Sono finalmente in vacanza.
SONO FINALMENTE IN VACANZA.
Quindi, miei buoni lettori e mie care
lettrici, avrò più tempo e più testa per portare a termine questa storia -
prima che parta sei mesi in Svezia a metà agosto. XD
Non ho ancora fatto bene i calcoli, ma
non credo che supererò i 15 capitoli, vista anche la lunghezza di ogni
capitolo.
(A proposito, questo è decisamente lungo. Pardon!)
Vorrei, però, ringraziarvi di cuore per
il supporto che mi state dando. Significa tanto per me.
Soprattutto grazie a Johnny Nicotine,
perché mai nella mia vita di scribacchina qualcuno ha avuto la voglia e
l'ispirazione di disegnare uno dei miei personaggi. È stato qualcosa di così
inaspettato e piacevole che mi ha commossa!
Quindi... GRAZIE, di cuore a tutti.
Buona lettura e buon fine settimana,
Marta.
Betulla
11.
16 Marzo 3019 T. E. - prima dell'alba.
Boromir era stato via per quasi
l'intera notte, accanto al fratello febbricitante. Solo quando aveva avuto la
certezza che Faramir sarebbe sopravvissuto, tornato dall'ombra grazie al
richiamo e alle parole del suo Re, poté concedersi un po' di meritato riposo,
mentale e fisico. Tornò all'accampamento che era quasi l'alba, con Aragorn e i
gemelli di Elrond, silenziosi e tristi, nonostante la caduta del Signore dei
Nazgûl. Ah, quante nobili vite erano state spezzate quel giorno per raggiungere
solo una punta di sollievo!
Ripensò al racconto di Pipino e della
follia di suo padre, che non aveva visto più la speranza in quel caos di fuoco
e sangue; gli era giunta voce di aver perduto anche il suo primogenito e si era
dato alle fiamme, rischiando di trascinare nella sua pazzia anche Faramir. Non
riusciva a capacitarsi di quanto fosse accaduto, che suo padre, Denethor, non
calpestasse più quella stessa terra che invece lui attraversava sulle sue gambe,
né il fatto che non potesse rendergli l'onore meritato piangendo su un corpo
ormai ridotto in cenere. Il braccio di Mordor era assai più lungo di quanto
nessuno di loro immaginava, dato che era riuscito ad ingannare la mente di un
Uomo accorto e sveglio come suo padre e a portare l'oscurità anche tra i cuori
dei cittadini di Minas Tirith.
E ora lui era il nuovo Sovrintendente,
in attesa della fine della guerra, in attesa di una decisione di Aragorn, che
aveva preferito accamparsi fuori le mura della Città Bianca piuttosto che
portare altro sgomento ad un popolo già sconcertato.
Raggiunsero le tende sui Campi ancora
fumanti e maleodoranti, per riposare finalmente le loro stanche membra. Ma
Boromir non aveva ancora intenzione di stendersi; almeno, non prima di aver
cercato qualcuno. La vide seduta su una sporgenza rocciosa, le gambe strette
contro il petto e lo sguardo cieco di chi non osservava realmente ciò che la
circondava. Anche al buio vide la candida fascia che le avvolgeva la spalla
lussata dalla caduta da cavallo. Fece per avvicinarla, ma la mano risoluta di
qualcuno lo fermò prima che potesse muoversi. Boromir si voltò ed incontrò gli
occhi chiari di un Ramingo avvolto nel consueto mantello grigio.
«Fossi in te non lo farei.» lo ammonì,
lanciando un'occhiata preoccupata alla donna. «Quando morì suo padre non parlò
per settimane intere e mangiò ancora meno.»
Bastò solo un rapido sguardo alla mano
che lo fermava per un braccio, affinché Elegost il Dúnedain, lo lasciasse andare.
«E immagino che sia giusto lasciarla cadere nello sconforto in completa
solitudine?»
Il Ramingo strinse le labbra, portando
istintivamente una mano all'elsa della spada, pendente sul fianco sinistro. «Dico
che ho tentato di rincuorarla, mentre Aragorn era via quest'oggi, ma niente è
servito a smuoverla da quella roccia.»
«Allora lascia che perda il mio tempo e
la mia voce con una persona che preferisce tacere per il dolore, e che ha a sua
volta perso il suo tempo e la sua voce per me, quando più ne necessitavo.»
replicò Boromir, non riuscendo a nascondere una lieve punta di orgoglio.
Elegost fece un passo indietro, colpito
da quel tono autorevole e dalla medesima preoccupazione che gli leggeva negli
occhi. «Tu sei Boromir.» Non era una domanda, ma quasi un'osservazione di resa,
come se quel giovane Ramingo capisse il significato di quel nome e si tirasse
indietro davanti all'evidenza dei fatti. Era lui, dunque, il motivo per cui
Brethil aveva lasciato la Grigia Compagnia e il suo capo più autorevole.
Il Capitano della Torre Bianca annuì.
«Sei un suo amico?»
«Il mio nome è Elegost, signore, e
conosco Brethil da quando eravamo bambini. Ma forse ha più bisogno di Aragorn,
o di te, che di me.»
L'espressione dura di Boromir parve
addolcirsi. «In momenti come questi ognuno deve dare il suo contributo. Anche
se tenterà di allontanarvi, in futuro capirà quanto fondamentale sia stata la
presenza di tutti. Ora va' e riposa. Domani sarà ancora più pesante di oggi.»
Elegost osservò il nuovo Sovrintendente
di Gondor recarsi verso l'amica e chinò il capo, mentre tornava dal resto dei
Raminghi, silenzioso e pensieroso.
Boromir lasciò pochi passi di distanza
dal punto in cui Brethil sedeva, immobile come una statua. Alle sue spalle si
ergeva Minas Tirith, rovinata dalle pietre lanciate dalle catapulte, fumante in
alcuni punti, ma ancora in piedi nonostante il brutto colpo subìto quel giorno.
E la donna gli parve come la sua bella città: era ferita profondamente
nell'animo, sanguinava copiosamente e perdeva ogni energia, ma non cedeva alla
disfatta, ritta e fiera su quella roccia. Rimase in piedi accanto a lei, a
mirare il vuoto, per minuti interi, senza che l'uno o l'altra facesse o dicesse
qualcosa per spezzare quel brutto momento di silenzio. Cosa avrebbe potuto dire
senza cadere nella banalità?
Poi, quando anche l'Uomo stava per
desistere e tornare alla sua tenda, la voce spezzata di lei lo fermò.
«Rimani, ti prego.» gli sussurrò, senza
voltarsi.
E lui rimase. Le si sedette accanto, ai
piedi di quella sporgenza naturale, e guardò il cielo plumbeo. La vaga
sensazione di una lieve brezza dal mare parve rinfrescargli il viso accaldato,
ma fu solo un istante che svanì poco dopo.
«Ho saputo di tuo padre, mi dispiace.»
Boromir scosse il capo, incredulo.
Piangeva in silenzio per la perdita di un suo caro amico e si dispiaceva anche
per la morte di suo padre. Eppure il fatto che parlasse, a discapito di quanto
detto dal Ramingo poco prima, lo sollevò un poco. «Una morte poco onorevole, la
sua, ma ahimè, Minas Tirith ha perso una grande guida e io un padre che ho
amato sempre.»
La sentì sospirare profondamente, per
poi chiedergli: «Tuo fratello?»
«È vivo.» rispose in un sorriso. «Aragorn
ha davvero le mani di un re guaritore.»
«Finalmente una buona notizia.»
Trascorsero altri infiniti minuti di
silenzio, ma lo sforzo con cui Brethil tentava di trattenere le lacrime svanì
poco a poco. «Ho visto lui, non te... nel sogno c'era lui.»
Il cuore di Boromir si fece pesante
nell'udire quella voce spezzata dai singhiozzi. Non sopportava la vista di
qualcuno piangere e ancor meno se questo qualcuno fosse Brethil. Lei, che gli
aveva dato la forza di continuare a vivere, non meritava tutto quel dolore;
meritava solo di sorridere dopo una vita di sacrifici, di fughe, di perdite. «Non
potevi salvarlo.»
Lei annuì, quasi con rabbia. «Sì, avrei
potuto, ma non l'ho capito. Non ce l'ho fatta.»
«Non puoi avere la pretesa di salvare
tutti.»
Fu solo in quel momento che lei si
voltò a guardarlo, gli occhi grigi colmi di lacrime. «Se non posso salvare le
persone che amo, che cos'altro mi rimane?»
«Saresti morta oggi per salvare chi
ami.» replicò lui, duramente. Si alzò, fermandosi davanti a lei, e le asciugò le guance dalle lacrime.
Indugiò con le dita sulle cicatrici e la sentì rabbrividire, forse perché nessuno
aveva mai osato sfiorargliele. «È tutta la vita che tenti di proteggere chi ti
circonda, Brethil. Queste sono un
esempio. Anche io ho perso mio padre, oggi. La follia gli ha fatto compiere
qualcosa che difficilmente gli perdonerò. Capisco quello che stai provando,
perché anche se non conoscevo Halbarad, lo consideravi come un padre. Ma non
pensi che non ci sia bisogno di aggiungere al dolore altro dolore? Smetti di
addossarti tutte le colpe del mondo, smetti di compatirti. Ho visto fin troppa
tristezza nel tuo viso nel breve periodo che ti ho veduta.»
Lei scosse il capo, stringendo le mani
callose dell'Uomo e allontanandole dal suo viso. «È evidente che la mia vita
non debba essere spensierata, Boromir. Nessuna vittoria, un domani, potrà
essere gioiosa ora che lui non c'è più. Ma ti ringrazio, amico mio, ti
ringrazio davvero. Sono felice di averti accanto.»
Boromir le si sedette accanto e le
cinse le spalle con un braccio, un leggero bacio tra i corti capelli scuri,
stando attento a non stringerla troppo per evitare di causarle dolore. «Perché
non riposi qualche ora, prima che sorga il sole?»
Non ottenne subito una risposta, perché
Brethil era indecisa su cosa rispondere. Non avrebbe chiuso occhio neanche
volendo, questo lo sapeva bene; eppure, per una volta nella vita, sentì di non
voler rimanere sola con i suoi pensieri. «Starai con me?»
«Se è ciò che desideri.» annuì. «Ma ti
avrei fatto la stessa domanda, Brethil, poiché anche io vorrei averti vicina
questa notte.»
Brethil ringraziò l'assenza della luce
lunare e delle stelle, e la fida oscurità le nascose il rossore sulle guance.
Posò il capo sulla spalla di lui e chiuse gli occhi umidi per le lacrime. Si
sentiva così stanca e sfiancata da non riuscire ad alzare un dito; ma non per
le energie perdute durante la battaglia. Era spossata dentro, da quel dolore
che la stava lacerando lentamente e da troppo tempo, ormai. A volte avrebbe
voluto chiudere gli occhi e addormentarsi per anni, nella vana speranza di
potersi risvegliare, un giorno, e ritrovare ciò che aveva perduto.
Quella volta Brethil non ebbe l'incubo
che l'aveva tormentata nei sonni precedenti, poiché ormai non vi era rimasto
più niente da proteggere di quell'uomo senza volto e coperto del suo sangue. Eppure
non riuscì comunque a chiudere occhio, neppure tra le braccia rassicuranti di
Boromir, neppure con il suo respiro pesante sul viso. Non c'era più un soldato
che si frapponeva tra lei e l'Orco, che veniva colpito al suo posto lasciandola
raggelata sul mare di cadaveri e sangue che la circondava. Quel soldato era
ormai molto lontano da quella terra, mentre lei era ancora lì, a calcare quel
suolo intriso del sangue di migliaia, ad attendere il giorno in cui l'alba
avrebbe nuovamente rischiarato la giornata e avrebbe regalato la speranza della
nascita di una nuova Era, senza guerre logoranti e lotte per la supremazia. Ma
come poteva esservi speranza, se il destino di tutta la Terra di Mezzo era
nelle mani di due giovani Hobbit, lasciati a vagare per la terra desolata di
Mordor e guidati dall'essere più meschino e avido che potesse esserci? Un
essere che era libero solo ed esclusivamente a causa sua. Come avrebbe potuto
vivere con il peso di quel fardello, se la situazione fosse precipitata nel
baratro che vedeva crescerle accanto, sempre più nero e profondo? Non il
perdono di Aragorn o quello di Boromir, né di tutte le genti che popolavano
Arda sarebbero bastate per risollevarla dai sensi di colpa. Come avrebbe
potuto, d'altronde?
«Brethil.»
La donna sollevò lo sguardo sul
Sovrintendente di Gondor, ridestandosi dai suoi pensieri.
«Cerca di dormire.» le sussurrò,
stringendola più forte. «Riesco a sentire il rumore dei tuoi pensieri anche se
non parli.»
«Scusami.» mormorò lei, sentendosi in
colpa. «Ti ho svegliato?»
Boromir accennò un sorriso. «No, non ho
neppure chiuso gli occhi. Ti ho osservata un paio di volte, ma tu non hai dato
cenni di notarmi.»
Niente poté impedirle di arrossire,
quella volta, e lui si accorse del suo imbarazzo, poiché la vide chinare gli
occhi, mentre una lacrima scivolava senza controllo sul suo viso martoriato.
«Brethil...» ripeté l'uomo, sospirando.
Ma lei si divincolò dalle sue braccia,
asciugandosi gli occhi e alzandosi repentinamente. Strinse i pugni per la
rabbia e l'inadeguatezza e, dopo aver sussurrato qualche scusa, scappò
dall'accampamento, diretta lontano da tutti. Boromir si sentiva troppo stanco e
troppo impotente per correrle dietro, così rimase a guardarla finché non
scomparve nell'oscurità.
La Dùnadan si ritrovò senza quasi
accorgersene laddove una lancia con uno stendardo che ben conosceva svolazzava
sotto il lieve venticello che si era alzato da ovest. S'inginocchiò davanti al
monticello di terra sotto il quale riposava Halbarad e vi posò sopra le mani,
nella vana speranza di poter percepire la sua presenza, un'ultima volta. Ma la
fredda terra non le diede ciò che cercava. Alzò lo sguardo al cielo plumbeo e
chiuse gli occhi, stringendo il terreno tra le dita.
Avrebbe dovuto capirlo, avrebbe potuto
salvarlo.
Era questo che continuava a ripetersi
come un mantra, anche se era ben consapevole del fatto che, riconoscendo le sue
ennesime colpe, Halbarad non sarebbe tornato dal mondo dei morti.
«Lui non se n'è andato, thêl. Non ti lascerebbe mai sola.» fece
la voce di Elladan alle sue spalle.
Sentì la presenza dell'Elfo chinarsi
accanto a lei e cercò la sua mano, stringendogliela per ritrovare un po' di
quel calore che aveva perso. «Non riesco più a vederlo.»
Lui sorrise, ricambiando gentilmente la
stretta. «No, ancora non puoi. Ma lo senti, nel tuo cuore. E se ti concentrerai
riuscirai anche a scorgerlo, un giorno.» Fece una pausa e lei chinò il capo sul
cumulo di terra. Poi riprese a parlare, con la sua voce calma e rilassante.
«Credo che lui sapesse a cosa stesse andando incontro. Quando udì il tuo
racconto del sogno lui portava già il Vessillo del Re, dono di mia sorella Arwen
al suo amato. Ma non ne fece parola con nessuno, specialmente con te. Perché
aveva capito, in cuor suo, che tu avessi il bisogno di tornare qui, a Gondor,
per stare accanto al tuo amico.»
Brethil sorrise, senza allegria. «Lui
capiva sempre tutto...»
«Era un Uomo intelligente e sveglio, di
gran lunga più arguto di molti altri. E ti conosceva meglio di chiunque.»
«Mi manca già terribilmente, Elladan.
Rimpiango quell'anno di silenzi, quell'anno che avrei potuto spendere insieme a
lui, a tutti voi.»
«Lo so, thêl. Ci sono molti avvenimenti nella vita di ognuno di noi che
vorremmo eliminare, errori imperdonabili e altri trascurabili. Ma non puoi
crogiolarti nei sensi di colpa, o nei se
e nei ma. Ciò che è stato non è
possibile cancellarlo o modificarlo. C'è bisogno del tuo temperamento, in
questi giorni funesti. Non lasciare che il dolore annebbi la tua mente, né
oggi, né in futuro.»
Brethil prese un respiro profondo e
annuì. Tornarono insieme all'accampamento, ma non trovò l'Uomo dove l'aveva
lasciato, vicino alla roccia solitaria su cui si era abbandonata quella sera.
Così si avvicinò alla tenda dove riposava Boromir. Non vi era nessuno che la
spiava, così vi entrò e lo trovò profondamente addormentato. Sospirò stancamente
e si stese accanto a lui, provando a dormire.
Quella volta ci riuscì.
La decisione venne presa in una
mattinata densa di riunioni e tattiche di guerra. Molti, se non la maggior
parte, erano fermamente convinti che la loro fosse una mossa avventata e
stupida, presa da un disperato futuro Re che non sapeva come arginare la
situazione. Ed effettivamente così era: recarsi con settemila lance davanti al
Cancello Nero di Mordor era una mossa suicida, da cui probabilmente nessuno di
loro avrebbe fatto ritorno.
Eppure Boromir, che ben si fidava del
suo amico, non vide soluzione migliore per occupare l'Occhio verso lidi ben
lontani dal cammino periglioso di Frodo e Sam. Non sapevano dove i due Hobbit
fossero, né se camminassero ancora per quelle terre desolate ed oscure; ma
potevano solo sperare che il loro sacrificio potesse servire a qualcosa per le
generazioni future. D'altronde, per Boromir quello era il minimo che potesse
fare. Se non avesse attaccato Frodo, quel funesto giorno ad Amon Hen, la Compagnia
sarebbe probabilmente ancora unita e la fiamma della speranza forse più viva.
L'uomo osservò con attenzione i
presenti e non vide segni di incertezze o ripensamenti nei loro volti provati
dalla guerra e dalle preoccupazioni. Aragorn era stato chiaro e sicuro, durante
l'esposizione del suo piano, e soprattutto convincente. Tutti erano pronti a
servire il proprio Re senza batter ciglio, poiché in lui credevano ciecamente.
Incrociò lo sguardo di Brethil, seduta accanto ai gemelli di Imladris, e notò
la luce di determinazione e la sete di vendetta che le brillava negli occhi. Un
nodo gli chiuse la gola e uno strano senso di ansia gli serrò lo stomaco.
Ripensò a quella mattina, quando si era svegliato da quelle poche ore di sonno
e la prima cosa che aveva visto era stata lei, accoccolata contro di lui. Era
stato sorprendente e piacevole rendersi conto che fosse voluta tornare da lui,
quella notte, nonostante la sua piccola fuga; così come gli era sembrato
normale potersi svegliare e incontrare subito quel viso sfregiato a pochi
centimetri dal suo.
L'ansia si fece più acuta quando,
sciolto il Consiglio, Brethil si avvicinò al Ramingo e s'inginocchiò,
porgendogli Celeboglinn. Sapeva cosa
significasse quel gesto, sapeva che avrebbe voluto combattere con lui, con
loro, mettendo a repentaglio la sua vita solo per vendicare la morte di
quell'uomo che tanto aveva amato. Ma avrebbe potuto permetterle che buttasse al
vento la sua travagliata esistenza? Lui era il Sovrintendente di Gondor, nonché
amico fidato di Aragorn, e aveva il diritto e il dovere di seguirlo ovunque lui
comandasse. Ma lei? Lei era solo una donna che aveva imparato ad ammirare sopra
ogni cosa, devota alla sua gente e alle persone che amava. Ed era troppo
giovane per gettarsi tra le braccia della morte.
Allungò una mano verso il braccio di
Aragorn, approfittando del fatto che lei tenesse la testa china, e scosse il
capo. L'altro sospirò, voltandosi verso l'amica.
«Se tu lo vorrai, mio signore,
combatterò ancora una volta per te. Fino alla morte.» disse la donna.
Aragorn si sentì orgoglioso della
creatura che aveva di fronte e non poté frenare un sorriso spontaneo, in tutta
quell'ombra e quella disperazione. Le mise una mano sulla spalla sana, intimandole
di alzarsi, e così fece lei. «Brethil, amica mia, vorrei tanto che le nostre
spade s'incontrassero ancora una volta sul campo di battaglia. Ma non sei in
condizioni di combattere e non posso rischiare di perdere anche te.»
Gli occhi della donna sgranarono per la
sorpresa. «Aragorn, posso combattere, non sarà il dolore a fermarmi. Ho
impugnato una spada con ferite ben più gravi di una lussazione alla spalla.»
continuò Brethil, sorda al rifiuto del futuro Re di Gondor. «Non negarmi questo
onore, ti prego... non lasciarmi in una città sconosciuta a tormentarmi nei
pensieri e nelle preoccupazioni, sapendo che probabilmente non rivedrò più
nessuno di voi.»
«È follia, Brethil.»
L'espressione di lei s'indurì
visibilmente. «Non è forse anche follia cavalcare verso la morte dell'Est?»
«Sì, lo è, ma è l'unica via da seguire
in questo momento. Minas Tirith non reggerebbe ad un altro attacco massiccio
come quello ricevuto solo pochi giorni fa. Il Nemico si muove velocemente e
deve mantenere viva l'attenzione sulla guerra.»
Brethil cercò lo sguardo di Boromir,
sperando di trovare in lui un valido alleato che appoggiasse le sue volontà, ma
lui voltò il capo pur di non doverla guardare negli occhi e confermare le
parole del suo amico. «Dunque, avete già preso una decisione al mio posto.»
disse atona, le labbra strette per l'affronto, così come le mani, chiuse a
pugno sulla lunga elsa della spada elfica.
Aragorn le accarezzò il viso. «Vivi,
Brethil. Vivi per me, per Boromir, per Halbarad e per tutto ciò di più caro che
hai su questa terra. Sei giovane, e forte, e...»
«Ciò che di più caro ho al mondo sta
andando contro la morte. E sono una Dùnadan che ha giurato di servirti,
Aragorn. È la mia vita da sempre, ed è una mia scelta.»
«Non posso permettertelo.» ribatté
l'altro, con l'intenzione di chiudere il discorso. «Non hai la lucidità e le
capacità fisiche per combattere.»
«In due giorni posso recuperare i
problemi alla spalla, Aragorn.» continuò Brethil, con le lacrime agli occhi.
S'inginocchiò, stringendo la terra tra le mani. «Ti prego, non mi rimane
nient'altro se non combattere. Non togliermi anche questo.»
Trascorse qualche secondo prima che il
Ramingo tornasse a parlare. «Partiremo tra tre giorni, all'alba. Fatti trovare
pronta.» Il sorriso di Brethil lo fece sentire in colpa per quella piccola
bugia, ma si ritrovò a ricambiare il gesto, abbracciandola e baciandola sulla
fronte. «Va', ora, e riposa la mente e il corpo.»
La donna si allontanò e Aragorn scambiò
una profonda occhiata con Boromir, rimasto in silenzio a pochi passi da loro.
«Ti detesterà per quello che stai per farle, Aragorn.»
«Lo so bene, amico mio, ma non ho
scelta.» Il Ramingo si lasciò cadere su uno sgabello di legno, stanco. Tutte le
responsabilità che lo attendevano come Re erano niente al confronto con il
temperamento ottuso di Brethil. «Ma non è la ferita alla spalla che mi
preoccupa, poiché quella guarirebbe per tempo se glielo permettessi. È ciò che
si sta sedimentando nel suo cuore a lasciarmi inquieto. Non posso permetterle di
vedere la morte di uno di noi. Non di nuovo, non così presto.»
Boromir guardò verso Est, le nuvole
nere dense di fumi e cenere gli serrarono le parole in gola. Il dolore che
stava provando per la perdita del padre era qualcosa di così intenso che non
avrebbe saputo descriverlo e capiva Aragorn quando temeva per Brethil. Anche
lei aveva perso qualcuno che amava come un genitore e, peggio ancora, le era
morto tra le braccia. Una persona non avrebbe dovuto vivere tutto quel dolore,
non una come lei, che aveva già sofferto abbastanza. Non sapeva se sarebbe
riuscito a tornare a Minas Tirith dopo quell'ultima, disperata missione, né se
con lui avrebbero cavalcato Aragorn, o Legolas e Gimli, o chiunque dei suoi
soldati. Ma la sola idea di lasciarla da sola nel suo dolore gli fece capire di
non voler morire, non ancora. Sarebbe caduto con gloria, accanto al suo Re, di
questo non aveva dubbi né paure; ma non si sarebbe mai perdonato di
abbandonarla nel peggiore dei modi: prendendosi gioco di lei e lasciandola
indietro senza un addio.
«Faremo ritorno insieme, come mi hai
promesso, e lei capirà il tuo gesto.» lo rassicurò, stringendogli la spalla con
una mano. «Una volta che attraverseremo il cancello di Minas Tirith lei sarà lì
ad attenderci e ad accoglierci, come Re e Sovrintendente.»
Aragorn sorrise, perdendosi un attimo
in quel pensiero allettante che però pareva solo un vago sogno. «Ora capisco
perché i tuoi soldati ripongano così tanta fiducia nei tuoi confronti, Boromir.
Sai sempre usare le parole migliori nei momenti peggiori.»
L'Uomo di Gondor si lasciò sfuggire una
roca risata. «Approfitta del momento, perché solitamente le orazioni migliori le pronuncio in battaglia.»
«Spero di non udirti più parlare,
allora. Con tutto il rispetto, amico mio.»
Boromir scosse il capo, sorridendo, e
insieme si avviarono verso le loro importanti faccende. Aragorn doveva
preparare l'esercito che li avrebbe accompagnati verso il Cancello Nero,
impartire le ultime direttive a quelli che rimanevano e contare quante lance
avessero a disposizione, mentre Boromir, come nuovo Sovrintendente di Gondor,
doveva pensare a meglio governare la sua città prima della partenza.
Sarebbero stati due giorni intensi,
quelli.
E sperò vivamente che Brethil rimanesse
all'oscuro delle loro vere intenzioni, o la guerra contro Mordor sarebbe
sembrata un semplice diluvio prima della vera tempesta.
17 Marzo 3019 T. E.
Era sera inoltrata quando Brethil
concluse il suo allenamento in solitaria. La spalla le doleva ancora, ma
Aragorn le aveva insegnato come curarsi con le proprie mani e, sebbene non
riuscisse a muoverla senza qualche difficoltà, era conscia che durante il
viaggio verso Mordor si sarebbe rimessa completamente, pronta ad affrontare la loro
ultima, gloriosa battaglia. Tornò alla sua stanza e notò lo Hobbit seduto
accanto ad un pensieroso Gandalf, che fumava lentamente e in silenzio. Si
avvicinò ai due senza una parola, perché anche lei aveva i suoi pensieri da
lasciar vagare nella mente. Il dolore per la perdita di Halbarad diventava ogni
ora più insopportabile e non vedeva l'ora di avere la concentrazione completamente
rivolta verso la guerra, per non ritrovarsi costretta a divorarsi dai sensi di
colpa e dalla sofferenza.
Strinse la mano tremante di Pipino, che
si voltò a guardarla come se la vedesse per la prima volta. Era visibilmente
spaventato e non poteva biasimarlo. Uno Hobbit non conosceva il reale
significato di una guerra, né avrebbe mai affrontato un discorso così
angoscioso nelle taverne allegre e spensierate della Contea. Eppure eccolo lì,
terrorizzato e stanco, incredulo ed incapace di reagire di fronte a tutto quel
male.
«Dovresti andare a dormire, amica mia.»
fece Gandalf, con voce baritonale. «Tra poco più di un giorno partirai in
guerra e sei ancora molto debole.»
Pipino abbassò il capo, sospirando
pesantemente. Sapeva della piccola bugia che le era stata detta e che
l'esercito avrebbe preso il via l'alba seguente, tra poche ore; sperava solo di
non lasciarsi scappare alcuna parola che avrebbe potuto far vacillare la
menzogna. "Bada bene a come utilizzi
la tua lunga lingua, Peregrino Tuc. Brethil non deve sapere delle reali
intenzioni di Aragorn", lo aveva avvertito lo Stregone. "Trascorrerà la gran parte del suo tempo in
solitudine e non avrà modo di scoprirlo, se non da uno di noi."
«Non troverò riposo tra le lenzuola,
Gandalf.» fece Brethil, ridestando lo Hobbit dai suoi pensieri. «Oramai mi sono
abituata a dormire poco e male.»
«La spalla?»
«Guarirà.»
Passarono lunghi minuti di silenzio,
interrotti solo dai lievi sbuffi di fumo dello Stregone. Pipino strinse la mano
della donna, chiudendo gli occhi. «Mia signora, tu non hai paura?»
Gli occhi grigi di Brethil si posarono
sul piccolo amico e annuì. «Sono terrorizzata, messer Peregrino. Come te. Come
tutti.»
«Ma non sembra che tu lo sia...» fece
Pipino, incerto su cosa dire successivamente. «Insomma, sei silenziosa e ferma.
Mentre io non riesco a smettere di tremare come una foglia. Non ho memoria di
aver provato un tale terrore in tutta la mia vita, se non con uno di quei
Cavalieri Neri alle calcagna. Mi mozza il fiato.»
Brethil gli passò un braccio dietro la
schiena e se lo avvicinò contro il petto, dandogli un leggero bacio tra i
capelli riccioluti. «La vita che ho trascorso mi ha insegnato a non mostrare
molto di ciò che provo. Ma ho paura, una terrificante paura di perdere tutto ciò
che di più caro ho. È normale che ti senta così, amico mio, e ti capisco.
Persino il Nemico ha paura, perché la fiamma della speranza arde ancora e non
sa cosa quale pericolo cammina sul suo territorio. Non è forse un po'
rassicurante, questo?»
Lo Hobbit annuì, rinfrancato dalle sue
parole di conforto e da quel caldo abbraccio, e la strinse con forza,
reprimendo a stento qualche lacrima. La Dùnadan e Gandalf si scambiarono
un'occhiata significativa, ma lui scosse il capo. Pipino avrebbe dovuto
affrontare quell'ennesima prova di coraggio e avrebbe mantenuto alto l'onore
degli Hobbit, come aveva fatto suo cugino Merry e come stavano facendo Frodo e
Sam. Non sarebbe rimasto indietro, sebbene la via per il Cancello Nero fosse
l'ultima che avrebbe voluto percorrere.
«Quando ero alle prime armi qualcuno mi
disse che il coraggio di un uomo sta nell'ammettere di avere paura. E se tu
trovi questo coraggio, Peregrino Tuc, troverai anche la forza di combattere.»
proseguì Brethil. Cacciò indietro le lacrime nel ripensare a quel giorno in cui
Halbarad, in vista della sua prima battaglia, le aveva fatto forza con quelle
poche e semplici parole. Quello era stato il primo di molti insegnamenti che
l'Uomo le avrebbe regalato e che avrebbe tenuto nel cuore e nella mente fino al
giorno della sua morte. Ma quello stesso Uomo ora non c'era più e Brethil non
aveva la minima idea di come affrontare il resto della sua vita senza una guida
come la sua. Aveva già sofferto la morte di suo padre quando necessitava di
così tanti insegnamenti; perché i Vanir avevano deciso di accanirsi contro la
sua famiglia? Era forse quello un
modo per punirla debitamente delle sue azioni?
Pipino alzò lo sguardo sulla donna e si
sforzò di sorridere, attirando la sua attenzione con un lieve colpo di tosse. «Lascia
che ti dica, dama Brethil, quanto io sia stato fortunato ad incontrarti,
nonostante tutta questa oscurità. Ora capisco perché Aragorn e Boromir provano
così tanto amore per te. Riesci a trovare le parole giuste per tutti, tranne
che per te.» Si sporse per baciarle una guancia sfregiata e lei sorrise tra le
lacrime, osservandolo mentre si metteva in piedi e s'inchinava solennemente.
«Ti auguro tutto il bene di questa bella terra, Brethil la Dùnadan.»
Sembrava quasi un addio, quel saluto,
ma Brethil non vi badò. Seguì con lo sguardo Pipino, che si ritirò nella stanza
che condivideva con lo Stregone. Questo non lo seguì, preferendo rimanere
ancora qualche minuto in silenzio, lo sguardo rivolto verso le nuvole scure e
tempestose di Mordor, nella speranza di poter allungare lo sguardo oltre quelle
nere montagne e scorgere i due piccoli esseri che aveva spedito nella follia
qualche mese addietro.
«Mi ritiro anche io, Gandalf. A domani,
e buona notte.»
Lo Stregone annuì e le sorrise. «A
domani, Brethil.»
La donna s'incamminò verso il suo
alloggio, muovendo un poco la spalla indolenzita e trattenendo a stento una
smorfia di dolore. Arrivata davanti alla porta della stanza, allungò una mano
verso la maniglia, ma fermò ogni suo gesto appena si accorse di qualcuno alla
sua sinistra. Si voltò e vide un Boromir segnato dalla stanchezza e dalla
preoccupazione.
Le sorrise, avvicinandosi lentamente.
«Perdona l'ora tarda, amica mia, ma troppi pensieri ingombrano la mia mente per
permettermi di chiudere occhio.»
«Non preoccuparti, neanche io riuscirò
a dormire stanotte, né quelle a venire.» gli rispose, ritirando la mano e
stringendosi nelle spalle. «Volevi parlarmi?»
L'uomo si passò una mano sul collo e
sospirò. Sì, aveva bisogno di parlarle, di udire il suono della sua voce, di
averla accanto solo per qualche istante eterno, affinché potesse portare con sé
la sua immagine fino al momento della morte. Ma come fare per non darle
l'impressione che quello non sarebbe stato un arrivederci al mattino seguente?
«Vieni, camminiamo un po'.» le disse,
porgendole un braccio che lei accettò riluttante, arrossendo un poco.
Brethil aveva capito, ormai, che le
buone maniere di corte obbligassero chiunque a seguire determinate regole, ma
era notte fonda e non vi era nessuno che potesse badare ai loro modi, se non le
solite guardie della Cittadella; eppure Boromir questo parve scordarlo. Il
calore della sua vicinanza la mise in imbarazzo e chinò lo sguardo verso i suoi
piedi, trovandoli di gran lunga più interessanti della città devastata che le
si apriva intorno.
Camminarono in silenzio per parecchi
minuti
«Come stai, amica mia?»
«La spalla è ancora dolorante, ma
sopravvivrò.»
«Sì, lo farai.» mormorò lui e
catturando l'attenzione della donna. Boromir sorrise. «Ma confido nelle tue
doti di guaritrice e non mi riferivo alla spalla.»
«Oh.» Brethil prese un respiro profondo
appena si rese conto che la gola si stava chiudendo per l'angoscia. Erano quei
momenti in cui il dolore si faceva così forte da non permetterle nemmeno di
respirare adeguatamente. Si schiarì la voce, temendo di averla persa. «Elladan
dice che supererò tutto, prima o poi. Ma non credo di riuscirci, non da sola.»
Boromir si fermò, portando le mani
callose sul viso di lei. Persino nella penombra si accorse che fosse arrossita.
Ma perché mai avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo con lui? Non erano forse
amici? Scacciò quelle strane domande, concentrandosi su ciò che avrebbe voluto
dirle prima di salutarla per sempre. Era andato da lei con un proposito, uno
sciocco proposito, ma dopo tutto quello che Brethil aveva fatto per lui, dopo
tutte belle ed incoraggianti parole spese per riportarlo indietro lontano
dall'Ombra, per lui era il minimo che potesse fare. «Brethil, amica mia, non
sarai mai sola. Hai così tante persone pronte ad amarti che questo dovrebbe
essere l'ultimo dei tuoi pensieri.»
«Sì, forse hai ragione, ma...» Lui non sarebbe più tornato. «... ma la
guerra porta sempre via pezzi della tua vita, quando non decide di sottrartela
direttamente.»
«Brethil.» L'uomo le asciugò le guance
dalle lacrime e si chinò su di lei, poggiando la fronte contro la sua. «Ha
sacrificato la sua vita per salvare la tua. Lo avresti fatto anche tu, come
me, o Aragorn. Solo che tutto questo dovrà finire, prima o poi.»
La donna si allontanò un poco, confusa.
«Quando? Con la mia morte, forse? O con quella di qualcun altro? Boromir,
spiegami il motivo per cui sei venuto a parlarmi, perché ho il sentore che sia
qui per una ragione precisa e voglio sperare che non sia come sospetto.»
Boromir quasi rise della perspicacia della
donna. Ma avrebbe dovuto immaginarlo, poiché ella era incredibilmente sveglia
ed intelligente. «Sono qui per chiederti con tutto l'amore che provo per te di
abbandonare le armi, una volta che tutto questo sia finito.» Non le diede il
tempo di stupirsi, perché la zittì riprendendo a parlare. «Brethil, sei giovane
e hai visto fin troppi orrori. Risparmiateli e vivi gli anni più floridi della
tua vita lontano dalle battaglie. Non potrei sopportare anche la tua perdita.
Una volta che Aragorn diventerà Re i Raminghi non avranno più senso di esistere
e potrai vivere una vita normale con qualcuno normale che...»
«Basta, non voglio ascoltare oltre.»
fece Brethil, portandosi a qualche passo di distanza. «Che cosa ho fatto per
meritarmi il vostro risentimento? Ho forse dato prova di debolezza in
battaglia? Non ho forse onorato a sufficienza il mio ruolo? Perché vi ostinate
tutti a considerarmi solo una donna cocciuta che desidera morire? Credi davvero
che impugnare un'arma sia un piacere, per me? Credi che sia così ingenua che non
preferirei stare tra la familiarità di un focolare, nella mia casa? Purtroppo non
ho una casa, da molto tempo, e combattere è tutto ciò che ho, che ho sempre
avuto e che riesco a fare. È la mia vita, Boromir, che ti piaccia o no.»
L'Uomo rimase piacevolmente
impressionato da quel piccolo scatto d'ira. Ai suoi occhi Brethil era sempre
stata calma e garbata, anche nelle situazioni peggiori, e mai avrebbe pensato
di vederle quella scintilla di rabbia nello sguardo. Pur non alzando il tono di
voce gli parve che avesse gridato. Era evidente che poche persone nella sua
giovane vita le avessero intimato di smettere con quell'attività pericolosa e
ingrata per una donna, perché rispettavano cosa faceva. Ma anche lui provava
orgoglio e rispetto per la sua determinazione. Era unicamente preoccupato per la
sorte della sua cara amica e al solo pensiero di lei privata delle persone che
più amava lo accecava dalla rabbia e dallo sconforto. Perché sembrava non
volerlo capire?
Era evidente che lui avesse
oltrepassato il limite della sua pazienza. Ma non voleva che ricercasse la
vendetta nella guerra, né che si sentisse sola. Avrebbe potuto sopportare
l'eventuale morte di tutti i suoi amici, dopo quella loro folle mossa suicida?
Certamente no.
«Brethil...»
«No, Boromir, quelle erano le mie
ultime parole in proposito.»
L'Uomo strinse le labbra, maledicendo
la testardaggine di lei. Non era quello il modo in cui sperava di salutarla;
non voleva partire avendo il suo rancore, né voleva lasciarla senza un sorriso
come ricordo da tenere nel cuore. Eppure avrebbe dovuto immaginare che una
donna cocciuta come lei non avrebbe acconsentito facilmente ad una così gentile
richiesta. «Molto bene, buona notte, allora.» Fece per andarsene, affranto
dallo sguardo arrabbiato di lei. Ma sentì una presa forte al suo polso e fu
costretto a voltarsi.
Brethil tenne lo sguardo ostinatamente
basso. «Ti ringrazio per le tue paure, Boromir, davvero. Ma se lasciassi la
strada che imboccai da piccola mi sentirei perduta e non mi rimarrebbe altro.»
«Avresti me.» L'uomo notò nuovamente il
disagio crescere in quegli occhi grigi a causa di due semplici parole e, dopo
una rapida carezza al volto, si allontanò, turbato, augurandole una veloce
buona notte. Non era tempo per porsi scomode domande, né per analizzare a mente
lucida cosa fosse quell'imbarazzo da parte dell'amica - né il disagio che lui
stesso stava provando. Era troppo stanco e inquieto per la partenza del giorno
dopo, per potersi permettere di aggiungere altre preoccupazioni alla sua mente
spossata.
Perché era sicuro che qualsiasi
pensiero del genere gli avrebbe portato unicamente preoccupazioni.
*
Questo capitolo mi ha fatta soffrire più del precedente -
perché è normale per la scrittrice commuoversi nel rileggerlo, quando dovrebbe
avere la lucidità di correggere eventuali errori, no? -.-
Dannata Brethil e dannati sentimentalismi!
Vi do appuntamento alla prossima settimana, anche se non vi
lascio un giorno esatto. Il capitolo successivo è in fase di stesura, ma come
sapete vorrei iniziare ad imbastire anche quello dopo, per non lasciarvi troppo
tempo senza un aggiornamento. Confido nel mio tempo libero - l'ispirazione, per
fortuna, è ancora qui. :)
A presto!
Marta.