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Autore: Claire Coen    06/07/2012    1 recensioni
Claire Coen è una ragazza semplice. Ha quindici anni appena compiuti e vive a Bradford, con il padre. Ma improvvisamente l'equilibrio della sua vita pacata e monotona viene spezzato e il destino decide per lei una vita movimentata e piena di difficoltà. Ma sopratutto decide di renderla diversa da chi si aspettava che fosse, tutto questo quando Zayn Malik, un componente di una boyband appena lanciata nel mondo musicale,entra a far parte della sua vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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In due metri di strada tra casa mia e la fermata, Hayley e Sunday mi raccontarono piu’ cose che in una giornata intera. I vari impicci di Hayley, i gusti musicali di Sunday, poi un lungo silenzio di ripresa quando arrivammo in fermata. Sunday riprese a parlare, in quel momento non colsi l’argomento di cui voleva parlarci, perché girandomi a sinistra vidi un ragazzo robusto, piu’ che altro muscoloso, capelli neri, molto abbronzato per essere inglese e occhi color nocciola che mi fissavano ininterrottamente. Solitamente in questi casi o penso a una miriade di tecniche di Tai-chi per spezzargli qualche parte del corpo, semmai mi dovesse aggredire oppure abbasso lo sguardo e faccio finta di niente. In quel caso no, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel tipo, qualcosa in lui mi attraeva come una falena attrae la luce nel buio. Poi mi sorrise maliziosamente e alzo’ con tranquillità il braccio come saluto, provai una fitta, non di dolore, nella zona bassa del ventre, mentre alzando il braccio la manica della maglia aderente gli si ritirava mostrando i muscoli perfetti del suo braccio. Tutto questo con in sottofondo la voce dolce di Sunday che piano piano riacquistava tono. Fin quando non udii un “Direction”. Una risposta di Hayley e un: “Capito Claire? Claire? Ehy Claire, sei viva?” Un mio: “Mmmh …” rassicuro’ le ragazze. Ero ancora viva.
“Che hai mangiato a colazione?”- chiese Hayley preoccupata.
“Pane e Nutella”- dissi ritornando completamente in me, sorridendo.
“Secondo me si è fatta una canna…”- sbuffo’ Sunday scherzando.
Salimmo sull’autobus, cercai con lo sguardo il ragazzo, prima di salire. Non c’era. Sunday mi trascino’ dentro per mano, lamentandosi. Hayley e Sunday buttarono gli zaini sull’ultimo posto da due rimasto. Mi fecero segno di sedermi sopra le loro gambe. Girai di poco la testa sul posto vicino a me. Era vuoto. Grande! Mi metto qui. Ripensai a quel ragazzo della fermata, guardando davanti a me. Aveva qualcosa di familiare… Mi girai verso il finestrino. Ma… vidi il passeggero vicino a me. Dei denti bianchissimi mi brillarono negli occhi a distanza “bacio”. Era il ragazzo della fermata.
“Ciao”- disse il ragazzo.
Sentii entrarmi nelle narici il suo alito fresco di menta. Masticava una chewingum tranquillamente, facendola passare da una parte all’altra della bocca con un agilità spaventosa della lingua. Mi sentii bruciare dentro, pregavo qualunque entità superiore, di non farmi diventare rossa. Presi coraggio e mi limitai ad un: “Ciao”- allargando un po’ gli angoli della bocca.
Si tolse le cuffiette dell’I-Pod, le arrotolo’ intorno all’apparecchio rettangolare e nero e lo poso’ dentro il suo zaino. Questi movimenti spostarono l’aria mischiata con il suo profumo: pino selvatico. Un’odore da sniffare peggio dei cocainomani. Mi presi a parolacce per smettere di pensare di assalirlo, strappargli la maglia di dosso e portarmela a casa, nel mio letto. Appena ripoggio’ la schiena sullo schienale, mi sorrise, stavolta piu’ di prima.
“Hai caldo?”- mi disse, quasi trattenendosi dallo scoppiare a ridere.
Mi coprii il viso con le mani. Ero effettivamente BOLLENTE! Cercai una risposta, una via di fuga. Ringraziai il cielo, eravamo arrivati a scuola.

Racimolando frettolosamente la mia giacca e lo zaino, farfugliai qualcosa come: “Scusami devo andare”- con gli occhi bassi, senza nemmeno salutarlo. Mi diressi alla porta dell’autobus aspettando ansiosamente che si aprisse, due presenze dietro di me si materializzarono esattamente come Superman e la sua super velocità. Mi girai non curante del fatto che le porte si erano già aperte e la gente si lamentava che voleva scendere, mentre io stavo a guardare le mie amiche che a loro volta mi guardavano sorridenti e speranzose della mia lunga spiegazione sul “ragazzo della fermata”. Hayley guardandoci con un’occhiata di intesa, esclamo’: “Si va in scena!” Scendemmo subito, volevamo evitare di essere picchiate e prese a parolacce dalla baraonda di gente dietro di noi. Presi tutta l’aria che potevo, riempii anche il piu’ piccolo spazio a disposizione dei miei polmoni e buttai tutto fuori, promettendomi di divertirmi con Hayley e Sunday, almeno quel giorno.
“Devo scappare”- pensai.“Non posso proprio vedere né Chris, né tantomeno Lorel.” Presi per i polsi Hayley e Sunday trascinandole in mezzo alla folla. Andava bene qualunque posto. Intanto la gente intorno a noi sussurrava, parlava e urlava, tutto questo seguito dalle parole: compleanno,auguri, quindici anni,festa... Mi stavo innervosendo. Finchè una sagoma rosa e bianca mi si avvicino’. Sono maledettamente miope e a una certa distanza non vedo molto bene. Quando sentii Sunday e Hayley dietro di me, dire: “Oh cavolo, questa non ci voleva.” Pensai: “Questa è la mia fine!” Rimasi di stucco finchè non realizzai definitivamente che era Lorel. Alla fine mi rassegnai al mio destino, ormai non c’era piu’ niente da fare. Dovevo affrontare il nemico, in un modo o nell’altro!
Mi si avvicino’ con la sua solita aria da snob D.O.C. Mi squadro’ dalla testa ai piedi e scoppio’ a ridere. Mantenendo la piu’ totale e completa calma, dissi: “Hai finito?”
Lei improvvisamente fermo’ la risata isterica e forzata per allungare la mano verso di me. Stringeva nel palmo un foglio. Mi disse ad alta voce, così che tutti potessero sentirla: “Questa te la manda Chris. Il tuo ‘ex’, il mio ragazzo…”- sorridendo compiaciuta, aggiunse: “Dentro troverai tutte le spiegazione che aspettavi da tanto tempo, il perché ti ha lasciata e alla fine ha scelto me.- sorrise di nuovo, sempre piu’ compiaciuta. Io non badai alla lettera, non la toccai. Mi girai verso la folla, la scrutai con lo sguardo da tutte le parti. Chris non c’era. Poi rivoltandomi verso la Barbie rosa, per rispondergli, vidi Chris stargli dietro, con lo sguardo basso e le guance rosse. Furiosa, dissi- “Ti serve il piccione viaggiatore che faccia le cose che tu non hai coraggio di fare, vero Chris? Bè, ora ho la conferma che sei un bambino, affrontali i problemi Chris, non evitarli. Ma soprattutto, non farti manovrare da lei.”- feci per allontanarmi, poi un impulso mi fermo’, mi fece fare marcia indietro. “Ah, dimenticavo!” Strappai di mano il foglio che teneva ancora in mano Barbie, lo aprii e lo strappai in mille pezzi. Mi voltai, e a testa china me ne andai, coperta dalle ali di Sunday e Hayley. Ero distrutta.
Fortunatamente le lezioni passarono velocemente, ma le complicazioni mentali che mi creavo sull’accaduto, mi tartassavano. Cercavo sempre di convincermi che potevo agire diversamente. A pranzo presi un’insalata, mi sedetti al tavolo con le ragazze e parlammo di tutto. Non mangiai niente, mi si era chiuso lo stomaco. “Neanche le patatine col ketchup che ti piacciono tanto?”- chiese speranzosa Sunday.
“No, grazie Sa. Non ho fame.”- mormorai.
“Senti Clè. Né io, né Sunday ti vogliamo vedere in questo stato. Facciamo così, questa sera invece del solito pigiama-party a casa tua. Usciamo un po’ per night-club e ci scordiamo tutto. Ci divertiremo vedrai!
“Mi sembra una buona idea. Massì, basta. Basta stare male. Basta proprio!” ribattei senza pensarci un secondo.
“Finalmente!”- dissero in coro.
Tornammo a casa con il solito autobus scassato, vecchio e scolorito. Ma era una di quelle cose familiari con un valore affettivo incomparabile, anni e anni a fare avanti e indietro con quel rottame con le ruote. Era fantastico. Tornai a casa pensierosa, come al solito non mi sembrava affatto il mio compleanno. Quasi quasi iniziai anche a scordarmelo. In lontananza vidi dei palloncini rosa attaccati alla staccionata del giardino. Sbuffai. Ecco siamo alle solite! Salutai sorridente le mie due salvezze entrai di corsa in giardino, levai subito quegli orribili cosi rosa volanti e li nascosi nella riserva di mio padre. Presi un bel respiro, (con tutti quei respiri i polmoni potevano collassarmi e scoppiarmi da un momento all’altro). Varcai la soglia di casa con cautela, facendo attenzione a non far rumore. Ma subito, si spensero le luci, entro’ mia madre con una torta illuminata da 15 candeline sbrilluccicanti. “Wow fantastico, adesso sì che non ne usciro’ piu’ viva”- mormorai il piu’ silenziosamente possibile. La mia affermazione fu subito travolta da un coro generale, “TANTI AUGURI A TE”. Che duro’ circa 2 minuti belli e buoni, imbambolata ad ascoltare tre persone stonare alla grande su quella canzoncina ridicola. L’unica cosa sensata in quello spettacolino pacchiano era l’esprimere un desiderio prima di spegnere le candeline. Non l’ho mai espresso fino ad ora, ma in quel momento avevo bisogno di credere. Soffiai con goffaggine sulle candeline. “Desiderio?”- chiese curiosa mia madre. “Da quando in qua i desideri si rivelano?”- risposi sarcastica. Mi fulmino’ con lo sguardo, come faceva ogni volta che sapeva di avere torto con me, quindi ogni volta che facevamo un discorso. Mi sedetti a fianco a mio padre, davanti a mia madre e di lato a Spencer, il marito riccone di mia madre. Quando c’è anche Spencer a mangiare con noi in “famiglia”, non parlo mai. Non ho proprio voglia di rapportarmi con lui, per nessun motivo al mondo. E penso che anche lui la pensa così su di me. Ma come al solito mia madre non capisce e insiste nel farmelo piacere per forza. Nell’essere una famiglia unita. Che di unito qui dentro, ci sono solo i bastoncini di pesce attaccati perché cucinati male. 
“Claire, dì a Spencer che voti buoni che hai nelle lingue.”- disse compiaciuta e felice mia madre.
“Ma glie l’hai appena detto tu, penso che ci senta, no?”- dissi sconcertata.
Mi fulmino’ come al suo solito.
“Bene, allora se non vuoi parlare delle cose buone, raccontagli delle stupidaggini che hai fatto quest’estate al mare con le tue amiche, forse sarebbe piu’ felice Spencer, se sentisse questo, no?”- esclamo’ furiosa.
“Sì Spencer, devi sapere. Ah no, tu già lo sai. Infondo sei stato te a pagare fino all’ultimo penny i danni che ho fatto io, sei stato te a risolvere tutto con quei pezzi di carta…”
“Dai Clè, smettila..”-intervenne mio padre, senza successo.
“Sei stato te a portarmi via la mia famiglia, sposando mia madre, per la pena che ti faceva questa famiglia, perché viviamo di rendita, non abbiamo una vasca idromassaggio in giardino, un televisore a schermo piatto in salone, un letto matrimoniale grande quanto il mio terrazzo. Infondo ti importa soltanto di avere figli, successori che possono ereditare tutte le tue ricchezze. Tu non ami mia madre come l’amava mio padre. Lei è stata così stupida da scegliere la bella vita piuttosto che l’amore di mio padre. Lei ha distrutto tutta la famiglia e niente, NIENTE potrà mai ricomporla. Non saranno degli schifosi pezzi di carta a comprare l’affetto e la famiglia. Io non voglio far parte di tutto questo teatrino, solo per dimostrare di essere una bella famiglia. Sono stufa di fingere di essere amata. Lo sai mamma? Lo sai che da quando te ne sei andata papà piangeva tutte le notti nel letto? No, non lo sai. Se fossi stata una buona madre, lo avresti saputo. Bastava semplicemente ascoltarmi, ascoltare quello che sta passando nella tua presunta famiglia. Non fingere di non avere problemi con la tua famiglia, perché ne siamo pieni fino al collo. Il punto è che te hai paura di affrontarli, ecco perché te ne sei andata. Non volevi affrontare la realtà, neanche il sostegno della famiglia ti bastava. Mi fa schifo tutto quanto.”- scandendo bene quest’ultime parole, mi vidi arrivare una manata in faccia, facendomi girare completamente dall’altra parte. Non guardai in faccia mia madre, guardai prima Spencer che come al suo solito faceva finta di niente con la testa bassa sul piatto pulito, poi mi girai lentamente a guardare mio padre,aveva gli occhi lucidi, rosso in faccia cercava in tutti i modi di non piangere. Non ce la facevo piu’! Mi alzai di scatto facendo cadere all’indietro la sedia, appena sentii il tonfo della caduta. Mi precipitai alla porta prendendo il giaccone al volo. Uscii e corsi, piangendo. Senza guardare indietro. Corsi, piu’ che potei, fino ad arrivare a un campo di calcio. Vedevo la palla che rimbalzava da una parte all’altra, seguendola con gli occhi presi una decisione. Era stupida, ma volevo farla. Da sola.
  
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