Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Lilyth    12/07/2012    2 recensioni
Si può passare da persona normale in cerca del destino a persona che rischia la vita tutti giorni che del destino non vuole sapere nulla?
Beh, evidentemente sì per Lilyth.
Chi nasce prescelto deve sacrificare la vita per gli altri, anche se questo vuol dire cancellare i propri sentimenti.
Questa è una storia che ho scritto in terza media, diciamo che me ne sono sempre un po' vergognata; però sento il bisogno di mostrarla a qualcuno e ricevere delle belle critiche costruttive.
un Abbraccio.
Lilyth
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il mio sguardo si perdeva in lontananza,fra gli alberi,le fattorie,le montagne,il cielo…la nebbia stava lentamente risalendo,i contadini uscivano di casa per andare ad arare i campi,gli uccelli iniziavano a far sentire la loro presenza cantando melodie dolci e sprizzanti di felicità.
Ero immersa in un torpore tipico dell’assopimento,uno di quei momenti in cui sei sola con te stessa e niente e nessuno può interferire con la tua mente e con i tuoi pensieri.
Sarei voluta rimanere così per sempre,senza dovermi preoccupare del mio futuro che mi sarebbe scivolato addosso come pioggia,ma una voce ed una presenza accanto a me mi fecero tornare mentalmente stabile.
Battei le palpebre due o tre volte, poi mi sgranchii le braccia e mi voltai verso mia madre al volante della nostra auto.
Aveva le mani fisse sul volante, i capelli castani che le cadevano scompigliati sulla schiena, gli occhi vivaci e la bocca intenta a fischiettare un nuovo motivetto che ero convinta di non aver mai sentito.
Ci volle un po’ prima che si accorgesse dei mie occhi puntati su di lei, a spiare tanta eccitazione verso quella nuova avventura che, come lei stessa aveva definito due mesi prima, capita solo una volta nella vita.
Iniziò a girarsi a scatti verso di me, allargando mano, mano il sorriso che padroneggiava sul suo viso < …ben svegliata tesoro…dormito bene? > strizzai gli occhi < …diciamo bene… > tornò a fissare la strada e dopo un po’ riprese a parlare < …allora, cosa ne dici del panorama? > posai svogliatamente lo sguardo su cosa c’era dall’altra parte del finestrino, poi tornai subito a guardare dritto davanti a me < …fra la campagna e la montagna… > le scappò una risata di compiacimento < …fantasiosa… > annuii senza dare troppa importanza al discorso e cercai di esiliarmi di nuovo nei meandri più insidiosi della mia mente.
Esattamente due mesi prima avevo finito la scuola media, ero uscita dagli esami con dieci, ero felice delle vacanze che stavano per iniziare, non vedevo l’ora che papà tornasse dal suo viaggio di lavoro…poi quella notizia che mi aveva catapultata a settembre con forza e oppressione…ricordavo quel giorno come uno dei peggiori vissuti nella piccola parentesi della mia vita; mia madre mi guardava tutta sorridente insieme a mio padre mentre mi dava la grande ,grandissima notizia che avrebbe sconvolto per sempre la mia vita…cambiamo città…quell’affermazione ancora strideva nella mia mente come il gesso sulla lavagna.
Avevo passato un estate all’insegna dei musi lunghi e dei pensieri tristi e alla fine ero arrivata, pronta a buttarmi nella nuova pagina dedicata alla mia vita.
La nostra tappa si chiamava Merula, ovvero un paese totalmente inesistente su qualsiasi tipo di carta geografica; da alcune descrizioni di mia madre doveva essere esattamente tra i paesi di Ambertide e Montone, in Umbria.
Avevo cercato più volte di visualizzare il punto esatto dove doveva trovarsi quel mucchio di casette sparse, ma non ero mai riuscita a trovare nessuna carta che ne indicasse le giuste coordinate.
Ed ora, eccomi qui, in quella auto aspettando che il mio destino si compiesse. Non riuscivo a guardare mia madre e non provare una punta di rabbia nei suoi confronti…era così felice di cambiare vita, di trasferirsi dalla metropoli di Roma al “nulla” di Merula.
Eravamo partite a causa della sua promozione al lavoro; mia madre era un medico ad un ospedale di Roma, a Merula sarebbe diventata Primario.
Aveva cercato di convincermi a vedere quel cambiamento radicale anche dal punto di vista economico, sarebbe stata pagata di più, molto di più e ci saremmo potute permettere tante di quelle cose in più…ma no, no…la situazione non cambiava!
Ero stata strappata dal mio habitat naturale e stavo per essere rinchiusa in una gabbia come un animale in cattività.
Avrei preferito mille volte andare con mio padre in chi sa quale paese del mondo, ma lui aveva insistito perché io andassi con la mamma, andando con lui sarei rimasta tutto il giorno da sola in città che non conoscevo, avrei dovuto cambiare scuola decine di volte, insomma, sarebbe stata una fatica inutile.
Tutti i miei amici avevano cercato di distrarmi, mi dicevano che ci saremmo visti, sentiti, ma ero più che sicura che appena iniziata scuola avremmo tagliato i ponti tutti con tutti, a maggior ragione con me che abitavo ormai a chilometri da loro.
Un urletto di mamma mi fece tornare con i piedi per terra < …eccoci Lilyth, siamo quasi arrivate…non sei elettrizzata?!? > sbuffai sonoramente < …eccome…non vedevo l’ora… > allungai lo sguardo abbastanza da vedere un piccolo, piccolissimo paesino medievale all’orizzonte…non poteva essere quello, non doveva essere quello…< Lilyth, è quello lì…lo vedi?!? O, che emozione… > deglutii nervosamente e per poco non mi misi a piangere, non riuscivo più a spiccicare parola, avevo un nodo in gola che non si sarebbe sciolto tanto facilmente.
Entrammo nelle mura del paese, era tutto così attaccato, appiccicato, incollato da darmi un senso di chiusura, di mancanza di aria improvvisa.
I paesani si voltavano a guardare il nostro fuori strada passare, ci fissavano come se fossimo degli alieni appena atterrati sulla terra con la nostra navicella spaziale…già cominciavo a sentire il senso di distacco fra noi e loro e quello, più di ogni altra cosa, mi metteva i brividi.
L’auto si era infilata in una stretta stradina su cui si affacciavano delle case, alcune piccole, altre più grandi disposte in file disordinate.
Ci stavamo allontanando sempre di più dal centro del paese che dall’interno sembrava mille volte più grande che dall’esterno.
Alla fine mamma fermò l’auto davanti ad una villetta con giardino in stile settentrionale.
Scese tutta eccitata e spalancò il cancelletto in ottone che separava il giardino dalla strada, la seguii poco convinta.
Tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi e iniziò a scassinare la porta con furore finchè quella non ci si spalancò davanti.
Dall’esterno tutti i colori dell’ingresso sembravano pallidi e confusi, ma bastò spalancare una finestra per farci rimanere di stucco; il piccolo ingresso che si collegava direttamente al salone era color panna e bordeaux, la stanza era tappezzata da quadri, tavolini e poltrone in raso rosso.
Mi voltai verso mia madre inorridita < non mi avevi detto che la mia bisnonna fosse così…così pacchiana… > scosse la testa < non lo sapevo nemmeno io, sarà da quando avevo due anni che non entro in questa casa…e quando la nonna è morta… > sgranai gli occhi < non vorrai dirmi che in questa casa non entra nessuno beh, da quella volta spero… > alzò le spalle mostrando un sorrisino vago.
Corsi fuori di casa maledicendo il giorno in cui l’avevano promossa, il giorno in cui aveva deciso di comprare quella casa…maledicevo qualsiasi cosa mi passava per la testa.
Aprii la macchina per prendere le mie valigie e in un impeto d’ira sbattei lo sportello dell’auto con forza.
Mi sentii osservata, voltai lo sguardo verso la casa di fronte alla mia, da una finestra dell’ultimo piano un ragazzo biondo mi fissava interessato.
Gli diedi subito le spalle pensando < …brava Lilyth,bel modo di farsi conoscere… >
Per tutto il resto della giornata mi limitai a sistemare quella che sarebbe diventata ufficialmente la mia stanza; era graziosa e appariscente allo stesso tempo, un letto a baldacchino padroneggiava centralmente, alle sue spalle c’era un grande armadio a muro e sulla parete di destra c’era la scrivania, il tutto rigorosamente bianco e panna.
Avevo il balcone che dava sulla boscaglia dietro la casa, una vera e propria selva impenetrabile.
Tenevo il muso a mia madre forse anche esagerando un po’, lei faceva finta di niente e evitava di parlarmi ed io la assecondavo nella sua scelta.
Andando a dormire quella sera desiderai che fosse tutto un sogno, che il giorno dopo mi sarei svegliata ancora nella mia bella casa di Roma, con il mio letto, la mia stanza, i miei amici…grazie a quel pensiero dolce riuscii a calmarmi e a sprofondare in un sonno profondo.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Lilyth