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Autore: Beauty    07/07/2012    5 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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Appena prima di chiudere gli occhi, Catherine aveva sperato che, addormentandosi, avrebbe trovato un po’ di serenità lasciando da parte tutto il dolore e la disperazione che gli ultimi eventi di quel giorno le avevano procurato.

Si era aspettata di ritrovarsi nello splendido palazzo illuminato che sognava ormai quasi ogni notte, abbigliata con uno sfarzoso abito, e di incontrare di nuovo quel bel giovane dagli occhi azzurri che la guardava con amore.

Invece, la prima cosa che avvertì la ragazza fu un senso di angoscia e di spavento.

Non c’era traccia dei saloni illuminati del palazzo, ma tutto intorno a lei era così buio che Catherine non riusciva nemmeno a distinguere le pareti dal soffitto e dal pavimento. Era a piedi scalzi, i capelli sciolti, e indossava lo stesso abito con cui, mesi prima, era partita alla ricerca di suo padre, con l’orlo strappato e chiazzato di sangue.

La ragazza annaspò, muovendo le mani a tentoni nel buio. Le pareva quasi di trovarsi di nuovo nella foresta, in quella stessa notte in cui quei due tagliagole avevano tentato di stuprarla.

E’ un incubo…

Aveva paura; sentiva l’ansia crescere, continuava a camminare nel buio sentendo le gambe malferme, l’angoscia l’attanagliava sempre di più.

Devo svegliarmi. Devo svegliarmi! Su, svegliati! Svegliati, Cathy! Svegliati!

Era tutto inutile. La paura continuava ad aumentare, una paura enorme ma insensata, come se temesse che qualcosa di terribile stesse per succedere da un momento all’altro.

D’un tratto, in lontananza, nell’oscurità Catherine scorse una piccola sagoma, che si faceva sempre più distinta man mano che la ragazza vi si avvicinava. Non appena si trovò a pochi passi da essa, Catherine sbarrò gli occhi dal terrore.

Disteso ai suoi piedi, supino, c’era suo padre. Era pallido, teneva gli occhi chiusi, e i capelli già grigi ora erano divenuti bianchi come la neve. La ragazza si lasciò cadere in ginocchio accanto a lui, iniziando a chiamarlo.

- Papà!- gridò quasi, scuotendolo per la veste, sentendo le lacrime salirle agli occhi.- Papà! Papà, ti prego, svegliati!

Catherine udì il mercante emettere un mugolio sommesso, quindi socchiuse gli occhi. L’uomo le rivolse un debole sorriso, ma improvvisamente i contorni della sua figura iniziarono lentamente a sfumare, come se si stesse dissolvendo, fino a che la sua sagoma non fu completamente mutata.

Ora, sotto gli occhi esterrefatti e disperati di Catherine, al posto del mercante c’era Adrian.

Il mostro stava male come suo padre; era disteso su un fianco, e il mantello nero che era solito portare ne nascondeva praticamente tutto il corpo, di cui la ragazza riusciva a scorgere soltanto le mani artigliate e il volto mostruoso. Il padrone era pallido, l’espressione agonizzante, ma teneva gli occhi socchiusi. A Catherine parve debole, infinitamente debole e indifeso, un’immagine che mai prima d’allora aveva avuto di lui. Iniziò a piangere ancora più forte, avvicinandosi a lui.

- Adrian!- singhiozzò.- Adrian, che cos’hai? Che cosa è successo?

Il mostro non rispose, ma emise un lungo sospiro, che alla ragazza suonò come un ultimo respiro.

- Perché?- soffiò il mostro.- Perché, Catherine?

- C-cosa?- balbettò la ragazza, senza smettere di piangere.

- Perché mi fai del male, Catherine?- mormorò Adrian, guardandola in una maniera strana. Proprio come una vittima che sta per morire guarda implorante il suo carnefice.

- Che cosa…?- fece la ragazza.- Io…io non ti sto facendo del male, Adrian…Io non…

Il mostro gemette, distogliendo lo sguardo.

- Non volevo, Adrian!- singhiozzò Catherine.- Te lo giuro, non volevo! Non volevo ferirti, Adrian, ti prego, io…

Il mostro non parve udirla, ma sospirò di nuovo.

- Perché mi fai del male?- mormorò di nuovo, prima di chiudere gli occhi.

- No!- gridò Catherine, gettandosi verso di lui.

Voleva toccarlo, voleva abbracciarlo, le sembrava quasi che, stringendolo a sé, allora avrebbe potuto farlo star bene, avrebbe potuto salvarlo dal dolore che lo stava uccidendo, ma, non appena tentò sfiorarlo, la sua figura divenne evanescente, fino a scomparire di fronte ai suoi occhi.

Catherine si trovò ad abbracciare il nulla, a tentare di toccare qualcosa che non esisteva. La ragazza si accasciò a terra, scossa da violenti singhiozzi che la facevano tremare e che sembravano essere irrefrenabili.

Catherine avrebbe quasi voluto uccidersi. Mettere fine a tutto quel dolore e a quella disperazione.

- Andrà tutto bene, Catherine…

D’un tratto, di nuovo quella voce femminile, calda e dolce. Aveva sempre avuto un non so che di lontano e angelico, ma Catherine sollevò lentamente il capo, allorché la sentì più vicina a sé. Era certa che, fino ad un attimo prima, non ci fosse nessuno accanto a lei; invece, ora, voltando il capo, la ragazza vedeva chiaramente una figura evanescente, quasi si trattasse di un fantasma. Era una donna, con uno splendido abito bianco, una lunga chioma di capelli biondo scuro e degli occhi verde smeraldo così simili a quelli della ragazza, contornati da lievi rughe che, tuttavia, non alteravano la bellezza del viso.

- M-mamma?- balbettò Catherine, incredula ma allo stesso tempo tranquilla, quasi come se avesse salutato la madre appena la sera prima con la tacita promessa di rivedersi il giorno seguente, anziché averle detto per sempre addio appena due anni prima.

Lady Elizabeth non disse nulla, ma sorrise, accarezzando dolcemente le ciocche corvine della figlia; Catherine non riusciva ad avvertire quelle carezze, ma il gesto della madre in un certo senso la rassicurò. Smise di singhiozzare, ma le lacrime continuarono a rigarle le guance.

- Sono stata una stupida, mamma…- mormorò Catherine.- Adrian mi ama, e io…io l’ho ferito, è come se gli avessi sferrato una pugnalata al cuore…

La ragazza non sapeva perché stesse dicendo quelle cose; semplicemente, sentiva il bisogno di farlo. Si era sempre confidata con sua madre, e dopo la sua morte aveva sentito la sua mancanza ogni giorno, ma in modo particolare nei momenti di difficoltà. Aveva sognato spesso Lady Elizabeth, ma le era sempre apparsa come una figura lontana, oppure negli ultimi attimi della sua malattia; ora che era così vicina, non le importava di domandarsi come e perché fosse lì. Voleva solo parlare con lei e sfogare il suo dispiacere, tutto il resto non contava.

Catherine chinò il capo, poggiando la fronte sulla spalla della madre. Non avvertì il calore della pelle di Lady Elizabeth, quasi non si accorse nemmeno del suo tocco. Era come abbracciare un fantasma, ma non importava.

- Ho paura, mamma…- sussurrò.- Ho paura di quello che provo. Ci manchi tanto…- aggiunse.- Quando te ne sei andata papà…noi…è come se avessimo perso una parte di noi…Non posso amare Adrian, mamma…Non voglio…se dovessi perderlo, io non…non so come farei a…

Catherine sentì che stava per rimettersi a singhiozzare, quindi non terminò la frase. Lady Elizabeth sorrise nuovamente, facendo alzare il capo alla figlia in modo da guardarla negli occhi.

- L’amore fa male, Catherine…- sussurrò.- Questo nessuno potrà mai cambiarlo. Ma ricorda che l’amore è come una magia. E’ in grado di affrontare qualunque cosa, di sconfiggere ogni avversità. L’amore è persino più forte della morte.

Detto questo, Lady Elizabeth si chinò, baciando lievemente la fronte della figlia, proprio come faceva quando Catherine era piccola e veniva a darle la buona notte. La ragazza non ebbe il tempo di sentire il calore di quel bacio; subito, si sentì come cadere, mentre la figura di Lady Elizabeth scompariva di fronte ai suoi occhi.

Catherine mosse le mani come per trattenerla, ma prima che potesse fare alcunché, riaprì gli occhi.

Non c’era più l’oscurità indistinta del suo sogno, ma solo la sua stanza nel maniero. La ragazza sbatté due o tre volte le palpebre, quindi si tirò su a sedere. Era ancora distesa sul tappeto persiano, indossava ancora l’abito bianco, che ora era stropicciato e sporco di cenere sfuggita dalle braci del caminetto. Si sentiva a pezzi, il tappeto non era stato il luogo più adatto per un sonnellino, e ora si sentiva a pezzi. Non piangeva più, ma aveva ancora tracce di lacrime intorno agli occhi; le asciugò con un palmo della mano, gettando un’occhiata prima alla finestra, quindi all’orologio. Erano le nove di sera, fuori era buio pesto.

Natale non era ancora passato.

Catherine si fece forza, rimettendosi in piedi. Quello strano sogno l’aveva turbata e confusa molto più di quanto volesse ammettere, e non aveva dimenticato ciò che era successo fra lei e Adrian solo poche ore prima. Non era stupida, sapeva che il loro rapporto avrebbe subito delle conseguenze, ma non voleva che ciò accadesse. Sentiva la testa pesarle come un macigno sul collo, forse un bicchier d’acqua o una bella tazza di thé l’avrebbe aiutata a ragionare e a trovare un modo per rimediare al disastro che aveva combinato. Non voleva perdere Adrian; benché non avesse acconsentito a diventare sua moglie, non voleva che smettesse di essere suo amico. Doveva assolutamente rimediare a quel che era successo; sarebbe scesa in cucina per rinfrescarsi un attimo, e poi sarebbe andata a cercarlo per parlargli, sperando che lui le desse il tempo di spiegarsi.

La ragazza si sistemò le pieghe dell’abito, uscendo dalla stanza e iniziando a scendere le scale di marmo del castello. Era consapevole di essere sparita per diverse ore e di non essersi fatta vedere da nessuno per quasi tutto il pomeriggio, non sarebbe stata sorpresa di non trovare più nessuno in giro per il castello, a quell’ora. Non che questo le dispiacesse; aveva bisogno di stare da sola, solo così avrebbe potuto ragionare con lucidità.

Le sue speranze vennero pesantemente deluse quando, giunta a pochi passi dalla porta socchiusa della cucina, udì il chiacchiericcio sommesso dei domestici. Non aveva voglia di dare delle spiegazioni, e stava per girare i tacchi quando sentì la voce irritata di Constance levarsi sopra le altre.

- No, Peter! No! Non devi più portare a casa questi randagi! Ti ricordi cos’hai combinato l’ultima volta?!

- Tanto per cominciare, mamma, l’ultima volta non è stata colpa mia! E poi, guardala, è mezza congelata!

- Questi non sono affari nostri! Non puoi portare qui tutti i poveracci che si sono persi nel bosco solo perché ti fanno pena, lo vuoi capire o no?!

- Constance, ma guardala! E’ praticamente quasi morta assiderata, se non ci fosse stato Peter a salvarla, probabilmente ora questa ragazzina sarebbe…

- Non m’interessa che fine avrebbe fatto questa marmocchia, vecchio sclerotico! Il punto non è che sarebbe potuta morire, il punto è che lei non può assolutamente stare qui!

- E poi hai anche il coraggio di pregare la sera prima di andare a letto, mamma!

- Zitto tu, l’hai già combinata grossa! Stasera una buona dose di scapaccioni non te la toglie nessuno!

Allora c’era qualcun altro in casa!

Catherine non stette lì a pensarci troppo, e spalancò la porta della cucina, entrando con fare deciso. Non appena udirono il rumore della porta che veniva aperta, i domestici si voltarono all’unisono in direzione della ragazza, cercando, senza troppo successo, di nascondere qualcosa alle loro spalle.

- Cathy! Che fine avevi fatto?- provò a domandare Constance, ma il suo tono di voce suonò talmente falso che perfino Ernest e Peter le lanciarono un’occhiata di rimprovero.

Catherine non rispose, ma si sporse di lato per vedere meglio. Alle spalle dei domestici riusciva a scorgere una gran quantità di coperte e lenzuola gettate sopra un corpicino all’apparenza esile e minuto, di cui però la ragazza riusciva a distinguere solo qualche ciocca di capelli biondo scuro che sfuggivano da sotto i piumoni. D’un tratto, l’ammasso di coperte iniziò a scuotersi leggermente, mentre da sotto di esso provennero due o tre deboli colpi di tosse. Il corpicino si mosse fino a che il capo non spuntò fuori dalle lenzuola.

- Rosalie!- esclamò Catherine, sconvolta, nello scorgere il visetto ovale della sorella.

Rosalie aveva gli occhi socchiusi; era sveglia, ma pareva come stordita. I capelli biondi erano sciolti e sparsi disordinatamente sul pavimento, il volto era cianotico e le labbra violacee, le mani erano rosse dal freddo e con le unghie sporche di terra, mentre le dita erano ricoperte di geloni.

La ragazzina tossì ancora, ma spalancò i grandi occhi castani dallo stupore non appena vide la sorella correrle incontro, inginocchiarsi accanto a lei e avvolgerla in un abbraccio disperato.

- Rose!- esclamò Catherine, stringendo a sé il corpo esile della sorella.- Oh, Rose!

- Cathy…- soffiò Rosalie, ricambiando debolmente l’abbraccio.- Cathy…ma come…tu…tu sei viva…

Catherine chiuse gli occhi, e annuì vigorosamente sulla spalla della ragazzina, sentendo che questa ora la stava stringendo più forte e con più affetto. Rosalie non le era mai apparsa tanto fragile: aveva gli abiti completamente fradici, era pallida e aveva l’aria di chi ha appena passato una marea di guai. E, forse, era proprio così.

- Sì…- sorrise Catherine, emozionata, staccandosi un poco da lei e guardandola negli occhi.- Sì, sono viva, Rose. Ma tu?- chiese poi, con passione.- Perché sei qui? Sei tutta bagnata…Ma che ti è successo?

- Vi conoscete?- fece Ernest, muovendo un passo verso di loro.

Catherine annuì.

- E’ mia sorella - spiegò.- Perché si trova qui? Cosa le è capitato?

- L’ho trovata io - disse Peter.- Credo si fosse persa nella foresta. Era scivolata in un laghetto ghiacciato…l’ho tirata fuori prima che annegasse…- aggiunse, arrossendo lievemente.

- Che cosa? Nella foresta?- fece Catherine, tornando a guardare Rosalie.- Rose, che ci facevi nella foresta? Cos’è successo?

Rosalie non rispose, ma increspò le labbra; scoppiò in un pianto disperato.

- I…i ca…i cani…- balbettò, fra le lacrime.

- I cani? Che cani?- incalzò Catherine, afferrandola per le spalle.

- I cani…la foresta…Lo-loro…mi hanno morsa…nella foresta…

- Ma che ci facevi da sola nella foresta, Rose?

Rosalie continuò a singhiozzare per diversi minuti, fino a che non riuscì a mormorare, con voce rotta:

- Io…io e-ero…ero andata…papà

- Papà?

Catherine avvertì una morsa di gelo nel cuore. Le tornò in mente l’intero sogno che aveva fatto, la figura evanescente di suo padre distesa ai suoi piedi. Scosse con più vigore Rosalie per le spalle.

- Rosalie, cosa stai dicendo?- gridò quasi.- Che è successo? Dimmelo, Rose! Cos’è successo a papà?

- L-lui…papà…papà è malato, Cathy…- singhiozzò la ragazzina.- E’ malato…non…nessuno sa cosa…

- Che cos’ha, Rose? Che cos’ha?- chiese Catherine, sentendo una gran voglia di mettersi a piangere.

- Lui…

Rosalie non terminò la frase, disturbata da un rumore di passi che si faceva via via sempre più vicino. La ragazzina smise di singhiozzare, volgendo lo sguardo in direzione della porta della cucina, sulla quale aveva cominciato a stagliarsi un’ombra scura che aumentava di dimensione allo stesso ritmo a cui si avvicinavano i passi. Ernest e Peter la imitarono. Constance si portò le mani alla bocca. Catherine sentì un tuffo al cuore.

- Che succede qui?- fece una voce che a Rosalie parve calda e profonda, ma anche stranamente minacciosa.

Sulla soglia della porta, la ragazzina vide comparire un essere mostruoso, un uomo alto e robusto sul cui viso si alternavano alla pelle pelo scuro e squame verdastre; la pelle di un occhio era cascante e ripiegata su se stessa, lasciando intravedere la carne rossastra, le orecchie erano simili a quelle di un lupo. Attraverso le labbra socchiuse s’intravedevano due file di denti aguzzi e bianchissimi. Le mani erano ricoperte di pelle, dalla quale spuntava, all’altezza delle nocche, del pelo scuro, mentre le unghie erano degli artigli affilati.

Rosalie sgranò gli occhi dal terrore, mentre la bocca le si spalancava in un grido.

Catherine si gettò verso di lei e le chiuse la bocca con la mano. Il mostro emise un ruggito rabbioso, scattando leggermente indietro e coprendosi il volto con una mano bestiale e parte del mantello nero.

- No, no, calmati, è un amico, è un amico!- si affrettò a dire Catherine; quando fu completamente sicura che la sorella avesse capito e non si sarebbe rimessa a strillare, la ragazza le tolse la mano dalla bocca. Il padrone continuava a rimanersene nascosto nella penombra, facendo del suo meglio per coprirsi il volto mostruoso.

- Chi è?- ruggì, riferendosi a Rosalie.- Chi è questa ragazzina? Chi l’ha fatta entrare?- volse uno sguardo colmo d’ira in direzione dei domestici, i quali indietreggiarono, timorosi.

- Adrian…- chiamò Catherine, incerta.

Il mostro spostò lo sguardo su di lei; la ragazza non ne era sicura, dato che metà del volto era ancora nascosto dalla mano artigliata, ma le pareva che gli occhi azzurri del padrone di casa fossero colmi di rabbia e rancore.

- Adrian, lei è Rosalie. Mia sorella - mormorò.

Il mostro gettò un’occhiata irritata alla ragazzina ancora seduta sul pavimento, che si fece istintivamente indietro. A Catherine parve che fosse meno arrabbiato, ma dal suo volto non era scomparso quel rabbioso rancore che gli colmava le iridi ogni volta che il suo sguardo incrociava quello della ragazza.

- Che cosa ci fa, lei, qui?- sibilò, senza smettere di fulminare con delle occhiatacce i domestici.

- Lei…- iniziò Catherine, ma un pensiero fulmineo le impedì di continuare. Suo padre! Rosalie aveva detto che era malato. Ma la sorellina era talmente sconvolta che…possibile che si fosse sbagliata? Non si era spiegata troppo bene, in effetti…Ma quello non era un argomento su cui Catherine si sentiva di chiudere un occhio. Si trattava di suo padre! Era suo padre, lei gli voleva bene, era l’unico punto di riferimento che le fosse rimasto dopo la morte di sua madre…e se davvero stava male, allora lei non poteva…

- Adrian - disse fermamente, guardando il padrone negli occhi.- Adrian, devo parlarti.

Il mostro si fece un po’ più indietro, guardandola con diffidenza. Catherine si morse il labbro inferiore, ma non distolse lo sguardo.

- Ti prego…- sussurrò.

Il mostro serrò le mascelle per la rabbia, ma non disse nulla. Abbassò lentamente la mano bestiale, guardandola con espressione indecifrabile.

- Va bene. Vieni con me - disse infine, voltandole le spalle e uscendo dalla cucina. Catherine si alzò in piedi, sotto lo sguardo esterrefatto di tutti, specialmente di Rosalie.

- Va tutto bene, sta’ tranquilla…- le sussurrò la ragazza, sforzandosi di sorridere.- Constance, per favore, te l’affido - aggiunse, prima di uscire di corsa dalla cucina.

Rosalie, rimasta sola con i tre domestici, li fissò attentamente uno per uno. Tutti e quattro rimasero per qualche istante in un silenzio imbarazzato, fino a che Constance sembrò recuperare un briciolo del suo pragmatismo.

- Bene, bene. Ernest, porta un’altra coperta a questa signorina. Peter, metti un po’ di legna nel fuoco, non vedi che è ghiacciata?

I due la guardarono per un attimo, quindi ubbidirono.

- Ma…Constance, tu non eri quella che non voleva che stesse qui?- bisbigliò Ernest, gettando sulle spalle di Rosalie una ruvida coperta di stoffa marrone.

- In effetti, mamma, tutte quelle storie per niente…- bofonchiò Peter.

- Beh, sì, certo, all’inizio era così. Ma non sapevo chi fosse. Insomma, il padrone non sembra troppo contrariato, no? Senza contare che si tratta della sorellina di Cathy…Ora, piccola, ti preparo un po’ di thé, vedrai che ti aiuterà a riscaldarti…

Constance ricambiò per un attimo gli sguardi inebetiti di Peter ed Ernest, per poi sbottare:

- Beh, ma cosa credete? Non sono fatta di ghiaccio, io!

 

***

 

Catherine faticava a stare dietro al passo svelto del padrone che saliva l’ampio scalone di marmo con furia, quasi avesse fretta. D’un tratto, si bloccò di fronte ad una porta in legno di quercia, voltandosi a guardare la ragazza. A Catherine parve quasi di essere tornata indietro nel tempo, quand’era solo una serva in quel lugubre maniero e il padrone la trattava con astio e disprezzo. A dire il vero, non riusciva bene a decifrare quali sentimenti si celassero nei gelidi e impenetrabili occhi azzurri del mostro, ma quel che era certo era che Adrian non la guardava più con l’affetto e – ora poteva dirlo con sicurezza – l’amore del giorno prima e dei mesi precedenti.

- Allora? Cosa vuoi dirmi? Mi sei sembrata abbastanza chiara, questo pomeriggio.

Catherine non si lasciò scoraggiare dal tono rabbioso e beffardo del padrone, anche se questo la colpì. Tuttavia, riuscì a sostenere il suo sguardo.

- Si tratta di mio padre, Adrian.

- Cosa gli è successo?- chiese il mostro, con voce incolore.

- Io…non lo so con esattezza…- mormorò Catherine, sentendo che stava per crollare.- Io…non lo so…mia sorella ha detto che è malato, ma lei era così sconvolta…non so cos’abbia esattamente, ma…

Adrian vide che la ragazza era in difficoltà; balbettava, non trovava le parole, e per un attimo il mostro temette che stesse per scoppiare a piangere. Era preoccupata, era chiaro come il sole che la salute di suo padre la faceva stare in ansia. Decise di lasciare da parte per un attimo la sua rabbia; in fondo, anche se lei l’aveva rifiutato, lui l’amava.

- Vieni - disse semplicemente, aprendo la porta accanto a lui ed entrando.

Catherine lo seguì, un po’ timorosa. Si ritrovò in una stanza abbastanza ampia e quasi buia, in cui non era mai stata prima d’allora; la ragazza indovinò che fosse la camera da letto del padrone. Il mobilio era semplice: un letto a baldacchino con coperte e tende bordeaux al centro, una scrivania e una poltrona contro una parete e uno specchio appeso all’altra; in un angolo, c’era un dipinto, raffigurante un uomo sulla settantina, con barba e capelli canuti, molto somigliante ad Ernest ma con un volto più sano e gioviale, e una luce buona negli occhi.

- Chi è?- non poté impedirsi di domandare Catherine, indicando il quadro.

- Mio padre - rispose Adrian, sempre con voce incolore.

Catherine rimase un attimo interdetta; visto l’aspetto del padrone di casa, si sarebbe aspettata che anche i suoi genitori avessero qualcosa di mostruoso, ma quell’uomo era normale, se così si poteva dire. La ragazza non fece in tempo a domandarsi se chiedere spiegazioni sarebbe stato scortese o no, perché vide che il mostro si era avvicinato allo specchio e ora la stava guardando con impazienza. Catherine si affrettò a raggiungerlo, pur non capendo cosa volesse fare esattamente Adrian.

- Vedi questo?- fece il padrone indicando lo specchio, notando la sua espressione interrogativa. Adrian si spostò alle spalle della ragazza, in modo che lei si trovasse proprio di fronte allo specchio. Catherine osservò il proprio riflesso pallido, mentre il mostro torreggiava alle sue spalle.

- Questo…questo è uno specchio magico…- disse il padrone.- Può mostrarti qualunque cosa tu desideri. Basta solo che tu glielo chieda. Non ti fidi di me?- domandò, vedendo l’espressione incredula della ragazza.

- No…no, io…- provò a dire Catherine, ma Adrian non la lasciò terminare.

- Guarda. Mostrami Peter!- ordinò, e subito il vetro dello specchio cambiò. Catherine non vide più la propria immagine riflessa, bensì quella del ragazzino che, inginocchiato sul pavimento della cucina, stava facendo ridere con una battuta sua sorella Rosalie.

- Ecco come facevi a sapere tutto quello che succedeva…- mormorò la ragazza, non appena l’immagine fu svanita.

Il mostro non rispose, ma si avvicinò di più alle sue spalle.

- Vuoi sapere se tuo padre sta bene, giusto? Bene, chiedigli di mostrartelo.

Senza dire nulla, le cinse la vita con una mano artigliata. La ragazza rabbrividì, ma non lo diede a vedere. Non c’era tempo, ora, per certe cose; prima di tutto, doveva accertarsi che suo padre stesse bene. Per i chiarimenti, ci sarebbe stato tutto il tempo, dopo.

- Mostrami mio padre!- disse, con decisione.

L’immagine nello specchio cambiò di nuovo. Catherine si portò le mani alla bocca, nel vedere quella scena. Il mercante era disteso nel suo letto, pallido, con gli occhi chiusi. Probabilmente dormiva, ma gemeva e tossiva nel sonno, si vedeva lontano un miglio che era febbricitante.

Catherine ricordò con orrore che aveva lo stesso aspetto di sua madre, pochi giorni prima che morisse.

L’immagine svanì.

Catherine sentì che le gambe non la reggevano, e dovette fare uno sforzo immane per tenersi in piedi.

- No…No!- mormorò.- No…papà…ma cosa gli è capitato? Sta’ male, sta’ male…io…no, non posso lasciarlo da solo, non…

Aveva voglia di piangere, di strapparsi i capelli dalla disperazione, ma tutto quello che riusciva a fare era pensare e ripensare all’immagine di suo padre malato e solo, senza di lei. No, no, non poteva abbandonarlo, aveva bisogno di lei! Lady Julia non sarebbe stata in grado di curarlo, non si sarebbe mai sporcata le mani, quella! Aveva bisogno di lei, altrimenti avrebbe anche potuto…

- Va’ da lui.

Le parole di Adrian arrivarono con lo stesso effetto di un fulmine a ciel sereno. Catherine si volse lentamente a guardarlo, chiedendosi se non le avesse letto nel pensiero. Il volto mostruoso del padrone conservava la stessa impassibilità di un attimo prima, gli occhi azzurri la scrutavano con la medesima indecifrabilità.

- Va’ da lui - ripeté.

- C-cosa?- balbettò la ragazza, incredula.

- Hai sentito. Va’ da tuo padre.

Catherine rimase in silenzio per un attimo, quindi trovò la forza di parlare.

- Questo…- mormorò.- Questo significa che…

- Esatto. Non sei più mia prigioniera.

Catherine non avrebbe voluto dire questo, ma il mostro non le diede il tempo di spiegare.

- Dico davvero. Sei libera. Tuo padre ha bisogno di te, e io non potrei tenerti qui sapendo che non vuoi. E poi, ora sono certo che non c’è nulla che ti impedisca di andartene da qui - concluse, amaramente.

Catherine si sentì un verme, l’essere più spregevole che avesse mai calpestato questa terra. Avrebbe voluto dire qualcosa di dolce e giusto, qualcosa che curasse la ferita che lei aveva involontariamente causato, ma non trovò nulla di meglio che abbassare lo sguardo e scostarsi di un passo.

- Grazie, Adrian…- mormorò, porgendogli una mano in segno di saluto.

Il mostro l’accettò, ma non si limitò a stringerla; la tenne fra le sue a lungo, accarezzandone lievemente il dorso con le proprie dita artigliate. Catherine lo lasciò fare, scoprendosi incapace di sottrarsi a quelle goffe carezze.

Si guardarono negli occhi per un istante.

- Catherine, io ti amo - mormorò il mostro.

- Lo so…- sussurrò Catherine, maledicendosi subito dopo per la stupidità di quella risposta.

La ragazza si avvicinò al mostro, accostandosi al suo petto. Lo baciò lievemente su una spalla, attraverso la stoffa della camicia.

- Non essere triste, ti prego…- sussurrò.

Appoggiò il capo contro il suo petto, posando le mani sui pettorali scolpiti. Catherine lo sentì irrigidirsi, e questo la fece sentire ancora più male, tanto che chiuse gli occhi per frenare le lacrime.

- Adrian, ti prego, abbracciami…- implorò, con la voce rotta.

A quel punto, il padrone sentì che non ce l’avrebbe fatta a continuare con quell’atteggiamento sostenuto. Si lasciò andare, cingendo le spalle e la vita della ragazza e abbracciandola con tutto se stesso, affondando il volto mostruoso nei capelli corvini di lei. Avrebbe voluto stringerla di più a sé, posare le proprie labbra sulle sue e baciarla con ardore, ma tutto quello che poteva fare era semplicemente abbracciarla.

Dopo attimi che parvero eterni, Catherine si staccò, dirigendosi svelta verso la porta.

Si voltò un ultima volta.

- Grazie - ripeté, senza sorridere.

Il mostro non rispose, ma rimase a guardarla uscire.

 

***

 

Catherine indossò un semplice abito blu scuro e un mantello marrone; prese dalle scuderie il cavallo bianco che le aveva regalato Adrian e lo sellò. Quindi, tornò in cucina da Rosalie.

- Ma davvero sei stato tu a salvarmi?- stava chiedendo in quel momento la ragazzina a Peter.

- Ecco…beh, sì, sono stato io…- bofonchiò lui, imbarazzato.

- Grazie!- detto questo, Rosalie gli schioccò un bacio sulla guancia.

Peter divenne rosso dalle lentiggini sul naso fino alla punta delle orecchie, suscitando una risatina di Ernest.

- Rosalie!- chiamò Catherine.- Rosalie, forza, dobbiamo andare!

A quella frase, tutti si voltarono a guardarla, interdetti.

- Ma…che stai dicendo, Cathy?- domandò Constance.

- Torno a casa. Da mio padre.

- Che?- fece Peter, ancora rosso in viso. - Il padrone ti ha lasciata andare? Sei libera?

Catherine si limitò ad annuire; avrebbe voluto dire che da tempo, ormai, non si sentiva più una prigioniera, ma non poteva permettersi di trattenersi ancora di più.

- Andiamo, Rosalie!- incalzò, aiutando la sorella ad alzarsi.

- No, Catherine, aspetta!- fece la ragazzina.- Devo dirti una cosa…

- Non adesso, Rose, più tardi!

- Sul serio, Cathy, c’è una cosa che devi sapere, è molto importante…

- No, Rosalie! Non abbiamo tempo!

 

***

 

- Fate buon viaggio!- augurò Ernest, aiutando Rosalie a montare in sella; la ragazzina si aggrappò alla sorella, avvolgendole le braccia intorno alla vita.

- Grazie - mormorò Catherine, afferrando le briglie di cuoio del cavallo.

- Mi raccomando, sempre dritto finché non giungete all’albero dell’impiccato, poi da lì girate a destra e continuate fino al villaggio. Avete capito?- chiese Constance.

Catherine annuì quasi distrattamente, con lo sguardo rivolto alle torri del castello. Non riusciva a vederlo, ma la ragazza sapeva che, da qualche parte, il padrone la stava guardando.

- Ci mancherai, Cathy - disse Constance.

- Anche voi mi mancherete. Grazie di tutto - sorrise la ragazza, stringendo le mani a Constance, Ernest e Peter.

- Arrivederci, Cathy - disse quest’ultimo.- Ciao, Rosalie…- aggiunse poi, ridiventando tutto rosso in viso.

La ragazzina lo salutò con una mano; Catherine spronò il cavallo al galoppo.

Le due sorelle si lasciarono il maniero alle spalle, cavalcando per diversi metri. Catherine fermò un attimo il cavallo, volgendosi a guardare un’ultima volta le torri del maniero.

- Catherine? Che cos’hai?- chiese Rosalie.

- Nulla…- mormorò la ragazza, sentendo una stretta al cuore.

Spronò nuovamente il cavallo, che riprese la sua corsa. Catherine non si voltò.

 

***

 

Adrian rimase a guardare dalla finestra della sua stanza il cavallo bianco allontanarsi sempre di più, portando con sé quelle due figure, fino a scomparire nel folto della foresta.

Quando la cavalcatura scomparve dalla sua vista, il mostro si lasciò cadere in ginocchio sul pavimento, dando libero sfogo a tutto il suo dolore. Liberò la parte mostruosa di sé, lasciando che la bestia tornasse, impadronendosi di lui con un sonoro, rabbioso, doloroso ruggito.

 

Angolo Autrice: Ehm…questo capitolo è un po’ deprimente, lo so. Sul serio, gente, non so cosa mi sia preso, sarà una specie di depressione post-esame, ma proprio non ho idea di come mi sia venuta fuori una cosa così piagnucolosa…Nel prossimo capitolo, comunque, avremo un bel po’ d’azione, promesso…J. Il sogno di Catherine può apparire un episodio inutile, ma le parole di sua madre avranno importanza, più avanti nella storia. Lo specchio magico è preso dalla versione de La Bella e la Bestia della Disney, così come anche un po’ della scena finale…Ora, Cathy è partita lasciando Adrian nella disperazione…Nel prossimo capitolo, vedremo come sarà il suo rientro a casa: come tutti voi immaginerete, Lady Julia non l’accoglierà a braccia aperte con tanto di baci e abbracci…che succederà? Quali misure prenderà la matrigna? E Lord William? Riuscirà Cathy a salvare suo padre o i due cattivoni glielo impediranno? Intanto, Henry è sempre più vicino a scoprire la verità su Lord William, ma andrà tutto liscio o gli capiterà qualcosa? E Adrian, come farà, ora che la sua amata non c’è più?

Tutto questo, lo scopriremo nel prossimo capitolo!

Un grazie a tutti coloro che leggono, in particolare a jekikika96, a missballerinafb e ad Ellyra per aver recensito.

Ciao, al prossimo capitolo!

Dora93

  
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