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Autore: LindaWinchesterCullen    11/07/2012    8 recensioni
Una gravidanza inaspettata, discorsi volutamente evitati per non soffrire e una paura folle di perdersi.
Edward e Bella sono una giovanissima coppia affiatata, ma come tutte le coppie normali, sono ogni giorno alle prese con le gioie e i problemi delle loro vite.
DAL SESTO CAPITOLO:
Tornai a sdraiarmi stringendo le ginocchia al petto per qualche minuto, fino a quando le braccia di Edward mi avvolsero costringendomi a sedere sulle sue gambe. Cercai di appoggiare la testa sul suo petto ma lui prese il mio viso fra le mani. “Stammi a sentire Bella. Non mi interessa minimamente di quello che penseranno Charlie, mio padre o chiunque altro su questa terra! Perché io ti amo, capito?” Disse serio. Non aspettò una mia risposta e continuò “Non capisco tutta questa paura, non abbiamo quindici anni, siamo adulti e ti avrei sposata comunque incinta o no. ” Sbottò.
Spalancai gli occhi. Avevo forse capito male?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Inutile dirvi quanto mi dispiaccia. So per esperienza quanto sia complicato leggere una storia se ogni capitolo è postato in periodi sempre più distanti. Non è stato un mese facile il mio, ho dovuto dedicarmi agli esami di maturità e ho dovuto abbandonare un po’ la storia.Ho continuato a scrivere quando potevo ma rileggendo mi sono resa conto di quanto tutto fosse orribile, quindi ho riscritto tutto.
Scusate ancora, a voi il capitolo! **

PS. Fate con calma, è un tantino gigante per i miei standard ;)







Capitolo 39










 

Guardai la mia figura attraverso lo specchio e ripetei a me stessa che la giornata non poteva che cominciare nel peggiore dei modi. Nella mia testa vagavano milioni di parolacce che non avrei mai avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce. Ce ne erano alcune talmente brutte che neanche Edward, dopo aver urtato il piede contro il comò, avrebbe mai pronunciato.
Mi concessi un’ultima ed attenta occhiata al mio riflesso e il completo nero che indossavo mi ricordò l’abito che indossava mia madre al funerale della nonna.
“Non credo che sia adatto, fa troppo segretaria senza una vita sociale. Tieni, prova questo” con la stessa velocità con cui pronunciò quelle parole, Alice, posizionò altri due completi nel mio camerino e poi sparì, per continuare a fare quello che sapeva fare meglio: shopping.
 
Mi passai una mano fra i capelli, infastidita dalla musica troppo alta del negozio. No, la giornata non poteva andare peggio di così, anzi se non mi fossi sbrigata, quella semplice brutta giornata sarebbe diventata una difficile catastrofica giornata.
Controllai il mio cellulare e non trovando nessuna chiamata persa, mi sentii subito meglio.
Sfilai velocemente l’abito scuro che indossavo e senza preoccuparmi di rimetterlo apposto, passai ad uno dei completi portati da Alice. Riuscii ad indossarlo un secondo prima che mia cognata facesse capolino al mio fianco. Ci guardammo per un interminabile minuto, fino a quando sul suo viso comparve un ampio sorriso.
“Perfetto, sei talmente pallida che il blu non smetterà mai di donarti”  mormorò ed io evitai di soffermarmi su quella specie di complimento appena ricevuto esaminando con più attenzione il tailleur che indossavo.
Era carino. La giacca non era molto lunga e i pantaloni erano stretti al punto giusto ma il colore non mi piaceva. Sbuffai “Il mio armadio si sta riempiendo di cose blu” mi lamentai e il ricordo dell’abito grigio che avevo acquistato mesi prima, mi intristì. “Non avrei bisogno di un vestito nuovo se non fossi così grassa”
Alice si sistemò il cerchietto con l’enorme fiocco viola che aveva tra i capelli e poi, lentamente, mi rivolse l’occhiataccia più agghiacciante che avessi mai ricevuto. “Aggiungere una taglia in più alla tua figura scheletrica, non è essere grassi”
Fece un passo verso di me, contrariata dalla mia affermazione “Non avresti dovuto comprarti il vestito da indossare alla tua laurea un anno prima, nessuna persona sana di mente l’avrebbe fatto. Non sei grassa, il mese scorso hai avuto una bambina, è normale che tu possa più indossare i vestiti che avevi prima”
“È avvilente” sussurrai, anche se comprendevo a pieno le sue parole.
Avevo comprato un abitino perfetto ma i miei fianchi enormi non mi avevano permesso di tirare su la lampo, rovinandomi così quella mattinata. Un brivido mi corse la schiena quando mi resi conto di essere stata molto fortunata. Se non avessi avuto voglia di provarmelo una seconda volta, non mi sarei mai accorta delle mie nuove forme e domani si, che sarebbe stato un problema. Guardai Alice, che non si era tirata indietro, quando le avevo chiesto di accompagnarmi a comprare un nuovo vestito. “Stai benissimo, Bella. La nostra ricerca è finita, prendi questo”
Indicò nuovamente la mia figura allo specchio ed io sospirai. “Grazie per essere venuta con me e avermi sopportata fino ad a questo momento”
Fece una smorfia e mi abbracciò leggermente “Vado a prenderti delle scarpe adatte, prima che tu possa decidere di indossare delle Converse”
 
Accennai un sorriso e mi sedetti sullo sgabello alle mie spalle. Feci un lungo sospiro ma l’ansia che mi aveva accompagnata fino a quel momento, non sembrò diminuire. Guardai ancora il mio cellulare: 11:22 e nessuna telefonata. Non sapevo se esserne felice o averne profondamente paura.
Quella mattina era stata praticamente costretta a lasciare soli Edward ed Elly, per venire a comprarmi un abito dell’ultimo momento. Non avevo scelta, domani era il grande giorno ed io avevo investito gran parte della mia anima in quella scuola per poi presentarmi l’ultimo giorno in pigiama.
 
Non avevo avuto problemi a lasciarli per qualche ora, Edward era un padre bravissimo, capiva al volo ogni smorfia di Eleonore e insieme erano perfetti. Quello che mi impediva di lasciare l’ansia alle spalle era un miscuglio di problemi che partivano dal fatto che fosse la vigilia della mia laurea ed io me ne stavo in un negozio eccessivamente costoso, a provare abiti, invece di studiare e poi, ciliegina sulla torta, Charlie e Jacob sarebbero arrivati da un momento all’altro.
Cominciai a spogliarmi velocemente, il mio uomo e il mio spasimante appoggiato da mio padre, non dovevano stare sotto lo stesso tetto da soli.
Si sarebbero scannati e improvvisamente, la brillante idea di uscire quella mattina mi sembrò assurda. Sarebbe stato meglio andare in pigiama, almeno mi sarei risparmiata una nottata in ospedale o in una stazione di polizia.
Indossai nuovamente i jeans e la mia canotta bianca, non mi preoccupai neanche di allacciare le Vans, nascosi semplicemente i lacci all’interno ed uscii dal camerino.
Trovai Alice immersa tra le scarpe, insieme alla stessa commessa che ci aveva accolte all’entrata. “Alice, devo tornare a casa” mormorai e lei alzò lo sguardo verso la mia direzione.
Annuì “Ok, allora scegli: scarpe nere semplici ed eleganti o scarpe blu semplici ed eleganti?”
Entrambe le ragazze mi guardarono, in attesa del verdetto finale ma la verità era che io non notavo nessuna differenza. Quelle scarpe erano uguali, non riuscivo neanche a distinguerne il colore, erano entrambe nere ai miei occhi.
Feci una smorfia, stanca, in attesa di poter tornare a casa e lei sembrò capirmi al volo. Guardò velocemente la commessa, porgendole una delle scarpe “Prendiamo il trentotto di queste” mormorò.
 

**** *** ****

 
Quella fu la prima volta che apprezzai quel mostro a quattro ruote che mia cognata aveva il coraggio di chiamare macchina. Sfrecciammo velocemente per le vie di Manhattan, superando tutti i veicoli che trovavamo sul nostro cammino “Posso fidarmi, vero, di questa Janet?” domandai per l’ennesima volta ed Alice quasi grugnì, infastidita.
“Si, è una mia amica e ci sa fare con i bambini. Fa questo lavoro praticamente da sempre”
Annuii appena. L’idea di dover lasciare Eleonore ad un’estranea mi spaventava. Domani, non avremmo potuto portarla con noi al campus e questo mi metteva a disagio.
“Sono solo poche ore e poi la Columbia e a venti minuti da casa tua” precisò.
Era facile parlare per lei. Janet era sua amica ma io non la conoscevo, l’avevo solo sentita al telefono e dovevo affidargli la mia ragione di vita.
“In poche ore potrebbe fare di tutto. Potrebbe rapirla e scappare in Messico in poche ore” borbottai.
Mi guardò perplessa e sconvolta nel giro di niente “Si può sapere il perché sei così tesa, è per domani?” domandò, interrompendo il flusso di cretinate che uscivano dalla mia bocca.
Abbassai il finestrino, sentendo il bisogno di respirare dell’aria naturale e non quello dell’aria condizionata. Aspettai qualche secondo prima di risponderle “Si, e poi Charlie arriva oggi o forse è già arrivato a casa mia. Non lo so” guardai ancora il mio cellulare: 12:08.
Cazzo!
“Hai paura che litighino” constatò.
Sospirai “Jake è con lui ed io non riesco ancora a capire che cosa mi passasse per la testa quando gli ho detto che per me andava bene. Insomma – mi passai entrambe le mani fra i capelli – Edward odia quel ragazzo ed io ho lasciato che venisse da noi, quando so che lui è interessato a me. Sono una merda!”
Alice assunse uno sguardo sconcertato, grattandosi la fronte “Oddio, non dirmi che stai parlando di quello sfigato con la fissa degli animali che viveva a La Push!” non risposi e lei sbarrò gli occhi, incredula “Non ci posso credere, ha ancora una fissa per te dopo tutti questi anni! Lasciatelo dire: si, sei una merda, non avresti mai dovuto lasciare che tuo padre lo portasse. È colpa tua se mio fratello commetterà un omicidio”
Mi morsi il labbro inferiore con forza “Se volevi farmi sentire peggio di come non stessi già, ci sei riuscita in pieno” mi lamentai.
Scrollò le spalle, tenendo le mani ben salde sul volente “È la pura verità, tesoro. Però guardiamo il lato positivo: domani, durante la cena avremmo da divertirci” concluse, rivolgendomi un sorrise a sessantaquattro denti.
 
“Dove credi di andare?” mormorai incredula, una volta chiuso il suo bagagliaio.
Alice si sistemò i capelli, specchiandosi contro la sua stessa auto “Se tuo padre è in casa tua, non posso perdermi nessuna delle fasi del loro litigio ovviamente”
Boccheggiai, incredula “Alice, va via. Non dovevi andare a lezione?!” mormorai allontanandomi ma il rumore dei suoi tacchi, sempre più vicini, mi informò di quanto fosse stata inutile la mia affermazione.
“Alice!” quasi urlai, una vota arrivate all’ascensore.
“Cosa?” domandò con falsa voce innocente “Voglio solo dare un bacio alla mia nipotina, cosa c’è di male in questo?”
Le lanciai un occhiataccia ma quando le porte dell’ascensore si aprirono, saltò al suo interno pronta a portare a termine il suo intento.
Arrivammo davanti alla porta del mio appartamento ed entrambe tendemmo l’orecchio verso di esso, alla ricerca di qualche suono ma niente. Non ebbi neanche il tempo di riflettere che Alice bussò al campanello.
La guardai in cagnesco e lei alzò gli occhi al cielo “Che c’è, è casa tua o sbaglio?”
 “Ma perché  …” non ebbi il tempo di finire la frase che la porta si aprì, mostrandomi il fisico perfetto di Rosalie. Rimasi stranamente sorpresa, lei era l’ultima persona che mi aspettavo di vedere.
“Ciao” mormorai sollevata ma lo sguardo tirato che mi rivolte, fece crollare le fragili certezze appena create.
“Ciao” rispose a sua volta e anche il suo tono di voce mi confermò ogni dubbio. Si spostò di lato e sul divano posto al centro del soggiorno, riuscii a scorgere la figura di Charlie.
Entrai velocemente “Papà …” sussurrai. Jacob era alla sua destra ed entrambi alzarono lo sguardo verso di me.
Quest’ultimo fu il primo ad alzarsi e a venirmi incontro “Bells!” mormorò abbracciandomi.
Non collaborai molto al abbraccio e lui se ne accorse “Hey, giuro che sono venuto esclusivamente per chiederti scusa” sussurrò poggiando entrambe le mani selle mie spalle.
“Si, certo” risposi scrollandomelo di dosso.
Guardai mio padre e un sorriso sincero si formò sul mio viso. Venne verso di me e in pochi secondi mi ritrovai tra le sue braccia forti e familiari. “Ciao piccola. Come stai?” domandò baciandomi la fronte.
Sospirai “Bene” risposi ma lui come al solito sembrò non convincersi. Mi accarezzò una guancia, scrutando il mio viso. “Va tutto bene, te lo assicuro” marcai su ogni singola parola, infastidita da quella semplice domanda. Finché avrei condiviso la mia vita con Edward, non sarebbe mai stato sicuro del mio benessere. Mi ero ripromessa di non dare più peso al suo giudizio eppure il fatto che non mi credesse realmente felice, mi rattristava.
Feci qualche passo indietro, per guardarlo meglio in volto. “Quando siate arrivati?” domandai e mi guardai intorno, alla ricerca di Edward.
“Ciao Charlie!” Alice fu subito al nostro fianco e gli rivolse un sorriso sgargiante.
“Hey … ciao, Alice” rispose pacato ed io sperai che mia cognata non notasse l’astio che mio padre aveva imparato a provare per ogni componente della sua famiglia.
“Ti trovo bene” aggiunse e lei sorrise per poi voltare lo sguardo verso il secondo ospite.
“Jacob” affermò con ribrezzo.
“Alice” rispose lui, con lo stesso tono ed io alzai gli occhi al cielo.
Il mio sguardo vagò per l’intera stanza ed aggrottai la fronte quando non vidi spuntare Edward da nessuna parte. Trovai Rosalie in un angolo del soggiorno e quando i nostri sguardi si incrociarono, lei mi fece cenno di avvicinarmi.
Sussultai e feci immediatamente come richiesto “Dov’è Edward? ” le chiesi sottovoce.
Si schiarì la voce “Per fortuna sei arrivata” mormorò sollevata. Si guardò furtivamente attorno, quasi a voler assicurarsi che nessuno la stesse ascoltando.
“Rose” la intimai a continuare e lei si abbassò leggermente, per poter arrivare alla mia altezza.
“Ci ha provato, te lo assicuro!” affermò ed io precipitai completamente in un baratro di confusione. Lanciai un’occhiata a Charlie, intento a rispondere a monosillabi alle domande a raffica di Alice. Sospirai convinta che l’intera situazione avrebbe contribuito a mandarmi al manicomio prima di arrivare all’ora di pranzo.
“Quando tuo padre e il tuo amico sono arrivati, la tensione si poteva tagliare con il coltello”
Portai nuovamente lo sguardo sul mio interlocutore e lei fece una smorfia “A tuo padre non sta affatto simpatico Edward. Emmett mi aveva accennato qualcosa ma ero convinta che una volta nella stessa stanza, avrebbero cominciato a battibeccare in stile Tom e Gerry, credevo di farmi due risate. Invece il silenzio ha preso il sopravvento e nemmeno Emmett è riuscito ad alleggerire la tensione”
Chiusi gli occhi per un attimo, sospirando rumorosamente “Dov’è adesso?” domandai e il mio sguardo vagò in direzione della cucina.
“Eleonore ha cominciato ad agitarsi, così è andato a controllare” rispose ed io annuii dirigendomi verso il lato notte della casa. Nel raggiungere il corridoio, lanciai una veloce occhiata ai nuovi ospiti. Jacob mi seguì con lo sguardo e un secondo prima che voltassi l’angolo, parlò.
“Hey Bells, sono venuto fino a qui per poter vedere Eleonore ma non c’è ancora stata l’occasione” mormorò ed io annuii senza rallentare il passo.
 
Arrivai davanti alla porta in legno scuro della camera di Elly ed ebbi un attimo di titubanza, con la convinzione di trovare mio marito arrabbiato. Invece, una volta entrata fu tutto diverso.
Trovai Edward sulla poltrona nell’angolo della stanza, sorridente e con quel piccolo miracolo di nostra figlia tra le braccia.
Lo scricchiolio della porta gli fece alzare lo sguardo e il suo sorriso si allargò maggiormente.
“Finalmente sei tornata. Trovato il vestito?” domandò ed io annuii, sconcertata. Perché parlava di uno stupido vestito, quado il soggiorno era occupato dalle due persone che maggiormente odiava?
Mi avvicinai e recuperai Eleonore dalle sue braccia, per poi prendere posto sulle sue gambe. Edward ci strinse entrambe ed io poggiai la testa sulla sua spalla “Quanto male si è comportato mio padre?” domandai e lui ridacchiò.
Mi accarezzò con una mano libera “Non ha fatto niente di così imprevedibile. Avresti dovuto vedere la sua faccia quando ha capito che non eri in casa” mormorò “Sono sicuro che per un attimo abbia pensato che Rose fosse la mia amante”
Alzai lo sguardo, interrogativa e lui scosse la testa “Quando è arrivato, in soggiorno c’era solo Rosalie. Emmett era in cucina a ripulire Johnny che, tra parentesi, aveva deciso di farsi la doccia con una lattina di Coca Cola.”
Sorrisi “Dove sono adesso?”
“Sono andati a cambiarsi in albergo, Johnny era tutto appiccicoso” rispose divertito per poi tornare serio “Credo lo sia anche il tappetto in soggiorno, ora che ci penso”
 
Sospirai ed Eleonore mosse entrambe le mani verso la mia direzione. Cominciò ad emettere versi strani e a fissarmi con i suoi grandi occhi chiari. Entrambi ridemmo a quella scena e quel momento tutto nostro mi fece ricordare degli ospiti in salotto.
“Sono una stupida” farfugliai afflitta e mi alzai dalle sue gambe “Non avrei mai dovuto farli venire qui. Cavolo, Charlie non è mai venuto a casa nostra in tutti questi anni. Perché diavolo gli è venuto in mente proprio oggi?” sussurrai.
Edward si alzò a sua volta, prendendomi per i fianchi “Va tutto bene. Vai da loro e nel giro di un’ora saranno lontano da quì” propose. Ci guardammo negli occhi e lui si avvicinò a me, baciandomi lentamente.
“Jake vuole vedere Elly” lo informai cauta e lui sospirò.
 
 
Fui molto grata del suo comportamento. Edward si stava comportando in modo maturo, alleggerendo in parte la mia tensione. Ritornammo dagli altri ed Alice si precipitò verso di me strappandomi Eleonore dalle mani.
“Ciaooo” sussurrò adorante “Ma come fai ad essere sempre più carina?!”
Avrei dovuto essere più vigile o non sarei mai riuscita ad evitare che qualcuno rapisse mia figlia sotto il mio naso. Mi avvicinai ad Alice, con l’intento di riprenderla ma mi bloccai quando notai Jacob andare verso la mia stessa direzione.
“Cavolo, è lei Eleonore?” domandò stupito, senza aspettarsi realmente una risposta “È la tua copia sputata, Bells. È impressionante”
Deglutii, senza sapere del mio improvviso disagio “Sei il primo che lo dice …” mormorai e lui puntò i suoi occhi nei miei.
Scosse la testa “No, è vero ti somiglia ed è adorabile. Posso?” allungò le mani verso di lei ma Alice sembrò non voler mollare la presa.
“Si – voltai il capo verso Edward, alla ricerca di qualunque traccia d’irritazione ma non trovai niente – Certo, che puoi” e mia cognata mollò la presa, senza però abbandonare la sua area irritata e schifata verso di lui.
Non ci fu la necessità di spiegargli come tenerla, Jacob la prese dolcemente e lei poggiò automaticamente la testa sul suo petto. Alice non si mosse di un centimetro, vigile, come se sua nipote potesse essere mangiata da un momento all’altro. Sorrisi e per un attimo guardai Charlie che, con gli occhi profondamente assenti, se ne stava sul divano.
 

**** *** ****

 
“Mio padre avrebbe voluto essere da qualunque altra parte, eccetto che quì”
“Mh?” Edward spuntò da dietro la porta della cucina, ovvero da dove arrivava un fortissimo odore di bruciato. Ero talmente angosciata dalla mia stessa vita che neanche tutte le imprecazioni che avevo sentito uscire dalla sua bocca, erano riuscite a sollevarmi o almeno a farmi preoccupare di cosa diavolo stesse cucinando.
“Lo hai visto?” mormorai guardando distrattamente tutti gli appunti che avevo sparso sul pavimento. “Non ha neanche guardato Eleonore” ricordai e gli occhi cominciarono a pungermi.
Non volevo mettermi a piangere. Era la vigilia di un giorno importante ed io sarei dovuta essere concentrata su tutt’altro, eppure per tutta la sera non aveva fatto che pensare a lui.
Edward venne da me e vedendomi sul pavimento, si inginocchiò, arrivando così alla mia stessa altezza “Non voglio offendere la tua famiglia ma penso fortemente che Charlie sia uno sciocco. So di avere gran parte della colpa ma non riesco a comprendere il perché ti tratti così freddamente”
Mi strinsi nelle spalle incapace di darmi una risposta. Edward fece una smorfia e solo in quel momento mi resi conto di essere in lacrime.
“No, amore” sussurrò e mi strinse a se, con una forza quasi dolorosa “Non farlo, non permettere a tuo padre di rovinare l’equilibrio che abbiamo faticosamente trovato”
Annuii appena, senza però riuscire a smettere di piangere “Mi ferisce, Edward. Vorrei poter … - tirai su col naso – non lo so neanche io che voglio”
Con la manica della sua felpa, asciugò ogni mia singola lacrima “Vuoi che parli con lui? Potrei tentare di farlo ragionare”
“No!” quasi urlai e lui sussultò. L’ultima cosa di qui avevo bisogno era l’ennesimo litigio insensato tra i due “Non fare niente. Questo pomeriggio è stato un miracolo che non vi siate scontrati”
Edward si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli. Si alzò allontanandosi e per un attimo pensai che si fosse in qualche modo offeso.
“Dove vai e perché la cucina sta andando a fuoco?” domandai, senza ricevere una risposta. Sospirai, tentando di bloccare le lacrime che ancora premevano per uscire. Mi alzai, lasciandomi andare sul divano alle mie spalle. I minuti passarono e di Edward neanche l’ombra.
Una leggera ondata di fumo, cominciò ad arrivare in soggiorno ed io cominciai a temere davvero alle nostre vite. Decisi, allora, di alzarmi ma lui ritornò, accompagnato da uno strano sorriso sulle labbra. “Edward, cosa cazzo stai cucinando?” domandai esasperata.
Alzò una mano a mezz’aria “Lascia perdere la cena e ascoltami” rispose tranquillo.
Sorrisi senza riuscire a controllare i movimenti del mio stesso viso. Gli feci spazio sul divano e solo in quel momento mi resi conto che stesse nascondendo la mano destra dietro le spalle.
Aggrottai la fronte e lui parlò “Avrei voluto dartelo domani ma spero di riuscire a strapparti un sorriso, anticipando il mio regalo”
La mano che aveva tenuto nascosta fino a quel momento, sventolò davanti al mio viso e con essa, una busta delle lettere bianca. La guardai per un po’, incapace di comprendere cosa fosse.
“Su, aprila” propose impaziente ed io trasalii, facendo come richiesto.
Recuperai la busta dalle sue mani e la scartai velocemente. Lo guardai stupida quando vi trovai dei biglietti aerei. “Sorpresa” canticchiò per poi tornare serio “Io, tu ed Eleonore – precisò – due settimane di puro relax”
Esaminai uno dei biglietti “Dove si trova Paradise Island?”
“Alle Maldive” rispose ovvio ed io boccheggiai, incredula.
“Dove?!”
Alzò gli occhi al cielo, sprofondando tra i braccioli del divano “Nell’Oceano Indiano, a sud – ovest dell’India”
“Lo so dove si trovano le Maldive” precisai continuando ad ispezionare i biglietti. Incrociai i suo occhi, trovandoli attenti ad ogni mia espressione. “Cavolo. Quando dovremmo partire?” domanda, rimangiandomi la domanda su come avesse trovato i soldi per un viaggio del genere.
 
“Ma è fantastico, Edward! Abbiamo proprio bisogno di staccare un po’ la spina, ci divertiremo in casino alle Maldive. Grazie, è stato proprio un bel regalo.” mormorò imitando la mia voce.
“Sono solo sorpresa” risposi risentita.
“Tu vuoi andarci o no?” domandò un attimo prima di alzarsi e sparire in cucina.
Sentii il rumore dell’acqua, scorrere e il rumore di stoviglie che si scontravano. Scossi la testa, lasciare cucinare Edward era sempre un errore. Mi alzai fermandomi sullo stipite della porta “Certo, con te andrei ovunque” risposi, spalancando la finestra della cucina.
“La tua felicità mi sta uccidendo” mormorò provato.
“Più di quanto non lo stia già facendo tutto questo fumo? Tra un po’ arriveranno i pompieri” scherzai e lui si avvicinò a me, accarezzandomi il viso.
“Mi dispiace per Charlie, vorrei che potesse campire che quello provo per te è forte, ossessivo. Ti amo in un modo incomprensibile da sempre”
Mi buttai fra le sue braccia, nascondendo il volto sul suo petto “Anch’io lo vorrei”
 

 **** *** ****

 
“Ok. Hai il mio numero e quello di Edward, memorizzati sul cellulare. Se non dovessimo rispondere, ci sono quello dei nostri familiari e di alcuni amici, attaccati al frigorifero” l’avvisai per centesima volta ma la sua tranquillità cominciava a darmi sui nervi.
“Certo, Bella, me lo hai già detto” rispose con un sorriso.
La guardai. Janet era più piccola di quanto pensassi, non aveva neanche l’età per bere ed io le stavo affidando mia figlia. Indossava un paio di pantaloncini bianchi, una maglietta dei Rolling Stones inserita al suo interno e degli stivali estivi. La pelle abbronzata, i capelli ricci, scuri e una miriade di lentiggini che le riempivano le guance, accentuando gli occhi verdi. Era carina, gentile ma di dava sui nervi. “Se Eleonore dovesse aver fame …”
“Troverò tutto l’occorrente in cucina, nel mobile sulla destra. Quello centrale” finì la mia frase con precisione accompagnandola con l’ennesimo sorriso.
Bloccai l’impulso di passarmi una mano fra i capelli ordinati e pettinati alla perfezione e annuii un secondo prima che Edward facesse la sua comparsa con nostra figlia tra le braccia.
Janet portò entrambe le mani sui fianchi “Finalmente conosco la piccoletta di casa” sussurrò dolcemente ed Edward le sorrise, passandogliela.
“È buona ma ha bisogno di molte attenzioni – precisò – E tu puoi chiamarci per qualsiasi problema ok?” domandò e la sorrisona annuì, senza distogliere lo sguardo da nostra figlia.
Eleonore non sembrò turbarsi di niente. si fece prendere, senza fare storie “Non preoccupatevi io e lei staremo benissimo. Ve lo assicuro, state tranquilli” ci rassicurò.
Edward sospirò, guardandomi. Il fatto che anche lui fosse in ansia mi faceva sentire meglio
 “Su, muoviamoci o finiremo per fare tardi”
 
Chiuderci la porta alle spalle fu maledettamente doloroso e ancora di più entrare in macchina e allontanarci da casa. “È stato più difficile di quanto pensassi, è come se le avessi lasciato un braccio ” sussurrò agitato.
“Non dirlo a me. Quella ragazza non face altro che sorridermi, per un attimo ho pensato che fosse ubriaca” ammisi e lui rise.
“Starà bene – affermò convinto – Se invece dovesse succederle qualcosa, daremo la caccia alla piccola Janet” propose serio.
Lo guardai compiaciuta “Era proprio quello che volevo sentirmi dire”
 
 
Rivedere gli imponenti edifici della Columbia, addobbati a festa, mi fece mettere da parte il piano di uccidere Janet e la paura più pura si fece strada dentro di me. Il parcheggio era strapieno di gente. Cominciai a tremare come un foglia. Stava realmente accadendo?
Fu come se gli anni passati lì dentro fosse volati, passati in un battito di ciglia ed io mi ritrovavo pronta a ricevere il mio agognato pezzo di carta. Avevo sognato questo momento dal primo giorno che avevo messo piede in quel posto, eppure era cose se tutto fosse arrivato troppo presto.
“Rilassati, è solo una stupida formalità” sussultai.
Edward mi aveva aperto lo sportello, ed io non mi ero neanche resa conto di quando fosse sceso. Mi porse la mano ed io l’accettai, uscendo.
L’aria era afosa, irrespirabile e questo non fece che contribuire al mio malessere.
Mi avvinghiai a mio marito, trovando in lui tutto quello di cui avevo bisogno.
“Adesso stai esagerando, sta calma” si lamentò ed io lo lasciai andare.
Aveva ragione, dovevo solo crederci quanto lui.
Ci avviamo verso il campus e nel tragitto mi limitai a fissarlo ardentemente. Indossava un completo scuro ed elegante, che lo fasciava alla perfezione. All’interno una camicia dal taglio semplice, bianca, accompagnata da una cravatta dello stesso colore del vestito.
“Sei uno schianto Cullen” mormorai, stringendo la sua mano e lui sorrise, alzando le spalle.
“Già, non è poi una novità – rispose guardandomi – Anche tu sei carina, non preoccuparti”
Scossi la testa un momento prima di sentire la voce di mia madre. Entrambi ci voltammo, trovando i nostri genitori all’entrata dell’aula magna.
“Ciao piccola!” Renèe mi strinse forte, in una presa ferrea trasmettendomi l suo entusiasmo.
“Credo che tu la stia uccidendo Renèe” Phil venne in mio soccorso, liberandomi dalle braccia di mia madre. Li salutai tutti, chiedendomi il perché gli altri non fossero ancora arrivati.
Guardai l’orologio “Dove sono Alice ed Emmett?”
“Sono arrivati da poco, credo stiano facendo un giro” rispose Esme ed io mi guardai intorno, intravedendo Angela.
Si sbracciò verso la mia direzione ed io lasciai la mano di Edward, andando verso di lei.
La mia amica quasi urlò abbracciandomi ed io non potei fare a meno di ridere. Angela era la persona giusta in quel momento per me.
“Sei bellissima!” le dissi ed era la verità. L’abito nero che indossava le fasciava perfettamente i fianchi sottili. indossava anche una giacca e aveva i capelli perfettamente stirati.
Sorrise, al mio complimento e fece un giro su se stessa “È un giorno importante il nostro, dobbiamo per forza essere presentabili”
“Io l’avevo detto di non farti bere tutto quel caffè!”
Una ragazza dai lunghi capelli scuri si avvicinò a noi, facendo sbuffare la mia amica.
“Bella, lei è mia sorella maggiore Rachel” sussurrò annoiata “Rachel, lei è la mia più cara amica Bella”
Sua sorella mi strinse la mano sorridendomi “Non trovate che faccia troppo caldo qui fuori? Quando hanno intenzione di permetterci di entrare, mi sto annoiando”
Angela alzò gli occhi al cielo “Non cominciare a lamentarti” affermò.
La sorella incrociò le braccia al petto. “Beh, almeno possiamo rifarci gli occhi con tu i ragazzi che ci sono qui – si guardò intorno – Chi diavolo è quel soldato?”
Entrambe voltammo lo sguardo nello stesso punto in cui stava guardando ed io sbiancai.
“Ci vediamo dopo …” sussurrai e mi allontanai, senza aspettare una risposta.
 
Ritornai dalla mia famiglia e mi posizionai alla destra di Emmett, intento a parlare con Alice.
“Hey” dissi e lui si voltò, sollevandomi senza nessuna difficoltà.
“Eccoti, ti stavamo cercando!” affermò facendomi volteggiare.
Quando riportai i piedi per terra, tutto intorno a me girava ma tentai di non farci caso. Accennai un sorriso “Ero andata a salutare un’amica … perché sei in divisa, Emmett?” domandai cauta, sperando di non offenderlo con la mia domanda.
“Questa è la divisa per le occasioni speciali, non potevo non indossarla!” rispose ovvio ed io non potei che annuire.
“Oh, ma certo …” sussurrai. Per un’occasione speciale, ci voleva un abbigliamento speciale.
Sentii l’ansia ritornare prepotentemente. Tutte quelle persone erano lì per me, vestiti con i loro abiti migliori e con la convinzione che la sottoscritta avrebbe fatto fare loro una bella figura.
“Cristo!” sussurrai. Avevo assolutamente bisogno di Edward. Dopo averlo cercato per qualche minuto, lo trovai seduto su di una panchina poco lontana. La stessa panchina sulla quale sedevamo quando anche lui frequentava i corsi in quell’istituto.
Gli scompigliai i capelli, facendogli alzare lo sguardo. Il sole era alto e i raggi colpivano i sui occhi, rendendoli maledettamente chiari. Mi prese per mano, trascinandomi fino a sedere sulle sue gambe.
“Hai visto tuo fratello?” domandai in un lamento e lui annuì.
“Si, è sempre io solito esagerato” mormorò.
“Siete tutti così eleganti ed io invece vi metterò in imbarazzo” bofonchiai e sentii il bisogno di scappare, senza voltarmi indietro “Hey, il viaggio alle Maldive può essere anticipato ad … adesso?” domandai ricevendo un occhiataccia.
Edward mi accarezzò una guancia “Smettila di sparare cazzate, andrà tutto bene!” affermò categorico. Tentai di ribattere ma lui mi zittì, baciandomi. Sorrisi sulle sue labbra. Quello era un bel modo di farmi dimenticare tutto.
“Ecco i piccioncini solitari!” Alice apparve improvvisamente facendoci sussultare entrambi. “Sooorridete!” ci ordinò felice e solo in quel momento notai la macchina fotografica tra le sue mani.
“Vattene” sussurrò Edward ma la sorella lo ignorò cominciando a scattare foto a raffica.
La guardai basita e quasi spaventata da tutta quella energia.
“Perché ho una famiglia così stramba” si lamentò affondando la testa sul mio petto. Lo strinsi a me, ridendo e lui fece lo stesso.
Alice continuò indisturbata fino a quando non si ritenne soddisfatta “Oh, questa è fantastica!” urlò ispezionando l’aggeggio che aveva fra le mani. Si passò una mano fra i capelli, prima di sistemarsi  l’abito in pizzo bianco che indossava “Dobbiamo andare comunque, credo stiano per iniziare”
Ammutolii velocemente, tornando seria. Edward mi fece alzare e poi fece lo stesso. Strinsi la sua mano e ci incamminammo senza dire una parola. Alice corse verso gli altri ed io non riuscii a capire come facesse ad andare così veloce su quei tacchi.
Edward si fermò improvvisamente ed io con lui “Io devo andare a sedermi amore, non posso venire con te” mormorò e solo allora mi resi conto di averlo trascinato quasi fino alla postazione dei neo laureandi.
Recuperai tutte le forze che possedessi e annuii “Hai ragione. Quando arriverà il mio turno, fai in modo che Renèe non si alzi e urli come se fossimo allo stadio” scherzai e lui sorrise.
“Ci proverò” rispose titubante e mi concesse un veloce bacio a stampo. Si voltò e raggiunse gli altri.
Dai Isabella, non fare la codarda! Pensai. Angela era già al suo posto, era tesa, tutti erano tesi ma non quanto lo ero io. Era tutta una questione mentale, dovevo rilassarmi. Feci un profondo respiro e decisi di prendere posto al suo fianco, quando sentii la voce di mio padre.
Mi voltai, trovandolo ad un metro da me “Papà!”
Charlie si avvicinò velocemente e mi abbracciò, prendendomi alla sprovvista “Sono fiero di te, piccola. Non so cosa si dice in queste occasioni, spacca tutto va bene?” domandò velocemente.
Sorrisi, annuendo “Si, credo di si”
Poggiò entrambe le mani sulle mie spalle “Allora spacca tutto, teso. Ok?”
Annuii ancora e lui mi abbracciò nuovamente, baciandomi la fronte “Ti voglio bene” sussurrò mollando la presa.
“Anche io, papà” risposi e lui accennò un sorriso, allontanandosi.
Andai a sedermi ancora allibita e Angela mi guardò sognante “Tuo padre è dolcissimo” sussurrò facendomi ridacchiare.
“Qualche volta” risposi e nell’aula calò il silenzio, quando arrivarono i professori.
 

**** *** ****

 
“Non è affatto vero! Sono più capace di quanto tu possa anche lontanamente credere”
Alice incrociò le braccia al petto, reprimendo un urlo e tutti risero.
“Sorellina, su cinquecento foto la metà sono sbiadite. Non sei capace” Emmett gli restituì la macchina fotografica e lei la gettò violentemente sul tavolo, facendo saltare la maggior parte delle posate.
“Ragazzi smettetela, sembrate due bambini” Carlisle tentò di ammonirli ma non venne affatto preso in considerazione.
“Non devi offenderti, ti ho solo fatto notare che la fotografia non è il tuo mestiere” incalzò Emmett. Si stava divertendo, non sarei mai riuscita a capire il perché entrambi i suoi fratelli provassero così tanto gusto nel farla impazzire.
Alice gli lanciò un’occhiataccia e in un attimo sembrò rilassarsi. Fece un lungo sospiro “Hai ragione, forse e dico forse, non sono in grado di scattare delle foto perfette …”
“ … non sei in grado di scattare foto e basta!” la interruppe il fratello.
Annuì “Ok, d’accordo.  Ma sono in grado di fare …questo!” e in pochi secondi afferrò il cappello bianco e blu, parte della divisa di Emmett e scappò via, verso la terrazza del ristorante.
“Alice, non osare gettarlo di sotto! Sarebbe un insulto alla bandiera” urlò Emmett, inseguendola ma lei era già fuori.
 
“Sei ancora in tempo per scappare, ragazzo” mormorò Esme a Jasper e lui scosse la testa, facendomi sorridere.
Ero talmente felice che qualunque cosa intorno a me, diventava esilarante. Ero riuscita a prendere la mia tanto desiderata laurea, facendo un figura discreta e adesso tutto aveva preso una piega diversa. Era stato più facile di quanto pensassi e la carica di adrenalina che mi aveva invasa mi aveva fatto parlare a raffica. Solo al pensiero mi veniva voglia di rivivere tutto una seconda volta e rivede i visi soddisfatti dei miei professori e della mia famiglia.
“Non potremo più mettere piede in questo posto” sussurrò Edward al mio orecchio.
“Dici che ci cacceranno?” scherzai e lui annuì con vigore, prima di bere un lungo sorso dal suo bicchiere di vino.
Mi strinsi a lui e guardai tutta la mia famiglia riunita, in un’unica tavola. Mio padre aveva passo la maggior parte della cena in silenzio ma era venuto, era lì per me e me lo sarei fatto bastare. Jacob invece era stato molto più amichevole con gli altri e cominciavo a credere che davvero volesse farsi perdonare.
Alice ed Emmett tornarono, come se nulla fosse successo. La prima si sedette e ricominciò a mangiare la sua fetta di torta, il secondo scosse la testa, poggiando il suo cappello completamente bagnato ai piedi della sua sedia.
“Avresti fatto meglio ad indossare una camicia, ti saresti risparmiato tutto questo movimento” mormorò Edward al fratello,
“Non potevo farlo e poi non avevo messo in conto che questa strega fosse così infantile da gettare il mio capello nella fontana del giardino di sotto”
Alice non reagì alla provocazione del fratello, continuò a mangiare la sua torta e si limitò a mostrargli il suo dito medio.
Esme alzò gli occhi al cielo e borbottò delle scuse a Renèe, dicendole di quanto New York e Los Angeles avessero rovinato l’educazione dei suoi figli.
“E poi la indosserò anche al vostro matrimonio, che sarà …” Emmett lasciò la frase in sospeso e tutti ci fissarono, in attesa di una risposta.
Io e Edward ci raddrizzammo e lui mi lanciò un occhiata intensa, che non riuscii a decifrare.
“Beh …” cominciò per poi prendere il suo bicchiere di vino e svuotarlo in pochi secondi. Mi guardò ancora e io suoi occhi schizzarono da tutte le parti. “Mh …” aggiunse e non so per quale motivo ma mi venne da ridere.
Tossii leggermente, passandomi una mano fra i capelli “Non vogliateci male -  li supplicai – ma ci siamo già sposati quasi tre mesi fa”
Il silenzio si cristallizzò intorno a noi ed io abbassai lo sguardo, incapace di sostenere i loro sguardi.
“Questa si che è bella!” Phil fu il primo a rompere il silenzio e rise, continuando a giocherellare con la sua meringa al limone.
“State scherzando? – Alice parlò lentamente, guardandomi dritto negli occhi – Oddio, siete seri?”
La guardai mortificata e i suoi occhi si dilatarono velocemente “Voi, piccoli bastardi asociali!” ringhiò.
Jasper mise una mano sulla sua spalle, tentando di calmarla “Alice …”
“Cosa?! – puntò un dito verso di noi – Hai sentito anche tu o sbaglio?”
Nessuno ebbe il coraggio di dire niente, forse troppo sopraffatti dalla notizia.
“Mi dispiace” sussurrai.
“Ti dispiace? Perché diavolo siete così … così voi! Non fate altro che allontanare le persone che vi vogliono bene”
Incassai il colpo in silenzio, abbassando nuovamente il capo. Avevamo appena rovinato quel fantastico pranzo, eppure sentivo che quello fosse il momento giusto per levarsi quel peso dalle spalle. Non mi sarei mai pentita di quello che avevo scelto di fare.
“È … complicato” mormorai in mia difesa ricevendo altre urla.
“Complicato?! Ma per favore” sussurrò schifata, prima di alzarsi e andare via. Jasper fu subito dietro di lei.
Li seguii con lo sguardo e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Guardai Edward, completamente spaesata e lui sospirò, incapace di dire niente.
“Dove, qui a Manhattan?” Esme mi guardò e nei suoi occhi intravidi il dispiacere più assoluto.
“A Pittsburgh, è una lunga storia” rispose Edward e sua madre sembrò ancora più confusa di prima.
“Ci siamo trovati lì per caso e … ci siamo fatti prendere dal momento. Non volevamo affatto escludervi” tentai invano di aggiustare la situazione ma nessuno sembrava capirci.
Tutti quei volti dagli occhi tristi non facevo che togliermi il fiato. Guardai mia madre, che era stata in silenzio fino a quel momento e la lacrima che le rigò il viso, mi fece crollare definitivamente.
Portai le mani al viso ed ogni certezza scivolò via con le mie lacrime. Forse non era stata una così bella idea, sposarsi con così tanta fretta escludendo tutti. Ero figlia unica e mia madre non avrebbe più avuto l’occasione di vedermi in abito bianco.
“Bella, non fare così” Edward mi accarezzò i capelli, sussurrandomi di calmarmi. Eppure sentivo di dover chiedere scusa a tutti e di dimostrare quanto mi dispiacesse. Mi alzai e senza pensarci mi diressi verso Renèe e l’abbracciai. Ricambiò la stretta subito, senza rancore o esitazione e questo non fece che sentirmi ancora peggio. Avrei preferito dover gestire del rancore, forse sarebbe stato più facile.
“Non volevo ferirti” singhiozzai colpevole.
“Shhh, non devi dire niente tesoro, va tutto bene” sussurrò al mio orecchio e mi sentii una vera e propria bambina.
Scossi la testa e la strinsi a me “Tu sai più di tutti cosa abbiamo passato io ed Edward e quando ci siamo ritrovati in quella chiesa, sentivamo di doverlo fare” sussurrai al suo orecchio, sperando che nessun altro mi sentisse.
Renèe si staccò da me, asciugando le mie lacrime “Beh, congratulazioni allora! – guardò altre la mia figura, verso gli altri – È quello che dovremmo dire tutti o no?” domandò con voce forzata.
Phil si alzò anche lui e mi sorrise, rassicurandomi “Almeno ci siamo risparmiati di pagare metà del catering!” scherzò abbracciandomi ed io alzai gli occhi al cielo, senza riuscire a smettere di lacrimare.
Tutti cominciarono a congratularsi con noi. Carlisle, Rose, Jake, Emmett, persino Charlie. Una parte di me, sapeva che si sentisse fortemente sollevato di non dover assistere al mio matrimonio con una persona così odiata. Esme fu l’ennesimo tuffo al cuore, i suoi occhi sprigionavano una tristezza spaventosa. Rimanemmo abbracciate per molto tempo, ed io sperai di riuscire in qualche modo a farmi perdonare un giorno.
 
Notai la borsa di Alice, ai piedi della sedia sul quale era seduta e la speranza che non se ne fosse andata divenne vivida dentro di me. Guardai Edward e lui sembrò capirmi al volo. La raccolsi e mi precipitai verso l’uscita della sala che avevamo prenotato. Incrociai il proprietario del ristorante ai piedi delle scale e davanti al suo parlottare non potei fare  a meno di fermarmi.
“Allora, il pranzo è stato di vostro gradimento?” domandò e il suo umore cambiò, alla vista dei miei occhi arrossati.
“Si, tutto perfetto. Adoro questo ristorante ed ero sicura della vostra cucina” risposi velocemente.
“Va tutto bene, avete bisogno di altro?” chiese titubante.
Mi passai una mano sul viso “Si, Martin, va tutto bene e no, non abbiamo bisogno di niente. grazie” risposi e andai via, sperando che il grazie finale alleviasse la mia maleducazione.
 
Trovai Alice seduta sul bordo della famosa fontana nel quale aveva immerso il capello del fratello. Era di spalle, si lamentava con Jasper ed in quel momento intromettermi mi sembrò la cosa più sbagliata. Feci per andarmene ma Jasper mi vide, rovinando i miei piani.
“Bella!” sussurrò il mio nome ed Alice si voltò, incenerendomi con un unico sguardo.
Mi avvicinai a loro, lentamente e un volta arrivata, gli passai la borsa.
“Bene, io torno di sopra. Non ho ancora avuto l’occasione di assaggiare la mia fetta di dolce” mormorò e dopo aver lanciato un’occhiata eloquente alla fidanzata, se ne andò.
Non dicemmo niente, rimanemmo in ascolto dello scrosciare della fontana alle nostre spalle.
La guardai con la coda dell’occhio, notando quanto il suo trucco si fosse rovinato.
“Era una scusa – mormorò improvvisamente e senza guardarmi – Jazz odia i dolci”
Annuii felice anche solo del fatto che mi avesse parlato “Si, l’avevo intuito” risposi.
“Allora non sei del tutto impazzita …” rispose acida ed io incassai, senza alcun problema.
“Io e tu fratello abbiamo passato un anno infernale. Ci eravamo lasciati, Alice” le dissi in un soffio e le mi guardò appena,
“Ci siamo divisi e non ci siamo parlati per molto tempo. Da quando ci siamo conosciuti io e lui non ci siamo mai persi di vista ma quest’ultimo anno, la gravidanza e tutta la situazione complicata del suo lavoro, ci hanno indeboliti e divisi”
Cominciai a vedere sempre di più il suo viso ma continuava comunque a non dire niente.
“Quando è venuto a Forks a riprendermi, ho capito quanto mi fosse mancato e poi il nostro volo è stato cancellato, ci siamo ritrovati davanti a quella chiesa e … il resto lo sai già”
Alice si passo una mano fra i capelli e si spostò dalla fontana alla ringhiera della terrazza. Esitai un attimo, prima di seguirla e sedermi al suo fianco, sulla panchina che aveva scelto.
“La chiesa era carina?” domandò velocemente e a tono basso.
“Bellissima, era tutta illuminata da piccole candele …” risposi e li si voltò di scatto, facendomi rimangiare il resto della frase.
“Sarei dovuta essere la tua damigella d’onore” mi accusò.
Mi avvicinai a lei “Mi dispiace” Quante volte l’avevo detto, nel giro di pochi minuti?
“Si, certo. Fai schifo comunque” mormorò alzando gli occhi al cielo “E, per la cronaca, quando mi sposerò ve lo farò sapere all’ultimo momento. È una promessa”
“Ok, l’importante è esserci” risposi, tentando di reprimere il sorriso sulle sue labbra.
“E non sarai la mia damigella d’onore, sarai una damigella comune” precisò altezzosa ed io annuii ancora. Sospirò “Ti stavo anche disegnando un vestito da sposa, brutta stronza”
Sussultai ma non ebbi il tempo di dire niente. alzò una mano “Se dici ancora che ti dispiace ti picchio! Quando hanno sparato a Edward ho cominciato a disegnarti un abito da sposa per aggrapparmi alla speranza che sarebbe sopravvissuto. Volevo immaginarci tutti felici al vostro matrimonio, così ho cominciato ad osservarti e a prendere le tue misure a occhio. Bella perdita di tempo”
Ci guardammo per un po’ e alla fine allungò le mani verso di, fino a stringermi. Fu un abbraccio veloce ma conoscendola sapevo che fosse più che abbastanza “Congratulazioni …” sussurrò ed io scacciai via le lacrime che avevano ricominciato a scendere.
 
Lo frecciare di un’auto attirò la nostra attenzione ed entrambe ci affacciammo e guardammo di sotto. Una macchina metallizzata, si fermò nel bel mezzo del giardino del ristorante ed Alice trattenne il respiro.
“Porca miseria, una Porsche Macan!” urlò ed io alzai gli occhi al cielo.
Rimanemmo a fissare l’auto e quando dal suo interno vi uscì Eric Norton, tante domande vennero a formarsi nella mia testa. “Cosa ci fa Eric qui?” domandai tra me.
Alice continuò a sbavare su quella stupida auto ed io continuai a fissare il suo proprietario. Alcune delle mie domande vennero risolte, quando vidi Edward andare verso di lui.
 

EDWARD
 
Eric sembrava felice, rilassato. I suoi gesti erano tranquilli e da quando era venuto non aveva acceso neanche una sigaretta. Mi guardai intorno, esaminando il bellissimo giardino del Belleville. Sperai che Bella avesse risolto con mia sorella e che adesso fosse più tranquilla. Era stato più complicato di quanto avevamo immaginato. Ci erano rimasti tutti di merda ed io non potevo che biasimarli. Forse il momento era stato sbagliato, avevamo compromesso il pranzo intero, eppure ero sollevato. Finalmente potevamo vivere tranquillamente e senza costrizioni.
“Io e Bella, ci siamo sposati” mormorai e fu come liberarsi dell’ennesimo macigno. Era bello dirlo ad alta voce.
Eric mi guardò confuso “Quando? Credevo che questo fosse un pranzo di laurea”
Scossi la testa “Si, si infatti. Ci siamo sposati tre mesi fa” precisai ottenendo solo altra confusione.
Rise “Congratulazioni … - affermò scettico – Io invece lascio la Grande Mela”
Adesso ero o quello sorpreso “Cosa?”
“Roxy ha aiutato gli Enko ad arrestare mio padre” mormorò ed io ammutolii “Andiamo, lo so che ne eri a conoscenza. Forse lo sai anche da prima che lo capissi io. Adesso che siamo solo io e lei, voglio liberarmi da tutto quello che ci lega a nostro padre e cambiare vita”
Mi passai una mano fra i capelli, intimandolo a continuare.
“Ricordi il contratto che avevano firmato Caius e mio padre?” domandò improvvisamente ed io annuii.
“Se Harry fosse stato arrestato, Caius avrebbe ereditato tutto e viceversa” ricordai e lui portò una mano alla tasca interna della giacca, estraendone un pacchetto di sigarette.
Ok, forse non era poi cosi cambiato.
“Esatto. Adesso che sono entrambi dietro le sbarre, indovina chi ha ereditato tutto?” domandò ed io rimasi completamente sbigottito.
“No!” urlai incredulo e lui sorrise, eliminando ogni mio dubbio.
“Sono schifosamente ricco. Potrei passare un’intera giornata a distribuire banconote da cento dollari e il giorno seguente sarei ancora più ricco!” affermò.
“Com’è possibile?” domandai curioso.
Alzò le spalle “Sono il parente più vicino o qualcosa del genere. Molti dei soldi sono stati sequestrati ma quelli che mi hanno doto e ogni singola proprietà, mi rende enormemente ricco”
Ridacchiai. La fortuna aveva cominciato a girare nuovamente dalla sua parte.
Si alzò, improvvisamente a disagio. Sospirò “Non sono venuto fino a qui per vantarmi dei miei soldi – fece per pensarci – O meglio, non solo per quello”
Scossi la testa, divertito “Smettila di farmi perdere tempo, la mia famiglia comincerà a chiedermi che fine abbia fatto” scherzai e lui ritornò serio.
“Ho ereditato tutto di Caius, anche il Volterra e voglio darlo a te” disse con tono leggero.
Sbarrai gli occhi “Che cosa?!”
Agitò entrambe le mani “Non sono un avvocato, non saprei cosa farmene e quindi la do a un amico”
Mi alzai in piedi agitato “La do ad un amico – ripetei le sue stesse parole, incredulo – Non è una sciarpa Eric, è uno studio legale” gli feci notare.
Alzò le spalle “Lo so ed è tuo. Evviva!” disse con finto entusiasmo. Sospirò pesantemente “Andiamo, non farla tragica. Accetta il regalo e basta, fingiamo che sia un regalo di nozze” propose speranzoso ed io scossi la testa.
“È un regalo un tantino gigantesco, non credi? È uno studio legale, cazzo!” urlai.
Mi guardò paziente “È uno studio legale completamente nella merda. Non c’è nessuno, è tutto da rimettere in sesto. È come se ti stessi donando una macchina sportiva senza le ruote e con un motore a pezzi”
“Resta comunque una cosa enorme”
“Mi hai aiutato a ritrovare mia sorella ed io sono in debito con te. Promettimi che ci penserai”

 
BELLA
 
“Wow!” fu l’unica cosa che riuscii a dire ad Edward e lui mi fissò cercando di trovare la risposta che tanto cercava. Scossi la testa e le porte dell’ascensore si aprirono, mostrandoci la porta del nostro appartamento. “Non ti dirò cosa fare, è una scelta tua” mormorai, prima che mi chiedesse cosa fare.
“Cosa devo fare?”
Ecco, appunto.
Mi fermai  e lui fece lo stesso “È una tua decisione, non mia. Tu ti senti di addossarti uno studio legale a pezzi?”
Chiuse gli occhi, un attimo prima di sedersi sui gradini che portavano al piano sopra al nostro.
“Sarebbe un suicidio. Non sono in grado di tenere lo stesso cellulare per più di due mesi, figuriamoci uno studio legale” mormorò assorto ed io lo seguii, sedendomi al suo fianco.
“Cerca di vederlo sotto un’altra luce: tu vuoi farlo?” domandai diretta e lui poggiò la testa sulla mia spalla.
“Non lo so, Bella. Devo riflettere” sussurrò pensieroso ed io gli accarezzai i capelli.
Sarebbe stato l’impegno più grande che si sarebbe mai accollato, eppure sapevo che ci sarebbe riuscito. Rimanemmo su quelle scale ancora qualche minuto, fino a quando Edward non decise di entrare.
Non riuscii ad aspettare neanche che la porta fu aperta completamente che mi levai le scarpe, incapace di sopportare il dolore ai piedi.
La casa era avvolta dal totale silenzio. Trovammo Janet sul divano, con in mano un libro e quando richiudemmo la porta, il rumore la fece sobbalzare.
Si portò una mano sul cuore, maledicendoci sicuramente mentalmente “Siete tornati”
“Eleonore?” domandai ansiosa e lei mi disse che dormiva profondamente nel suo letto.  Non aspettai oltre, la lasciai lì a chiacchierare con Edward e mi precipitai da mia figlia.
La trovai dove mi era stato detto e un respiro di sollievo fuoriuscì dalla mia bocca. Poggiai entrambe le mani sulla sua culla e sorrisi, trovandola rapita in chissà quale sogno.
“Non mi stancherò mai di guardarti, piccola mia” sussurrai appena.
Gettai i tacchi in un angolo della stanza e mi lasciai andare sulla poltrona vicino alla finestra.
“È tutta intera?”
Edward fece capolino nella stanza, con il suo immancabile sorriso e gli avanzi della meringa al limone del pranzo appena finito. Guardò la bambina per qualche secondo e poi me, sedendosi sulle mie gambe.
“Edward, mi stai schiacciando!” mi lamentai stanca e lui si alzò, invertendo i posti.
“Janet è andata via?” domandai e lui annuì.
“Si, ha detto che si è divertita” rispose ridendo.
“Questa giornata sembrava non voler finire” constatai e lui annuì, riempiendosi la bocca con un pezzo di dolce.
“Ci sono stati parecchi colpi di scena” affermò, prima di imboccarmi. Il sapore eccessivamente zuccheroso del dolce, mi fece sentire meglio.
“Dire a tutti del matrimonio è stato orribile. Ci guardavano tutti così male …” ricordai e un brivido mi oltrepassò l’intera spina dorsale. Non avrei dimenticato facilmente i loro occhi o le urla di Alice.
Edward mi pizzicò un braccio “Se tu ti fossi attenuta al piano, sarebbe andato tutto meglio”
Sbattei gli occhi, incapace di ricordare alcun piano “Che cosa? Non avevamo un piano, dovevamo semplicemente dirlo e quando si è presentata l’occasione, tu sei stato zitto!” lo accusai.
Poggiò la testa sullo schienale della poltrona, guardandomi con un ghigno “Se tu non avessi inondato l’intera sala con le tue lacrime, forse sarei riuscito a dire qualcosa”
Feci per ribattere ma lui me lo impedì, riempiendomi la bocca con quel dolce che cominciava a darmi il voltastomaco “Era un matrimonio. Ok, abbiamo sbagliato ad escluderli ma potevi risparmiarti tutte quelle lacrime. Sei una piagnucolona Isabella, il caso è chiuso – lo fulminai con lo sguardo – Una bellissima piagnucolona” aggiunse e posò le sue labbra sulle mie.
Gli morsi il labbro inferiore e lui sussultò “Cazzo, Bella!” mormorò tentando di reprimere un urlo.
“Chi piagnucola, adesso? – domandai soddisfatta – Mi sono solo fatta prendere dalla situazione. Ci stavamo divertendo e all’improvviso, tutto è cambiato”
“Almeno adesso non dobbiamo più nascondere una cosa così bella” mormorò sollevato ed io sorrisi.
Ci eravamo buttati alle spalle molte spiacevoli situazioni e problemi che sembravo non volerci lasciare in pace. Avevamo ceduto al loro peso, avevamo sofferto ma ci eravamo rialzati. Ci eravamo dati forza a vicenda e adesso sembra che tutto andasse per il verso giusto. Era un illusione, lo sapevo.  La nostra vita era appena cominciata. Avremmo dovuto affrontare cose più grandi, cose peggiori, eppure ero pronta. Lo avremmo fatto insieme, per sempre. Perché in fondo, era questa la vita, no?
Rialzarsi e rialzarsi sempre, senza lasciarsi sopraffare dalle situazioni.
Guardai Edward, immerso nei suoi pensieri e realizzai che nulla fosse meglio di stare al suo fianco. Nel bene e nel male, saremmo stati sempre e solo noi. Nulla ci avrebbe più separati.
Gli accarezzai i capelli e lui alzò lo sguardo, inchiodandomi con i suoi occhi. Mi avvicinai e lui si ritirò, remore del morso appena ricevuto. Ridacchiai “Vieni qui, idiota” sussurrai e lo fece.
Bocca a bocca, una sola anima e non potei che sperare con tutta me stessa in più momenti come quello.










OMG manca l'epilogo ed è finita o_o



 

   
 
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