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Autore: Tuccin    14/07/2012    0 recensioni
Raccolta di one shot Chuck/Blair.
1. The accidental husband // Blair scivolava sul marmo come una nuvola, alternando uno sguardo alla punta bianca delle sue scarpe - rivestite di seta lucida - e un’occhiata severa all’ambiente per accertarsi che tutto fosse come desiderava.
2. Love doesn’t just disappear // Ripensò a quando Chuck le aveva confessato di aver abbandonato il suo anello su un freddo e inospitale gradino di fronte al negozio di Harry Winston. Un’insolita tomba per un così profondo e bruciante amore.
3. Eyes Wild Shut // Chuck non aveva avuto il coraggio di guardarla in viso mentre, pazzamente, aveva condotto la sua mano verso il basso, lì dove un sapiente spacco, nel tessuto arancione, indicava ciò che di più segreto e più dolce aveva Blair.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Quasi tutti | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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Autore: ~Tuccin

Titolo: Eyes Wild Shut

La
 fanfiction partecipa al contest Royal Flush del forum Undeniabile Attraction Chuck e Blair Italy (chuckblair.forumfree.it) con il seguente pacchetto : Some stories open the door for something more. And then there are fairytale endings where the girl gets her prince. And endings that turn you introspective about your own life and your place in the world. And then there's the ending that you saw coming a mile away, and yet somehow still takes you by surprise. But don't worry, my Upper East Side friends. This story isn't ending. We're just at the start of a brand new chapter.
Personaggi obbligatori: Louis Grimaldi e Lily Rhodes
Parole chiave: Venezia, Harry Winston,
 masquerade ball

Rating: arancione

Personaggi: Blair Waldorf ♥
 Chuck Bass, Louis Grimaldi, Lily Rhodes ♥ Bart Bass, Dorota (+ una manciata di nuovi personaggi irrilevanti). 
Nominati: Serena Van Der Woodsen, Nate Archibald, Eric Van Der Woodsen.

Note dell'autrice: La fic è divisa in capitoletti introdotti da una quote di Chuck o Blair, le quote di Chuck aprono le parti dedicate a Blair e viceversa.

Introduzione:
 Chuck non aveva avuto il coraggio di guardarla in viso mentre, pazzamente, aveva condotto la sua mano verso il basso, lì dove un sapiente spacco, nel tessuto arancione, indicava ciò che di più segreto e più dolce aveva Blair.

 

Some stories open the door for something more. And then there are fairytale endings where the girl gets her prince. And endings that turn you introspective about your own life and your place in the world. And then there's the ending that you saw coming a mile away, and yet somehow still takes you by surprise. But don't worry, my Upper East Side friends. This story isn't ending. We're just at the start of a brand new chapter.
Gossip Girl



Parigi // The
 only reason Waldorf Designs has a future is because I gave mine up for it
Gli occhi scuri di Blair fissavano immoti i bozzetti sparsi sulla scrivania, mentre il suono di un bisbigliare, sommesso e continuo, le infastidiva l’orecchio destro. Il suo acconciatore, quella mattina, le aveva intrecciato i capelli in una mezza treccia a spiga lasciandole scoperto quel lato del viso; per fortuna, dall’altra parte, delle ciocche fluenti, appena scottate dal sole, le offrivano un ottimo riparo: quello sciame di parole sospirate la annoiava e la infastidiva. Si alzò dalla sua sedia girevole, superando la scrivania di cristallo, e si posizionò a qualche passo dalla sua prima stilista e dalle altre tre assistenti. Erano tutte e quattro ricurve ed esageratamente preoccupate per l’orlo di un bermuda in seta, pezzo di punta della collezione
 cruise, che avanzava generoso oltre il ginocchio dell’ossuta modella, senza rispettare le misure del bozzetto. Era evidente che in produzione le sarte dovevano aver fatto un errore. Blair si portò una mano al fianco, in attesa: era sconcertata da tanta incompetenza. Aveva detto a sua madre che non vedeva l’ora di occuparsi di borse e tacchi alti, di dettare lo stile della stagione che si sarebbe aperta di lì a breve, ed era ancora così, ma in alcuni momenti quel lavoro la opprimeva. Si sentiva sola e incompresa: le sue assistenti erano maniache precisioniste, senza gusto, né classe, né inventiva. Si fece coraggio e si auto impose di non perdere la pazienza. Si massaggiò una tempia prima di parlare: “Spostatevi” ordinò con un soffio. Il chiacchiericcio si spense all’istante, Blair si piegò ai piedi della modella e, con un un’abile mossa, fece un risvolto grossolano al tessuto fiorato, perché arrivasse all’altezza giusta. Lanciò uno sguardo veloce alla modella bionda che le sorrise subito timidamente, ricordandole per un istante il solare viso di Serena. Un ombra di quel leggendario sorriso, certamente, ma bastò per disorientare Blair: erano ormai diverse settimane che non aveva notizie dell’amica, e quella mancanza cominciava a lacerarle il petto in modo inaspettato e profondo. Rimettendosi in posizione eretta e lisciandosi il vestito color panna dagli spruzzi argentei, comunicò secca: “Serve una calza qui. Cipria, non cammello. Traforata”. Le tre assistenti si dileguarono a macchia d’olio in cerca di ciò che aveva chiesto, mentre la stilista prendeva velocemente la misura del risvolto.
La porta dell’ufficio si scostò appena: “Entra pure” disse Blair incoraggiando l’attendente e incrociandosi le braccia al petto. Sapeva che tutte le sue collaboratrici la temevano, e di questo non poteva che essere lusingata, ma certe volte quell’atteggiamento ansioso allungava di qualche secondo i tempi della comunicazione e questo la rendeva ancora più tesa. Da quando aveva ricevuto l’incarico alla Waldorf Designs, era un fascio di nervi e aveva il disperato bisogno di un massaggio buntautuk.
La sua receptionist si avvicinò con un plico di fogli in mano: “Stefano Tonchi sulla terza per
 lei…”.
“Non ho tempo per lui ora” la interruppe subito Blair con naturalezza, sfiorandosi la fronte come per rimuovere un velo di sudore invisibile.
La ragazza deglutì al pensiero di dover inventare l’ennesima scusa per il famoso direttore di W, con il quale Blair si rifiutava di parlare da giorni. Senza aggiungere neanche una parola, le allungò una busta dalla forma quadrata che avevano recapitato pochi istanti prima, come se la stesse porgendo a una belva con le fauci spalancate. Il viso diafano di Blair si colorì appena e, sbatacchiando le lunghe ciglia vivacemente, afferrò tra le dita la preziosa carta bordata d’oro. Si accorse subito della ceralacca che la chiudeva e la sua curiosità aumentò quando scoprì che non c’era un mittente, ma solo il destinatario: la principessa Blair Cornelia Waldorf Grimaldi. Sapeva bene che quello non era più il suo nome, non dopo che
 Chuck aveva pagato per lei, e di conseguenza salvato la Waldorf Designs da vendita sicura, facendo anche in modo che mai potesse sentirsi una sua pari. Il gesto più sbalorditivo e magnifico, ma allo stesso tempo terribile, che un uomo avesse fatto per lei. Non aveva ancora chiari i suoi sentimenti a riguardo, non sapeva se considerarsi un bene di consumo, pagato profumatamente, oppure se pensarsi come la donna più amata e fortunata del pianeta.
Blair attese qualche attimo, roteando gli occhi da parte a parte: il suo ufficio spazioso brulicava di stoffe, manichini, perle e pizzi, mentre le sue assistenti, come operose formiche, erano intente a lavorare.
“Vorrei essere lasciata sola” commentò in tono smarrito, senza smettere di fissare la busta e lasciandosi cadere sulla sedia. La stanza si svuotò in pochi istanti. L’ultima a uscire fu la modella: la bionda si chiuse la porta bianca alle spalle, facendo un altro fatale sorriso che, istantaneamente, punse cuore di Blair. Sì, Serena le mancava da morire.

Parigi // I love
 you. 
I'm in love with you. I have tried to kill it, to run away from it, but I can't 
La limousine
 accompagnò Chuck fino all’entrata dell’hotel. Il caldo della ville non gli impediva di portare un costoso ascot al collo, ma lo obbligava a consumare litri di scotch ghiacciato. Gli affari non stavano andando bene: nemmeno con la collaborazione di Jack era riuscito a rivalersi su Bart, nonostante avessero racimolato - con qualche mano fortunata a black jack - denaro sufficiente a comprare un esercito mercenario. All’ingresso qualcuno lo accolse chiamandolo con l’insopportabile appellativo “Monsieur Bass” e la porta girevole lo condusse nell’atrio. Non passò dalla reception e si diresse con passo svelto e cadenzato verso gli ascensori che lo avrebbero condotto al piano attico. Quando entrò nella suite, la risata argentina di Lily lo investì, ricordandogli i tempi in cui vivevano tutti insieme, con suo padre, Eric e Serena a casa Van Der Woodsen. Erano passati alcuni anni da quando la colazione era fatta di una tavola imbandita - invece che di un bicchiere di sigle malt mezzo vuoto - e del chiacchiericcio allegro di una famiglia - invece che di sospiri solitari. Ricordava ancora tutto: gli occhiali da sole che Lily indossava scherzosamente per non mostrare gli occhi struccati e gonfi di sonno; le dita lunghe di Serena immerse nei frutti di bosco, la sua macedonia di bellezza, i capelli di Eric, sempre più scuri e più corti, e il viso di suo padre, nascosto dal Wall Street Journal. Erano tempi in cui i suoi desideri mattutini, quelli più bassi e istintuali, erano tutti per Blair Waldorf vestita alla marinaretta; moriva all’idea di riuscire a darle un passaggio in limousine fino alla Constance e di darle un casto bacio sulla guancia, con la scusa di annusarle il collo. All’epoca non c’era nulla che lo eccitasse di più.
“Chi vi ha fatto entrare?” tuonò
 Chuck.
Lily si drizzò in piedi, lasciando il posto che aveva occupato fino a quel momento, avvicinandosi con le braccia appena aperte e un sorriso magnanimo. Bart rimase comodo, con la gamba accavallata virilmente e le dita intrecciate: “Figlio, dovresti ormai sapere che niente mi vieta di entrare nella camera di un hotel” rispose in modo pratico.
Chuck si lasciò cullare dall’abbraccio materno di Lily, riluttante e restio, ma intimamente consolato da quel contatto. “Sono contenta di vederti Charles” gli disse apprensiva, prendendogli il viso tra le mani come se fosse un bambino.
“Non avete nulla di cui preoccuparvi” comunicò secco
 Chuck, guardando suo padre, indispettito da tanta invadenza. Aveva disertato appositamente gli hotel delle Bass Ind. per non essere trovato, ma non era servito a nulla. Al suo vecchio bastava pagare per ottenere tutto, anche l’intrusione in una camera privata.
“Dovresti tornare a casa” lo intimò Bart “Ai tuoi affari”.
“Io non ho una casa, né una famiglia” rispose pronto, evitando di guardare Lily per non scorgere il dispiacere e il disappunto che di sicuro sarebbero comparsi sul suo viso “E
 poi…” continuò rischiando di risultare patetico “Ho i miei affari qui”.
“Quali?” lo provocò serafico Bart.
“Blair” rispose
 Chuck “E’ lei il mio affare”.
“Siedi almeno un po’ con noi e ascolta ciò che ha da dirti tuo padre” lo pregò Lily, ignorando volutamente il riferimento a Blair. Da quando l’aveva trovata in lingerie al loft degli Humphrey, nel disperato tentativo di sedurre Dan, Lily diffidava di lei, come una suocera gelosa.
Chuck li osservò torvo: suo padre, rigido e impettito, aveva una strana espressione pacifica, il viso segnato dall’età era più luminoso e rilassato del solito, gli occhi azzurri meno vuoti. Lily gli faceva bene, gli aveva sempre fatto bene. Aveva le sembianze di qualcuno che era tornato alla vita dall’al di là. Lily invece, sedutasi nuovamente sul divano, assunse una delle sue pose più eleganti, sfiorandosi i capelli biondi, raccolti in uno chignon, e facendo bella mostra di tutti i gioielli che indossava; pietre dure, diamanti, perle: regali dei i suoi innumerevoli mariti, una gemma per ogni litigio.
“Vorrei che andassi a Venezia” esordì Bart dopo qualche attimo di pesante silenzio.
Chuck lo guardò interrogativo in attesa di dettagli, pronto già a rifiutarsi di fare da rappresentante delle Bass Ind., dal momento che la sua quota si era tragicamente ridotta a una percentuale così effimera da farlo vergognare.
“Si tratta di portare a termine un affare molto delicato, ci andrei io, ma non posso lasciare scoperta la mia posizione neanche per un giorno, devo poter essere reperibile sempre e tener fede di Lily” continuò posando una mano sul ginocchio della donna che sorrise appena, accondiscendente “E poi l’invito è intestato a te, sono molto rigidi su questo. Non mi farebbero entrare” concluse appoggiando sul tavolino una busta quadrata dai bordi d’oro.
“Che intendi con
 affare delicato?” indagò Chuck, prendendo la lettera e ispezionandola attento.
“Una società segreta di cui faccio parte, anzi… facciamo parte” si corresse subito, poi continuò con decisione: “Si tratta di festa in maschera dove sarà presente anche il primogenito degli
 Walton, dovresti parlare con lui e stringere un’alleanza”.
“E cosa ci guadagno?”
“Ti basti sapere che me ne
 ricorderò… allora posso contare su mio figlio?”
“Non posso lasciare Parigi. Non voglio lasciare Parigi” disse ad alta voce
 Chuck testardamente, abbandonando il salotto con quattro lunghi passi.
Aveva provato tante volte ad allontanarsi, a trovare un’altra soluzione, ma non c’erano: finché Blair sarebbe rimasta, lo avrebbe fatto anche lui. Non importava che ancora non si parlassero, voleva essere lì qualora le cose si sarebbero sbloccate. Perché quando due persone si amano, trovano il modo di stare insieme alla fine e, quando quel momento sarebbe arrivato, non voleva essere dall’alto capo del mondo.
Lily lo raggiunse dopo qualche minuto, guardando con lui il panorama di Parigi dalle enormi vetrate della
 suite, in rispettoso silenzio. Poi si decise a chiedergli: “Cos’è successo con Blair?”.
Chuck ripensò a quella sera in cui Blair era arrivata ondeggiante: era davvero la più bella di tutto il casinò. Si era seduta accanto a lui, prendendo posizione al posto di Jack. Ricordava ancora quella sensazione di eccitante inquietudine provocata dalla sua presenza: finalmente lei gli era accanto, così vicina da poterla toccare; così brillante e viva in un abito oro e arancione, così soave con quell’espressione di speranza e quel sorrisetto innamorato. Non l’aveva mai vista così, e per quanto s’imponesse di mostrarsi sospettoso, inarcando le sopracciglia importanti, nel profondo era grato per quel piccolo miracolo: sembrava tornata in sé. Quel “Non potremo mai stare insieme” che lei aveva pronunciato con un groppo in gola, tra lacrime e dolori, sembrava ormai un brutto ricordo. Gli orecchini a cerchio pendevano irradiando luce, avevano quasi un effetto ipnotico su di lui e, la sensualità di quella bocca lucida color corallo, gli impediva di distogliere lo sguardo dal suo viso. Si era ritrovato persino a fissare incantato quegli occhi castani che si aprivano e si chiudevano in segno di assenso.
Suo malgrado si era costretto però ad alzarsi, ad abbandonare il campo e ad attraversare la sala, sempre più smarrito e disorientato, con il cuore palpitante e uno strano pizzicore in gola che gli diceva quanto non era pronto a ricominciare. Gli era sembrato che il caos avesse inghiottito ogni cosa: luci colorate, tappeti verdi, camerieri con
 flute pieni di bollicine, carte, roulette, dadi, tutto era confuso in una babilonia di voci. Aveva poi trovato pace in un angolo scuro, dove si era potuto appoggiare con la schiena a una parete ricoperta da una tappezzeria blu elettrico.
“Chuck…” l’aveva sentita supplicare, ritrovandosela ancora davanti. Gli sembrò una maledizione: atroce fu sentire quelle amate dita scorrergli sulla guancia, poi sulle labbra e sul collo, in una carezza così intima da togliergli il fiato. Un tocco così seducente da non lasciargli scelta, qualcosa di così meraviglioso, che si rivelò terribile. Come se Blair avesse svegliato una belva, l’aveva presa per i fianchi, avvicinandola al punto di appiattirla contro il suo petto, riuscendo così a saggiare le curve di quel corpo che gli era tanto mancato. Poi, aveva alimentato ancora di più la brama di farla sua, accarezzando le spirali d’oro del vestito che le ricamavano i seni e il ventre, studiando con malizia ogni piega e ogni grinza che, attraenti, le modellavano il fisico.
 Chuck non aveva avuto il coraggio di guardarla in viso mentre, pazzamente, aveva condotto la sua mano verso il basso, lì dove un sapiente spacco, nel tessuto arancione, indicava ciò che di più segreto e più dolce aveva Blair. Aveva avuto l’impressione di sentirla arrossire prepotentemente, mentre anche lei si apprestava a fare lo stesso, restituendogli il favore e pilotando la sua delicata mano verso il basso. In quell’esatto istante, aveva avuto la conferma che un solo bacio non sarebbe mai bastato: mai sarebbe riuscito a staccarsi da lei se fossero andati avanti. La sua risposta era “No”: serbava ancora tanto rancore. Si sentiva perso, vulnerabile, orfano e non voleva essere per lei un uomo molle, insicuro e senza futuro. Così l’aveva baciata ubbidendo al suo istinto, stringendola forte, trattenendo il fiato e buttandolo fuori dalle narici con foga, mentre lei, delicatissima, si abbandonava esangue a quell’assalto. Alla fine l’aveva lasciata con le labbra consumate, gli occhi grandi spauriti e una manciata di parole: “Forse in futuro…”.

“Nulla che possa essere detto ad alta voce” rispose con fatica, dopo qualche istante, allentandosi il fazzoletto al collo.
“Torna a New York” propose ancora Lily “Non ha senso rimanere qui. Tornerà anche
 lei…” lo incoraggiò, pensando che alla fine Blair si sarebbe stancata di stare lontano dalla grande mela.
“La tua risposta Charles?” indagò suo padre, rendendo palese la sua presenza nella stanza e interrompendo bruscamente il discorso.
Chuck prese velocemente la decisione. Si voltò con gli occhi stretti in una fessura e colmi di determinazione: “Andrò a Venezia e poi tornerò a New York… al mio Empire. Mi renderai l’hotel”. Si espresse così, senza domandare.
Bart sorrise beffardo porgendogli la mano “Riavrai l’Empire
 quando e se concluderai l’affare con gli Walton” concedette senza pensaci troppo. Infondo quell’hotel non gli era mai piaciuto: le opere d’arte esprimevano tutto il dubbio gusto di una personalità acerba, come se fosse stato ridecorato da un’adolescente. Mancava di quella pulizia e di quell’ordine che tanto appagavano i suoi occhi di esperto e freddo magnate.

Venezia //
 Well, you look ravishing. If I was your man I wouldn't need clues to find you
“Glielo ripeterò per l’ultima volta
 Signorina” stava cantilenando l’uomo all’ingresso della sala, con un marcato accento veneto “Il suo invito è stato revocato, lei non è più la Principessa di Monaco”.
Blair si accigliò dietro la maschera di piume color cipria che, con un disegno morbido, le copriva il contorno occhi e buona parte del visto, lasciando scoperte le labbra perfette e scarlatte. Si era accaldata e innervosita al punto di farsi venir meno il respiro, stretta in quel corsetto antico che le scolpiva le forme, sottolineando il suo, già sottile, punto vita. Da dietro i pesanti tendoni, che separavano il vestibolo dalle sale, riusciva a sentire trepidante la musica raffinata, il chiacchiericcio e le risate di coloro che erano stati invitati legittimamente a quel party misterioso. Privilegiati, di cui lei non faceva parte. Lanciò quindi uno sguardo omicida a Dorota, che l’aveva accompagnata fin lì, sfidando il mal di mare e accettando di salire su una gondola.
“Devo trovare assolutamente il modo di entrare” s’inviperì, battendo le sue Charlotte Olimpia sulla moquette cremisi. Dorota la guardò con gli occhi sgranati e le mani giunte, preoccupata di non riuscire a soddisfare i desideri della
 sua Miss Blair. Poi qualcosa cominciò a muoversi dietro il pesante tendone di velluto indaco: una maschera dal bagliore bianco passò un bigliettino al custode che subito cambiò atteggiamento. L’entrata doveva essere monitorata e Blair capì che qualcuno - un angelo forse? - aveva interceduto per lei. Così, sorpresa da quel miracoloso aiuto, si ritrovò a sorridere riconoscente alla maschera, che però non la degnò di uno sguardo, tornando immediatamente al sicuro da dov’era venuta.
La Rosa di Schei
 le dà il benvenuto” recitò il custode cerimonioso, battendo per tre volte il bastone che aveva in mano “Le regole della casa devono essere rigidamente osservate. Uno, è vietato rivelare la propria identità dicendo il proprio nome o togliendosi la maschera in pubblico. Due, è vietato lasciare la festa prima che sia conclusa. Tre, la stanza assegnata non può essere cambiata o ceduta. Quattro, è vietato l’uso di cellulari o di dispositivi di localizzazione”.
Detto questo il custode consegnò a Blair una piccola chiave con il numero 107: “Primo corridoio dalla sala principale, stanza sette” precisò “Deve anche firmare il libro-presenze con uno pseudonimo e, una volta superato questo tendaggio, deve seguire la maschera in bianco” concluse l’uomo facendole segno con la mano.
Blair sorrise furba e piena di entusiasmo, pensò che forse da quella festa avrebbe tratto beneficio: le serviva proprio entrare in contatto con i grandi del vecchio continente, magari in quelle sale si trovavano persone che valeva la pena di conoscere, qualcuno che avrebbe potuto aiutarla a ritrovare sé stessa, a risollevare quella Blair Waldorf che sembrava sepolta da un divorzio, dalla mancanza della sua migliore amica e da un amore impossibile. Senza smettere di sorridere, scrisse in bella grafia il nome “Helen
 Erlich”, lo stesso che aveva usato con Chuck per imbucarsi a un Bar Mitzvah. Era, come quella notte, eccitata e impaurita dall’opportunità che si stava aprendo davanti ai suoi occhi. Poi scostò la tenda e fece un ultimo saluto a Dorota che la guardava piena di apprensione.
La sala era ancora più buia di quanto si aspettasse, negli angoli dovevano esserci tende trasparenti, sedute, piccole alcove e divani, ma tutto era così misterioso e intimo che la vista faceva fatica a scovarne i contorni. La maschera bianca aveva preso a farle strada senza neppure voltarsi. Blair la seguì ubbidiente, camminando a passo svelto, senza però perdere di vista la meraviglia dei molti invitati, con costumi elaboratissimi, che le passavano a fianco, bevendo e chiacchierando, in lingue che le sembravano sconosciute. Imboccato un corridoio particolarmente oscuro, Blair cominciò però ad avere il sospetto che quella maschera bianca non la stesse accompagnando a visitare le sale, ma che la stesse conducendo in un luogo privato. Non si permise però di avere troppa paura, anche se sentiva le mani sudare e la gola seccarsi. La maschera si fermò davanti alla porta 513, la aprì ed entrò. Blair notò all’instante che quella camera era illuminata a giorno, di una luce così forte e chiara, da fare invidia a un laboratorio di ricerche eugenetiche. Entrando e osservando bene, riconobbe le forme di una persona che doveva aver amato, perché la sua mente identificava perfettamente quella fisionomia.
Fu in quel momento che Louis si scoprì il viso, mostrando la sua identità. Appoggiò la maschera sul tavolino dicendo: “Ho fatto di tutto per impedire che ti venisse recapitato l’invito, ma purtroppo era troppo tardi”.
Blair lo fissò esterrefatta: quella voce, che aveva sentito sussurrarle all’orecchio tante parole al miele, quante alle erbe amare, si imponeva come uno schiaffo sonoro alle sue orecchie, mentre la musica della festa si udiva attutita. Non pensò neanche a togliersi la maschera, rimase impietrita in attesa che lui aggiungesse qualcos’altro.
“Perché sei qui?” le chiese dopo qualche secondo, come se fosse una domanda ovvia.
Blair ci pensò su, in evidente disagio, torturandosi le mani e abbassando lo sguardo obliquamente al pavimento nero. Realizzò che non si sarebbe mai trovata in quella situazione, se avesse soppesato bene la scelta di rispondere a un invito riferito a una persona esistita davvero solo per un paio d’ore. Una principessa che era nata e morta con un abito da sposa.
“Ho sbagliato a venire” convenne poi con un filo di voce.
Louis strinse le labbra in un’espressione grave: “Non hai idea del guaio in cui ti sei cacciata” deliberò deciso, con una fermezza che Blair non avrebbe mai immaginato “Bisogna essere preparati a tutto questo. E lo sarestistata…” continuò con languore e nostalgia “Saresti stata perfetta”.
Blair deglutì, mentre l’aria si faceva sempre più ammorbante. Aveva il desiderio di abbandonare quella stanza che le sembrava un loculo di luce soffocante.
“Puoi sempre farmi uscire” propose poi, sempre più agitata “Sono sicura che puoi farlo”.
“Purtroppo non ho un potere così grande. Prima termina la festa e poi gli invitati abbandonano la casa” recitò con lo stesso tono del custode all’ingresso.
“Allora posso tornare nella
 sala…” provò Blair ingenua, facendo un timoroso passo indietro.
Sì…” le concesse Louis possibilista “Ti lascerò andare certo, ma visto che sei qui, c’è una cosa che credo tu debba sapere… Non pensavo che ti avrei più rivista” aggiunse poi con un filo di voce, pericolosamente suadente: “Non ho dimenticato quell’estate in cui volevi farlo a ogni ora del giorno e della notte”.
Blair si scostò malamente dalla carezza, probabilmente innocente, che Louis voleva farle sul viso. Era stato sì il principe dei suoi sogni e, per quanto continuasse a essere bello e si ricordasse le loro notti insieme, non le piaceva più. La mascella squadrata, gli occhi color giada, le labbra disegnate, l’attaccatura ondulata dei capelli: non c’era dettaglio che non trasudasse regalità; anche così vestito da angelo. Studiando attentamente la fattura candida del costume, realizzò che Louis le trasmetteva una brutta sensazione e che doveva celare malignità e vendetta. Sembrava uno strano spirito, capace di tenere segregata nella torre la principessa anche per cento anni, senza sentirne il minimo rimorso.
Chuck è qui” rivelò Louis asciutto, notando la glacialità di Blair “Dovresti cercarlo e unirti a lui. Il tuo invito non è proprio regolare, non conosci nessuno… o forse conosci molte più persone di quelle che credi, comunque, non è sicuro per te stare da sola, saresti troppo disorientata e provocheresti squilibrio” la mise in guardia.
Blair annuì come una bambina cui viene detto precisamente ciò che deve fare, sentendosi nervosa all’idea che anche
 Chuck era presente a quel party. Non sapeva come l’avrebbe avvicinato e, per un breve instante, le passò per la mente di chiedere invece a Louis di essere il suo accompagnatore. Lo scrutò ancora per qualche attimo, riconoscendo in lui quel vigore e prestigio che sarebbero stati sufficienti per farla apparire inserita in quell’enigmatico contesto, che cominciava a terrorizzarla sempre più. La Rosa di Schei non sembrava una società segreta tanto diversa da quella che infestavaVardin House, popolata da signori d’affari e bulgare in lingerie, in cui lei e Chuckavevano scoperto un Bart vivo e vegeto. Questa volta però tutto era amplificato dal turbinio di maschere e di pesanti costumi, tutti diversi, ma drammaticamente uguali ai suoi occhi innocenti.
Così Blair, convinta che non ci fosse altro da dire, fece per uscire dalla camera, ma Louis la trattenne ancora sfiorandole il braccio: “Quando
 Chuck ha pagato la dote, ha chiesto che gli dicessi la verità. Tutta la verità. E non mi sono potuto sottrarre, glielo dovevo”.
Blair inorridita da un segreto di cui cominciava solo in quel momento a palpare l’esistenza, chiese subito: “Quale verità? Non so di cosa tu stia parlando”.
“Pochi giorni prima del matrimonio ci siamo sottoposti entrambi a delle analisi, te ne ricordi, vero?”
Blair annuì in attesa.
“Il giorno del nostro matrimonio
 maman ebbe i tuoi risultati per prima e, mentre facevi le cinéma” inclinò la voce il principe, riferendosi alle sue fughe “… c’erano ben altri impedimenti alla nostra unione felice”.
Blair rimase a bocca aperta, non riuscendo ancora a capire completamente: “Quali impedimenti?” chiese deglutendo piena di impazienza.
Louis respirò, increspando le labbra in un’espressione fin troppo seria: “Le possibilità che tu possa rimanere incinta ancora, dopo il grave incidente, sono inferiori al 10%. Mi
 dispiace…” aggiunse “… ma il trono di Monaco ha bisogno di un futuro e tu non puoi assicurarlo. Il matrimonio non ha nulla a che fare con l’amore, ma con i figli invece… infinitamente sì!”.
Blair si portò la mano sulla pancia, come se avesse sentito un dolore acuto sfondarle il grembo. Sentiva che il senso di quelle parole non le era nuovo. Anche
 Chuck le aveva detto di aver bisogno di un futuro e che lei non poteva farne parte, perché non era abbastanza. Si mosse sui vertiginosi tacchi con insicurezza, sentendo il pavimento sotto i piedi oscillare, come quello della gondola su cui era salita quel pomeriggio. Tutta la villa sembrava dondolare, come in balìa di una marea scura e la porta a cui era appoggiata non le dava il giusto sostegno. Le sembrava anche di sentire la puzza di quelle acque stantie e piene di alghe scivolose che circondavano la tenuta e che irrigavano ogni strada di quella città. Non riusciva a credere però che la freddezza di Chuck, di quegli ultimi malinconici mesi, avesse a che fare con il segreto che le aveva taciuto. Si sentiva come quella volta che l’aveva paragonata a uno dei cavalli arabi che piacevano così tanto a suo padre, buoni da far correre una volta soltanto. Si ricordò anche del sorriso beato di Louis alla notizia della sua gravidanza e di quanto l’avesse sorpresa una reazione così positiva. Realizzò di non aver capito nulla del suo matrimonio reale, fino a quel momento. Per il principe era una “fattrice”, una di quelle cavalle che servono alla riproduzione dei purosangue.
La voce francese del principe continuò a farsi sentire: “
Chuck voleva sapere perché, dopo aver così tanto lottato per te, dopo aver accettato tutto, qualsiasi tradimento da parte tua, ero stato invece molto svelto nel lasciartiandare…
“Dovresti farlo anche ora” sussurrò Blair interrompendolo e rifiutando il sostegno che lui sembrava volerle offrire, stando appena incurvato verso di lei, come se si aspettasse di vederla cadere a terra da un momento all’altro.
“Vai” concesse lui sbrigativo, chiudendo gli occhi e rubandole un bacio sulla fronte.

Venezia // I love
 you, I love every part of you
L’affare degli
 Walton si rivelò per Chuck una vera e propria delusione. Non che si aspettasse un incontro facile con quel rampollo che, nei modi, gli somigliava in maniera irreale; ma di certo non credeva che Bart fosse stato a letto con la signora Walton dieci anni prima, rendendo a dir poco impossibile qualsiasi accordo, visto che il figlio ne conservava un ricordo vivido e scioccante. Così si era trovato a vagabondare per quegli scuri saloni, sfiorando maschere di ogni colore e sorta. Il forte profumo d’incenso, le luci opache e le mosse sinuose delle ballerine discinte, rendevano quell’ambiente così disdicevole e illecito, da far impallidire i suoi ricordi delle feste in Lituania. Rigirandosi tra le dita la chiave della stanza che gli era stata assegnata, la 607, meditò se trovarsi una compagnia compiacente o se, com’era ormai d’abitudine fare da quando era solo, posizionarsi supino a letto attendendo di prendere sonno.
I suoi occhi vispi cercarono predatori tra i gruppi di maschere, indecisi sul da farsi, finché non ne scovarono una di piume color cipria. Quella donna era perfetta, anche se avvolta dalle luci fioche, si mostrava con un busto esile, le spalle strette e i fiacchi più rotondi, la curva del fondoschiena assolutamente indecente, proprio come la sognava. E poi brillava, brillava molto, il magnetismo verso quella figura, che lo fissava immobile, era incontrollabile. Avvicinandosi sempre di più, la vide togliersi la maschera dal viso e lasciarla scivolare sull’organza del vestito che, vaporoso, arrivava a terra arricciandosi, in un turbine di preziosi strass. Quel gesto, che contravveniva al regolamento della festa, lo spaventò, ma non gli impedì di agire risoluto. Riconoscendo la
 sua Blair, con un gesto freddo, si tolse il fazzoletto nero a fiori viola dal taschino e glielo posizionò sul viso, senza curarsi di farla respirare. La prese con forza, tenendo ben schiacciata la stoffa sulla fronte e la condusse nella stanza 607. Una volta all’interno, la apostrofò con un sibilo tagliente: “Che cosa credevi di fare?!”.
Blair aprì la bocca per ribattere che le era venuto naturale
 svelarsi per attirare la sua attenzione e che, in quel momento, non desiderava altro che essere vista; ma poi si morse il labbro e non disse nulla.
I secondi passavano e nessuno dei due aveva il coraggio di parlare. Poi Blair chiese: “Hai avuto notizie di Serena?”.
Chuck la guardò smarrito, come se avesse dovuto tradurre quelle parole in un’altra lingua. Unì le mani in segno di preghiera e disse: “Ora sta bene, Nate l’ha trovata qualche settimana fa e l’ha portata negli Hamptons”.
Blair si sentì rincuorata da quelle parole e non ebbe il bisogno di sapere altro: Serena era insieme a Nate. Una parte delle preoccupazioni, che appesantivano il suo cuore, si sciolse, provocandole istantaneo sollievo. Desiderava così tanto rivederla che si ripromise di andare negli Hamptons, appena quell’incubo veneziano si fosse concluso. Poi si accorse di avere in mano ancora il fazzoletto che
 Chuck le aveva premuto contro il viso per nascondere la sua identità: lo ripiegò e si avvicinò per inserirlo al suo posto, nel taschino della giacca bordata di seta. Lui la osservò dall’alto, trattenendo il respiro, cercando di non annusare troppo il suo profumo, poi finalmente la sentì dire: “Louis me lo ha detto”.
Chuck le afferrò subito le dita, che ancora indugiavano nei pressi del suo occhiello, perché il fazzoletto fosse impeccabile. Gliele strinse forte, sentendone tutta la debolezza, solo per qualche attimo, perché lei si divincolò, protestando: “Perché me lo hai nascosto? Non pensi che avrei avuto tutto il diritto di sapere?”.
Detto questo Blair si allontanò di qualche passo, senza voltarsi. Sul viso un’ombra scura le induriva i lineamenti, mentre gli angoli della bocca si inarcavano lievemente verso il basso.
 Chuck, in un’altra situazione, avrebbe trovato quel broncio invitante, pronto a essere baciato, ma era arrabbiato quasi quanto lei per l’intrusione di Louis nella faccenda. In più non poteva fare a meno di essere geloso: era pur sempre il suo primo marito e chissà quale ascendente poteva ancora avere su di lei, chissà cosa potevano aver fatto essendo soli.
“E così è per
 questo…?” stava continuando Blair con voce rotta “…non posso far parte del tuo futuro perché non ho un futuro?” aggiunse parlando sempre più veloce “Perché sono un 10% e non posso darti un futuro?” incalzò poi, in modo che quelle domande suonassero accusatorie.
La voce di Blair rimase sospesa nell’aria della stanza. Era pentita, non avrebbe mai voluto aggredirlo e vedendolo girare il viso e chiudere gli occhi nauseato, capì di essere riuscita a rovinare tutto. Quella percentuale non era la cifra del suo valore, lo sapeva anche lei, ma la conversazione ormai aveva preso una piega così brutta, da non poter essere più salvata. Un escalation di ira ingiustificata, sorda e impulsiva.
Chuck si portò una mano alla fronte come se fosse stato colpito da un forte mal di testa: per una triste coincidenza il 10% era la stessa percentuale rimastagli delle Bass Ind. e non riusciva a credere che Blair pensasse quelle cose di lui, così glielo disse, il più duramente possibile, perché non poteva farne a meno. Quella discussione gli incendiava il petto: “Davvero pensi che sia per questo? Mi credi così meschino? Credi davvero che per me sei quel 10%? Mi offendi!” concluse amaramente senza smettere di fissarla allibito.
“Offende te?” s’indignò Blair, prima di mordersi le labbra desiderando di ritirare nell’immediato quella frase. Si accorse che più quella conversazione andava avanti e più avrebbe mostrato il peggio di sé. L’unica cosa che desiderava era sentire dalla bocca di
 Chuck che, nonostante tutto, l’Harry Winston era ancora conservato nella cassaforte e che sarebbe stato al suo dito appena tornati a New York. Sapeva anche però che Chuck non avrebbe detto nulla di simile, non dopo che lei gli aveva gridato contro solo perché era frustrata. Avrebbe voluto essere capace di pregarlo di nuovo di amarla, come aveva già fatto tante volte, ma non ci riusciva. Così alzò le mani in segno di resa, poi afferrò un lembo del vestito in modo che lo strascico non le impedisse di muovere i piedi e si diresse risoluta verso la porta della camera, pensandosi già negli Hampton, a supplicare Serena di essergli ancora amica, forse almeno con lei non avrebbe sbagliato tutto.
Chuck rimase per qualche secondo inerme, fissando quella la schiena scoperta che si allontanava. Non poteva succedere di nuovo, aveva tante volte visto quelle amate spalle voltate, lontane, già chissà dove, distanti da lui. Odiava i momenti in cui Blair andava via. Si maledì, prima di cedere al desiderio di fermarla.
La attirò a sé, senza girarla, appoggiandole la fronte sulla nuca. La sentì chiudere gli occhi, anche se non poteva vederla, mentre un respiro profondo le animava il corpo, come un brivido che scorre sulla pelle. Accarezzandole il braccio e la vita, cominciò a baciarle il collo, fino ad arrivare a sussurrarle all’orecchio: “Non ho mai pensato che non avresti fatto parte del mio futuro”. Poi, annusandole i boccoli scuri e affondandoci le dita dentro, pensò di correggere quella frase piena di negazioni, così prese fiato e continuò: “Blair, l’unica che vedo nel mio futuro sei tu, nessun’
altra… ”.
Non sentendo alcuna risposta, fece scivolare le mani dalle spalle al petto, scendendo in profondità finché le dita le sfiorarono il seno e il palmo della mano poté sentire un cuore palpitante, che avrebbe voluto toccare, per farla sua. Per sentirla sua.
Fu in quel momento che
 Chuck si accorse di quanto il corpo di Blair si fosse abbandonato al suo abbraccio: gli pareva di tenerla tra le dita come un fiore reciso, così vellutata e assopita, come se si fosse addormentata appoggiata a lui. Buttando un occhio allo specchio, che troneggiava in tutta la sua grandezza appeso alla parete di quella cupa stanza, si sentì provocato e impaziente di averla. Ricominciò a baciarla, armeggiando con il corpetto del costume perché si allentasse, senza smettere di guardarla riflessa. Il seno di Blair, dalla forma piena e dal morbido lucore, si lasciava modellare sotto le sue mani. Poi la sentì emettere un gemito e cercò subito i complici occhi castani per poter continuare ad amarla, anche se ormai le spalline del vestito erano cadute e non aveva più bisogno di alcun incoraggiamento.
Blair non smise di fingersi morta, finché le carezze si fecero troppo insistenti e si ritrovò, suo malgrado, con gli occhi sbarrati e le mani indelicate di
 Chuck che coglievano la sua intimità, senza alcun pudore o disagio.
“Chuck…” lo chiamò come se fosse lontano, invece che appeso al suo orecchio e prossimo a farla sua: “Non avrei mai dovuto sposare Louis, sono stata cieca”.
Lui la voltò, facendosela rigirare tra le mani come un vaso di creta, e la spinse contro la porta della camera. Un leggero tonfo prima di sollevarle il mento per contraddirla: “… direi piuttosto che volevi vedere troppo” scherzò, cercando di trattenere un sorrisetto compiaciuto.
“Io amo il
 buio…” sussurrò Blair, spostando la conversazione su un piano completamente metaforico, inebriata dal corpo virile che la schiacciava contro la dura soglia della stanza. Inarcò la schiena, facendosi accarezzare di nuovo, perché lui continuasse da dove avevano lasciato.
“Allora chiudi gli occhi” le ordinò
 Chuck.

Nella notte che mi hai dato per dimora,
vedrai che avrò saputo far sorgere la luce,
chiudendo gli occhi.

Bousquet







Note dell’autrice:
- Il titolo
 Eyes Wild Shut è ispirato al film di Kubrick, del 1999, Eyes Wide Shut ("occhi aperti chiusi").
- “La Rosa di Schei” è un nome che ho inventato per la società segreta organizzatrice dell’evento. In dialetto veneto la parola “schei” significa “soldi”.
- Ho giocato con i numeri delle stanze, quella di Blair è la 107, in ricordo dell’ep. 7 della prima stagione
 Victor, Victrola, mentre quella di Louis è la 513, quindi richiama all’ep. del matrimonio Blouis (The G.G.). Quella di Chuck, dove nella mia fic è ambientata la reunion, è la 607 in omaggio all’ep. 7 della sesta stagione (che mi auguro ci regalerà momenti Chair, come ogni episodio 7 che si rispetti).

 

  
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