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Autore: Jehanne    08/07/2012    11 recensioni
Tutto quello che la giovane Elis desiderava era un'avventura. Voleva solo esplorare la regione di Johto e diventare un'allenatrice. Ma, come molti sapranno, bisogna sempre stare attenti a ciò che si desidera, perché quando l'universo decide di accontentarci il risultato potrebbe non essere quello che si immaginava. Il mondo dei Pokémon sa essere crudele con un'allenatrice alle prime armi con il dono di attirare guai, fortuna (o sfortuna?) che non sarà sola, oh no, la compagnia non le mancherà di certo nel suo viaggio verso la lega. La domanda è: ci arriverà tutta intera?
[“Se hai ancora la mappa possiamo cercare un sentiero”
“Certo che ce l'ho ancora” Rispose acidello Silver, estraendo un foglietto spiegazzato dalla tasca “Ma ovviamente non siamo vicini a nessuna strada”
“Giusto, scusami. La prossima volta che vengo aggredita da un Pokémon gli chiederò se può gentilmente scaraventarmi sul percorso principale, chissà perché non ci ho pensato” ]
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio, Silver
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Don't call my name

 

Masticai con rabbia la caramellina rosa e vaporosa che tenevo fra le dita, senza neppure preoccuparmi di non sputacchiare in giro ne presi un'altra e la ghigliottinai con gli incisivi.
"Stupido Rossino" bofonchiai mentre frammenti di marshmallow venivano sputati qua e là, ma non me ne curai e continuai a ingozzarmi come un’anatra. 

Ecco il mio rimedio contro quasi tutti i problemi: dolci. L'unico cibo capace di mettermi di buon umore e ridarmi l'energia perduta come se mi avessero ricaricato le batterie.

Presi un'altra caramella e diedi una veloce occhiata ai dintorni per controllare che i Pokemon che avevo liberato ci fossero ancora. Come previsto i miei compagni gironzolavano tranquilli e spensierati davanti al centro Pokemon, portai il dolcetto alla bocca mentre allungavo il collo nella speranza di vedere riapparire Silver, ma niente da fare... Chissà se era tornato a nascondersi fra l'erba come un cretino o se aveva deciso di abbandonarmi al mio destino. In breve tempo il pacchetto di marshmallow si svuotò completamente, mi stupii della mia stessa voracità e mi chiesi perché non avevo ancora assunto le sembianze di uno Snorlax, viste le ingenti quantità ti schifezze che ingurgitavo di continuo.

Mi frugai in tasca e aprii con poca grazia l'ennesimo sacchetto di dolcetti, stavolta erano orsetti gommosi, iniziai a tirarne fuori uno dopo l'altro man mano che questi sparivano nella mia bocca e venivano masticati rumorosamente.

Ad un tratto, mentre davo una nuova occhiata al giardino del centro Pokémon, mi accorsi che fra i miei Pokemon ce n'erano due che ero certa di non aver mai visto prima. Erano due esserini dello stesso colore di un puffo, tranne che sulla pancia, quella era bianca con una spirale nera, somigliavano a dei girini con le zampe. Presi il Pokedex dalla tasca dei pantaloni per controllare di che specie fossero, ma nel compiere questo movimento le caramelle caddero tutte per terra.

“No!” mugolai vedendo il mio spuntino ormai immangiabile e sporco di terriccio misto a polvere. 

I due piccoletti zampettarono velocemente ai miei piedi per mangiarsi quello che fino a poco prima era destinato al mio stomaco. 
-Come si permettono questi due di spazzolarsi i miei orsetti?!-
 Guardai il Dex - Poliwag: Pokémon girino, è capace di indurre il sonno al proprio avversario con la mossa Ipnosi. Si trova molto di più a suo agio nell'acqua, dove può curarsi con l'Abilità Assorbacqua - lessi in fretta la parte che parlava della direzione della spirale senza dargli troppa importanza, feci per rimettere lo strumento al suo posto ma prima che potessi muovermi uno dei due Pokemon mi morse una gamba.

Non so perché lo fece.. forse l'avevo urtato involontariamente, forse non aveva gradito i miei orsetti gommosi oppure aveva scambiato il mio polpaccio per qualcosa di commestibile…

“Ahi!” esclamai, e quasi fosse un riflesso condizionato in risposta al pizzicotto poco piacevole appena ricevuto, scalciai e il girino volò un paio di metri più avanti con un mugolio di dolore. Mi pentii quasi subito di quello che avevo fatto, nell’esatto momento in cui quello per vendetta mi annaffiò con un getto d'acqua di una potenza che non credevo possibile per un esserino così piccolo.

Il getto mi fece cadere dalla panchina sul quale mi ero seduta, chiusi gli occhi di scatto e allungai le mani come a voler respingere tutta quella maledetta acqua che continuava ad entrarmi in bocca e nel naso.

Annaspai, tossendo e continuando a sputacchiare rivoli di acqua e saliva. Ci mancava solo che affogassi per colpa di una mezza rana!

Speravo tanto che quella che mi stava rovesciando addosso fosse solo acqua, perché se fosse stata bava di ranocchia o altre schifezze gli avrei fatti arrosto senza rimpianti.

Fortunatamente per me non durò molto e quando riaprii gli occhi riuscii a vedere i due Pokemon allontanarsi correndo, uno dei due si voltò e mi guardò in cagnesco (non ero sicura che una rana potesse guardare qualcuno in cagnesco, ma era vero anche che quel coso mi aveva appena morso eppure ero quasi sicura che non avesse denti in quella piccola e rosea bocca rotonda).
Da quello sguardo capii che quello era solo un assaggio e che erano intenzionati a vendicarsi come si deve...

"Bleah.." Mi liberai dell'acqua che avevo ancora in bocca, formando una fontanella e cercai di rialzarmi, ma non riuscii neppure a sedermi che scivolai di nuovo sbattendo la testa. Così mi ritrovai di nuovo immersa nella mia pozzanghera personale come uno strano pesce in punto di morte, e stavolta avevo anche un enorme bernoccolo a ricordarmi che se non facevo attenzione rischiavo di spaccarmi il cranio in due pezzi come un cocomero.

"Maledetti..." borbottai, se quella era una dichiarazione di guerra potevano stare sicuri che non sarei stata io a sventolare bandiera bianca per prima!

L'acqua intorno a me si era colorata di blu per colpa del colorante che Chiara mi aveva spruzzato sui capelli e che adesso si stava piano piano stingendo, avrei dovuto essere felice che finalmente i miei capelli potessero riprendere il loro colore naturale anziché quel blu elettrico che mi metteva in imbarazzo continuamente, chissà cosa avrebbe detto mia madre vedendo quell'eccentrica colorazione, probabilmente le sarebbe venuto un infarto.

Mi rialzai con più cautela rispetto al precedente tentativo e stavolta riuscii a rimettermi in piedi senza troppi incidenti. Mentre io imprecavo come qualcuno che ha mangiato cibo andato a male e ha trovato il bagno occupato, e mi rimettevo sulla panchina, il mio fin troppo silenzioso rivale era riapparso ma io me ne accorsi solo dopo averlo visto seduto accanto a me.
Il mio cervello annacquato non era ancora collegato come si deve (che avesse staccato la spina temendo un cortocircuito?) e quella apparizione inattesa mi spaventò.
E quando dico spaventare intendo dire che scattai come una molla, lanciai un gridolino isterico, scivolai e di conseguenza rotolai per terra, di nuovo (ok, questo non era nei miei piani, ma ero ancora bagnata, la panchina era stretta e il mio equilibrio faceva le bizze: in sostanza, la caduta era inevitabile...)

"Che mi sono perso?" chiese guardandomi dall'alto.

Grugnii, lanciandogli un’occhiataccia per fargli capire che non ero in vena di battutine e che l’ultima cosa di cui avevo bisogno era di sentire dire quanto fossi imbranata dal mio rivale. Ero un disastro su tutti i fronti e ne ero ben consapevole anche senza i suoi commenti.

"Un paio di Pokemon-ranocchia-puffo mi hanno dichiarato guerra" mi tirai su e notando il suo sguardo incredulo mi affrettai a spiegare la curiosa faccenda "Allora, io stavo facendo tranquillamente merenda su questa panchina, mentre due Poliwag scorrazzavano qui vicino. Poi mi sono cadute le caramelle, quelli sono venuti per mangiarsele, uno di loro mi ha morso e io gli ho tirato un calcio. Loro si sono arrabbiati, mi hanno annaffiato e se ne sono andati a preparare un piano diabolico per farmela pagare. Semplice" conclusi. Mi strizzai la maglietta completamente zuppa e lo guardai alzando le sopracciglia come se quello che mi era successo fosse una cosa normalissima. 

Quello mi scambiò uno sguardo scettico, cercando un segno che provasse che la mia sanità mentale era andata allegramente a quel paese. Non disse niente. Forse non aveva trovato il segno che stava cercando, o forse pensava che fossi sotto l'effetto di qualche droga pesante o aspettava che mi mettessi a ridere gridando "Sto scherzando!" 

Ma sfortunatamente, no, non era uno scherzo. Due girini mi avevano davvero giurato vendetta. 

Silver ormai si era rassegnato alla mia capacità di attirare sventure, disastri, imprevisti, incidenti e roba simile, quindi si limitò a sospirare e scuotere la testa.
"Prendo la mia roba e poi partiamo, ci ritroviamo qui fra qualche minuto." A quanto pareva il mio compare aveva già pianificato la partenza, ed era un ottima cosa, se me ne andavo in fretta da Amarantopoli forse i due Pokemon acquatici avrebbero rinunciato alla loro vendetta.

Silver entrò nel centro Pokemon, mentre io da fuori osservavo la sua figura camminare svelta verso le scale e salirle in fretta in direzione della sua stanza.

Sbuffai e mi sdraiai sulla panchina. Avevo già tutto pronto per la partenza, adesso dovevo solo asciugarmi un po' al sole estivo. Ero quasi sicura di non puzzare di pesce morto, né di rana e neppure di acquitrino. E questo era, forse, il solo lato positivo.
 Rimasi lì stesa a pelle di leopardo fino a che Silver non mi comparve davanti, lo zaino su una spalla e le mani nelle tasche, che mi guardava aspettando che mi riprendessi.
Mi alzai, ero ancora bagnata, abbastanza da farmi credere che mi stessero crescendo le alghe nei pantaloncini ma almeno non ero completamente zuppa.

"Muoviamoci" Disse il ragazzo voltandosi e imboccando la strada che portava fuori da Amarantopoli. 
"Agli ordini" sghignazzai, assumendo una posa militaresca. 
"Hn.." roteò gli occhi e non disse altro.

Sperai che il suo senso dell'orientamento fosse migliore del mio (che ero riuscita a perdermi nel Bosco di Lecci e che per trovare la palestra di Amarantopoli avevo impiegato una mattinata intera) e gli trotterellai dietro.

*    *    *


-Percorso 38. Proseguire a dritto-  
Questo diceva il cartello che stavo fissando da un tempo indefinito, con una faccia più ebete del solito e un rivolo di bava che mi usciva dalla bocca. La scritta era piuttosto chiara, ma io davanti a noi vedevo solo un insignificante sentierino di terra battuta, quasi invisibile fra gli alberi rigogliosi da un lato e la città dall'altro.

"Non potremo prendere un autobus per arrivare a Olivinopoli ?" chiesi, l'idea di dover attraversare un bosco così fitto su un sentiero che si vedeva appena non mi rassicurava per niente. Considerando la mia fortuna e la mia bussola interiore (che al posto del nord aveva una fetta di torta) saremmo finiti ad Atlantide...

In risposta Silver mi scambiò uno sguardo piuttosto semplice da interpretare, sembrava dire "Dove hai sbattuto la testa stavolta?". Ormai avrei dovuto sapere che Rossino mi considerava pazza. 
"Questa è l'unica strada -credo-" 
"Ehm.. Credi?" lui mi ignorò, manco fossi stata una zanzara e continuò il suo discorso che avrebbe dovuto convincermi a trascinare il mio culo pigro in quella foresta.
"Non lagnarti e inizia a camminare, mocciosa" grugnì spazientito (di bene in meglio, era già nervoso...).

“È la cosa migliore che sai dire? Col cavolo che ti seguo! Vado a cercare un autobus o un treno, un aereo, un deltaplano.. va bene anche un motoscafo, ma io non entro in un bosco buio e minaccioso, con te che credi di sapere la strada. Non voglio mica fare la fine di cappuccetto rosso. Con la fortuna che mi ritrovo è probabile che il lupo decida di farmi causa perché sono indigesta. No, grazie." Feci un gesto di saluto con la mano e girai sui tacchi, decisa a tornare in città e noleggiare un canotto per arrivare a Olivinopoli senza passare da quella stradina che non mi rassicurava per niente.

Non sapevo esattamente perché mi stessi rifiutando di proseguire dove il mio compagno mi stava indicando, semplicemente oggi ero più nervosa del solito e sentivo come se stesse per succedere qualcosa di orribile. Forse era colpa del caffè che mi ero bevuta poco prima, forse era colpa delle caramelle (chissà cosa ci mettono per farle così buone) oppure era stata la doccia che mi avevano fatto i due Poliwag.. Non ne avevo davvero idea, sapevo solo che io non avrei preso quel sentiero neppure se fosse stato coperto di pepite d'oro... Okay, per qualche pezzo d'oro l'avrei fatto (anche per della cioccolata, ma questi erano dettagli..)

Non feci in tempo a fare un passo che Silver mi afferrò per i capelli e mi strattonò, come si fa con i cani al guinzaglio, ma io non ero un cane e i miei capelli non erano un guinzaglio, cazzarola! 

"Cosa credi di fare? Lasciami subito! Io non ci voglio andare nel bosco, Noooo!" mugolai, iniziando un tiro alla fune decisamente poco vantaggioso per me.
"Non dire cazzate" fece pacato, per lui la conversazione era già chiusa, il suo tono non ammetteva repliche.
"NO!" mi sedetti e incrociai le braccia al petto. Se voleva farmi spostare avrebbe dovuto trascinarmi per le caviglie.

Vidi Sil massaggiarsi le tempie e sbuffare, poi si tolse lo zaino e ci infilò una mano dentro. Dopo pochi secondi tirò fuori un sacchetto di caramelle. Un delizioso, magnifico, dolce, gommoso, colorato sacchetto di liquirizie. 

Mi brillarono gli occhi, quello era meglio degli orsetti alla frutta che mi avevano rubato i girini. Mi alzai, scattando come una molla nel tentativo di afferrarli, ma Rossino si scansò all'ultimo momento lasciandomi a mani vuote e di nuovo con il sedere per terra.
"EHI!" protestai delusissima, avevo bisogno di quelle caramelle, ne andava della mia sanità mentale! E quell'insensibile me le aveva appena tolte da sotto il naso! 
Silver scosse la testa e rimise il pacchetto nello zaino, lo fulminai con lo sguardo ma lui rimase impassibile "Te lo darò quando saremo arrivati alla prossima città" 

Sapevo che quello poteva significare che avrei rivisto le liquirizie dopo un numero non calcolabile di giorni, ma quello che era davvero importante era che una volta arrivati in città le caramelle sarebbero state mie. Mandai tutti i miei presentimenti a farsi un giro e partii come un razzo per il sentierino su cui fino a un minuto prima non avrei messo nemmeno un piede.
"Sei ancora lì?" chiesi voltandomi verso il ragazzo, era rimasto impietrito, probabilmente non credeva che il suo piano potesse avere un effetto così immediato.

Rossino mi precedette, deciso a non lasciarsi guidare dalla "calamita per sfighe" e di affidarsi alla sua mappa. Io mi limitavo a seguirlo in silenzio anche se a dire il vero mi sarebbe piaciuto iniziare un discorso, ma non avevo niente da dire e non potevo sperare che lo facesse Silver bocca cucita, quindi non mi rimaneva che rimanere in silenzio e sperare che non sbagliasse strada.

Anche se avevo deciso di seguire Rossino in quel bosco, che trovavo sempre meno rassicurante, la sensazione che stesse per succedermi qualcosa che non mi sarebbe piaciuto affatto non se n'era a ancora andata, anzi, ad ogni passo il mio mal di stomaco da ansia peggiorava.

Silver mi ignorava, aveva deciso di fingere che non esistessi. Non staccava gli occhi dalla mappa tascabile della regione (che aveva avuto la buona idea di acquistare al negozietto). Cominciavo ad essere gelosa di quella mappa, cosa avrei dovuto fare per farmi notare? Tatuarmi la cartina geografica di Johto sul petto?
No, non credo che sarebbe bastato.

Secondo il nostro famoso contratto, lui avrebbe dovuto evitare che schiattassi. Nei limiti del possibile ovviamente. Silver non sapeva fare miracoli, e non era dotato di nessun super potere (purtroppo), però se neppure mi guardava come poteva salvarmi dai Poliwag inferociti?
Ok, lo ammetto ero convinta che le due ranocchie non si fossero dimenticate di me anche se non ero più in città. I miei sensi super sviluppati mi dicevano che quei cosi mi stavano seguendo. O forse ero diventata girinopatica. 

"Ehi?" chiamai, iniziando a camminare più veloce per raggiungerlo. Era sorprendente vedere come la distanza fra noi si era dilatata senza che me ne accorgessi... Ero davvero così lenta o Silver stava volutamente tentando di seminarmi? "Ti ho mai raccontato la storia della mia vita?" gli chiesi una volta che gli fui accanto mentre mi preparavo a snocciolare più parole possibili.

Non era colpa mia se sparare cretinate a casaccio fosse l’unico modo per farmi passare l’ansia.

"Sì, ci hai provato" mi ricordò con una calma che io in quel frangente potevo solo sognarmi. Ma come diavolo faceva a stare così tranquillo? Si era imbottito di camomilla?  Io già sentivo puzza di Poliwag e pensavo a cosa mettermi se mi avessero annaffiato di nuovo. Perché una sosta per potermi asciugare era fuori discussione, non sia mai che Elis la sfigata rallenti l'eroico cammino di Silver il Magnifico!

"Bene, allora colgo l'occasione per raccontarti la versione integrale delle mie avventure passate" la mia palpebra sinistra sbatté un paio di volte senza controllo, gli angoli della bocca si alzavano e si abbassavano senza che glielo ordinassi, invece di camminare saltellavo a destra e a sinistra, presi a torturarmi le mani rendendomi conto che non era da me avere tutti quei tic nervosi.

Presi fiato, sforzandomi di controllare i miei tic e aprii la bocca, pronta a mitragliare parole a raffica.

 "Prima di iniziare devo ringraziare mia madre, Emma, che mi ha cresciuta senza l'aiuto di nessuno, se non quello dei suoi fratelli, ovvero i miei zii che ogni tanto si intromettevano nella vita della sorellina, perché mio padre se l'era data a gambe poco dopo la mia nascita. Mamma dice che è scappato in una regione lontana per non avere responsabilità.

Non mi ha mai detto molto di lui, solo che era un uomo tanto avvenente quanto stronzo. Negli anni successivi ha cambiato fidanzati come se fossero calzini continuando a credere che prima o poi il suo principe sarebbe caduto dal cielo, poi è nato mio fratello e da allora ha deciso di smetterla di cercarsi un uomo con cui passare la vita, dato che tutti prima o poi se ne andavano. Dopo questo preambolo sulla mia famiglia, passo a raccontare la mia movimentata ed eccitante infanzia"

Feci una pausa per respirare “Ho passato i primi anni della mia vita tormentando quel povero sfigato di Armonio, giocando a fare l’esploratrice, la regina della giungla insieme ai pochi altri bambini di Borgofoglianova. È stato infatti durante questo felice periodo che ho imparato ad arrampicarmi sugli alberi (cosa che mi ha fatto capire quanto possa essere crudele la forza di gravità quando vuole farti cadere a terra), a riconoscere le bacche buone da quelle che fanno venire il mal di pancia, a fare scherzi senza essere scoperta e a scappare velocemente dopo aver combinato un pasticcio incolpando qualcun altro” Dissi tutto d’un fiato.

Riempii nuovamente i polmoni d’aria, preparandomi a ripartire in quarta con il mio racconto.

Silver parve impallidire, mi guardò malissimo e prima che potessi ricominciare a consumarmi le corde vocali con il mio chiacchiericcio e disintegrare definitivamente la sua già scarsa pazienza mi afferrò il polso così forte da lasciarmi un segno di un colore a metà fra il rosso, il bordeaux e il viola, e mi strattonò in avanti. Quando gli fui abbastanza vicino mi premette l’altra mano sulla faccia, inutile dire che non fu affatto delicato. Non sapevo se volesse assicurarsi che non uscisse nemmeno una parola o tentare di soffocarmi...

Mi stava tappando anche il naso e anche se capivo la sua repulsione verso il mio farneticare, questo sembrava davvero un attentato alla mia vita.

Gemetti infastidita e mi dimenai, ma non si accorse che mi stava impedendo di respirare. Dovevo solo sperare che non fosse davvero un tentativo di omicidio. Anzi, di Eli-cidio. Che era ancora peggio!

Per quanto mi agitassi, l’unica cosa che riuscii ad ottenere fu una stretta più forte attorno al mio braccio e sulla faccia. In quanto a forza fisica Silver era avvantaggiato, chiaro, io ero una ragazzina con i muscoli inflacciditi da anni di inattività mentre lui poteva avere un fisico da palestratissimo lottatore di wrestling sotto quella felpa e io non l’avrei mai scoperto..

La mancanza di ossigeno iniziava a diventare insopportabile, così gli morsi a sangue le dita che avevano avuto la sfortuna di trovarsi davanti alla mia bocca, riuscii a riavere il naso libero ma il mio morso non gli era bastato per convincerlo a togliermi quella mano, che adesso avrei voluto amputargli, dal viso.

“Non so cosa ti stia succedendo, e sinceramente non mi importa, ma se continui a parlare a vanvera cercando di fermi perdere il senno, giuro che ti seppellisco viva” detto questo mi lasciò e si infilò la mano che portava il segno sanguinante dei miei denti nella tasca dei pantaloni.

Sentii una rabbia omicida salire dalle punte dei piedi fino alle radici dei capelli, i muscoli delle braccia si irrigidirono mentre le ginocchia ebbero un fremito, lo stomaco mi si capovolse e per il mio già poco accentuato lato gentile fu l’inizio della fine.

Avrei tanto voluto urlare, magari sbattere i piedi per terra e agitare le braccia come se fossi in piena crisi di isterismo da “barattolo di nutella finito”. Oppure fare un grido animalesco come un vichingo che sta per lanciarsi contro un orda di nemici armato di martellone spacca-teste, o come Xena l’invincibile principessa guerriera forgiata dal fuoco di mille battaglie (ok, ammetto che prima di partire come allenatrice passavo il mio tempo davanti al televisore).

Non sapevo neppure cosa urlare. Forse una valanga di parolacce degne dei peggiori scaricatori di porto della regione sarebbe stata appropriata.

 Anche se così facendo rischiavo di rivelare la mia posizione a i miei girini pedinatori, optai comunque per l’urlo animalesco seguito da una vagonata di imprecazioni.

“AAAAAAAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRRG!!” Ecco, appunto, il declino della mia parte gentile era iniziato.

Silver si voltò giusto in tempo per vedere la mia trasformazione da ragazza quasi normale a completa pazza furiosa urlante.
Il ragazzo incrociò le braccia e scosse la testa, mi considerava come una bambina incapace di controllare le proprie emozioni, infantile e capricciosa. Forse lo ero, non ero mai stata famosa per il mio autocontrollo, né per la mia maturità. Ma non ero disposta ad ammetterlo né tantomeno a cercare di porvi rimedio.

Lo guardai con odio, quanto detestavo quella sua aria di superiorità, era una di quelle cose che ero sicura di non poter riuscire a sopportare neppure se fossero passati mille anni.

“Tu!” Strillai additandolo “Tu, enormissimo insensibile! Come fai a trattare così una povera ragazzina? Va bene, abbiamo le nostre divergenze, e so che non sopporti le mie chiacchiere.. Ma cerca di capirmi, perdindirindina! Ma cosa hai al posto del cuore? Una scatoletta di pomodori pelati??”

Mi avvicinai e gli sventolai sotto il naso il mio polso con sopra stampate le impronte delle sue delicatissime dita.

“Guarda cosa mi hai fatto maledetto uomo di latta! Guarda il mio povero braccio, fa male sai?”

Ok, dopo questo teatrino avrebbero potuto incoronarmi regina del dramma ed io avrei saputo di meritarlo. Avevo un certo talento per ingigantire (o all’occorrenza minimizzare) i fatti e torcere la realtà a mio vantaggio, era grazie a questa sottile arte che ero riuscita a farla franca in più di un occasione quando da piccola combinavo disastri e poi mi inventavo storie fantastiche su come avessi appena sventato la fine del mondo o la distruzione del paese e che quello fosse un piccolo prezzo da pagare per la salvezza di tutti.

Ma Silver non faceva un piega, alzò il suo solito sopracciglio che poteva significare tutto e niente. Maledetto. Un giorno di questi gli avrei rasato le sopracciglia nel sonno, chissà, magari così avrebbe smesso di usarli per comunicare e avrebbe iniziato ad usare la lingua.

“E non guardarmi a quel modo! Non è così che si trattano le ragazze” ecco che partivo per la tangente…
“Ma che vuoi saperne tu delle buone maniere e di come ci si comporta” continuai a strillare e lo additai nuovamente “Tu che hai la finezza di una palettata di sterco!” 
“Senti da che pulpito viene la predica…” borbottò, questa interruzione al mio monologo mi fece incavolare ancora di più. 
“AAAARGH-” gridai di nuovo, ma stavolta non riuscii a terminare il mio ruggito animalesco che mi ritrovai a indietreggiare colpita da un forte getto d’acqua.

Successe tutto troppo in fretta per permettermi di capire con esattezza cosa fosse appena successo. L’unica cosa che mi apparve chiara fin da subito era che quei piccoli girini indemoniati mi avevano appena trovato e l’attacco pistolacqua che mi aveva appena colpito faceva parte della loro vendetta.

 Mi tappai alla svelta la bocca, cercai di proteggermi gli occhi con una mano mentre con l’altra prendevo una pokeball a caso dalla cintura e cercavo di staccarla.

Tossii a corto d’aria e ripresi fiato, ingoiando un po’ d’acqua nel tentativo di non morire asfissiata. La sfera che avevo i mano scivolò via dalle mie dita bagnate e rotolò per terra, mi abbassai di scatto e tastai alla ceca per cercare la piccola palla e fare in modo che si aprisse, così da chiamare uno dei miei Pokemon per soccorrermi.

Dopo aver palpato un po’ a casaccio la terra sentii sotto il palmo della mano la forma familiare della ball, la strinsi nel tentativo di beccare il tasto che la facesse aprire e sperai con tutto il cuore di farlo in fretta.

Finalmente sentii un *click* e con un lampo di luce rossa e bianca, che a malapena riuscii a vedere attraverso la massa d’acqua che ancora mi stavano rovesciando addosso, il mio Eevee venne liberato poco lontano da me.

Adesso però c’era un altro problema: come facevo a dare ordini al mio Pokemon se ogni volta che aprivo bacca rischiavo di affogare? 
“Attacca i due puffi -blubb- pallina di pelo!” Gridai senza trovare nulla di meglio da dire.
Il mio cervellino se ne era andato a cercare un posto più asciutto dove abitare e mi aveva lasciata sola nel momento del bisogno, come al solito del resto.

L’attacco cessò all’improvviso, mi asciugai gli occhi, feci in tempo a vedere Silver che se ne stava lì impalato a guardare la scena cercando di capire se fosse lui ad avere le allucinazioni o io che diventavo più sfortunata ogni giorno che passava. Il mio Eevee, invece, mi dimostrava la sua fedeltà andando in cerca di farfalle, fregandosene di me e dei miei persecutori acquatici.
Traditore. 
Io rischio l’annegamento e il batuffolo scansafatiche annusa il vento, ma chiedere una cosa che vada per il verso giusto è pretendere troppo??

Mi tolsi lo zaino e scattai in avanti, evitando per un pelo l’attacco successivo, mi misi a correre a zig-zag, riparandomi di tanto in tanto dietro agli alberi, più che decisa a non diventare un bersaglio facile per quelle mezze rane.

Poco importava dove fossi diretta o se mi fossi persa, preferivo smarrirmi in un bosco che dargliela vinta. Non mi sarei fatta prendere per i fondelli anche da loro, c’erano già un sacco di Pokemon che ancora ridevano alle mie spalle dopo aver assistito a una delle mie fantastiche performance da perfetta allenatrice idiota.

Lanciai un gridolino e saltai di lato quando sentii l’ennesimo getto d’acqua sfiorarmi la gamba.

Grosso errore.

Perché con quel piccolo e insignificante saltino andai a sbattere contro un albero che non avevo visto, almeno fino a che non sentii la corteccia ruvida grattugiarmi la spalla.
Disorientata dalla botta inaspettata, ripresi a correre barcollando fino a che uno dei due Poliwag innaffiò la terra davanti a me trasformandola in fango.

“Oh cavolo!”

Come era prevedibile i miei piedi scivolarono e caddi nella melma impiastricciandomi vestiti, pelle e capelli con quello schifo. I miei inseguitori colsero l’occasione al volo e mi attaccarono di nuovo, stavolta invece del solito spruzzo d’acqua mi lanciarono delle palle di fango puzzolente.

-No, no, no. Non voglio crederci. Due girini stanno davvero tentando di seppellirmi? Ditemi che è solo un brutto sogno- piagnucolai mentalmente.

Tentai di rialzarmi ma quelli mi incollarono le braccia a terra con altre palle di mucillagine marrone. 
Gridai imprecazioni a random, le urlai talmente forte che gli uccelli volarono via spaventati e i Poliwag scossero la testa infastiditi dalla potenza delle mie corde vocali. Cacchio, ho un futuro come soprano… O come sirena della polizia, fa lo stesso.

Con uno sforzo titanico riuscii a liberare le braccia, una volta libere le usai per togliermi di dosso la fanghiglia che mi bloccava il busto e parte delle gambe, ma alla fine riuscii ad alzarmi e riprendere a correre.

Mentre mi muovevo più veloce possibile inseguita da due girini ancora più infuriati che pretendevano vendetta, notai che la vegetazione intorno a me iniziava a diradarsi, l’ambiente stava diventando meno verde e meno ombroso, e più soleggiato. non sapevo se fosse una cosa positiva oppure no, ma ero certa che significasse qualcosa.


La risposta mi venne sbattuta in faccia poco dopo, quando fui costretta a inchiodare per non finire dritta nel pauroso strapiombo che mi si parava davanti.

Per essere precisi non era un vero e proprio strapiombo… Non immaginatevi burroni neri e rocce che penzolavano nel vuoto. Quello con cui avevo a che fare era un ripido fianco della collina su cui avevamo passeggiato per tutta la mattinata.
Già, un bel discesone pieno di rovi, ortiche e tante altre di piante pungenti che non avevo la minima voglia di studiare da vicino.

Arretrai istintivamente e feci per tornare indietro, magari scegliendomi una strada meno tortuosa e senza troppi alberi per fuggire agevolmente.

“Pooooli~”  

Mi voltai terrorizzata verso i due Poliwag che mi sorridevano malignamente. 
“Parliamone…” farfugliai non troppo convinta della strategia appena adottata “Mi dispiace per avervi dato un calcio, per farmi perdonare posso darvi altre caramelle, che ne dite?”

Avevo già provato la tecnica corrompi i Pokémon infuriati con il cibo con Raikou e non si poteva certo dire che fosse finita bene, quel gattaccio elettrico mi aveva fulminato fino a che non avevo smesso di respirare, una quasi morte non poteva essere considerato come il successo del mio piano.

Ok, usare il cibo per farmi perdonare avrebbe funzionato solo se davanti a me ci fosse stato il mio clone, ma non era colpa mia se in certe ore era il mio stomaco a dettare le regole (e se il mio orologio interiore diceva il vero doveva essere l’ora di merenda).

I due girini si scambiarono un occhiata complice, poi guardarono me, poi il burrone pieno di rovi, poi si guardarono un'altra volta e infine si fermarono sul mio povero corpo. Li fissai cercando di entrare in telepatia con loro “Non fatemi del male nonfatemidelmale nonfatemidelmale nonfatemidelmale, vi prego, vipregovipregoviprego” pregai, sperando di influenzarli con la forza del pensiero.

Dopo una gara di sguardi fra me e le mezze rane realizzai che la girnopatia era un’idea cretina.

“Poli- poli- wag!” disse uno. 
“Waaaaaag” fece eco l’altro. 
“Poli-li” rispose.

“Senti cosino, io non parlo girinese e neppure la mistica lingua delle rane, quindi smettetela di fare versi e cerchiamo un’ altro modo per comunicare, ok?” ero stufa marcia di quei Poliwag, certo, fare in modo che mi lasciassero in pace era la mia priorità in questo momento, ma non avevo nessuna intenzione di intavolare una chiacchierata quando avrei potuto rimandarli ad Amarantopoli a calci.

-No Elis, non essere aggressiva. Non pensarci neppure, quando ti arrabbi non succede mai nulla di buono- Mi rimproverò la vocina della coscienza.

-Proprio ora ti fai risentire voce della malora? Dove diamine eravate tu e le tue frasi da bacio perugina quando ne avevo bisogno, eh? Cosa credi che la mia testa sia un albergo a ore dove tu puoi andare e venire quando ti pare?!-
-Ma..-

-Niente “ma”! Quando i Poliwag se ne vanno facciamo i conti- Non ci potevo credere, avevo appena messo in punizione la mia vocina interiore, probabilmente stavo impazzando, ma provavo una certa soddisfazione nel metterla a tacere.

“Poli-wag!” fecero in coro gli esserini.

Contro ogni mia più rosea previsione i due Pokémon mi sorrisero radiosi e dovetti darmi un pizzicotto per essere sicura che fosse reale. Osservai allibita i piccoletti che felici e contenti mi si strusciavano contro le gambe come gattini, sentire la loro pelle liscia e fresca contro la mia mi dava i brividi ma feci appello alle mie forze per cacciare la sensazione di schifo che provavo verso quelle creaturine.

Ringraziai la Dea della Fortuna, che fino a quel momento pareva avermi voltato le spalle, per avermi graziata evitandomi di essere spinta giù per la collina. Tesi una mano per accarezzare uno dei Poliwag, avvicinai l’arto titubante, quello lo guardò per un momento poi si mise a fare le feste come un cane davanti al padrone.

“Tutto è bene quel che finisce bene” erano secoli che sognavo di dirlo, peccato che non ne avevo mai avuto occasione. Mi gonfiai, quasi commossa da quel finale e dalla piega che stava prendendo la mia avventura. Sentivo che da adesso in poi le cose sarebbero andate meglio, non era solo una speranza di una ragazzina sfigata e rassegnata a morire prematuramente, stavolta ci credevo davvero.

I puffi acquatici zampettarono verso gli alberi, lanciando di tanto in tanto fischi striduli per palesare la loro gioia, li seguii altrettanto felice di poter riprendere il mio viaggio in pace. Sentivo che ritrovare Silver non sarebbe stato poi così difficile, dopotutto non avevo fatto un percorse tanto intricato, ero andata più o meno a dritto (zig-zag strategico a parte..) per tutto il tempo. 
Ero carica di ottimismo e buoni propositi, sprizzavo stelline colorate di entusiasmo anche dalle orecchie, il mondo aveva un colore diverso se lo si guardava dalla parte giusta, tutto era così splendidamente positivo che credetti che la mia sfiga mi avesse abbandonato una volta per tutte.

“POLIII!” Stridette uno di loro, sentii qualcosa di viscido sotto la scarpa e alzi il piede di scatto realizzando troppo tardi che gli avevo appena pestato la coda.

I due mi guardarono incavolati neri, tutto il loro affetto nei miei confronti andò a farsi benedire assieme al mio ottimismo, mi ringhiarono contro (dovevo rivedere le mie convinzioni, non solo i girini sanno mordere, guardare le persone in cagnesco e fare le feste come animali domestici, ma anche ringhiare!) strillando versetti pieni di odio.

Vidi la mia positività trasformarsi in altro cinismo mentre i due Poliwag si preparavano ad un attacco in contemporanea.
Nella mia testa c’era l’immagine della Dea Fortunella mi faceva la linguaccia e alzava poco elegantemente il dito medio mentre gridava “Ti ho fregata e tu ci sei cascata, sei solo una sfigata!” come una cantilena canzonatoria.

Meno di un secondo dopo fui colpita in pieno stomaco da un getto d’acqua di potenza inaudita e scaraventata giù per la collina.

“Nooooooooooooooooo!”

 

Atterrai sulla terra dura, feci un mugolio dolorante e mi portai le braccia al petto con la speranza di poter proteggere almeno una parte di me dalle spine mentre prendevo velocità e rotolavo meglio di una tronco giù per la scarpata.

Ortiche, rovi, sassi e altri odiosi arbusti mi facevano vedere le stelle ogni volta che ci passavo sopra. -Ma questa è una collina o il puntaspilli di nonna Gwendoline? Che cavolo, fa male! E parecchio anche…-

Qualche rotolata più tardi mi sentii sbattere contro qualcosa di duro, la cosa urlò e me la ritrovai sopra, poi sotto, poi ancora sopra, di nuovo sotto…
In quella centrifuga di cespugli spinosi, piante urticanti e corpi umani riuscii a vedere qualche ciocca di capelli biondi e un paio di occhi blu. Per un attimo temetti di aver investito Angelo ma poi mi resi conto che non era possibile e che il Capopalestra di Amarantopoli aveva di meglio da fare che trovarsi lì.

La caduta rallentò, smettemmo di rotolare e mi sentii scivolare ancora per un metro o due prima di fermarmi del tutto. Tastai la terra intorno a me per accertarmi che fosse davvero finita, non potevo esserne sicura, la mia testa continuava a girare e non sapevo più dove fosse il cielo e quale posto occupava la terra.

Avevo lo stomaco sottosopra, stavo per vomitare, me lo sentivo. Mi tappai la bocca con la mano, mi misi a quattro zampe e mi fissai le mani senza però vederle davvero, l’immagine era sfocata e roteava costantemente. Il peso che sentivo sulla pancia peggiorò.

Strisciai verso un albero che avevo intravisto fra una piroetta e l’altra del mio campo visivo e lo usai come appoggio per alzarmi. 
“Ok, sono viva, fisicamente a pezzi ed emotivamente distrutta, ma viva.” Mi dissi cercando di darmi fiducia. Sbattei le palpebre e mi massaggiai le tempie, tutto rallentò e smise di muoversi dopo pochi secondi. Mi guardai intorno per fare il punto della situazione. 
Ero stordita e barcollante, piena di spine, schegge di legno, la maglietta era a brandelli, avevo dolori dappertutto, non avevo più una scarpa e solo per miracolo non mi ero rotta l’osso del collo.

Mi ero dimenticata qualcosa? Ah, già, avevo perso il mio compagno di viaggio, il mio Eevee e lo zaino con il cibo, e avevo anche travolto un povero ragazzo innocente che adesso si lamentava con la faccia a terra,

“Ehi, tu… Stai bene?” domandai, muovendo qualche passo incerto verso di lui. Il ragazzo si tirò a sedere, ancora si massaggiava la testa con la mano e piagnucolava qualcosa. 
Appena mi vide spalancò gli occhi e mi guardò stupito “E- Eli- Elizaveta?!”

 


Il sottoscala di El: 
Riecco che dopo mesi di assenza ingiustificata torno ad infestare questo posto.
Ringrazio chi ancora mi segue nonostante la mia mediocrità e scarso rispetto degli impegni presi (come aggiornare regolarmente..) e chiunque abbia letto questo capitolo lunghissimo (almeno per me), spero che non sia una delusione.

Precisazioni:
- Io non so quale sia il vero nome della madre dei protagonisti nel gioco, così me lo sono inventata e l'ho chiamata Emma (a proposito, vi piace come nome ?) . Ho anche allargato la famiglia della protagonista, ho deciso che Emma avrà tre fratelli più grandi e di conseguenza Elis avrà vagonate di parenti sparsi un po' ovunque.
- Ho allungato un po' il percorso che Elis e Silver stanno percorrendo, aggiungendo anche qualche innocente collinetta e discese della morte... Nel gioco sembra che la regione sia grande quanto un francobollo, se dovessimo fare un rapporto con il mondo reale quanto sarebbe grande Johto? come una regione d'Italia o più piccola tipo, non so, l'isola d'Elba? (scusate i paragoni idioti) .
Non credo però che siano tanto grandi, voglio dire, mi rimane difficile immaginare dei ragazzini che esplorano a piedi una nazione intera, mi sembra un po' esagerato... Insomma mi rivolgo a voi perché io mi sono lambiccata il cervello fino allo sfinimento e non ci ho ancora capito niente.

- Quel "Elizaveta" alla fine è ricollegabile al nome che Emma sognava di dare alla figlia quando era ancora una ragazzina, è una cavolata che ho aggiunto quando ho modificato il secondo capitolo, lì è spiegato anche perché la protagonista ha un nome così insolito.
Un’ultima cosa: 
Come avrete notato sto modificando i primi capitoli perché non mi piacciono più. Bene, vorrei chiedervi se potreste tornare indietro a dare un'occhiata ai vecchi capitoli e scrivermi qualche consiglio per migliorarli, cosa fareste voi se foste al mio posto per dare una rinnovata ai vecchi scritti. Non è una trovata per avere recensioni, se preferite potete anche scrivermelo come messaggio personale o mandarmi un appello telepatico...
Spero che mi aiuterete, io sono un po' a corto di idee e tutto quello che faccio mi sembra sbagliato, quindi chiedo di nuovo a voi. 

Grazie. 

Elis Strange

  
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