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Autore: Beauty    01/07/2012    5 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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Catherine ebbe la sensazione di cadere, tanto da appoggiare una mano ad una parete nel tentativo di tenersi in equilibrio. Boccheggiò, incapace di distogliere lo sguardo dal volto mostruoso di Adrian. Le ci volle qualche momento, prima di riuscire a mettere a fuoco il senso di quello che era appena uscito dalle labbra del mostro, ma alla fine si rese conto di quel che stava succedendo: Adrian le stava chiedendo di diventare sua moglie.

Si sentì impallidire, mosse le labbra come per parlare, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Catherine si mise alla disperata ricerca di una risposta adeguata, ma forse questa risposta neanche esisteva. Che doveva fare? Era già rimasta in silenzio per troppo tempo, esitare ancora sarebbe stato scortese...

Sì, scortese, si disse. Ma tremendamente rivelatorio.

Catherine vide gli occhi azzurri di Adrian adombrarsi di un velo di tristezza, quindi il mostro sospirò, chinando il capo.

- Lo sapevo...- mormorò.- Sapevo che non avresti mai accettato...Ma...per un attimo...ho creduto che...

Non terminò la frase, incapace di continuare.

Catherine si sentì salire le lacrime agli occhi, improvvisamente consapevole di quello che aveva appena fatto. L'aveva ferito. Lui si era innamorato di lei, aveva trovato il coraggio di dichiararsi, e lei gli aveva causato un dolore immenso nel rifiutarlo. Non era come le altre volte. Aveva respinto una marea di pretendenti, ogni volta deridendoli e ridicolizzandoli per la loro passione falsa e nutrita di luoghi comuni stantii, ma stavolta era diverso. Era Adrian che stava respingendo.

- Sono stato uno stolto. Non avrei mai potuto sperare che tu accettassi di diventare mia moglie, che tu ti innamorassi di me...Perché dovresti ricambiare l'amore di un mostro?- disse Adrian, amaramente, senza guardarla negli occhi.

Senza quasi rendersene conto, Catherine aveva iniziato a singhiozzare; si sentì infinitamente stupida e ipocrita, avrebbe voluto strappare via quelle dannate lacrime dalla sua faccia, ma queste continuavano a rigarle le guance, senza fermarsi.

- Mi dispiace...- singhiozzò, chinando il capo.- Mi dispiace tanto, Adrian...

Non ce l'avrebbe fatta a rimanere lì un minuto di più. Non con la consapevolezza che le sue lacrime la stavano rendendo ancora più ipocrita e patetica, non sapendo di stare facendo del male ad entrambi, non conscia di aver ferito Adrian in un modo tale che nemmeno mille spade avrebbero potuto eguagliare.

Senza guardarlo, gli passò accanto velocemente, quasi correndo e, senza smettere di piangere, afferrò la maniglia della porta e la spalancò.

- Mi dispiace...- ripeté, singhiozzando, prima di uscire di corsa dalla biblioteca chiudendosi la pesante porta di legno alle spalle.

Il padrone non disse nulla, né la guardò. Tenne il capo chino, stringendo i pugni abbandonati lungo i fianchi fino a conficcarsi le unghie affilate nella carne; serrò le labbra e chiuse gli occhi, mentre il dolore e l'umiliazione cominciavano a farsi strada nel suo animo.

 

***

 

Catherine attraversò i corridoi bui del maniero di corsa, senza fermarsi, senza riuscire a frenare le lacrime. Quando raggiunse la sua stanza, vi si chiuse dentro e serrò la porta a chiave, per poi lasciarsi scivolare con la schiena contro il legno di quercia, fino a ritrovarsi seduta sul pavimento. Si prese il viso fra le mani, affondando nella disperazione. Le lacrime non volevano saperne di smettere di sgorgarle dagli occhi, le sembrava quasi che qualcuno le avesse afferrato il cuore e lo stesse stringendo in una morsa.

Scivolò fino al tappeto persiano disteso di fronte al caminetto e vi si stese, raggomitolandosi in posizione fetale. Inspirò l'odore della cenere e delle braci, mentre quello che era appena successo assumeva nella sua mente contorni ora più confusi ora chiari e vividi.

Adrian l'amava. Come aveva potuto non accorgersene prima? Ora che la verità le era stata sbattuta in faccia in quella maniera così palese e inequivocabile, Catherine cominciava a trovare un perché a tutti i comportamenti del mostro. Quella sua strana attenzione per lei, quel suo interesse nei suoi confronti, quel continuo cercarla, l'impegno costante affinché lei stesse bene e non le mancasse nulla per essere serena...Quello era amore, dunque? Amore che gli aveva fatto dimenticare che lei non era nient'altro che una serva, che lo aveva spinto a ricercare il perdono per tutto ciò che le aveva fatto patire all'inizio, che lo aveva perfino indotto a chiederle di sposarlo?

Catherine lo aveva perdonato; tutto quel che era successo fra di loro i primi tempi faceva ormai parte di un ricordo lontano, un brutto sogno da cui finalmente si era risvegliata...Spesso si chiedeva come fosse riuscita a fare una cosa simile. Era consapevole di non essere come quelle principesse delle favole così stucchevolmente buone da perdonare anche la più crudele delle infamie, di essere una persona permalosa e, a volte, anche vendicativa, e di avere il brutto vizio di legarsi al dito qualunque torto. Com'era possibile che avesse perdonato Adrian, dopo tutto quel che le aveva fatto?

Questa domanda, ora, in quel momento, andava a mischiarsi con altre che già da tempo affollavano la sua mente. Si era resa conto di essere molto cambiata, da quando Adrian era entrato nella sua vita. Si era ritrovata a provare emozioni e sensazioni mai sperimentate prima, a cui fino a quel momento era stata incapace di dare un nome. Anche il suo comportamento non era più lo stesso? Cos'era quello stano batticuore quando stava per incontrarlo, quel piacevole fremito quando a tavola le loro mani si sfioravano o quando il padrone le si avvicinava per parlarle o per leggere insieme a lei? Perché, se fino a pochi mesi prima si era sempre creduta una persona indipendente e non le era mai importato nulla del comportamento altrui, ora era costantemente governata dal desiderio di fargli piacere, perché si sentiva sussultare, non per paura o ribrezzo, quando i suoi occhi incrociavano quelli gelidi e impenetrabili di Adrian, quando i loro volti si trovavano così vicini che le loro labbra erano ad un passo dallo sfiorarsi?

Anche lei era innamorata di lui? Catherine non lo sapeva, né voleva saperlo. In quel momento, si sentiva come le protagoniste dei romanzi che aveva letto insieme ad Adrian. Anche lei era amata da un mostro, ma era stata peggiore di Christine Daae e della Esmeralda. Loro, almeno, non si erano mostrate gentili e dolci con l'essere mostruoso che le amava, lo avevano respinto subito, mentre lei aveva illuso Adrian. L'aveva ingannato con il suo comportamento, gli aveva fatto credere di provare qualcosa per lui, e ora l'aveva ferito, rifiutandolo.

Benché il desiderio di rimediare a quello che aveva fatto fosse così forte da urlarle di smetterla di piagnucolare e di correre immediatamente fra le braccia del padrone di casa, Catherine sapeva che non avrebbe mai potuto accettare di diventare sua moglie.

Non ci credeva più, nell'amore. Era un'illusione che si era lasciata alle spalle molto tempo prima, quando sua madre era morta. Aveva sempre visto il mercante e Lady Elizabeth come l'esempio vivente dell'amore. Fra i suoi genitori non c'erano mai state ombre, mai nuvole ad oscurare la loro felicità. Poi, tutto si era spezzato. Quando sua madre era morta, era come se suo padre avesse perso un pezzo di se stesso, un frammento che non sarebbe mai più riuscito a ritrovare. Quando, alla fine, nonostante avesse più volte dichiarato che non avrebbe mai amato nessun'altra all'infuori della moglie defunta, il mercante si era risposato con quell'arpia di Lady Julia, a Catherine era sembrato di assistere alla morte non solo di sua madre e della sua memoria, ma anche a quella dell'amore. Era evidente che il mercante aveva sposato Lady Julia senza amarla, spinto solo dalla convinzione che i suoi figli, Rosalie in particolar modo, avessero bisogno di una figura materna, e che, da parte sua, la sua seconda moglie si era innamorata più del suo allora gonfio portafogli che di lui; Catherine aveva provato per mesi un senso di tristezza misto a sconforto e disgusto, e aveva giurato a se stessa che mai si sarebbe sposata, mai avrebbe amato qualcuno, se il suo destino era quello di vedere il suo amore un giorno ridicolizzato e ridotto alla stregua della più volgare e grottesca imitazione della passione dei romanzi cavallereschi. L'amore era un gioco, solo uno stupido gioco senza importanza. Suo padre e la sua matrigna dimostravano che le cose stavano così; ne avevano dato prova i suoi pretendenti, che la riempivano di frasi fatte lette nei libri prive di ogni significato; e lo dimostravano anche suo fratello, quando tornava a casa tardi la sera con addosso l'odore del bordello e del profumo forte e dolciastro delle prostitute da cui aveva comprato i favori, e Lord William, che aveva preteso di ottenere il suo amore attraverso la forza.

L'amore era un'illusione, nulla di più. E, se anche così non fosse stato, se anche si fosse sbagliata, Catherine sentiva che non avrebbe mai potuto ricambiare Adrian. Non voleva. Non voleva amarlo, perché sapeva che perderlo sarebbe stato troppo, per lei, da sopportare. Se un giorno l'avesse perduto, se un giorno fosse accaduto ciò che era successo ai suoi genitori, Catherine sapeva che non sarebbe stata così forte come suo padre.

Non avrebbe potuto vivere, senza quel frammento di sé.

Non singhiozzava più; le lacrime continuavano a scorrere, ma silenziose, rigandole le guance. Era stanca, sentiva le palpebre divenire sempre più pesanti. Decise di non opporre resistenza, e si lasciò andare. Da quando era arrivata al maniero, i suoi sogni erano sempre stati dolci e piacevoli.

Forse, nel sonno, avrebbe ritrovato un po' di serenità.

 

***

 

Rosalie sentiva il rumore dei propri passi affondare nella neve alta e bianca. Per fortuna il tempo si manteneva clemente, ma a giudicare dagli spessi nuvoloni grigiastri che stavano cominciando a coprire il cielo, presto avrebbe ripreso a nevicare. La ragazzina sperò solo che ciò non accadesse finché lei se ne stava ancora la foresta. Come poteva pensare la sua matrigna di trovare delle bacche in quel periodo dell'anno, questo rimaneva un mistero. Così come rimaneva un mistero il perché si fosse lasciata convincere ad andare nel bosco da quella megera.

Rosalie l'aveva fatto essenzialmente per suo padre. Lady Julia sarà stata anche una strega - perché su questo non c'erano dubbi, ormai -, ma la ragazzina ricordava bene tutto quello che aveva letto nei libri di favole, o i racconti meravigliosi che le narrava sua madre la sera per farla addormentare. Le streghe sono esperte di pozioni magiche, pensò. Lady Julia era una strega, quindi sapeva anche come curare suo padre.

Questa era una ben magra consolazione, a dire il vero. Rosalie non aveva mai provato troppa simpatia per la matrigna, ma ora che aveva scoperto il suo segreto l'avversione si era tramutata in vero e proprio terrore. Aveva cercato più volte, da quando era venuta a conoscenza della verità, di dire a qualcuno chi fosse veramente la nuova signora Kingston; ma Lady Julia l'aveva immediatamente chiusa a chiave in camera sua, e quel poco che la ragazzina era riuscita a dire non era servito a granché. Non appena aveva accennato qualcosa alla religiosa e superstiziosa Lydia, questa si era immediatamente fatta il segno della croce e le aveva imposto di non parlare mai più di simili cose che erano solo frutto di Satana; quanto ad Henry, beh, forse lui le avrebbe creduto, ma la ragazzina non era riuscita a dirgli niente. E, in ogni caso, suo fratello ultimamente era strano, distratto, sembrava quasi triste o in ansia per qualcosa, e faceva di tutto per trascorrere in casa il minor tempo possibile.

Era sola; al pensiero, a Rosalie venne voglia di mettersi a piangere. Aveva tredici anni, non sarebbe dovuto toccare a lei occuparsi di faccende da adulti, eppure era così. Era per questo che aveva accettato senza opporsi l'ordine di Lady Julia. Era sola e, ora che anche Catherine era morta - chissà quando e in che modo - doveva pensare lei a tutto; aveva già perso sua madre e sua sorella, non poteva permettere che ora anche il mercante l'abbandonasse. Quindi avrebbe trovato quelle bacche, si disse, cominciando a marciare nella neve con più decisione di prima. Avrebbe trovato quelle dannate bacche, anche se questo comportava fare il gioco di quella strega della sua matrigna, anche se si trattava di congelarsi in mezzo alla neve, non importava; avrebbe salvato suo padre.

Avanzò ancora per qualche minuto; la temperatura si era abbassata, lo sentiva. Aveva molto più freddo. Si sistemò il cappuccio sul capo e si strinse nella mantella rossa, mentre si sentiva scossa da brividi dovuti al gelo. Sentì uno strano rumore proveniente da di fronte a sé. Erano come dei colpi, dei colpi secchi sul legno. Dopo poco, un brusio affaticato di alcune voci.

Rosalie si avvicinò, fino a raggiungere la corteccia di una grande quercia. Rimase semi-nascosta, fissando una piccola radura innevata in cui tre taglialegna, avvolti in pesanti mantelli e cappotti di pelliccia, stavano spaccando alcuni tronchi di alberi abbattuti, legando poi i pezzi di legno insieme con delle robuste corde. Erano tre energumeni grandi e grossi, con delle spalle larghe e delle mani grandi e spesse avvolte in guanti da lavoro. Uno di loro, il più snello, era uno spilungone alto e allampanato, con una leggera barba scura e i capelli neri e arruffati; il secondo doveva avere all'incirca sui quarantacinque anni, aveva un po' di pancia e i capelli castano scuro folti e mossi, così come lo era la barba lunga che gli nascondeva completamente il mento e parte del collo; il terzo, invece, era giovane e robusto, sbarbato e con i capelli di un insolito castano rossiccio.

Il barbuto, d'un tratto, mentre era intento a legare assieme alcuni tronchi, si lasciò sfuggire di mano la corda, e il legno cadde nella neve rotolando.

- E fa' attenzione, Jones!- lo ammonì quello con i capelli rossicci.

- Scusa, non l'ho fatto apposta...- borbottò Jones, raccattando il legno da terra.

- Cerchiamo di muoverci...- fece l'altro per tutta risposta, con un'espressione corrucciata.- Non mi piace stare qui...

- E perché no, Vincent?- chiese lo spilungone, e Rosalie notò che aveva una luce furba e maliziosa negli occhi.

Vincent si voltò di scatto, guardandolo con aria truce.

- E' già abbastanza deprimente dover lavorare anche il giorno di Natale...- rispose, digrignando i denti.- Non voglio dover rimanere nella foresta più di quanto sia necessario. Non dopo quello che è successo...

Si girò di nuovo, tornando a lavorare, ma lo spilungone non aveva intenzione di dargli tregua. Anche Jones sollevò lo sguardo su di lui.

- Che c'è, Vincent, hai paura?- ghignò lo spilungone.

- Io non ho paura, io voglio solo evitare di finire come quel poveraccio di Whitaker e come tutti gli altri...- ringhiò Vincent, assestando un colpo secco e deciso con l'ascia al tronco dell'albero.- Avete sentito, no? Tutti quei morti...

- Sarà stato un cinghiale...o un branco di lupi...- fece Jones, grattandosi il capo con aria noncurante.

- Sì, cinghiali e lupi, come no!- sbottò Vincent, lasciando cadere l'ascia.- Quei disgraziati sono stati sbranati vivi! I cinghiali non hanno delle zanne così grosse, e i lupi non attaccano l'uomo se non sono affamati...Avete sentito quello che si dice in paese? Dicono che ci sia qualcosa nella foresta, un animale, una bestia, un mostro assetato di sangue...

- Che ti succede ora, Vincent, hai paura che il mostro cattivo ti mangi?- ghignò lo spilungone, piombandogli alle spalle e mimando il gesto di un animale feroce che si lancia sulla preda. Vincent lo allontanò con una gomitata.

- Non sto scherzando, ragazzi, e neanche tu dovresti farlo, Tyger!- ringhiò.- Ci sono già sei morti, avete capito? Senza contare poi quella povera ragazza...

- Ragazza? Che ragazza?- fece Jones.

- La figlia di quel mercante, quel Kingston.

Tyger lo guardò inarcando le folte sopracciglia nere, stupito.

- Che c'entra la figlia di Kingston, ora?

- Avete notato che ultimamente non la si è vista più in paese?

- E allora? Magari è malata...

- Dopo sei mesi? L'ultima volta che l'hanno vista era a cavallo, e si stava dirigendo verso la foresta.

- Ma...- provò a obiettare Tyger.- Ma se fosse stata uccisa, avrebbero trovato il corpo come quello di tutti gli altri, no?

- E chi lo sa! Magari quell'animale se l'è sbranata...

- Sì, sbranata!- ridacchiò Jones.- So io in che genere di animale si è imbattuta, quella...

Jones, ridendo, alzò gli occhi dal proprio lavoro, scorgendo un lembo di stoffa rossa che si nascondeva dietro la quercia. Il taglialegna scattò in piedi.

- Ehi! Chi va là?- urlò, al che anche Vincent e Tyger si voltarono in quella direzione.

Molto lentamente, Rosalie, rossa in viso, uscì dal suo nascondiglio.

- Oh!- fece Jones, imbarazzato, vedendo quella figurina esile in mezzo alla neve, vestita con una mantella del colore del sangue.- Ci hai spaventati, lo sai?

- Chiedo scusa - pigolò Rosalie.

- Che ci fai nella foresta? Da sola e il giorno di Natale, per giunta - disse Tyger.- Perché non sei a casa con la tua famiglia?

- Mi servono delle bacche. Sapete dove posso trovarne?- domandò Rosalie.

- Bacche?- ripeté Jones, stupefatto.- Mi spiace, ragazzina, ma non credo che ne troverai, con questa neve...Ti conviene provare quando il tempo sarà un po' migliorato.

- Ma mi servono con urgenza!- inistette Rosalie.

- Senti, piccola, è meglio se te ne torni a casa - disse Vincent.- Credimi, la foresta non è un posto adatto ad una bambina. Su, forza, torna a casa, tua madre sarà in pensiero...

Rosalie scosse il capo, sistemandosi meglio il cappuccio.

- Mi dispiace, ma proprio non posso. Grazie comunque - mormorò, riprendendo lentamente a camminare.

Superò i tre taglialegna, che si voltarono a guardarla, stupefatti e angosciati.

- E va bene...ma sta' attenta!- le gridò Vincent.

Rosalie non si voltò, e continuò a camminare, mentre alcuni fiocchi di neve avevano cominciato a cadere.

 

***

 

- Potrei chiedervi un favore?- sussurrò Henry, appoggiando i gomiti sul bancone e sporgendosi verso l'oste, facendo saettare lo sguardo intorno con aria guardinga.

- Dipende. Che tipo di favore?- fece l'oste, diffidente, asciugando un piatto con un vecchio straccio.

- Mi occorrono delle informazioni.

- Che genere di informazioni?

Henry inspirò profondamente, prima di parlare.

- Quell'uomo che è stato ucciso. Ho sentito dire che aveva giocato d'azzardo contro Lord William, giusto?

L'uomo non rispose, ma lo squadrò da capo a piedi.

- Perché volete saperlo?- biascicò poi, ritraendosi un poco senza smettere di strofinare.

- Sapete quale fosse stato l'esito della partita? Quell'uomo aveva perduto, per caso?- insistette Henry, ignorando la domanda.

- Capita a tutti di perdere una partita...- rispose l'oste, evasivo.

- Sì, ma non che qualcuno a seguito di questo venga ucciso. Se Lord William ha vinto, allora deve avere tratto anche dei benefici, dalla sua morte, dico bene?

Henry ricevette in risposta solo un categorico silenzio. Il giovane sospirò, ben sapendo che significava. Estrasse dalla tasca del mantello tre monete d'argento e le fece scivolare sul bancone. Aveva imparato abbastanza dalla vita per sapere che, a volte, il denaro valeva più di qualunque altra parola. Perfino più di un segreto.

L'oste gettò un'occhiata alle monete, quindi le afferrò svelto e le fece sparire nella tasca del grembiule.

- Sì, quell'uomo aveva perso. Ora che è morto, Lord William dovrebbe ereditare tutti i suoi possedimenti...

- E' successo lo stesso anche con quell'altro, Whitaker, vero?

- Sì, anche lui aveva perso la sua fortuna contro Lord William...

- E che mi dite del Marchese Van Tassel?

Di nuovo l'oste non rispose.

- Oh, andiamo! Voi siete il padrone, qui, sarete pur informato di quello che accade ai tavoli da gioco!- sbottò Henry.

Non ottenne risposta.

Sospirò nuovamente, stavolta più seccato, e fece cadere altre tre monete d'argento sul bancone. Se la situazione non fosse stata così difficile, Henry avrebbe quasi sorriso, a quel pensiero: Lord William, incastrato grazie al suo stesso denaro.

- Anche il Marchese aveva perduto contro Lord William, vero?- inistette.- E poi è stato ucciso, esattamente come tutti gli altri. E guarda caso, chi ha beneficiato di più di questa disgrazia è stato proprio Lord William...

- Ma, insomma, a voi che importa di tutto questo?- sbottò l'oste, con i sudori freddi.- Quegli uomini si erano fatti rovinare da Lord William, e poi sono morti, è vero. E allora? Si saranno persi nella foresta a seguito di una sbronza e quel mostro che si annida lì dentro se li è sbranati. Può essersi trattato di una casualità...

- Io credo poco nel caso, signore. Tanto più che sono certo che anche il Conte DeBourgh e gli altri due morti avevano dei debiti con Lord William, non è così?

- E se anche fosse?- boccheggiò l'oste.- Se anche fosse così? A voi che importerebbe?

Henry lo guardò per un lungo istante, quindi si decise a parlare.

- Voi che fareste?- mormorò.- Voi che fareste se sapeste di aver commesso un enorme sbaglio, e che vostra sorella, vostra moglie, o vostra figlia stessero per cadere per sempre nelle grinfie di un uomo che forse è un assassino? Voi che fareste, al mio posto?

- Io...

L'oste si bloccò non appena vide la porta spalancarsi, lasciando entrare Ralph e Glouster, i due scagnozzi di Lord William. L'uomo boccheggiò, infine si sporse verso Henry, così che le loro fronti quasi potevano toccarsi.

- Sentite - sussurrò, a voce così bassa che Henry dovette fare uno sforzo immane per riuscire ad udirlo.- State a sentire. Venite domattina qui, presto, e vi dirò quello che so. Nel frattempo, state attento, signor Kingston. Lord William non è un uomo con cui scherzare.

 

***

 

Un fiocco di neve bianca si posò dolcemente sul naso di Rosalie, la quale lo asciugò con la manica del vestito. Ora aveva ripreso a nevicare forte, e lei era ancora nel bel mezzo della foresta, senza aver trovato nulla. L'attraversò più volte il pensiero di tornare indietro, ma il ricordo di suo padre la spingeva a continuare.

D'un tratto, si fermò, rimanendo immobile al centro di una piccola radura. Alzò gli occhi al cielo, e vide che il sole stava per tramontare. Per quanto tempo aveva camminato? Aveva vagato nella foresta per quasi una giornata intera, senza sapere esattamente dove stesse andando, ed era sempre stata talmente assorta da non curarsi nemmeno di segnare la strada per la via del ritorno, come una perfetta sciocca.

Ora, non sapeva più nemmeno dove si trovava.

Sentì un fruscio alle sue spalle; si voltò, cominciando a respirare più forte, e il fiato le usciva dalla bocca in delle nuvolette di fumo. Vide le foglie di un cespuglio muoversi e indietreggiò istintivamente, ma poi vide che a causare quel fruscio era stato solo un innocuo scoiattolo, il quale sgattaiolò fuori e si allontanò di corsa. Rosalie tirò un sospiro di sollievo, ma subito dopo quel fruscio fu seguito da un altro, più forte e intenso, alle spalle della ragazzina. Si girò, nuovamente, ma non vide nessuno. D'un tratto, abbassò lo sguardo sul manto di neve che ricopriva l'erba e scorse delle impronte canine a pochi passi da lei. Udì dei ringhi sommessi.

La ragazzina iniziò a respirare più affannosamente, mentre il cuore accelerava i suoi battiti. Dal folto della foresta, in mezzo agli alberi dalle radici torte, emerse un branco di cani.

Rosalie indietreggiò, rischiando di incespicare nella neve, tenendo lo sguardo fisso sugli animali: la stavano guardando con aria famelica, due pitbull e tre bulldog le puntavano addosso i loro grugni schiacciati; un rottweiler si piegò sulle zampe anteriori, in posizione d'attacco. Ma quello che le faceva più paura era un grande doberman nero, che le ringhiava contro scoprendo i denti affilati da cui grondavano grumi di bava.

Aveva paura dei cani. Era una fobia che le era rimasta da quando, a tre anni, aveva tirato per gioco la coda del cane di un vicino di casa, e questo l'aveva morsa ad una mano. Poco importava, ora, che quelli avessero un collare; i loro musi cattivi e famelici la terrorizzaroni.

Il rottweiler annusò l'aria, quindi prese ad abbaiarle contro; il doberman scoprì ancora di più le zanne, ringhiando più forte. Rosalie si voltò nella direzione opposta, tentando di scappare, ma subito gli animali le furono addosso. Un bulldog le afferrò con i denti la mantella rossa, facendola cadere di schiena con un tonfo attutito dalla neve. Rosalie si girò, tentando disperatamente di liberarasi, ma il rottweiler le azzannò un lembo della gonna, strappandogliela fino a che l'orlo non fu completamente sbrindellato. La ragazzian gridò, cercando di divincolarsi, mentre anche gli altri cani le si gettarono addosso, strattonandole l'abito, mentre il bulldog continuava a tirare la mantella. Rosalie si dimenò disperatamente, lanciando un grido di dolore quando un pittbull le morse una caviglia, facendo penetrare i denti aguzzi attraverso lo stivaletto. Quando un altro cane le azzannò una mano, questa prese a sanguinare. Rosalie sentì le lacrime salirgli agli occhi; il doberman le fu sopra, pronto ad azzannarla alla gola. La ragazzina liberò le mani dalla presa degli animali appena in tempo per afferrare il collo del doberman, lottando contro le zanne affilate del cane per tenerlo lontano da sé. Nel tentativo di liberarsi, il doberman la colpì con una violenta zampata in viso, che le segnò dei tagli su una guancia, abbastanza lievi ma non tanto da non bruciare e sanguinare. E intanto gli altri cani continuavano a graffiarla e a morderla, lei si dimenava con disperazione senza riuscire a liberarsi, e il bulldog continuava a tirare la mantella. Rosalie si sentì mancare il fiato, la stava strangolando. Tentando ancora di tenere a bada il doberman, Rosalie portò si portò una mano alla gola, cominciando ad armeggiare con furia nel tentativo di slacciare i bottoni. Alla fine, la mantella si sfilò, rimanendo completamente inerme fra le zanne delle bestie, che la lacerarono senza pietà. Rosalie, libera dall'ingombro, inarcò di scatto la schiena, sferrano una ginocchiata nel ventre del doberman, allontanandolo da sé. La ragazzina allungò di scatto un braccio e afferrò un sasso poco distante da lei, colpendo ad un occhio l'animale, che guaì di dolore. Rosalie liberò gli abiti con uno strattone, alzandosi e iniziando a correre nella direzione opposta, incespicando nella neve bagnata, ferita, con gli abiti strappati e i capelli biondi scompigliati nel vento invernale. Le ferite delle zanne lasciarono cadere delle goccioline di sangue, delle macchioline rosse sulla neve immacolata.

I cani abbandonarono la mantella al suolo, e le furono immediatamente alle calcagna.

Rosalie corse con disperazione, rabbrividendo alle sferzate del vento gelido e della neve, sentendo i cani sempre più vicini. D'un tratto, presa dalla folle e disperata corsa, la ragazzina non si accorse che di fronte a sé il terreno entrava in pendenza. Rosalie si fermò appena in tempo sull'orlo di una ripida discesa, sulla quale spuntavano, in mezzo alla neve, arbusti, rovi e rocce affilate. Guardò in basso, ansimando, con gli occhi sgranati per il terrore, per poi voltarsi in direzione dei cani, ormai vicinissimi. La ragazzina indietreggiò sull'orlo della discesa.

Era finita.

Incespicò, alcuni pezzi di terra si staccarono. Gli stivali di Rosalie scivolarono, facendole perdere l'equilibrio. La ragazzina lanciò un grido, scivolando giù.

 

***

 

Un grido infantile riecheggiò nella radura.

Vincent alzò lo sguardo di scatto.

- Ehi, avete sentito?- mormorò.

Anche Jones e Tyger prestarono ascolto. Un altro grido, simile al primo, squarciò l'aria.

- Merda!- imprecò Vincent, afferrando l'ascia e iniziando a correre in direzione dell'urlo.- Lo sapevo! Lo sapevo che quella ragazzina si sarebbe cacciata nei guai! Su, muovetevi!

Jones e Tyger non esitarono, afferrarono le proprie accette e seguirono Vincent nel folto della foresta.

 

***

 

Rosalie continuava a cadere, rotolando giù per la discesa e urtando di tanto in tanto le rocce e i rovi. I cani la seguirono, affondando le unghie delle zampe nel terreno per tenersi in equilibrio. La ragazzina raggiunse la fine della discesa, scivolando lungo il terreno piatto per qualche metro, fino a fermarsi. Mugolò di dolore, stringendo i denti e portandosi una mano ad un fianco.

Alzò lo sguardo. Quei cagnacci erano a pochi metri da lei, che la fissavano, stranamente immobili. Soltanto il doberman mosse qualche passo nella sua direzione, cauto, ringhiandole contro. Rosalie si tirò su a sedere, scivolando sul nevischio. Teneva lo sguardo puntato sui cani: solo il doberman si stava avvicinando a lei, ma gli altri si mantenevano immobili nella posizione in cui erano prima. Perché se ne stavano fermi?

Lo capì non appena sentì uno scricchiolio sotto di sé. Abbassò lo sguardo verso le proprie gambe lievemente divaricate, e vide che in mezzo ad esse stava cominciando ad allargarsi una profonda crepa. Era caduta sul del ghiaccio!

Non terminò di pensarlo che lo scricchiolio si fece più forte, fino a divenire un vero e proprio rumore, il rumore di qualcosa che s'infrangeva. Il doberman barcollò sul posto, grattando con le unghie la lastra di ghiaccio che si spaccò sotto di loro. Rosalie lanciò un grido, vedendo aprirsi sotto di sé l'acqua gelida, dentro cui finì il doberman, che iniziò a guaiare e ad annaspare. Gli altri cani si voltarono, fuggendo via.

Il ghiaccio si ruppe in tante zolle; Rosalie si ritrovò su una di queste, ma era troppo scivolosa, e la ragazzina non riuscì a rimanervi sopra. Scivolò nell'acqua fino alla vita, rimanendo aggrappata al ghiaccio. Il doberman non aveva rinunciato alla sua caccia. Nuotò con le zampe fino a lei, alla quale si aggrappò, iniziando a strattonarle il colletto con i denti. Rosalie cercò di allontanarlo, ma entrambi finirono sott'acqua. Riemersero subito; la ragazzina, libera, si aggrappò nuovamente alla zolla di ghiaccio, mentre il cane nuotò fino a riva. Risalì la sponda del laghetto, si scrollò l'acqua dal pelo corto e ispido e se ne andò, lanciando un'ultima, feroce occhiata alla ragazzina.

Rosalie annaspò, aggrappandosi alla lastra conficcando le unghie nel ghiaccio fino a farle sanguinare, ma non servì. Il ghiaccio era troppo scivoloso, il peso del suo corpo la tirava in basso, e la zolla si ribaltò. La ragazzina andò a fondo.

L'impatto completo con l'acqua gelida fu terribile. Rosalie provò un dolore immenso, era come se centinaia e centinaia di spilloni la stessero trafiggendo in tutto il corpo. Tentò di risalire in superficie, ma non sapeva nuotare bene come Henry o Catherine, l'abito la impacciava, e il freddo era troppo intenso. Rosalie sentì il proprio corpo irrigidirsi, presto non riuscì più a muovere braccia e mani. Stava cominciando ad esaurire il fiato nei polmoni, aveva bisogno d'aria. Sentì che anche le gambe si stavano irrigidendo, e presto non fu più in grado di muovere neanche quelle. Stava andando sempre più a fondo, non riusciva più a respirare. Schiuse appena le labbra, da cui uscirono solo due o tre bollicine, mentre le palpebre si chiudevano. Ormai non avvertiva più nemmeno dolore, a malapena sentiva il freddo dell'acqua. Si arrese, lasciandosi andare al suo destino.

Non si rese conto che due mani lisce e morbide l'avevano afferrata da sotto le ascelle.

 

***

 

Vincent bloccò di colpo la sua corsa, mentre Tyger e Jones lo raggiungevano alle sue spalle. Il taglialegna ansimò, piegandosi sulle ginocchia.

Erano arrivati troppo tardi.

In mezzo alla foresta, sulla neve bianca, giacevano chiazze di sangue. Poco più in là, una mantella rossa sbrindellata.

I tre si avvicinarono. Jones emise un gemito, finendo in ginocchio. Tyger si voltò, chiudendo gli occhi e facendosi il segno della croce. Vincent si chinò, raccogliendo la mantella da terra. Se la rigirò fra le mani per diversi minuti, tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé.

Un'altra vittima, pensò.

Ormai ne era certo: le voci sulla foresta erano fondate. Lì dentro si annidava un mostro, un mostro crudele e famelico che si divertiva a sbranare gli esseri umani. Ora aveva colpito di nuovo.

E stavolta, aveva ucciso una bambina.

 

***

 

Peter se ne stava inginocchiato in mezzo alla neve, tenendo lo sguardo fisso su quella ragazzina. Doveva avere all'incirca la sua età, era bionda, ferita e con gli abiti strappati.

E mezza congelata.

Peter si tolse in fretta il suo vecchio mantello consunto, avvolgendo il corpo inerte di Rosalie. Era nel bosco, quando aveva visto il laghetto di ghiaccio inghiottire qualcosa, una figurina esile e minuta. Aveva cacciato le mani in acqua e aveva ripescato quella ragazzina, che ora giaceva svenuta al suo fianco, sulla neve, con il visetto pallido e le labbra violacee. Doveva fare qualcosa, e alla svelta, altrimenti sarebbe morta asiderata. Peter si grattò il capo, indeciso sul da farsi. L'unica soluzione possibile sarebbe stata...Ma no! No, il padrone lo avrebbe scuoiato vivo, e poi ricordava fin troppo bene il disastro che era successo l'ultima volta. Senza contare che sua madre lo avrebbe riempito di scapaccioni.

Doveva sbrigarsi a prendere una decisione, comunque. Anche se ormai l'aveva già praticamente presa...

Sospirò, prendendo Rosalie sulle spalle. Strinse in denti per la fatica.

Buon cielo, quella ragazzina pesava come un macigno!

Si avviò arrancando e ansimando in direzione del castello, con Rosalie sulle spalle e la consapevolezza che, se non l'avesse fatto il padrone, allora ci avrebbe pensato sua madre ad ammazzarlo.

 

Angolo Autrice: Hello everyone! I'm back! Vi sono mancata? No? Beh, è comprensibile...:). Dunque, dunque, so di essere in anticipo pauroso da quanto avevo stabilito, ma siccome ora sono finalmente libera da quella spada di Damocle che mi pendeva sulla testa, alias il famigerato esame di maturità (ecco la causa di forza maggiore a cui avevo accennato :), non vedevo perché ritardare ulteriormente...Ho visto che coloro che avevano inserito la storia fra le seguite, le ricordate e le preferite non si sonon defilati, quindi sono contenta di ritrovarvi ancora tutti qui! Bene, ho superato migliaia di avversità prima di pubblicare questo capitolo, vale a dire prove scritte e orali di ogni genere, stress, crisi di panico da notte prima degli esami, l'inspiegabile e dolorosa dipartita del mio computer che mi ha obbligato a utilizzare quello di mio fratello (il quale ha fatto un aggiornamento l'ultima volta quando dalla finestra si sono visti passare Garibaldi con tutta la spedizione dei Mille, quindi mi scuso in anticipo se il testo presenterà eventuali anomalie)...quindi, spero di non aver partorito un mezzo disastro! XD.

Spero che in questo capitolo un'eventuale opinione positiva che vi eravate fatti di Cathy non sia cambiata irreversibilmente...esigenze di scena, mettiamola così! Dunque, Rosalie è (quasi) viva, ammetto di averla strapazzata parecchio, ma ora Peter la porterà al maniero di Adrian...cosa succederà? Come reagirà la piccola Rosalie quando saprà che Catherine è viva, e quando incontrerà il padrone di casa? Come reagirà invece Cathy, quando scoprirà cos'è successo in casa sua? E ancora, Henry è sempre più vicino a scoprire la verità, ma riuscirà a sistemare le cose o il nostro superman de noantri combinerà un altro dei suoi casini? E, dopo il rifiuto di Cathy, come saranno i rapporti fra lei e il mostro?

Tutto questo lo scopriremo nel prossimo capitolo! A questo proposito, ora gli aggiornamenti riprenderanno il solito andamento, vale a dire una volta a settimana, anche se forse - ma non garantisco niente - ci sarà più di un aggiornamento a settimana, visto e considerato che è estate...Comunque, su quest'ultimo punto, niente di sicuro...

Bene, non mi resta che ringraziare tutte quelle anime pie che hanno avuto la pazienza di continuare a seguirmi, in particolare un grazie a MichiamoMartina, a castilla e a May Des per aver aggiunto questa storia alle seguite, a Black Fairy per aver aggiunto la ff alle preferite e per la sua recensione, a Flaren, hanon993 per averla aggiunta alle preferite, a Martychan97 per averla aggiunta alle preferite e alle seguite, e a _wizard_, Nimel17 e a Ellyra per aver recensito.

Un grazie a tutti!

Ciao, al prossimo capitolo!

Bacio,

Dora93

  
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