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Autore: Joannah Mary Grace    30/06/2012    2 recensioni
"Siamo un mucchietto d’ossa fin da sempre, capace solo di trascinarsi goffamente verso strade già asfaltate, posti già resettati. Vi definiscono cittadini medi. Io li definisco cittadini a metà. Quello che hanno è solo la carne, già bella che pronta dalla nascita. Mancano la sete per la vita e la fame di speranza."
Genere: Avventura, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cronaca di una morta in attesa-
 

Per un attimo è stato come ritrovarsi seduta vicino ad un falò, circondata da canti e risate. L’aria è diventata profumata e le lucciole hanno iniziato a danzare armoniosamente. E’ stato come perdersi e ritrovarsi in un secondo, più cresciuta e più felice. Sono anni, secoli, che nessuno mi rivolge la parola e poi eccolo. Il ragazzino. Il ragazzo dalla pelle chiara e gli occhi tristi. Sarai il mio piccolo specchio dell’anima. Una volta l’avevo anch’io..l'anima.
E il domandarmi come quest’ultimo possa sentirmi, o per lo meno avvertimi o anche solo vedermi, passa in secondo piano. Non è davvero importante perchè tale è la gioia, l’eccitazione che ho provato in quel filo di fiato che mi sento già ubriaca di felicità.
Mi ha parlato. Mi ha rivolto la parola. Non sono così sola, allora.
Capite? Basta così poco. E a voi serve invece così tanto.
 Ricordo che una volta, molto tempo fa ormai, camminavo per una vecchia boulevard affollata e chiassosa, dove ogni persona che era incastrata ad un’altra ti trasmetteva un nauseante senso di claustrofobia accecante, e nell’insieme pareva un enorme puzzle di confusione e colori ignorati dall’ansia e dalla routine. Vidi improvvisamente un bambino biondo e perfetto, uno di quelli che trovi sulle copertine dei giornali accanto all’ultimo giocattolo del momento. Aveva gli occhi verdi e mi colpì la camicetta di seta azzurra che mostrava, poco fiera, una macchiolina color cioccolato, appena sotto il mento del bimbo. Teneva stretto un gelato nella mano e un trenino nell’altra. Era solo.
Vidi passare un altro bambino, mano a mano col padre, i capelli scuri e la pelle olivastra. Molto bello nella sua semplicità. Il bambino strattonò il padre giocosamente e si precipitò davanti all’altro bambino, che lo guardava quasi con antipatia.
 ‘Il gelato, papà’.
Appena il bambino perfetto notò l’indice dell’altro piccolino puntare quasi accusatorio il suo gelato, lo spostò di scatto, e il colpo audace lo fece cadere a terra. Tutto il suo buonissimo gelato alla fragola si trovava ormai sull’asfalto nero e ciottoloso. Lo fissò a lungo, come se aspettasse qualcuno o qualcosa che miracolosamente lo avesse recuperato alla meglio. Poi l’altro bambino gli diede una pacca sulla spalla e dieci minuti dopo tornò per regalargli il suo gelato. Il bambino biondo lo afferrò e se ne andò, mostrandogli dispettosamente le spalle. Mi precipitai verso il bambino dall’animo buono, così gentile ed incompreso, ma ovviamente lui non poteva vedermi. Lo accarezzai e gli scompiglia i capelli, teneramente. Lui sorrise al vento, divertito. Era un sorriso che soddisfò tutta la mia sete di dolcezza, come una fresca cascata d’acqua dolce. Presi dalla tasca rattoppata qualche moneta che trovo la sera sui marciapiedi isolati e la lascai cadere a terra. Il bambino tornò dal padre con le monetine e si comprò un altro gelato.
E’ una scenetta da tutti i giorni, questa. Il bambino egoista e quello gentile. Quello egoista solo, e l’altro gioca con tutti gli altri bambini. E’ perché hanno bisogni diversi. Al primo, basta ottenere per essere felice. Per il secondo, felicità significa dare e ricevere un ‘grazie’. Un ringraziamento che elevi fin sopra le nuvole e ti faccia vibrare nel cielo, soddisfatto.
Io ho dato sempre alla gente, per lo meno da quando sono così malconcia.., e non potete neanche immaginare quante persone ho salvato da brutte figure, brutte cadute, brutti equivoci. Senza che neanche se ne accorgessero.
 E finalmente, all’alba dell’ennesimo sconforto, un ragazzo mi rivolge la parola. Un ragazzo mi vede. Si accorge di me.
E’ tutto più chiaro, nonostante il sole sia ancora molto lontano. E’ incredibile come occorra anche solo un timido estraneo per sentirti qualcosa. Morta sono io, e tutto ciò che sono stata. Ma non voglio che lui lo sappia. Così indifeso e solitario desidero curargli solo un po’ di tutta quell’amarezza che si sta trasportando chissà oramai da quanto tempo. Oh, caro. Come è ingiusta la vita e questo mondo. Come sono ingiuste le persone. E noi che non desideriamo altro che essere considerati e ringraziati per le nostre buone azioni e invece ci ritroviamo abbandonati per i parchi annebbiati delle periferie, a chiederci perché, l’ennesima volta.
Questa vecchia panchina di legno scricchiola sotto il nostro peso e così mi alzo repentina, soprattutto perché muoio, permettetemi il gioco di parole, dalla voglia di stare di fronte a lui, guardarlo negli occhi e vedere che anche lui osserva me.
E così mi sento scrutare all’interno. Dove i vermi hanno costruito le loro case di ossicini e pelle raggrinzita. Sento i miei occhi volteggiare sbilenchi tra le larghe orbite. Che strana sensazione. Sono solo uno scherzo del destino, ragazzo. In realtà non puoi neanche vedermi. Sono solo il cane randagio che abbaia a squarciagola perché non ammette ospiti nel suo lurido nascondiglio.
‘Sembri così stanca..ti sei persa?’
‘Lo sono da un po’’. Rispondo. Nonostante conosca a memoria ogni minuscolo sobborgo di questo stupido pianeta.
 

   
 
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