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Autore: purepura    04/07/2012    1 recensioni
Sono passati anni. Kyle, come sappiamo, è in giro per il mondo, in compagnia temporanea di Declan*, ad aiutare. Josh e Andy sono lontani, al college per studiare, mentre Lori è tornata in città, a Seattle, per seguire le orme della madre, studiando psicologia. Kyle ha lasciato Amanda. Non volendola esporre a inutili pericoli, continuava a mentirle, finché si è reso conto che non avrebbe più potuto proseguire (la produzione aveva detto che sarebbe stato solo, sentimentalmente, e così è). Decide di lasciarla in un giorno di sole. Poco tempo dopo parte. Resta solo per un po’, venendo in seguito raggiunto da Declan.
Ma Jessi?
Prendetela come un esperimento. Un esperimento molto fantasioso…
*Alcune delle informazioni sono basate su un’intervista fatta ai produttori. Altre le ho aggiunte io (come quella per la quale Declan lo accompagna nei suoi viaggi).
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessi XX
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la seconda morte
02 - Dopo troppo tempo



Per il mese prima di un addio…



    Lasciare un messaggio sulla segreteria telefonica dei Trager non fu così facile. Dovevo stare attenta a ciò che dicevo. Dissi che l’università presso la quale lavoravo aveva richiesto dei volontari per una partenza lampo, in Europa. Dissi che sarei stata molto impegnata, una volta là, e che, se non mi fossi fatta sentire molto, non si sarebbero dovuti preoccupare, presa come sarei stata sicuramente dal lavoro.
    Mandai un messaggio a Declan, prima di salire sull’aereo. Mi aveva dato un numero da poter contattare. Dissi semplicemente che stavo per arrivare. Da lì a qualche ora sarei atterrata, dopo vari scali, poi avrei dovuto raggiungerli nel microscopico villaggio che mi aveva descritto. Avevo diverse cartine, ma quel villaggio non c’era da nessuna parte. Sospettavo, a torto o a ragione, logicamente o illogicamente allora non me lo chiesi, che nessuno si desse la briga di aggiornare le cartine geografiche solo per infilarci uno sconosciuto villaggio di uno stato asiatico.
    Mi sarei posta il problema una volta atterrata a Riyad.
    Ottawa, in tanto, mi sarebbe mancata. Esattamente come mi era mancata Seattle anni prima.
    Sarei tornata presto, mi sforzai di convincermi. Sarebbe stata una cosa banale, un patetico raffreddore che quegli incompetenti non erano riusciti a riconoscere. Ma perché chiamare Foss? Non avevano istruito Declan proprio per evitare che Foss dovesse correre sempre dovunque?
    Scossi la testa e guardai fuori dal finestrino. Il sole stava per tramontare quando affrontai il primo scalo, da qualche parte in Russia. Poi ci fu una seconda tappa e finalmente arrivai a Riyad. Qui era mattino inoltrato.
    Essendo febbraio, non faceva particolarmente caldo. Non c’erano più di venti gradi.
    Il villaggio distava chilometri, m’informai, così noleggiai un’auto e un autista, col quale mi allontanai dalla capitale, prima di congedarlo e proseguire da sola. Molti parlavano inglese, a parte il loro dialetto najdi.
    La vecchia jeep, che in seguito avrei definitivamente acquistato, raggiunse il villaggio in cinque ore. Declan non aveva risposto al mio messaggio; così, poco prima che arrivassi, chiamai.
    «Avresti dovuto informarti. Declan sta iniziando a mentire spesso». La sua voce era stanca, fioca. Non aveva risposto subito, e non vi era alcuna allegra intonazione nel suo timbro.
    In una frazione di secondo, nella quale rischiai anche di sbandare, mi passarono per la mente parecchi pensieri. Perciò risposi quasi immediatamente, mentre un inspiegabile senso di paura e sollievo mi pervadeva lo stomaco.
    «Non ha mentito. Io non gliel’ho domandato. Davo per scontato che il cellulare fosse il suo».
    Che bella fregatura! Mi rifiutavo da anni di parlare con lui ed ecco che Declan attuava uno stratagemma di questo genere. Certo, se mi stavo recando da lui, avevo anche messo in conto di parlargli, però non così presto. Non ero pronta alla sua voce nel telefono.
    Mi aveva dato quel numero ben sapendo di chi fosse, quello stronzo. Aveva eclissato l’informazione. Però non aveva mentito sulla malattia di Kyle. Lo sentivo dalla sua voce, dal suo respiro. E no, non si trattava di un raffreddore.
    «Dove sei?» Non pronunciò il mio nome.
    «Vicino. Sto arrivando».
    «Torna indietro». Un ordine. Che fine aveva fatto Kyle? Chi era quest’uomo, mi domandai, che mi parlava come fossi un oggetto, un pacco postale indesiderato che si sarebbe potuto rimandare indietro?
    Questa volta restai zitta più a lungo, cercando di smaltire la rabbia. «Non sei stato tu a dirgli di chiamarci?»
    «Io ho fatto chiamare Foss».
    Traduzione: non ti voglio qui. Ma allora perché Declan mi aveva avvertito?
    La stizza aumentò. Negli anni avevo imparato a sopprimere molte emozioni, per riuscire a sopravvivere, ma sentirmi buttare addosso, senza il minimo tatto, un’informazione del genere, ebbe il potere di risvegliare vecchie sensazioni che pensavo di aver domato.
    Accelerai. Ero stufa di non capirci nulla.
    «Sono quasi arrivata», ripetei. «Non mi costa nulla proseguire. Se non altro, posso picchiare Declan». Posso rivedere te.
    «Non serve che tu venga». Un altro ordine.
    «Foss invece ti serve, ovvio».
    «È qui per un determinato motivo. Tu non avresti motivi».
    Esitai. «Mi è stato detto che stai male».
    «Questo non è un motivo valido».
    «No? Neanche per il fatto che lo so? Non ho chiesto io a Declan di riferirmelo».
    «Nemmeno io ho detto a Declan di avvertirti».
    «Bene». Scocciata, arrivai a destinazione. Case di mattoni e baracche si susseguivano a intervalli regolari. «Come ti pare. Sono arrivata, sono già scesa e non me ne andrò finché non avrò capito cosa sta succedendo».
    Inoltrandomi nella città a passo svelto, notai immediatamente che non vi erano molti abitanti. Macchine e animali si alternavano allegri per le strade. Riagganciai senza dargli il tempo di dire nient’altro, e dopo poco fu proprio Foss che mi venne incontro, a passo svelto, da una stradina laterale. Nessun altro sembrava avermi notato.
    Foss pareva infuriato, oltre che agitato. «Che cosa fai qui? Declan mi sente non appena arriva!»
    «Dov’è?» Nessuno che si fosse preso la briga di dirmi ‘Ciao’.
    «A dirigere con altri quello che Kyle stava facendo. Kyle non vuole che tu entri».
    «È contagiosa, questa cosa?»
    «Non lo sappiamo». Mentre parlava, lo sorpassai. Avevo udito il cuore di Kyle. Era vicinissimo. «Mi hai sentito, Jessi? Non ti farò entrare».
    Mi afferrò un polso, ma si ritrovò con la schiena a terra pochissimi istanti dopo.
    Non avevo percorso tutta quella strada per farmi fermare da uno come Foss. Non avevo fatto tutta quella strada per farmi fermare da nessuno.
    Non credo si aspettasse di vedermi: forse pensava che Foss sarebbe riuscito a dissuadermi dall’entrare. Questa era la prova del fatto che non mi aveva mai davvero conosciuto. Adesso ricordo della sua sorpresa e non ci badai allora perché ero concentrata sul suo viso. Non mi ero resa conto che il suo battito era accelerato né, in effetti, che aveva fatto parecchi passi indietro. Vidi, in quel momento, il suo volto pallidissimo. Gli occhi sembravano luminosissimi. I capelli e la barba scuri, forse più lunghi di come li ricordassi.
    Mi squadrò, gli occhi all’erta, in piedi dall’altra parte della stanza. Lo guardai. La porta non si chiuse dietro di me, perché Foss entrò infuriato, pronto a trascinarmi fuori con la forza. L’avrei picchiato forte se ci avesse riprovato.
    «Ehi, ragazzina! Non sei la sola che ha fatto un lungo viaggio. E comunque non servi a nessuno. Declan ha fatto come al solito di testa sua».
    «Foss». Kyle lo ammonì, con un tono basso ma incontrovertibile. Temeva forse che potesse essere maleducato?
    «Che cosa c’è! Nemmeno tu la volevi qui, quando l’hai saputo; non far finta di niente, ora».
    «Perché Declan mi ha chiamata?» Se lui voleva che me ne andassi, doveva prima spiegarmi.
    «Questi non sono affari tuoi. Non avresti dovuto saperlo, ragazza. Ora lo verranno a sapere anche i Trager, si precipiteranno qui e succederà il finimondo».
    «A loro ho mentito, non sanno che sono qui. Ma perché mi ha chiamata, se davvero non servo?»
    «Avrà creduto che tu potessi aiutarmi», mi rispose, in tono quasi divertito.
    Ti stai prendendo gioco di me?
    Non mi guardava. Tendeva lo sguardo di lato, guardando fuori da una finestra. Mi sembrò dimagrito, ma forse era solo la suggestione di quel momento. Non ero ancora riuscita a decifrare nulla di quello che poteva provare. Come se uno scudo lo stesse avvolgendo, allontanandolo. Un tempo ogni cosa mi era chiara.
    «Ma non è così», proseguì. «Vattene via».
    Era la terza volta che me lo ordinava, quel giorno. Un tempo, se gli fossi stata sgradita, la mia realtà si sarebbe frantumata, lasciandomi senza fiato. Lui era l’unica cosa che la teneva in piedi, tempo prima. In quel momento, invece, feci un passo avanti. Doveva esserci un motivo.
    «Non posso andarmene sapendoti in difficoltà». Avvertii l’esigenza di avvicinarmi, di toccarlo e osservarlo. Non avevo dimenticato di quanto fosse bello, ma quei pochi secondi prima dell’entrata di Foss non erano bastati. Il suo sguardo era subito sfuggito, andando oltre, sorpassando la mia figura come se non fosse nulla di particolare. Come se per lui non fossero passati cinque anni. «Permettimi di fare qualcosa. Se Declan mi ha chiamata…».
    «Non avrebbe dovuto farlo!» Foss alzò la voce all’improvviso. Mi si avvicinò, sovrastandomi.
    «Foss». Di nuovo quel tono d’avvertimento. Non capii il senso di quel gioco, ma decisi che sarei stata io a porvi fine.
    «Rilassati», sospirai, esasperata. «Parli come se la mia presenza possa creare danni a qualcuno. Foss, girami alla larga. Aspetterò Declan qui fuori: mi sembra l’unico intenzionato a rispondere alle mie domande. Non dovrete sorbirvi la mia presenza. Non appena avrò capito che cosa sta succedendo, se davvero non posso fare nulla, allora me ne andrò».
    In quel momento avvertii il suo sguardo su di me. Era sorpreso, lo vidi nei pochi istanti che precedettero la mia uscita da quella stanza.
    Ero arrivata lì da pochissimi minuti, e già mi ero irritata. In ogni caso, avevo imparato in quegli anni che discutere non portava mai a nulla. L’ultima volta che avevo discusso, gridando e piangendo, era stato il giorno in cui mi aveva lasciato. Non vedeva alcun futuro, diceva. Qualche giorno dopo, aprendo la porta ad Amanda, mi aveva inconsapevolmente – o almeno sembrava essere tale – indotta ad andare via. Mi aveva vista attraversare l’ingresso, carica di borse. Non mi aveva fermata.
    La porta si aprì di nuovo, dopo poco tempo.
    Mi si sedette a fianco, sul gradino impolverato dell’ingresso, come fossimo ancora a casa Trager e cercassi conforto perché Sarah non si era presentata.
    «Tornatene dentro. Qui è pieno di sporcizia».
    «Jessi…».
    «Me ne andrò quando avrò saputo da qualcuno la verità», rimarcai in tono aggressivo.
    «Io non ti ho mentito».
    «Ma nemmeno mi hai risposto. Si può sapere che cos’hai? Declan non ha voluto dilungarsi».
    «È sempre tanto impegnato, da quando… Non avrà avuto molto tempo».
    «Da quanto tempo stai male?»
    «Non da ieri, ecco».
    «E questo che significa? Che risposta è?»
    Lui che evitava di rispondere alle domande? Che divagava?
    «Da quanto tempo sei ridotto così?»
    «Da un po’. Solo che speravo passasse. Ma devi andartene. Se è contagiosa…».
    «Foss ha detto che non lo sapete. Non sapete nemmeno che malattia sia. Non preoccuparti per me. Kyle, ma che cosa stai facendo, qui? L’ultima volta ti sapevo in Africa».
    «Mi spostavo velocemente. Non rimanevo molto nello stesso posto».
    «Da quanto sei qui?»
    «Più di un anno. Ho iniziato a sentirmi male solo negli ultimi mesi, però. Come ti ho detto…».
    «Speravi ti passasse. Ma perché hai chiamato Foss?»
    «Declan era inquieto. Non accettava l’idea di lasciarmi qui da solo, mentre andava a occuparsi di quel che stiamo facendo – non potevo permettere, vedi, che rimanesse incompiuto. Gliel’ho proposto io. Appena, questa notte, è arrivato Foss, lui è partito. Dovrebbe tornare, però. Presto».
    Guardò alla sua sinistra, verso una lunga strada che sfociava in aperta campagna, come se si aspettasse di trovarlo lì, pronto a fornire le spiegazioni che ero certa entrambi stessimo aspettando.
    Io guardai lui. Non sembrava malato. Se non avessi saputo che qualcosa non andava, mi sarei meravigliata nel vederlo tranquillo, seduto sui gradini di una casa di mattoni.
    «L’ultima volta che ti ho parlato», mi disse, «ti avevo proposto di seguirmi, ricordi? E ora basta che Declan ti parli due minuti, che tu prendi il primo aereo e corri qui». Sorrise. Sdrammatizzava. Non funzionò.
    «L’ultima volta stavi bene, più che bene. E inoltre, come hai detto, mi chiamasti tu. Ero ancora piuttosto arrabbiata».
    Restò in silenzio, allontanando ancora di più lo sguardo. L’allusione al passato doveva averlo momentaneamente zittito. Mi domandai dove si stesse rifugiando con la mente, per rimanere così controllato.
    «Se è contagiosa, però», mi venne in mente all’improvviso, «anche Foss potrebbe ammalarsi».
    «Nessun altro di quelli che sono qui se ne è ammalato. E sono un bravo medico, Jessi. Sono sicuro che non possa colpire loro».
    «Quindi è solo per questo che vuoi che me ne vada?» Il sollievo nella mia voce non si percepì per miracolo. Era troppo concentrato sulla reazione successiva, probabilmente, per notare la mia felicità. Pensavo di essere sgradita per un qualche oscuro segreto, e invece la ragione era la mia incolumità.
    Sarei potuta morire milioni di volte, per lui.
    «Solo, sì». Spazientito, si alzò. Lo osservai camminare avanti e indietro. Mi chiesi, per la centesima volta, che malattia potesse avere. «Se ti ammali, Jessi…».
    «Sarà solo e soltanto colpa mia. Tu me l’hai detto, no? Ancor prima che mettessi piede qui. Se è per questo che non mi vuoi, Kyle, resta pure tranquillo. Ora sto decidendo io, consapevole di ogni rischio».
    Ancora una volta, il suo sguardo guizzò su di me, sorpreso.
    «Ma che cosa è successo alla ragazzina impulsiva che non si faceva problemi?»
    «E al ragazzo tanto gentile, che non imponeva mai una scelta a nessuno? Non avresti voluto che me ne andassi, tempo fa».
    Sì, tempo fa. Quando facevamo l’amore e l’unica cosa che t’importava era vedermi ridere.
    «Jessi, se pensi che potrei perdonarmi se tu…».
    «Non penso. Non ti sto chiedendo nulla. Sono venuta perché mi è stato detto che non stavi bene. Se tu pensi che potrei tornarmene a casa tranquilla, dimenticando questa storia, aspettando la chiamata di Declan che mi annuncia che sei morto o in fin di vita, ti sbagli di grosso!» Mi alzai, avvicinandomi. Immediatamente, il mio corpo reagì, e il calore fu quasi insopportabile. Il mio leggero vestito bianco sembrò prendere fuoco. «Tu non mi hai mai conosciuta davvero. Se mi conoscessi, non mi chiederesti mai una cosa simile».
    I nostri volti si erano fatti vicinissimi. I suoi occhi sgranati mi fissavano. Il suo respiro mi riempiva le narici. Sentii odore di morfina.
    Le tue labbra hanno toccato quelle di un’altra. Forse conservano ancora il suo sapore.
    Schiarendomi la voce, mi allontanai. Mi ritrovai poggiata al muro, le mani dietro la schiena. Ero stata in procinto di sfiorarlo. Non sarebbe dovuto succedere più.
    «Perciò», conclusi, «non insistere, ti prego».
    Era stato fermo. Nessun muscolo si era mosso, nemmeno quando, di scatto, mi ero allontanata. Come se non fosse davvero lì, davanti a me, che mi fissava. Forse era con lei, con la mente ai loro baci, mentre ero intenta a fare i bagagli.
    «Kyle, va tutto bene?»
    Foss spuntò da dietro le mie spalle. Sobbalzai. Così concentrata su di lui, non avevo sentito Foss avvicinarsi.
    «Sì, certo». Mi fissò. «Come preferisci, Jessi».
    E quest’altra che risposta era? Lo guardai sorpassarmi e ritirarsi in casa, seguito da Foss. Quest’ultimo mi lanciò una lunga occhiata, prima di seguirlo. Non gli badai. Forse l’avevo convinto a farsi aiutare.
    O forse l’avevo spiazzato.















Salve!
Scusate per l’attesa, ma ho dovuto diplomarmi e, ora che tutto è finito, quasi non riesco a rendermene conto. Niente più liceo! Yuppppi!!!! :)
Ritornando seri, avevo alcune cose da dirvi.
Il fuso orario e il percorso fatto da Jessi per raggiungere l’Arabia dovrebbero essere veritieri. Se non è così, se non si passa dalla Russia quando si parte dal Canada, date la colpa a mio padre, che è un atlante vivente ed era sicuro della sua risposta. Io ho guardato anche le cartine, o almeno ho cercato di leggerle, ma non avendo mai amato la geografia ed essendo ipovedente nono ho mai imparato a leggere una carta geografica… Non ditelo in giro, non è un mio vanto! :)
Inoltre tutte le notizie riguardanti l’Arabia sono state prese dall’Enciclopedia Libera, incolpate lei se ho per caso scritto delle eresie, mentre quelle riguardanti il villaggio in cui si reca Jessi sono inventate, infatti per ora credo che non inserirò nemmeno il nome del villaggio per evitare complicazioni. Inoltre, perché lo sento come un dovere, vi dico che: non so se in Arabia Saudita ci siano ancora paesi in difficoltà. Facciamo di sì, e speriamo di no. Spero, descrivendo ciò, di non offendere la sensibilità di nessuno, saudita o meno. È tutto frutto della mia immaginazione.
Quando poi Jessi ricorda il giorno in cui Kyle la lasciò, devo dirvi che questo fatto non è mai avvenuto, ma è stato preannunciato dagli autori, che avevano detto che avrebbe lasciato Jessi dopo un certo periodo nel quale sarebbero stati insieme e poi avrebbe proseguito la relazione con Amanda, finché non sarebbe finita anche quella e Kyle fosse partito per rendere il mondo un posto migliore. Ho solo inventato come e perché la relazione sarebbe potuta finire.
Direi che le note sono finite. Prometto che le cose saranno un poco più chiare via via che si procederà, per ora ringrazio chiunque sia arrivato sin qui e chachot per aver aggiunto la storia tra le Seguite.
Arrivederci a presto, dunque! ^_^
  
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