla normalità, o almeno dalla sua quotidianità. I ricordi delle giornate felici irruppero nella sua mente stanca, ma era così provata che erano solamente scene confuse e ingarbugliate, una serie di colori dalle tinte troppo accese per essere compresi appieno. Poi, verso l’alba, quando la dormiveglia sopraggiungeva rendendo più chiaro ogni pigmento, una memoria lontana occupò tutta se stessa, riportandola a quella notte in cui la sua vita era cambiata del tutto. 

« Nicole, tesoro, mi aiuteresti a preparare la tavola,» esclamò sua madre dalla cucina. Lei e Jer stavano giocando alla playstation, il regalo di Natale della zia Jenna, al nuovo gioco di macchine. Nicole aveva quasi vinto la corsa quando la voce gentile della mamma l’aveva chiamata. Scelse quasi di ignorarla. Sicuramente ci avrebbe pensato Elena. Lei preferiva stare lì con Jer che si stava affannando a raggiungerla con gli occhi spalancati e le labbra schiuse. Rise quasi, ma sua mamma, comprendendo che in quel modo non avrebbe ottenuto la sua attenzione, parlò, « Lo zio John sarà qui tra poco,» annunciò divertita. Nicole si issò in piedi, a un metro dal traguardo, e si volse verso la cucina dove Miranda stava armeggiando tra le pentole per cucinare una cena adeguata. Sua madre non sapeva cucinare molto bene, ma Grayson le aveva insegnato qualche trucco per un ottimo roast beef. 
« Davvero, lo zio verrà qui?» domandò allegra, con un ampio sorriso che le arrivò sino agli occhi. Nicole adorava lo zio John e lo vedeva così poco tempo che ogni volta era una festa. Lo zio John non le portava più la barretta di cioccolato, come quando era bambina, diceva che oramai era troppo grande, ma le regalava sempre qualcosa di unico, un souvenir acquistato nei tanti posti che visitava grazie al suo lavoro di consigliere diplomatico, « Che bello, mamma,» aggiunse quando vide Miranda annuire. Batté le mani e abbandonò la consolle avvicinandosi alla cucina per aiutarla. Probabilmente Elena non aveva sentito. 
« Ehi Nicole,» la chiamò indispettito suo fratello, con le labbra spalancate per l’indignazione. Nicole si volse verso di lui, continuando ad avanzare verso sua madre, e alzò le spalle. 
« Scusa Jer. Gioca con Elena,» propose prima di prendere la tovaglia bianca, ricamata all’uncinetto da sua nonna, quella delle occasioni speciali. 
« Ma con Elena non c’è gusto,» sentì provenire dalla sala la voce lamentosa del suo fratellino di tredici anni. Quattordici, si corresse. Li avrebbe compiuti la settimana successiva, il giovedì per l’esattezza, ma oramai voleva che non si parlasse più di lui come un tredicenne, « Perde sempre,» sbuffò. Nicole scosse il capo e anche la loro madre, ancora trafelata, ma soddisfatta del risultato, emise un suono di divertito diniego. Era vero. Elena perdeva sempre, ma solo perché non sapeva giocare. Preferiva molto di più leggere o scrivere piuttosto che stare dinanzi a un televisore e farsi salire un forte mal di testa, diceva sempre. Jeremy pensava che fosse solo una scusa perché non era abbastanza brava, lei che eccelleva sempre in tutto, e non perdeva occasione per prenderla in giro per quello. 
« Non essere sciocco, Jer,» esclamò Nicole andando a prendere i piatti di ceramica bianca rifiniti da alcuni disegni floreali, dono della nonna Norah, la madre di Miranda. 
« Elena è ancora con Matt,» comunicò Jeremy intraprendendo una nuova gara contro la consolle, « Ha detto che tornerà alle otto.»
« Giusto in tempo,» esclamò la mamma sorridente guardando il forno dove si stava cuocendo la carne di manzo, « Vostro padre ha avuto un impegno urgente in ospedale. Mi ha chiamata poco fa,» mormorò mentre Nicole disponeva le posate e i tovaglioli nel modo che la signora Lockwood le aveva insegnato. 
« Nulla di grave, spero,» affermò guardando sua madre in tralice prima di prendere i bicchieri. 
« No, cara. La signora McCullough ha avuto le contrazioni, ma è ancora troppo presto. È alla fine dell’ottavo mese,» mormorò spostandosi dal forno e sedendosi a capotavola, osservandola sorridente e amorevole. Nicole sorrise e annuì. La signora McCullough era una donna bassina, con folti capelli rossi e milioni di efelidi sul bel volto ovale di porcellana. Era molto giovane, trent’anni appena compiuti, e quello era il suo primo figlio.
« Comprendo,» sussurrò dolcemente sedendosi a sua volta. 
« A proposito, tesoro, prima che venga tuo zio ci vorrà almeno una mezzora. Potresti farmi una commissione? » le domandò gentilmente prima di issarsi in piedi e versarsi un calice di vino bianco. 
« Certo, mamma. Dimmi.»
« Nello studio di papà ci sono delle carte che interessano allo zio John. Sono sul nonno Jeremy. Un resoconto di guerra e lo zio John vorrebbe vederle,» le raccontò velocemente. Nicole annuì e si issò in piedi. Lo studio di suo padre era a soli due isolati da casa loro, « Potresti cercarle? » domandò cortese, « Papà tornerà molto stanco,» aggiunse in un sospiro. Grayson tornava sempre spossato in quei giorni. Era divenuto primario del reparto e v’era ogni giorno molto lavoro da sbrigare, moduli da riempire, cartelle da aggiornare, azioni che solo lui poteva compiere. Nicole annuì nuovamente e si issò in piedi prendendo al volo le chiavi che sua madre le stava lanciando, « Stai attenta, tesoro, e metti il giubbotto,» le raccomandò quando già era arrivata alla porta. Afferrò la prima giacca che le capitò a tiro, « Fuori fa freddo.» 
« Sì, mamma. Torno tra poco. Non preoccuparti,» snocciolò velocemente prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle. Era di Elena, ma le andava bene lo stesso. Era di pelle nera, quella che sua sorella preferiva, e si strinse in essa per proteggersi dal freddo. Quella notte era gelida e indossava quello che poteva considerarsi un pigiama, una semplice maglietta di cotone grigio e una gonna a balze bianca con un paio di ballerine, « Tanto qui a Mystic Falls non succede mai nulla,» borbottò tra sé, giocando con un ricciolo che le era ricaduto sul viso. Tyler l’avrebbe presa in giro per quel tono così annoiato e mesto, per quelle labbra imbronciate come quelle di una bambina. Nicole sorrise di quel pensiero prima di ricordarsi che Tyler era in Florida con la sua famiglia per andare a trovare suo zio Mason. Percorse velocemente i due isolati, bramosa di tornare il prima possibile per poter rivedere lo zio. Forse le avrebbe regalato delle scarpe, o magari un profumo, o forse un libro. Non lo sapeva, era sempre una sorpresa con lo zio John. Era imprevedibile e a Nicole piaceva proprio per quello. Era una persona incredibilmente profonda, davvero troppo malinconica e triste per avere solo trentacinque anni. Era un uomo solitario e abbastanza sarcastico e per quello si era inimicato molte persone, ma non avrebbe cambiato il proprio atteggiamento per nulla al mondo. Proprio come lei. Arrivò dinanzi alla porta dello studio e l’aprì, per poi accedere le luci e rivelare uno spazio interamente bianco, molto pulito e ordinato. Percorse il breve corridoio dov’erano le poltrone per gli ospiti con il tavolino delle riviste e quello della segretaria ed entrò nello studio vero e proprio. V’era il profumo, fresco e buono, di suo padre e la fece sorridere. Si avvicinò alla scrivania di cristallo dove v’erano delle carte sparse e aggrottò le sopracciglia. Suo padre era una persona oltremodo ordinata, ma forse non aveva avuto il tempo di impilarle a dovere. Si sedette sulla sua poltrona nera e comoda e cercò quelle che servivano allo zio. Le trovò quasi subito, sotto la cartella della signora King.

Jeremy Gilbert

Mystic Falls, 1940 - Ho Chi Minh, 1975

Era quella che stava cercando. La prese e si alzò, pronta a tornare a casa, ma un altro foglio attirò la propria attenzione. Si sedette nuovamente, per meglio dire si abbandonò, e lo afferrò con mani tremanti, già avvertendo un possibile pericolo.

Nicole ed Elena Gilbert

Mystic Falls, 22 Giugno 1992

Aprì la cartella e notò che vi erano alcuni fogli su di loro. Sfogliò il fascicolo velocemente, aggrottando le sopracciglia dorate e sorridendo nel notare le ecografie di quando erano ancora dei feti. Sorrise e sospirò dal sollievo. Il suo sesto senso aveva sbagliato quella volta, non v’era nulla di cui preoccuparsi. Erano solo le loro immagini. Carezzò lievemente quelle piccole creature che sarebbero divenute lei e sua sorella, poi un nome attirò la sua attenzione. Isobel Flemming. Sollevò le sopracciglia e imbronciò le labbra, impensierita. Non aveva mai sentito nominare quella donna. Sicuramente non apparteneva alla sua famiglia. Scorse i fogli sino ad arrivare a uno, l’ultimo, che non era stampato. Era una lettera. La staccò dalle altre e se la portò dinanzi agli occhi, sgranandoli per quello che lesse nei minuti successivi.

 

Grayson, non posso più mentire, né a te né a Miranda. Nostra madre sa tutto, lo sapeva anche senza che io lo avessi rivelato. Mi dispiace così tanto, fratello. So che per te sarà terribile dover leggere queste parole, ma ho bisogno di dirti la verità sulle bambine. Ricordi la ragazza, la sedicenne, che aiutasti a partorire, la madre naturale di Elena e Nicole? Isobel era il suo nome. Non era che una bambina e ti ho sempre detto che eravamo stati compagni di scuola. Non è vero. Lei abitava nel paese vicino al nostro e io mi ero innamorato di lei, uno dei tanti, in verità. Fui uno sciocco, Grayson. Lei non mi ha mai amato, ma pensavo che il mio amore bastasse per entrambi. Rimase incinta. Avevo diciotto anni e lei sedici. Non avremmo mai potuto prederci cura di due bambine e tu e Miranda volevate così tanto avere un bimbo. Pensai fosse la scelta migliore e la portai da te. Isobel aveva già scelto e le avrebbe lasciato in un orfanotrofio piuttosto che prenderle con sé e io non… io non ci riuscivo, Gray. Sarei stato un pessimo padre per loro. Nicole ed Elena non dovranno mai sapere questo. Non dovranno mai sapere chi sono i loro veri genitori, promettimelo, Gray. Tu e Miranda siete stati perfetti e non potrebbero desiderare due genitori migliori di voi. Non so perché te lo stia dicendo proprio adesso, ma ho bisogno di dire la verità. Non posso più mentire, non ci riesco, non guardando gli occhi splendenti della piccola Nicole. È diventata grande adesso, è diventata una signorina bellissima, un Sole luminoso e puro, e la somiglianza si nota di più. Ha i capelli biondi e gli occhi azzurri proprio come me, la mia stessa introversione ed è l’unica a volermi bene. Chissà perché lo fa. Io sono solo un idiota, un patetico stronzetto di un paese di provincia scappato di casa. Non posso mentire guardando la splendida ragazza che è diventata Elena. Somiglia a Miranda, alla tua meravigliosa moglie, è forte, piena di vita, determinata, ostinata, un fiume in piena. Sono così orgoglioso di loro perché non sono come me. Come lei. Spero che mi perdonerai, un giorno, fratello. Spero che le bambine non lo sappiano mai. Spero che Nicole ed Elena abbiano una vita meravigliosa e priva di ostacoli e pericoli. So già che tu le proteggesti da tutto ed è per questo che mi sono affidato a te. Perché sei un uomo migliore di me.

Tuo fratello.

Nicole dovette leggere due volte quella lettera per comprendere che quelle parole non erano frutto della sua mente, che quelle parole erano davvero scritte con la calligrafia del suo caro zio John. Di suo padre. Un singhiozzò le squassò il petto e lasciò cadere la lettera tra altre carte. Si portò le mani tremanti sulle labbra per non far fuoriuscire alcun suono, proprio come le aveva insegnato Tanya Fell quando era bambina. Le signorine dell’alta società non piangono mai scompostamente. Spostò le mani e lasciò andare i singhiozzi. Non era una signorina dell’alta società, non in quel momento, mai più se fosse servito a cancellare tutto quel dolore. Le faceva male il cuore. Sembrava essere stretto in una morsa, come se un serpente lo stesse stritolando tra le sue spire velenose. Le mancava l’ossigeno e le lacrime scorrevano velocemente, bagnandole anche il collo perlaceo. Doveva calmarsi. Doveva dimenticare. Doveva tentare di issarsi in piedi e fuggire da quell’ufficio. Doveva, sì, ma rimase lì. Strinse i pugni. L’afflizione aveva lasciato il posto alla collera. Una vita intera. Le aveva mentito per una vita intera. Lo zio John. Lei lo adorava. Era l’unica  volergli davvero bene. Era l’unica a cercare lui quando voleva parlare di qualche problema. Elena aveva la mamma. Jeremy aveva papà. Lei aveva lo zio John. Anche da lontano le offriva tutto il proprio supporto morale e Nicole era felice così. Perché odiava chi la vedeva soffrire, anche se fossero stati Elena o Jeremy. Perché lei era forte e dannatamente orgogliosa. Perché lo zio John sapeva sempre pronunciare le parole giuste per farla sentire meglio. Tranne quella volta. Guardò la lettera, con gli occhi dardeggianti e colmi d’ira, le labbra tremanti per la rabbia, i pugni stretti. La ridusse in tanti piccoli pezzi e non fu soddisfatta sino a quando non rimase più nulla di quelle parole incomprensibili. Non servì a farla sentire meglio, quello no, ma la fece di poco calmare. Lo squillo del telefono la riportò alla realtà. Era Jeremy. Deglutì, ingerendo anche il duro colpo del tradimento, e rispose.
« Ehi Nicole, dove sei finita? » le domandò accorto, la voce confusa, « La mamma si sta preoccupando. Elena è tornata e ha detto di aver litigato con Matt. Di nuovo. Si è rinchiusa in camera vostra e ha detto che non vuole cenare. Lo zio John è appena arrivato e papà anche. Si sono incontrati per strada. Mamma sta servendo il roast beef,» le raccontò velocemente, imprimendo una stiletta gelata nel suo cuore. Avrebbe voluto urlare, in quel momento, dirgli che no, non era la sua mamma quella che stava servendo il roast beef, non la sua mamma, ma sua zia. Avrebbe voluto dirgli che il papà era appena arrivato e lo zio Grayson anche. Avrebbe voluto che, che fosse tutto diverso da quello che effettivamente era. Ma si trattenne. Non era con Jeremy che doveva urlare, « Nicole? » la chiamò prolungando l’ultima sillaba del suo nome, « Tutto bene? Perché non mi rispondi?» chiese preoccupato, riscuotendola da quello stato di torpore che l’aveva avvolta nel pensare a una prospettiva diversa. Amava i suoi genitori, sì, ma… ma non voleva che vi fossero bugie e menzogne. 
« Sì, Jer… tutto… tutto bene,» sussurrò stupefatta, la voce tremula e instabile, « Sono allo studio di…,» si interruppe. Grayson non era suo padre, e nemmeno John, pensò con rabbia, « Torno a casa. Il tempo di arrivare,» esclamò trattenendo l’ira dentro di sé. Suo fratello era innocente e non poteva permettere che il suo candore venisse intaccato da quella verità. 
« Okay,» mormorò non molto convinto da quella risposta ambigua, « Sicura che vada tutto bene?» insistette. Nicole chiuse gli occhi e si preparò a mentire.
« Sì, certo, perché no?» domandò ironicamente e fortunatamente Jeremy non se ne accorse. Perché no? Forse perché tutte le sue certezze erano andate in frantumi. O magari perché l’uomo che adorava con tutta se stessa, per il quale provava un bene dell’anima, l’aveva tradita nel peggiore dei modi. Se davvero era una signorina bellissima, se davvero era un Sole luminoso e puro, perché l’aveva abbandonata? Perché non le aveva detto la verità e tenuta con sé? Perché aveva preferito guardarla in un posto che non era suo piuttosto che essere suo padre? Cosa c’era di così sbagliato in lei da far allontanare persino suo padre?
« Se lo dici tu. A tra poco,» mormorò suo fratello prima di interrompere la comunicazione. Nicole non se ne accorse nemmeno e si abbandonò contro lo schienale della poltrona. Tentò di prendere dei lunghi respiri per calmarsi poi fuggì via di lì, lasciando persino la cartella del nonno Jeremy, dimenticandosi di chiudere a chiave la porta dello studio. Corse tra le vie vuote della sua cittadina, per non piangere, e si ritrovò in pochi minuti dinanzi alla porta di casa sua. Poteva percepire le parole di tutti, i piccoli suoni delle posate che venivano spostate, il dondolio leggero di Jeremy.
« Dov’è tua sorella, Jeremy?» domandò John leggero, guardando suo nipote dall’altro lato del tavolo. Grayson e Miranda erano a capotavola ed Elena non c’era, grazie al cielo. Non avrebbe saputo fingere dinanzi ai suoi occhi che tanto amava. Entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle senza fare il minimo rumore. Voleva andare al piano di sopra per evitarli, tutti, ma Jeremy la intercettò.
« Eccola lì,» esclamò, indicandola con il capo per poi tornare a gustare la carne, « Ehi mamma, stai imparando finalmente. È buono davvero,» continuò con un sorriso dolce. Miranda si alzò e posò un dolce bacio tra i suoi capelli e Grayson sorrise, annuendo lievemente. 
« Piccola, che bello rivederti,» affermò ilare lo zio John prima di issarsi in piedi e compiere velocemente quel breve tratto che li separava. Nicole si sentì cingere dalle sue braccia forti e protettive e tentò di ricambiare la stretta. Non respirò nemmeno in quel momento, per non sentire il suo dolce profumo di dopobarba alla menta, e posò le mani sulle sue spalle. John la lasciò andare quasi subito prima di prendere il piccolo pacco adagiato sulla consolle dell’ingresso. Era come se sentisse più freddo, un gelo fasullo e dettato solamente dalla sua mente, da quando John si era allontanato. Tornò a respirare normalmente e tentò di non scoppiare in lacrime. Chinò il capo verso il pavimento e le labbra tremarono per un impercettibile istante. Sarebbe voluta fuggire per rinchiudersi nella sua stanza e seppellire il volto nel cuscino, non udendo più il male entrare nel suo cuore, facendosi spazio tra le arterie e le vene. Quello che le stava accadendo era profondamente malvagio e scorretto. Lei non lo meritava, non quando il suo bene per loro sovrastava ogni altro affetto, « L’ho preso a Londra la settimana scorsa,» le comunicò, porgendole il pacco rosso con un fiocco bianco e vaporoso, « Spero ti piaccia,» aggiunse dolcemente, rivolgendole un ampio sorriso che la catturò, come sempre. Lo guardò con tanta di quella attenzione che avrebbe fatto avvampare chiunque, ma John rimase solamente confuso da quel comportamento inusuale. Era vero. Aveva perfettamente ragione. Lo stesso colore di capelli, degli occhi, le stesse labbra. Erano così simili, quella somiglianza era troppo marcata. Le aveva sempre fatto piacere somigliare a quell’uomo così buono e gentile, forse bizzarro e inconsueto, ma in quel momento qualcosa nel cuore si incrinò terribilmente. Quello era il tradimento peggiore che avessero potuto escogitare a suo danno, « Cosa c’è? » le chiese incredulo continuando a porgere il regalo. Dovevano essere trascorsi alcuni secondi, ma la famiglia non vi aveva fatto caso. Miranda stava servendo il dolce, la torta al cioccolato che aveva preparato Elena proprio quella mattina, e Jeremy aveva già le posate pronte e un sorriso che gli distendeva le labbra esangui, « Non vuoi aprirlo?» mormorò quasi deluso, certamente più triste e mesto, chinando di poco lo sguardo. Nicole, vedendo così, accettò il regalo e sorrise, pensando a ciò che la rendeva più felice al mondo, a ciò che illuminava le sue giornate e le sollevava l’animo da ogni preoccupazione. I suoi fratelli. Il sorriso di Elena, la timidezza di Jeremy. 
« No, zio, certo che voglio,» esclamò lieta, prima di incominciare a scartarlo dinanzi agli occhi più sereni di quello che era suo padre. Doveva essere stata cieca per non essersene accorta prima, molto più di Elena. Sua sorella non somigliava a nessuno in famiglia, forse solo a sua madre, per certi tratti, però il viso era totalmente diverso. Ma lei no, « Se è di Londra, è sicuramente splendido,» aggiunse tra sé. Era una scatola bianca e si affrettò a schiuderla per poi poggiarla sulla consolle. Era un vestito che le fece sgranare di poco gli occhi. Era un abito elegante, di chiffon celeste impalpabile, con una fascia sotto il seno che luccicava per le paillettes di una tonalità più scura. Lo stesso motivo era sulle spalline. Era davvero bellissimo, aveva gli stessi colori del mare calmo che tanto amava. Le mani quasi le tremavano e gli occhi le si velarono per la commozione. Era bellissimo, sì, ma a cosa serviva un vestito se non aveva l’affetto e l’amore di chi glielo aveva donato?  « Grazie,» si ritrovò a sussurrare atona. 
« Capisco, non ti piace,» esclamò dispiaciuto prima di sospirare lievemente, « Mi dispiace.» Nicole non alzò lo sguardo, ma lo fece vagare sull’abito.  
« Mancato il colpo, fratellino,» scherzò Grayson con un sorriso bonario sul volto più adulto di quello di John. Non pensava di poter sopportare oltre, non quella sera. La vista le si era appannata per tutte le lacrime che stava trattenendo. John si volse verso suo fratello con un sorrisetto sarcastico, il suo solito, e per un attimo si sentì meglio senza gli occhi di suo padre che la scrutavano come nel tentativo di analizzare quell’atteggiamento.
« Ma, tesoro, è un vestito meraviglioso,» esclamò Miranda, incredula. Sua figlia aveva sempre avuto buon gusto nel vestire e adorava suo zio. Non comprendeva perché si stesse comportando in quel modo, come anche Jeremy. 
« Infatti,» concordò prima di volgersi verso le scale per nascondere le lacrime alla vista dei familiari, « Io lo adoro,» aggiunse veritiera prima di portarselo al petto, come se fosse uno scudo con cui proteggersi. Però era solamente un vestito di stoffa leggera e soffice, non certo un disco di ferro, « Scusatemi, non… non mi sento bene. Vado a letto,» mormorò spostando il peso sul piede destro e guardando con trepidante ansia verso la scalinata.
« Siete delle sorelle noiose,» borbottò Jeremy, prima di prendere il secondo pezzo di torta. Avrebbe voluto piangere ancora di più in quel momento. Jeremy, il suo piccolo, adorato, pestifero Jeremy. Non era suo fratello, ma suo cugino, « Ho litigato con Matt, non mi sento bene,» imitò la voce delle due, risultando solamente troppo acuto e annoiato, un tono che l’avrebbe fatta ridere in un altro frangente, « Uffa. Un po’ di vita,» le spronò.
« Grazie, Jer. Sempre dolcissimo,» scherzò lievemente, dimentica delle lacrime. Suo fratello aveva sempre la capacità di farla stare bene, di farle ritornare il sorriso sulle labbra.
« Tesoro, le carte del nonno?» domandò sua madre, guardando le sue mani che stringevano ancora, quasi ossessivamente, l’abito. Aveva notato che John era tornato a osservarla con il consueto affetto.
« Io… devo averle lasciate sulla scrivania.» 
« Le carte del nonno…?» chiese incredulo suo padre, quasi sobbalzando e sgranando gli occhi azzurri.
« Sì, ho pensato che avrebbe fatto piacere a John poterle leggere, sai? Caro, tutto bene?» aggiunse sua madre, vendendolo così sbigottito, quasi sconvolto.
« Nicole, tesoro mio…,» incominciò cautamente mentre notava come fossero divenuti dardeggianti di ira e perforanti gli occhi di Nicole. Distese i palmi aperti sul tavolo e si issò in piedi senza far rumore per non turbare la quiete nella stanza. John e Miranda osservavano dall’uno all’altra con le sopracciglia aggrottate per la confusione mentre lo sguardo di Jeremy era ancorato a quello di sua sorella. Poche volte l’aveva vista così arrabbiata, doveva esserle accaduto qualcosa di terribile o di estremamente triste. 
« Scusa, ne parliamo domani,» borbottò velocemente prima di dirigersi a passo svelto verso le camere da letto, quasi correndo sulle scale, ancora con il vestito in mano. Aprì la porta della loro, poi la richiuse alle sue spalle. Serrò gli occhi azzurrini e si appoggiò al muro per poi cadere e ritrovarsi sul pavimento. Scoppiò in un pianto talmente silenzioso da farle male il petto e abbandonò l’abito sul pavimento. Si strinse le ginocchia al petto e rimase lì per molti minuti sino a quando non riuscì a ritrovare il proprio ferreo controllo. Poi alzò il viso e guardò verso il letto di sua sorella. Dormiva profondamente sul fianco destro, coperta interamente dal piumone bianco, il diario abbandonato sulle coltri così come la sua penna preferita. Sorrise per l’espressione beata presente sul viso della sua adorata sorellina, poi si issò in piedi e avanzò verso di lei. Si sedette e posò la mano sulla sua guancia, scostandole una ciocca liscia e setosa che le era ricaduta sull’occhio. Aveva le labbra schiuse e sembrava stesse facendo un bel sogno, ignara di tutto ciò che, invece, stava accadendo a lei. No. Elena non avrebbe mai dovuto saper nulla, né in quel momento né mai. Era suo compito proteggerla. Era certa che Elena avrebbe fatto lo stesso per lei se si fossero invertite di ruolo. Sospirò lievemente. 
« Mi spiace, sorellina,» sussurrò costernata, sfiorandole la gota prima che una lacrima le rigasse il viso pallido, « Sono obbligata a fare ciò che più aborro: mentire. A te, che sei la persona che amo di più a questo mondo. Ma devo. Spero mi perdonerai, un giorno, ma è per te che lo sto facendo, perché tu non debba provare lo stesso dolore che sta affliggendo me. Fa male, Lena, fa davvero male essere traditi. Ti spezza il cuore. Spero soltanto che tu non sappia mai come ci si senta,» mormorò prima di posare le labbra tra i suoi bei capelli profumati e issarsi in piedi, ben attenta a non far rumore. Prese l’abito dal pavimento e lo posò sulla toletta, abbandonalo scompostamente lì, poi aprì la porta e uscì, richiudendosela alle spalle accompagnandola con delicatezza infinita. Si guardò intorno. La porta di Jeremy era chiusa, segno che oramai aveva terminato di cenare ed era andato a riposarsi, ma le luci della cucina erano ancora tutte accese e provenivano delle voci concitate, ma basse, maschili. Cominciò a discendere la scalinata, non facendosi vedere e le ascoltò.
« Grayson, io non capisco. Cosa sta succedendo?» domandò sua madre confusa. Nicole sobbalzò. Lei non sapeva nulla, nulla di quella storia. Un’ondata di pura rabbia la investì, sebbene non sapesse a chi fosse indirizzata. 
« Miranda, tesoro, perdonami,» la pregò Grayson avanzando verso sua moglie e stringendole le mani tra le proprie. Nei suoi occhi vi era una supplica che anche il più spregevole tra gli uomini avrebbe accolto.
« Perdonarti? Per cosa? Per favore, caro, non riesco a vederti così costernato,» esclamò dolcemente Miranda stringendo il marito a sé. John avanzava per la camera, tenendosi il volto tra le mani, non riuscendo a capacitarsi di ciò che era appena accaduto. Fu a lui che Nicole rivolse la sua occhiata più gelida.  
« è solamente colpa mia, soltanto mia. Non avrei mai dovuto scriverti quella lettera. Ho combinato un disastro, come sempre. E ora Nicole lo sa,» aggiunse con un tono talmente costernato da farla sobbalzare. Non pensava che un uomo potesse provare tanto dolore, ma doveva ammettere che Jonathan Gilbert riusciva sempre a stupirla. Aveva ragione. La colpa era soltanto sua. Non avrebbe mai dovuto abbandonarla, darla in adozione. Avrebbe mille volte preferito vivere con lui, nella verità, piuttosto che con altri nella menzogna.
« Cosa sa Nicole?» domandò Miranda, scostandosi dolcemente da suo marito che continuava a stringerla per i fianchi. Era la sua forza, sua moglie, e in quel momento aveva bisogno di lei più che mai.
« Sa che sono suo padre. Biologico,» aggiunse quasi in una risata isterica. Non riteneva di essere il padre di quello splendido angelo biondo. Nicole scattò e percorse l’ultimo tratto della scalinata, ma nessuno si accorse di lei. Miranda era sobbalzata e Grayson si era scostato. La donna avanzò verso il cognato con gli occhi assottigliati per lo sbigottimento e l’incredulità.
« Cosa… cosa sei tu, John?» mormorò a pochi centimetri da lui, tremando e controllandosi a stento.
« Sono il padre naturale di Nicole ed Elena,» esternò seriamente guardandola dritto negli occhi, non volendosi sottrarre a quello sguardo indagatore e terribilmente struggente. Era come se le stessero portando via le sue bambine che tanto amava. Miranda rimase inerme solo per un paio di istanti prima di voltarsi di scatto verso suo marito. John chinò il capo e Nicole rimase sulla soglia della cucina. Grayson non aveva occhi che per sua moglie, proprio come Miranda per lui.
« E tu lo sapevi?» esclamò indignata, gli occhi dardeggianti e le lacrime che fluivano sulle belle gote magre come quelle di Elena, « Per l’amor di Dio, Gray, come hai potuto tenermi all’oscuro di una cosa del genere? Dannazione,» imprecò malamente, chiudendo gli occhi e portandosi le dita alle tempie, sollevando alcune ciocche scure. Nicole si avvolse nelle braccia, come per proteggersi dinanzi all’espressione di sua madre. Mai l’aveva vista talmente triste e arrabbiata e sperava che mai più si fossero ritrovate in una situazione del genere. Poi Miranda spalancò i suoi begli occhi marroni e guardò John che, sentendosi osservato, rialzò il proprio sguardo azzurrino, « E tu perché diavolo hai fatto quello che hai fatto? Sono le tue bambine, come hai potuto vederle crescere senza dir nulla?» Nicole sbuffò, per la prima volta emettendo un suono, e tutti si volsero verso di lei. Sorrise divertita, sebbene dentro di sé sentisse un vuoto abissale che la stava trascinando in un baratro buio e senza fine. 
« Nicole,» la chiamò John sottovoce, come se pensasse non fosse davvero lì, come se fosse soltanto a sua immaginazione a giocargli brutti scherzi. La giovane alzò la mano destra per bloccare qualsiasi tipo di parola esterna e scrollò le spalle.
« Non serve che si aggiunga altro. Non serve che tentiate di… che so, consolarmi. Non ho bisogno di voi, di nessuno di voi,» affermò, sapendo di mentire, guardando tutti e tre con astio che non tentava nemmeno di celare. Li detestava per ciò che le avevano fatto, ma sapeva che non avrebbe mai potuto odiarli. 
« Nicole, non parlare così,» mormorò sua madre, facendo un passo verso di lei. Lo sguardo di pietra che le rivolse la inchiodò sul posto, facendola bloccare.
« Tu… proprio tu mi dici di non parlare così? Siamo state adottate. Anche se John non fosse stato mio padre, avevo il diritto di sapere che non ero la vostra figlia naturale.»
« Te l’avremmo detto, cara,» cominciò Grayson, distendendo la mano nel vano tentativo di sfiorarla e farla calmare.
« Quando?» lo interruppe alzando la voce di un’ottava, avvampando per la rabbia e trattenendo a stento le lacrime. Si portò una mano sul volto, asciugandosene malamente una che aveva rischiato di inumidirle le labbra. Non voleva mostrarsi debole dinanzi a nessuno, « Abbiamo sedici anni, non siamo delle bambine. Capiamo,» aggiunse esasperata. Probabilmente soltanto Elena avrebbe capito la situazione e l’avrebbe accettata, ammettendo che, nonostante tutto quello che uno sciocco e asettico test del DNA potesse rivelare, lei era la figlia di Grayson e Miranda Gilbert. Lei non sarebbe stata mai dello stesso avviso.
« Nicole,» la chiamò John, ragionevole. Sussultò per quella voce così dannatamente seria e preoccupata e lo guardò. Le fece male osservarlo. Il mostro dentro di lei, al centro dello stomaco, premette per incendiare tutte le sue cellule, trasportato dal sangue come un ossigeno di morte e distruzione, e Nicole lo lasciò fare.
« Non rivolgermi la parola. Non ne sei degno,» aggiunse con cattiveria, ferendolo con il peggiore dei pugnali. La ferita sanguinava, avrebbero dovuto lasciarle il tempo di medicarsi, ma non si sarebbe sottratta. Lei non era una vigliacca. 
« Comprendo il tuo odio, Nicole. Comprendo che adesso mi detesti.»
« Tu non comprendi nulla,» lo interruppe sdegnata, ridendo appena, sfiorando l’isteria. Chiuse gli occhi per un attimo avvertendo la spiacevole sensazione che le lacrima causavano all’interno della sua anima. Si sentiva sporca, macchiata. Era come se la sua innocenza le fosse stata strappata brutalmente via, « Tu non puoi immaginare quello che sto passando io in questo momento. Mi avete mentito per tutta una vita, con quale coraggio?» tuonò, guardando Grayson e Miranda. Con quale coraggio avevano potuto vederle crescere, sentirsi chiamare mamma e papà senza dir nulla? Senza sentirsi in colpa nel tacere la verità? « Non contiamo nemmeno un po’ io ed Elena?» aggiunse tremando, temendo che le gambe potessero flettersi e farla rovinare sul pavimento lucido che tante volte l’aveva accolta mentre giocava con la sua sorellina. fortunatamente lei dormiva beata al piano di sopra, ignara di tutto quello. Non avrebbe mai potuto sopportare che lei avesse potuto provare il suo stesso dolore.
« No,» esclamò sua madre, costernata, avanzando di un passo verso di lei, « Cosa stai dicendo, amore? Noi vi amiamo. Siete le nostre bambine, noi vi amiamo,» continuò ad affermare, non sapendo che il pugnale velenoso della menzogna le stava bruciando le membra.
« Odio chi mente perché io sono una persona onesta, Miranda,» sibilò irata, collerica, piena di rabbia, stringendo i pugni e inchiodandola con quello sguardo tagliente. Miranda strabuzzò gli occhi e spalancò le labbra. mai si sarebbe potuta aspettare che la sua bambina, quel tenero scricciolo, non l’avrebbe chiamata mamma, ma Miranda.
« Non chiamarmi così. Sono la mamma,» sussurrò tentando di farla impietosire con quei suoi grandi occhi da cerbiatta spalancati. Ma non ci riuscì. La collera era troppo forte per poterla controllare. 
« Ti prego, Nicole. Se c’è una persona con la quale tu debba arrabbiarti, quella sono io. Lasciateci soli, per favore,» mormorò John rivolto a suo fratello e a sua cognata. Nicole scosse il capo con foga.
« Ti ammazzo se rimango nella stessa stanza con te, John,» lo avvertì, facendogli capire che quella minaccia era più che reale. Doveva riversare il proprio dolore in qualche modo e ferire l’uomo che l’aveva abbandonata era il mezzo più giusto, o perlomeno più semplice.  
« Correrò il rischio, allora,» le assicurò, guardandola dritto negli occhi, senza alcuna paura o remora, ma anche senza sminuire la sua rabbia e la sua afflizione. Grayson e Miranda si guardarono per un secondo, poi osservarono lei. La donna sospirò, prese la mano del marito e lo condusse fuori dalla cucina, lasciandoli soli, « Siediti, per favore,» aggiunse quando non le vide far alcun cenno. Nicole scosse il capo con veemenza e non obbedì mentre John si abbandonava sulla panca, troppo spossato per rimanere in piedi. 
« Come hai potuto farmi una cosa del genere? » gli domandò accusatrice e austera, cingendosi con le braccia per mitigare il dolore, prima di avanzare e sedersi. Non sarebbe potuta rimanere in piedi un istante di più. Le faceva troppo male. John non le rispose, incapace di farlo mentre l’osservava assorto e dispiaciuto, riconoscendo nel suo sguardo un dolore che una bambina come lei non avrebbe mai dovuto provare. « Sono l’unica a pensare che tu non sia uno stronzo e mi dimostri quanto mi sia sbagliata in questi anni.» Abbassò lo sguardo subito dopo, per nascondere le lacrime che le occupavano le iridi chiare e percepì John sospirare lievemente, forse anche un po’ divertito da tutta quella paradossale situazione. Non pensava certo che dopo sedici anni avrebbe potuto scoprire la verità, non in quel modo così spregevole. Non avrebbe mai voluto che loro, che le sue figlie, i suoi angeli nati da quello che era stato l’amore della sua intera vita, sapessero, ma il danno era oramai fatto e lui doveva affrontare le conseguenze di quella lettera scritta in un momento di puro sconforto.

« Già. È vero, è tutto vero. Sono un vero stronzo, Nicole Alexandra, e sei stata una sciocca a voler vedere qualcosa di diverso in me. Non valgo niente, né come uomo né come padre,» pronunciò quelle parole con astio verso se stesso e profondo affetto per quella giovane. Nel sentir proferire i suoi due nomi, Nicole aveva alzato lo sguardo e l’aveva osservato indispettita, ma subito aveva cambiato atteggiamento nel notare quanta sofferenza albergasse in quegli occhi così tanto simili ai propri. Chinò nuovamente il volto per non scorgere tutto quel dolore e John sorrise, addolcito da quella premura che serbava per ogni persona le stesse affianco, anche la peggiore. John, suo padre, si sporse sino a sfiorarle il mento con l’indice. Nicole sussultò per quella carezza improvvisa e calda, paterna, ma non rialzò il capo, « Alza lo sguardo, Nicole. Guardami, cosa vedi? » aggiunse speranzoso di poter rivedere i suoi splendidi occhi. Nicole lo perforò con uno sguardo dardeggiante
 e furioso. John non si scostò, ma le carezzò ancora la pelle perlacea del viso, non potendo farne a meno. 
« Un traditore, ecco quello che vedo. Io ti volevo bene, così tanto. E tu mi hai tradita. Mi hai mentito, mi sei stato accanto per anni. Sono stata l’unica a provare vero affetto per te, un affetto che sorpassava ogni cosa, e tu… tu,» si interruppe non riuscendo ad aggiungere altro. Non sopportava più nulla. Avrebbe tanto voluto piangere ed essere cinta dalle sue braccia forti e capaci di consolarla, ma non avrebbe mai più trovato quel porto sicuro che la accoglieva da sempre. John comprese subito il suo stato d’animo e si issò in piedi per poi avvicinarsi a lei e inginocchiarsi dinanzi a lei per stare alla sua stessa altezza. Sorrideva a stento e Nicole lo osservò interrogativa. Non comprendeva come facesse a sorridere in una situazione del genere, mentre il suo cuore si spezzava sempre di più.
« Io ti ho tradita e non merito niente da te. Però ascoltami, un’ultima volta. Sei tutto ciò che ho sempre sognato che fossi. Sei bellissima, sei raggiante, sei piena di vita. Sei forte, determinata, dannatamente testarda e orgogliosa. Sei un fiume in piena, sei un puro fuoco quando devi difendere le persone che ami. Sei dolce, buona, gentile. Hai un sorriso che illumina. Sei il Sole, sei la stessa più luminosa del firmamento. Sei straordinaria e io… io sono così… così patetico. Nicole, io so che… che mi odierai per tutta la vita, ma ricordati….»
« Smettila. Smettila di mentirmi, smettila,» lo interruppe quasi urlando. Non le importava nulla che potessero sentirla. Doveva esternare tutto il proprio dolore. L’anima le stava gridando di reagire e lei non riusciva a interrompere che le lacrime le rigassero le guance piene come quelle di una bambina. John sobbalzò nel vederla così triste e spenta. Lui sapeva che non stava mentendo. Credeva in tutto ciò che aveva pronunciato, « Non lo sopporto. Non ti sopporto. Se davvero sono così “straordinaria”, perché mi hai abbandonata? No, non rispondere. Non c’è bisogno. Non ne vale la pena. Io non conto niente per nessuno. Nemmeno per mio padre.»

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questo qui è l’abito che John regala a Nicole. Grazie a tutti quelli che seguono la storia, anche silenziosamente

  
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