Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
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Autore: thankyousheeran    04/07/2012    1 recensioni
Sue Ellen è innamorata del suo idolo.
Si sente stupida, e forse lo è, a diciannove anni non ha mai baciato un ragazzo. Quando aveva dieci anni le hanno asportato un tumore al cervello, da allora non ha mai più visto l'ombra di una scuola se non quella di un insegnante privato.
Ha poche amiche, ma buone.
Nove anni dopo l'operazione, Sue, riceve una terribile notizia.
E quando la morte incombe, quello che vorresti è la persona che ami.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Londra vista da una finestra era incredibile, una delle città più belle che io avessi mai visto.
Per quanta ne avessi vista però.
Ero stata ricoverata lì perché gli ospedali, a parere dei miei genitori, sono migliori.
Le mie amiche studiano qui, le uniche che ho e quindi posso stare vicina anche a loro.
È quasi un anno che io e la mia famiglia viviamo qui e non ho visto praticamente niente,
passo le mie giornate chiusa in ospedale a fare i cicli della chemio o chiusa in casa perché potrei stare male ogni momento.
A diciannove anni è davvero una tortura tutto ciò, tutti mi dicono che dovrò morire ma non mi pare che io stia vivendo.
Il mio dottore è un tipo gentile, sempre aperto e sorridente, è anche un bell’uomo e quindi sto bene con lui dato che non vedo molto ragazzi.
Con lui mi apro facilmente, gli parlo di tutto, sa quanto sia importante per me la musica e per il mio compleanno mi ha regalato una chitarra, la sua vecchia chitarra.
Non ho mai imparato a suonarla, ma un giorno lo farò.
Ricordo la prima volta che ho sentito una canzone di Ed Sheeran, stavo per fare i primi esami e avevo paura.
Il dottore mi ha prestato il suo ipod e mi ha permesso di tenerlo mentre ero addormentata,
diceva che anche sotto anestesia io sarei riuscita a sentire la musica, ed era così.
La prima canzone era ‘Small Bump’ e fu così che m’innamorai di quel cantante con i capelli rossi.
Quando rientrai nella mia stanza, avevo finito la risonanza, entrai in bagno e mi cambiai con i miei vestiti.
Mi legai i capelli in una coda disordinata,
il solo pensiero che sarebbero andati via tra non molto mi uccideva e così fingevo che legandoli li avrei tenuti incollati,
mi infilai una felpa e un paio di jeans.
-Mamma, io scendo al bar.- Dissi a mia madre, che stava per prendere l’ascensore per andare a casa.
-D’accordo, ma non stare troppo fuori okay?- era troppo preoccupata per me e mi dava fastidio doverla prendere in giro e fingere che io stessi bene.
-Tra poco vengono Chelsea e le altre a farmi compagnia, mi prendo un succo di frutta e torno in camera, tranquilla.
-Non fate casino, ricorda che siete in un ospedale!- Mi stampa un bacio sulla fronte e io arriccio il naso uscendo dall’ascensore.
Anche stare in un bar mi infastidisce, non c’è nessuno che ti sorrida, nessuno che ti conforti.
La ragazza che lavora dietro il bancone mi fissa per qualche secondo e poi mi passa un succo di frutta alla pera, quello che prendo di solito.
Ritorno verso l’uscita e decido di salire in camera a piedi.
Quando giro per i corridoi mi rendo conto che ci sono persone che soffrono più di me,
che hanno malattie più gravi e poi ci sono quelli che si fanno un taglio al dito e credono di essere ‘malati terminali’ o ‘reduci di guerra’.
Passo davanti alla “scuola” per i bambini e lì una tristezza infinita mi invade. Mi fermo davanti alla porta.
I bambini ridono, giocano e scherzano, è l’unica parte colorata dell’ospedale, ma è quella che infonde più tristezza di tutte.
Sapere che quei bambini sono incurabili mi uccide.
Con grande stupore vedo che le mie amiche sono davanti alla porta della mia stanza, che è socchiusa.
Chelsea mi abbraccia, e di seguito anche le altre.
-Dovresti entrare, c’è qualcuno che vuole… parlarti.-
Non mi convince.
Tutti quelli che vogliono parlarmi sono gli infermieri, i dottori e la vecchietta della stanza accanto che mi chiede di portarle l’acqua.
“Sei sicura di stare male?” mi chiede ogni tanto. “Perché sei sempre così allegra e sorridente.”
“Ho il cancro signora, ma si nasce per morire non è così?”
comunque non vedevo proprio chi potesse essere.
Quando entro in camera il mio dottore è lì, sta parlando con due persone, una è seduta e non riesco a scorgerla, vedo solo i suoi pantaloni e il braccio tatuato.
Nell’altra riconosco Stuart Camp, il menager di Ed Sheeran.
Mi copro la bocca con una mano e con l’altro braccio mi stringo i fianchi, non respiro, non è vero.
  
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