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Autore: Silver Pard    13/07/2012    4 recensioni
Il lieto fine dipende dal punto di vista.
[ Raccolta di rivisitazioni fiabesche:
01 ~ Cenerentola – Lei era acqua, e non esiste ostacolo che non possa superare.
02 ~ La bella addormentata – Profondamente addormentata e indescrivibilmente bella: se l’è cercata.
03 ~ La bella e la bestia – Le manca la Bestia.
04 ~ Il gatto con gli stivali – Il Gatto non è più tanto accomodante.
05 ~ Cappuccetto Rosso – Facciamo un gioco.
06 ~ Le fate – A volte le si tagliavano così tanto le labbra che i diamanti parevano rubini.
07 ~ I sei cigni – Il sesto fratello, il sesto cigno si abbandona alla deriva, dilaniato tra due mondi.
08 ~ Biancaneve – E si sveglia con il labbro rotto a morsi e gli occhi neri di odio e il cuore pieno di ghiaccio.
09 ~ Mr Fox – Osa, osa, ma non osare troppo, o il sangue dentro il cuore ti si ghiaccerà di botto.
10 ~ Hansel e Gretel – Soprattutto, ha paura del modo in cui sua sorella guarda alla strega.
11 ~ Tremotino – Il tuo nome è panna nella sua bocca, ma nelle dosi giuste, tutto è veleno. ]
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Nota: Una delle mie preferite, e la prima che ho tradotto.
La fiaba originale bene o male penso la conoscano tutti; più che altro, ci sono diversi riferimenti letterari e alla mitologia nordica, ma visto che potrei solo confondervi le idee lascio le ricerche ai più curiosi.
Vi dico soltanto che gli “Splendenti” in inglese sono gli “Shining Ones” – non so bene cosa siano, quindi, uh… xD




Cold ~ Freddo





Neve. Sangue. Ala di corvo, tesa a schermare il pasto.

Queste le materie di cui è composta. Fredda come la neve, incanta. Tagliente come il becco del corvo, strappa via i cuori. Di sangue sono il fiume che traversa e le orme rosse che semina al suo passaggio, nella sua ricerca di calore.




Dicono che la Regina sia una strega, ma non è così. Non ne sa più della fattucchiera media, conosce i balsami e le tinture che alleviano e guariscono, i veleni che portano follia o morte. Cose banali, alla portata di qualunque donna che se ne intenda di erbe. Le differenze tra lei e quelle donne sono due: la prima è che lei è regina; la seconda è che lei ha un barlume di vero potere.

La Regina possiede uno specchio. Magico, naturalmente. Si protende verso il vetro, e gli rivolge una domanda che distruggerà la vita della sua figliastra. Non “Chi è la più bella?”, perché gli specchi che rispondono a quella domanda sono bugiardi o rotti. Lei chiede: “Cosa ne sarà del mio paese?




Quando la principessa ha sette anni, un boscaiolo la porta nella foresta. È bella, pur con i suoi modi scontrosi e scostanti (la dolcezza e la temperanza non erano tra le qualità che sua madre le aveva augurato), ammantata da sciamito e velluto.

Il boscaiolo ha un’ascia affilata assicurata alla cintura, e nello zaino nasconde il portagioie vuoto della Regina.




Sangue sulla neve. Morte. Distruzione. Fiamme. Il volto adulto della principessa, spietato.

La regina strilla e si ritrae violentemente, e quando i singhiozzi smettono chiama i suoi consiglieri, i suoi maghi. Racconta la sua visione, e quelli si guardano tra loro.

C’era stato un cattivo presagio, il giorno in cui era nata la principessa, la principessa tanto amata dal padre, che aveva fatto scorrere copiosamente il sangue di sua madre. Sköll aveva finalmente stritolato il sole tra le sue fauci e l’aveva ingoiato proprio mentre la principessa emetteva il suo primo grido, riempiendosi la bocca della linfa vitale della madre. Il lupo l’aveva rigurgitato qualche minuto dopo, non riuscendo a tollerarne il calore, come sempre sarebbe stato fino alla fine del mondo, quando avrebbe potuto ingoiare ogni cosa a suo piacimento, ma rimaneva comunque un cattivo presagio, e bambini nati sotto un tale auspicio non potevano essere altro che maledetti.

Il loro responso per la Regina è di utilizzare misure più drastiche del rinchiuderla in una torre, facendola diventare il fulcro di una ribellione o la fonte di pretendenti che rivaleggino per il trono.

Passa il tempo, ma alla fine riescono a convincerla della ragionevolezza della loro tesi.

La Regina vuole bene alla sua figliastra, ma il ricordo del volto nel vetro è ancora nitido, e quella non è la sua figliastra, ma un mostro.




Il boscaiolo ha i calzoni sbottonati, e sotto il suo corpo possente la principessa si dimena e strilla come un gatto randagio; una mano enorme le copre il viso, le preme la testa nel terriccio argilloso, l’altra cerca di dividerle le ginocchia bianche.

La principessa non è mai stata toccata così da un uomo: le mani del boscaiolo sono pesanti e violente, si insinuano in posti che solo le sue infermiere e le addette alla vasca hanno mai toccato prima. Il moccio le scorre nella bocca ansimante, e le sue stesse grida le invadono le orecchie con il loro squallore.

Un corvo osserva da un ramo sopra di loro, e ridacchia con cattiveria delle sue condizioni.




« Portami il suo cuore, di modo che io- di modo che possa essere certa che il fatto è compiuto. »

Portami il suo cuore, di modo che possa guardarlo e consolarmi al pensiero che almeno non verrà mai spezzato, almeno non la saprò mai in lacrime per amore, di modo che possa consolarmi al pensiero che il buon Dio accoglie i bambini piccoli nel suo abbraccio.

Portami il suo cuore, di modo che non possa tornare in vita.

Portami il suo cuore, di modo che possa conservare il suo amore.

Portami il suo cuore, perché è così che ci si occupa di creature di sangue.

Portami il suo cuore.





Il gracidio del corvo ha risvegliato qualcosa dentro di lei. È questo che dirà il boscaiolo. La ragazza risolleva il viso di scatto per guardarlo negli occhi, e il sangue del labbro spaccato unito ai capelli neri spiegati come seta lucente fanno sembrare chiara la sua pelle, più chiara della neve. Ha degli occhi talmente neri che, spergiurerà nel suo bicchiere, il bianco è completamente sparito, facendola sembrare una degli Splendenti.

Si strappa la spilla dal vestito, gli conficca con precisione la punta nella coscia, sull’arteria gigantesca, e la trascina nella carne. Quando lui si allontana, urlando un’imprecazione e promettendo di fargliela pagare, lei riesce a divincolarsi e a scappare, inciampando qua e là, nella foresta. Non appena lui inizia a rincorrerla si stacca la spilla, e il sangue comincia a sgorgare, all’inizio sottile e rosso, poi sempre più veloce e a fiotti, zampillante e quasi nero.

Riavvicina i lembi di pelle, fa delle cuciture veloci e abborracciate con il kit che porta sempre con sé in caso di ferite quando va a tagliare gli alberi.

Porta alla Regina il cuore insanguinato di un capriolo nel portagioie dalle rifiniture delicate, e spergiura che è quello della ragazza, perché nella sua mente, mentre spaccava le costole del capriolo con una rozzezza dovuta alla rabbia, lo era.




La Regina fa affumicare ed essiccare il cuore, e lo appende tra i bulbi d’aglio a uno spago di sorbo. Di magia non ne sa più di una buona fattucchiera, ma come bisogna occuparsi di creature fredde di sangue è risaputo, soprattutto presso i contadini che tanto spesso sentono la loro presenza.




« Chi è questa creatura? » la schernisce il nano mentre lei si rannicchia nell’angolo della stanza.

« Cos’è questa creatura? » sbuffa un altro, sprezzante.

« Ha mangiato dal mio piatto? » domanda il quinto, gli occhi scuri brillano di sospetto nel volto duro.

« Ha bevuto dalla mia tazza? » chiede il settimo mestamente – le tazze sono d’oro, e nessuna creatura apprezza veramente l’oro come un nano.

« È entrata in casa nostri, fratelli » dice il terzo, passando un dito sul filo dell’ascia. « Cosa ne facciamo di questa intrusa? »

Lei si getta finalmente per terra, come ha visto fare a cortigiani e servitori quando la collera coglieva suo padre. Non le è rimasto un briciolo di orgoglio: della veste di seta e raso non resta ormai che un paio di stracci che da tempo non sono più della sua misura, si è tagliata i neri capelli di seta quasi fino al cuoio capelluto quando ha scoperto che ci strisciavano piccole creaturine. Li supplica di risparmiarla e offre in cambio tutto ciò che le viene in mente.




La Regina trascorre lunghe ore nella camera che apparteneva alla principessa. Tocca i vestitini di seta riccamente colorata e di pizzo ancor più prezioso, costellati di aghi di pino per mantenere fresco l’odore. Accarezza i fianchi grigio d’asino del cavallo a dondolo, piange nella sua criniera. Bacia il cuore appeso in mezzo all’aglio; piange e dice che non avrebbe mai voluto farle del male, mai, solo che-

Neve sul sangue. Morte. Distruzione. Una figura che danza e strilla con ai piedi scarpette rosso fuoco. Il volto adulto della principessa, crudele, impietoso.

Solo che lei è regina. Il suo paese viene prima di ogni altra cosa. Il dovere prima del cuore; è legge anche tra i guerrieri che non rispettano alcun codice.

Il volto della principessa, rigato dalle lacrime.

Ma le sue notti sono dolci e senza sogni, ha la coscienza pulita. Queste cose, l’hanno persuasa i suoi consiglieri, talvolta sono il prezzo necessario da pagare.




Cucina, pulisce e spazza. Lava i piatti, impara a cucire, a tessere e a rammendare. Affila i coltelli, ascolta i nani quando sono ubriachi, chiassosi e esultanti al pensiero dei giorni di gloria in cui spaccavano crani e fendevano corpi in due con un colpo ben assestato, filtra l’oro dagli scarti, e scopre come usarli.

Impara a giudicare la qualità dell’oro e dell’argento con i denti e le unghie. Impara a distinguere un gioiello da un bel pezzo di vetro. Impara che la pietra ha un odore, e che i nani vedono meglio al buio che durante il giorno, quando la luce è troppo forte per loro.

Di giorno va a caccia, quando i nani cercano oro nelle profondità della terra. La carne che cucina non è sempre di una creatura dei boschi.

Sogna il sangue mentre cuce pezzi di cuoio pesante per farne cotte di maglia. Sogna il ghiaccio mentre affila i coltelli e se ne infila negli stivali e sulla cintura, e uno più piccolo tra i capelli mal tagliati. Sogna le cornacchie che si contendono un vasto campo di soldati morti mentre cucina carne che non appartiene né ai pesci, né ai volatili, né ad animali a quattro zampe.

Sogna di tornare bambina, di far dondolare la mano di suo padre mentre lui la porta a fare il giro degli sconfinati giardini della reggia, e si sveglia con il labbro rotto a morsi e gli occhi neri di odio e il cuore pieno di ghiaccio.




La gente del mercato diventa inquieta, comincia a pretendere provvedimenti dalle pattuglie armate quando sempre più persone attraversano la foresta senza più riemergerne. Esigono che i soldati proteggano il loro paese e la loro gente.

I soldati parlano tra loro di mostri, di donne morte che camminano nelle foreste e attraggono i loro amici tra gli alberi. Parlano di cadaveri decapitati o impalati.

La Regina tocca il cuore in mezzo all’aglio e va al suo specchio.




Il primo tentativo è un pettine lavorato così finemente che è impossibile resistergli: sa che ai nani piacerebbe rimirarlo, paragona derisoriamente la tecnica di realizzazione alla loro. La testa le sanguina a profusione quando glielo rimuovono.

Sa bene che non dovrebbe provare il corsetto – ma è passato così tanto tempo dall’ultimo bel vestito che ha avuto, veramente tanto, e non riesce più a ricordare quanto la sua matrigna si lamentasse e si sventolasse mentre le domestiche glielo legavano stretto. D’altro canto, non ricorda nemmeno le risate della sua matrigna per le imitazioni dei suoi rantoli ansimanti che le faceva dal letto su cui era seduta a guardarla, o di quando si chinava a strofinarle la guancia contro la propria, lasciandole cipria sottile color pesca sul viso bianco.

I nani tagliano i lacci e le fanno aria fino a che il suo respiro torna regolare e profondo, e le dicono di smetterla di comportarsi da stupida incosciente. Ha dimostrato innumerevoli volte di non essere idiota, a dispetto del suo retaggio. Perché persiste nel cercare di dimostrare il contrario?

Nel profondo del suo cuore ghiacciato, crede che la risposta sia che lei vuole morire, vuole che gli assassini di sua madre riescano, non ne può più di essere inseguita.

La mela – la vecchia che ha lasciato cascare il cestino stava mordendo proprio questa prima di scappare; la polpa rivelata dal pezzo staccato è bianca e succosa. Dà un morso alla metà intatta, sente l’amarezza della belladonna in un istante, e sta soffocando quando i nani rincasano presto dal lavoro, immaginando già quello che avrebbero trovato. Le fanno assumere un potente emetico, e lei vomita fino a che non le rimane più niente da buttare fuori se non bile screziata di sangue.

Due settimane dopo il fallito tentativo della mela, compare un uomo di cui ha un vago ricordo, e se non fosse stata distratta a massacrare il mercante grasso provvisto di una borsa piena d’oro quando lui aveva cominciato a borbottare a bassa voce, avrebbe riconosciuto nell’intonazione i primordi di un incantesimo, o si sarebbe accorta che le sue parole appartenevano a una lingua usata soltanto dagli eruditi dell’arcano, e gli avrebbe scagliato contro i suoi pugnali correndo come il vento.

È troppo tardi, e le imprecazioni che urla mentre si volta le rimangono conficcate in gola quando viene tramutata in cristallo.




Sono passati nove anni, e la principessa avrebbe sedici anni e sarebbe probabilmente fidanzata, se non già sposata. La Regina siede nella cameretta immutata, poggia le mani ordinatamente intrecciate sulla pancia come se la principessa fosse figlia sua e potesse ancora sentirla scalciare nel ventre vuoto.

Ora ha sogni agitati, pieni di morte onnipresente, e non ha il coraggio di guardare nello specchio.

Il mago che per primo le aveva parlato del cattivo presagio sotto cui era nata la principessa le ha dato la notizia qualche ora fa. La ragazza, la sua figliastra, l’unica figlia che avrà mai, è morta.

Non piange. Ha versato tutte le sue lacrime anni fa.

Il vento taglia, e ulula come un lupo, e lei si rammenta di una vecchia leggenda secondo cui le anime infelici si trasformano nel vento delle notti d’inverno, che urlano la propria furia e il proprio dolore.

« Yelena » bisbiglia, e spera che il nome tanto a lungo taciuto guiderà la sua figlia perduta a una qualche forma di pace.




Lui ha ventiquattro anni, la sua educazione si palesa nell’indole nervosa e nel viso dalle ossa sporgenti e dal naso aquilino, e il suo sorriso è imbruttito dall’impazienza.

Il suo cuore si è ghiacciato, e lei ha scoperto tempo or sono che l’unica cosa in grado di scaldarlo è lo scorrere del sangue, e la presunzione della sua gratitudine da parte di quest’uomo la lascia sbigottita e divertita, ma molto in superficie, perché il ghiaccio è spesso e lui non è nulla più di una vaga luce che tremola sul bordo dei suoi sensi, e forse neanche quello.

Che razza d’uomo desidera un cadavere per moglie? Un principe – perché solo un principe potrebbe permettersi uno stregone abbastanza competente da invertire il suo incantesimo. Un principe, ma a lei che importa dei principi? Lei era una principessa di un lignaggio ben superiore al suo.

Lui è infatuato. È debole. Non sente il sapore del sangue in bocca in ogni secondo della giornata, il suo cuore è troppo volubile per diventare duro come il diamante. È patetico, una preda debole che arranca con una freccia nel fianco, troppo stravolto per rendersi conto che presto cadrà in ginocchio e morirà.

Bene.

Lei fa ciò che sa fare meglio, e lo manovra come i tasti del pianoforte che la sua matrigna aveva nelle sue stanze. Nel giro di qualche settimana, le darà tutto. Qualunque cosa. E poi – beh, un uomo è pur sempre un uomo. Niente di più, che si consideri principe o povero.

Uccidere un uomo è piuttosto semplice, come lei ben sa. Una daga affilata al posto giusto, dove le vene e le arterie picchiettano cariche di vita. Una testa mozzata. Un pugnale al cuore. Gli cavi gli occhi, gli spezzi le gambe, ti assicuri che non possa più essere una minaccia, e poi lo finisci in tutta comodità. Non c’è bisogno di veleni, non c’è bisogno di falsa misericordia. C’è onestà nel modo in cui uccide, con una spada e un sorriso. Almeno di questo può andare cupamente fiera.

Proprio come lui ha intenzione di usarla, lei lo userà. Lui le darà il suo regno, il suo esercito, il suo potere.

Non ne può più di essere inseguita. Lei è sangue, e neve, e cornacchia e molto, troppo forte per lasciarsi fermare.




« Yelena » dice la Regina quando arrivano, lei con in pugno una spada insanguinata, lui con gli occhi sgranati e pallido dalla nausea. I corridoi rimbombano di grida, e sui pavimenti di pietra si scivola sul sangue, e il profumo di fumo addensa l’aria.

« Yelena » ripete mentre la sua figliastra – bellissima con quell’aria cenciosa degli Splendenti, letale più di ogni altra cosa – la raggiunge e le bacia la guancia con le sue labbra fredde. Salve. Addio.

« Siete invitata al matrimonio » dice, il tono distaccatamente educato, come se non fossero state combattute battaglie per arrivare a questo momento, come se intorno a loro il palazzo non stesse bruciando.

La Regina ride, perché non c’è davvero nient’altro da fare. Tutto ciò che ha visto nello specchio si è avverato, eccetto per un particolare.




Quando il matrimonio giunge al termine, il cadavere viene trattato con il rispetto degno di una regina, anche se il ferro le viene fuso nelle piante dei piedi, fin dentro le ossa, e da lì non verrà più tolto.

(Questo è per il ricordo di Yelena, per la bambina che non mancava di nulla, che era così felice, che la donna di nome Shrike con il suo vizio di impalare la preda non riesce a tollerare nemmeno i più vaghi ricordi che sono riusciti a sopravvivere ai suoi zelanti sforzi di cancellarli.)

La principessa svanisce dopo tre giorni di luna di miele, una vedova senza nulla al di fuori di quello che riesca a portare (che però non è affatto poco, visto che conosce le alterazioni specifiche da apportare ai vestiti per trasportare e celare quanto più oro possibile).

Lei è sangue, neve e corvo, e nel desiderio di sua madre, il lieto fine non era contemplato.
   
 
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