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Autore: paffywolf    13/07/2012    2 recensioni
Rachel, Quinn e Santana avevano sempre desiderato andare via da Lima. Ma sarà davvero New York il posto giusto per loro?
New York è il perfetto modello di una città, non il modello di una città perfetta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A place for us

Salve a tutti! :)
Due premesse fondamentali, prima dell'inizio di questo capitolo.
1) Questo capitolo non è betato, di conseguenza è probabile troviate erroracci qui e lì che possono essere sfuggiti alla mia rilettura. Chiedo scusa in anticipo! :|
2) Non conoscendo una beata mazza di canto, tecniche e quant'altro, non leggerete in questa FF nemmeno una volta una descrizione precisa di una lezione di Rachel. Al massimo saranno presenti dei piccoli riferimenti, ma niente di eccessivo. Sarebbe ridicolo da parte mia inserire scale, arpeggi o che so io quando in realtà non conosco niente di musica, quindi ho deciso di proseguire così. :)
Il capitolo è praticamente incentrato in toto sulla relazione tra Rachel e Andrew. Sarà un rapporto chiave nella trama della vita di Rachel a NYC, quindi ho deciso di renderlo ancora più "realistico" lasciandovi anche intravedere quale sia l'aspetto fisico di Andrew. (QUI la foto) Inizialmente il suo comportamento potrà sembrarvi da pazzo furioso, ma il tutto avrà senso più avanti, lo giuro! XD
E vipregovipregoviprego recensite un pochino che sennò mi deprimo tantissimo. Anche solo per dire "mi fa schiferrimo", ma ho davvero tanto tanto bisogno di feed. :(
Non aggiungo altro a questa mega introduzione (diamine, quanto sono prolissa!) e vi lascio al capitolo. :)
Buona lettura!




Capitolo IV: Rachel - Yoga a Central Park

Rachel Berry


Svegliarmi al mattino con lo skyline come panorama era il meglio del meglio.
Le mie giornate iniziavano alle 6 del mattino: mi vestivo in silenzio, attenta a non svegliare Violet, e attraversavo i corridoi vuoti della scuola. Ogni tanto incrociavo qualche studente più grande, che salutavo con un cenno della mano e un sorriso. Un autista aspettava noi pazzi mattinieri nell’atrio e alle 6:30 in punto entravamo tutti in un vecchio pulmino Volkswagen, destinazione Central Park.
Poi solitamente ci separavamo: ciascuno aveva un proprio percorso preferito da affrontare per la sua corsetta mattutina. O semplicemente desiderava quei preziosi 45 minuti tutti per sé.

Quel giorno però non avevo voglia di correre. Camminai un po’ nel parco deserto, entrando sempre più nel cuore di quella città verde. Appena giunta in un largo spiazzo erboso, presi il mio tappetino da yoga dallo zaino e lo allargai sul prato. Avevo scoperto di avere un’insana passione per lo yoga da quando ero in quella città, colpa anche dei miei papà, che mi avevano trascinato alla loro prima lezione pochi giorni prima.
Mi sedetti sulla mia stuoia rosa, sfilai le scarpe da ginnastica e chiusi gli occhi. L’unico rumore che si sentiva era il fruscio ritmico delle fronde degli alberi, accompagnato da qualche cinguettio.
Respirai a fondo, unendo i palmi delle mani e allungando le braccia verso l’alto, mantenendo la posizione per qualche minuto. Mi allungai poi in avanti e afferrai le caviglie, sentendo i muscoli tirare. Passai da una posizione all’altra canticchiando serenamente, sentendomi beatamente tranquilla. Ma una voce -una voce che ben conoscevo- mi risvegliò da quello stato di trance.
“Ehi, anche tu qui?”
Andrew. Sbuffai appena, infastidita. Non potevo essere lasciata in pace almeno durante la mia sessione di Yoga mattutina?
“Buongiorno, Rachel.”continuò lui. Non aveva intenzione di andarsene? Decisi di ignorarlo, prima o poi si sarebbe stufato. Il tocco della sua mano sulla mia testa mi fece sobbalzare.
“Ehi, giù le mani!”esclamai, schiaffeggiando il suo palmo.
“Sei viva allora?”ridacchiò, sedendosi sull’erba accanto a me.
“Sto facendo yoga.” Quindi gradirei non essere rotta le scatole.
“Oh lo so, è da dieci minuti che ti osservo.”Sul suo volto c’era ancora quel sorriso strafottente.
“Sai che sei ai limiti dello stalking?”borbottai, chiudendo gli occhi.
“Sono il tuo tutor, è normale che mi preoccupi per te.”

Già, il mio tutor. Ogni anno gruppetti formati da uno o due studenti del primo anno venivano affidati a uno studente dell’ultimo anno, per essere introdotti ai corsi e ai programmi di studio. Era un’attività che aveva sempre portato ottimi frutti nel corso degli anni passati: aiutava gli studenti a collaborare gli uni con gli altri, come si fa solitamente nelle compagnie teatrali.
Quando seppi che Andrew sarebbe stato il mio compagno mi ero sentita al settimo cielo: un ragazzo così capace e così dannatamente carismatico sarebbe stato un tutor perfetto e mi avrebbe aiutato a primeggiare. Ed effettivamente Andrew era un ottimo insegnante: ligio al dovere, severo ma comunque sempre pronto a spronarmi. Anche se quel suo sorrisetto strafottente era sempre pronto ad affiorare.
Ci trovavamo tutte le sere nell’aula di danza classica, con la sola compagnia di un pianoforte. In quei momenti sentivo risalire lungo la schiena brividi di paura: l’eco della mia voce si spargeva in quell’aula il cui unico arredamento erano le sbarre e i grandi specchi che ricoprivano la parete.

Eppure, mentre le sue dita scorrevano sui tasti dell’enorme pianoforte a coda, il suo sguardo era fisso su di me. I suoi occhi mi trapassavano come una lancia, spaventandomi e eccitandomi al tempo stesso. Era una sensazione forte, inebriante: la sensazione di essere desiderata.  A quell’ora su quel piano dell’accademia c’eravamo soltanto io e lui: avrebbe potuto fare qualunque cosa desiderasse e io sarei stata completamente alla sua mercé. Ma era una paura irrazionale, sapevo bene di essere in un istituto con telecamere di sicurezza piazzate praticamente ovunque.
Continuavo però a non capire come fosse possibile che mi guardasse con quella intensità, in fin dei conti lui era gay dichiarato! Lui e Martin facevano sempre colazione insieme, passeggiavano felici mano nella mano nei corridoi e più di una persona si era lamentata in presidenza per i rumori molesti provenienti dalla loro camera. E inoltre, quando mi incrociava per i corridoi, non mi degnava di uno sguardo. Ma allora perché comportarsi così quando eravamo da soli?
Quel ragazzo era per me un vero mistero. Perché poi quella mattina si era venuto a sedere proprio vicino a me, in quel parco immenso? Mi guardava ridendo, quegli occhi glaciali ancora fissi nei miei.   
“Dai, ti insegno qualche posizione. Ho visto che ne conosci poche.”si offrì, alzandosi in piedi. Allungò una mano per aiutarmi, ma la rifiutai.
“E questo sarebbe un aiuto da tutor perché...?”
“Lo Yoga, oltre a favorire il rilassamento, aumenta la flessibilità, indispensabile per diventare una brava ballerina. Su quelle punte sembri una majorette, non una della NYADA.”
Non replicai alla sua critica. In fin dei conti che male poteva farmi variare le mie solite posizioni?
“Dai, fammi vedere.”lo spronai, alzandomi in piedi a mia volta.

Lui chiuse gli occhi, uni le gambe e si allungò fino a toccarsi le ginocchia con la testa. Stavo per prenderlo in giro per quella posizione così semplice, ma poi poggiò i gomiti a terra e alzò le gambe in una perfetta verticale. Lo sentivo respirare ritmicamente, ma come diavolo faceva a non avere mal di testa e l’affanno?
Tentai di assumere anch’io quella posizione e l’unico risultato fu una rovinosa caduta sull’erba. Lo sentii ridacchiare, mentre tornava in posizione eretta. Come aveva fatto?
“Effettivamente questa è una delle posizioni più difficili. Dai, te ne faccio vedere una semplice.”

Chiuse gli occhi e sul suo volto comparve una maschera: i suoi lineamenti, che prima mi erano sempre sembrati troppo duri e mascolini, si addolcirono in una espressione serena e rilassata. Sul suo volto non c’era più quel sorrisetto di scherno e quegli occhi così fastidiosamente insistenti erano celati dalle sue palpebre. Inspirava ed espirava ritmicamente, mormorando un motivetto a me sconosciuto.
Era molto attraente, ma anche ben conscio di esserlo. Persino mentre una goccia di sudore gli scivolava sul profilo della mascella, appariva come una divinità greca ritrovatasi per caso a Central Park. Sembrava più che desideroso di mostrare i muscoli guizzanti, celati dietro una t-shirt attillata, mentre allungava la gamba sinistra e poggiava il piede sul ginocchio destro. Quando alzò le braccia verso l’alto, la maglietta si alzò appena: lo stacco dell’anca appariva nitido appena sopra i pantaloncini e una porzione di addominali faceva capolino dal cotone elasticizzato.
“So di essere sexy, ma se mi guardi così mi imbarazzo.”
Non mi ero nemmeno accorta di averlo fissato insistentemente per tutto quel tempo. Né che lui avesse aperto gli occhi.
“Non ti stavo guardando. Stavo... studiando la posizione, ecco.”
“Sì certo, quanto è vero che io sono etero.”
Ma allora era gay! Lanciai uno sguardo all’orologio e solo allora notai che avevo poco meno di cinque minuti per tornare all’ingresso del parco.
Panico.
“Cavoli, è tardissimo!” presi lo zaino e vi infilai dentro il tappetino, mentre Andrew arrotolava il suo.
“Conosco una scorciatoia. Ti fidi di me, Rachel?”
“Eh?”lo guardai sconvolta. Era la classica battuta da cartone animato, che il principe pronunciava appena prima di fare qualche gesto sconsiderato per difendere la sua bella. Lo vidi prendere il mio zaino e infilarselo in spalla.
“Dai Rachel, la Connelly mi ammazza se arrivo tardi a lezione. E non posso lasciarti qui a Central Park da sola!” Prese la mia mano e mi alzò di peso dal prato.

Era la prima volta che avevo un contatto fisico con un ragazzo da molti mesi. Mentre correvamo mano nella mano in direzione dell’ingresso principale del parco, fui sorpresa di avvertire quel contatto come piacevole. L’ultima volta che qualcuno mi aveva stretto la mano in quel modo era stato il mio fidanzato-quasi marito Finn: le sue mani erano grandi e forti, piene di calli per via dei tanti allenamenti con i pesi. La mano di Andrew invece era calda e delicata, con dita sottili che avvolgevano morbide il mio palmo. Ma perché mi piaceva così tanto il suo tocco? Lui era gay, cavolo! E anche felicemente fidanzato!

Appena prima di uscire dal parco, lasciò la presa e mi distanziò, correndo in direzione del pulmino. Raggiunse Martin e i due si diedero un leggero bacio sulle labbra, prima che il biondo afferrasse la mano del suo ragazzo e la stringesse, proprio come aveva fatto con me. Raggiunsi il Volkswagen ansante e mi scusai per il ritardo con l’autista, promettendo che non sarebbe mai più accaduto. Mentre camminavo per raggiungere un posto vuoto passai accanto a Andrew e Martin; ma quegli occhi profondi non mi cercavano come avevano fatto fino a pochi minuti prima. Il cuore mi batteva forte, ma sapevo bene che non era soltanto per colpa della corsa.


*-*-*-*-*-*

Rachel diamine, è Celine! E’ sempre la stessa Celine che tu hai sempre cantato fino a rimanere quasi roca, la stessa Celine di cui sai a memoria ogni singolo brano!
Non puoi non riuscire a cantare Celine solo perché due occhi ti fissano insistentemente.
“Cazzo Rachel, stai cantando da schifo, sei inespressiva e credo di aver sentito above invece di love. Si può sapere che hai stasera? Hai anche scelto tu questo brano!”
“Non lo so che mi prende, ok? Possiamo fare cinque minuti di pausa?”
“NO, cazzo!”urlò lui, alzandosi in piedi. “Fai schifo, porca miseria, SCHIFO. E io non perderò il mio tempo con una che non vuole nemmeno farsi il culo per migliorare!”
Io che mi alzavo alle 6 tutte le mattine, che andavo a dormire e sognavo il palco, che desideravo essere a Broadway fin da quando avevo 2 anni. Io ero quella che non voleva migliorare? Che razza di idiota!
“Benissimo, se faccio così schifo allora vattene!”urlai a mia volta. Lui riordinò i suoi spartiti e li ammucchiò in una pila con gesti rapidi e frenetici.
“Ti stai già arrendendo. Complimenti.”sussurrò rabbioso, avviandosi verso la porta dell’aula. Lacrime di rabbia mi inondarono gli occhi.
“Mi sono già arresa una volta, perchè non avevo scelta!”gli urlai.
“Arresa?”Lui si voltò a guardarmi, gli spartiti stretti in mano.
Mi accasciai sul pavimento, la schiena poggiata alla gamba del pianoforte. Forti singhiozzi mi scuotevano il petto e mugolii isterici risalivano dalla mia gola mentre inondavo il mio vestito blu di lacrime. Stringevo le mani fino a sentire le unghie affondare nella carne, sentivo il respiro affannoso farsi sempre più incerto e irregolare mentre rievocavo l’immagine di colui che mi aveva chiesto di separarci. Io non dovevo arrendermi, sapevo di dover combattere per stare con Finn; eppure mi ero arresa a un destino tanto ineluttabile quanto crudele.

“Rachel?”
Sentivo la mano di Andrew - quella stessa mano che avevo stretto poco più di dodici ore prima - accarezzarmi delicatamente la testa, mentre sussurrava dolci parole di conforto. Quando si era seduto?
“Rachel, calmati ti prego. Ho esagerato prima, scusami. Calmati. Ti prego, Rachel.” Mi sollevò il viso poggiando due dita sotto il mio mento. La vista del suo volto affranto, splendido persino attraverso quel velo di lacrime che mi offuscava la vista, non fece altro che peggiorare le cose.
Sapevo di essere uno straccio in quel momento, ma non mi importava. Lo abbracciai istintivamente, senza nemmeno capire bene perché: sentivo solo che il dolore che mi cresceva nel petto mi avrebbe squarciato in due senza l’aiuto di qualcuno. E poco importava che fosse lui quella persona, quello strano ragazzo che sembrava affetto da doppia personalità e che soltanto pochi secondi prima mi aveva detto quanto facessi schifo.
Strinsi la mano sul suo maglione e poggiai la testa sulla sua spalla, mentre altre lacrime seguivano le precedenti. Sentivo il suo cuore mancare un battito, mentre rimaneva immobile, chiaramente sorpreso dall’accaduto. Qualche secondo dopo sentii le sue braccia avvolgermi delicatamente e stringermi a loro volta.
L’unico suono che si sentiva in quell’aula era l’eco dei miei singhiozzi. Un grido di solitudine, di disperazione e di compianto al tempo stesso.
Rimanemmo in quella posizione per un tempo che mi parve infinito. Andrew non diede mai segno di spazientirsi, ma anzi continuava a stringermi forte in attesa che smettessi di piangere.

Non so come, a un certo momento il flusso incessante terminò. Osservai il suo maglione, ormai probabilmente compromesso per sempre con tutto il trucco che vi era colato sopra.
“Il tuo maglione, cavolo. Mi dispiace.”
“Tranquilla. Posso almeno sapere il motivo di questa crisi isterica?”Il suo tono si era di nuovo fatto un po’ burbero, ma gli lessi in faccia che era sinceramente preoccupato.
Gli raccontai tutto. Di me, di Finn, di quanto lui fosse unico e speciale; del nostro primo bacio, della prima volta che ci lasciammo, di quando lui mi riconquistò, di quando ci baciammo sul palco in quella stessa città; di quando mi propose di sposarlo, del nostro primo matrimonio saltato. Di quella partenza, ripetendo parola per parola tutto quanto mi aveva detto quel giorno in cui ci eravamo separati; e infine di quell’anello andato perduto e del suo silenzio di quegli ultimi mesi. Mi sentii leggera come non lo ero da molto tempo, perché ero finalmente libera da quel peso che mi opprimeva il cuore, libera da quei ricordi dolorosi di cui non avevo parlato con nessuno, nemmeno con Violet.
“Posso essere franco con te, Rachel?”mi chiese lui. Annuii. “Ho come la sensazione che tu fossi assuefatta a lui. Non riesci a lasciartelo alle spalle perché per te era come una droga. E adesso sei a rota.”
“Rota?”
“Sì, in crisi da astinenza. Adesso che lui non è più con te, tu ti senti morire dentro e ne vorresti ancora e ancora e ancora. Ma devi capire una cosa, Rach, perché quello che stai vivendo adesso NON è una cosa sana. Lui non ti vuole.”
“Non dire fesserie, Finn mi ama. Tu non lo conosci.”
“Quando mi trasferii a New York, avevo anch’io un ragazzo nel Tennessee. Si chiamava Tom. Era dolce e gentile, sempre interessato a me, sempre amorevole e premuroso. E a letto era una bomba, sapessi cosa riusciva a fare con quella lingua...”
Mi sentii arrossire. “Non entrare nei dettagli, ti prego.”Lui sorrise, alzando lo sguardo in direzione dell’enorme lampadario di cristallo.
“Scusa. Quando mi trasferii qui, ci salutammo con la promessa di rivederci per Natale, quando sarei tornato lì per stare con la mia famiglia. Per tutta la durata del viaggio in aereo lui mi aveva mandato sms, inviandomi foto del fienile dove andavamo a rifugiarci per una sveltina, oppure del posto dove andavamo a pescare insieme. Appena arrivai a New York e accesi il cellulare vidi tutte quelle premure e attenzioni e... mi sentii come se non fossi mai andato via. Il tuo ragazzo ha fatto questo, Rachel?”
Sentii il cuore stringersi in una morsa mentre gli rispondevo. “No, non l’ha fatto.”
“Non è stata la distanza a uccidere il nostro rapporto. Lo ha fatto un tale Steve, con il quale mi ha tradito.”
“Finn non lo farebbe mai.” Lui non si curò della mia risposta e proseguì imperterrito nel suo racconto.
“Quando andai dai miei a Natale, Tom pensò bene di presentarsi a casa mia per chiedermi scusa per come si era comportato. Lui e Steve si erano mollati e quindi voleva tornare con me. Credo che da allora non sorrida più così spesso, visto il dente che gli ho fatto cadere quando l’ho preso a pugni.”
Sospirò appena, continuando a guardare quel lampadario, perso nei suoi ricordi.
“Trascorsi quell’anno in solitudine, passando dal letto di un ragazzo a un altro. Li vedi quelli del quarto anno? Etero o non, me li sono fatti tutti. Però, quando ho incontrato Martin un anno dopo, è stato come rinascere. Adesso ti sembra che il mondo non abbia senso Rachel, ma tutto si risolverà. E’ solo questione di tempo. ”
“Tu credi?”
Annuì convinto, alzandosi in piedi. Mi offrì di nuovo la mano, come aveva fatto quella mattina. Prese poi un bicchiere di carta dalla sua borsa, diretto al boccione dell’acqua nell’angolo.
“Bevi un bel bicchiere d’acqua. Credimi, ti aiuterà.”
Sorrisi sincera. Era riuscito a trovare il modo migliore per calmarmi senza essere a conoscenza dei poteri terapeutici dei bicchieri d’acqua a casa Berry.
“Grazie, Andrew.”dissi, bevendolo tutto d’un fiato.
“Ti va di provare di nuovo? Inizio io stavolta.” Si sedette ancora una volta al pianoforte, di nuovo negli occhi quell’espressione intensa mentre guardava verso di me. La sua voce mi arrivò dritta al cuore mentre cantava e quelle parole che fino a pochi minuti prima confondevo, mi arrivarono chiare e dirette nel loro vero significato.
 
I can read your mind and I know your story
I see what you're going through
It's an uphill climb, and I'm feeling sorry
But I know it will come to you

Don't surrender 'cause you can win
In this thing called love

 
Mi unii a lui nel ritornello, finalmente di nuovo consapevole di dove fossero le mie corde vocali e di come si cantasse. E poco importava se ero stata inopportuna nell’abbracciare una persona che conoscevo appena: in quel momento rivivevamo i nostri amori passati, con la sola differenza che tra i due quella da guarire ero proprio io, che avevo scelto quella canzone a caso tra tante di Celine Dion.

When you want it the most there's no easy way out
When you're ready to go and your heart's left in doubt
Don't give up on your faith
Love comes to those who believe it
And that's the way it is


Cantammo insieme l’intera canzone, più per piacere che per dovere. In quella sala si respirava un’aria nuova, o forse ero soltanto io a percepire diversamente la realtà che mi circondava.
Alla fine del brano, Andrew mi fece posto sul sedile del pianoforte.
“Sarò io la cura alla tua solitudine, Rachel.”disse dopo un po’, mentre raccoglieva gli spartiti.
“Sai che non sei obbligato, vero?”
“Dovere di Tutor.”


   
 
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