Capitolo 26
The ball
Spalancò gli occhi e prese un lungo respiro prima di
puntellarsi sui gomiti e sbattere le palpebre. Si guardò intorno. Era nella
camera matrimoniale dei suoi nonni, sul loro letto dalle pesanti coperte
candide, sopra di esse. V’era un lieve vento che soffiava dalla finestra di
poco schiusa e percepiva il respiro calmo e rilassato del suo fratellino sul
braccio. Si portò una mano alla tempia, poi scosse il capo più e più volte.
Quei ricordi la stavano affliggendo, così come il mal di testa crescente. V’era
qualcosa di sovrannaturale in quello che le stava accadendo. Quelli non erano
semplicemente dei sogni, o dei ricordi, poiché era in grado di percepire che
qualcuno le stava controllando la mente con il proposito di farle rimembrare
quegli eventi passati. Sbuffò, poi si issò in piedi. Lanciò una breve occhiata
a Jeremy, come rassicurazione, e lo vide beatamente addormentato, le labbra
schiuse e l’espressione da bambino. Le fece cotanta tenerezza da farle nascere
un sorriso spontaneo che occupò anche lo sguardo azzurrino. Si diresse in
bagno, la prima porta a sinistra del comò di mogano, e vi entrò per poi
chiudersi la porta alle spalle. Si lavò il volto con l’acqua gelida più volte,
sino a quando non sentì il dolore passare, poi uscì e scese le scale che conducevano
alla cucina. Aprì la credenza e non vi trovò quasi nulla, solamente una scatola
di bustine di tè, una di biscotti al burro e una di caffè. Si passò una mano
tra i capelli sciolti e sospirò leggermente. Elena vi aveva portato il minimo
indispensabile per la colazione quando era stata lì l’ultima volta. Osservò la
sala da pranzo e notò che v’era un po’ di polvere sui ripiani della libreria,
poi prese un recipiente e lo riempì d’acqua. Suo fratello avrebbe dovuto
accontentarsi del tè quella mattina. Fu pronto in pochi minuti e, ancora
fumante, lo sorseggiò calma, sedendosi sulla panca del tavolo. Stava accadendo
qualcosa di strano, di surreale e lei v’era dentro fino al collo. Gli occhi
quasi le si chiudevano per la spossatezza prima di sentire alcuni passi
cadenzati scendere le scale. Alzò il capo dalla tazza di ceramica bianca solo
per vedere il bel volto di suo fratello, stanco come il proprio, capitolare
nella cucina. Le sorrise dolcemente prima di sbadigliare e abbandonarsi sulla
sedia di fronte alla sua.
« Ehi Cole, giorno,» le augurò dopo, gli occhi ancora chiusi
prima prendere un paio di biscotti e intingerli nel tè.
« Jer,» lo salutò delicata. Per un po’ rimasero in silenzio,
Jeremy ancora nel dormiveglia e Nicole assorta nei propri pensieri. Era
assurdo, ma pensava di essere osservata, da vicino.
« Perché non abbiamo dormito a casa?» le domandò riportandola
bruscamente alla realtà. Era oramai destato del tutto e terminò di sorseggiare
il suo tè. Sul fondo del bicchiere rimasero alcuni granuli di biscotti che
prese con il cucchiaio per poi issarsi in piedi e posare le due tazze nel
lavabo, « Successo qualcosa?» continuò quando non la sentì rispondere. Nicole
annuì, sebbene non potesse vederla poiché le dava le spalle, e sospirò
lievemente.
« Rick è stato portato in ospedale,» mormorò incredula di
non essersi ancora informata sulle sorti dell’uomo. Si rassicurò solamente
quando pensò che Elena le avrebbe telefonato se gli fosse accaduto qualcosa.
Suo fratello lasciò cadere le tazze che si infransero contro il metallo
producendo un rumore fragoroso poi si voltò di scatto verso di lei, gli occhi
sgranati e il respiro corto.
« Rick cosa? » quasi urlò preoccupato. Nicole si alzò e gli
prese le mani tra le proprie per farlo calmare.
« Non urlare, fratellino. Sveglierai i vicini,» sussurrò,
guardandosi intorno e sperando che i Kennedy non si fossero accorti di quel
grido intimorito, « Non so cosa gli sia accaduto. Elena mi ha solo avvisato di
non tornare a casa per la notte,» gli comunicò leggermente, prima di
carezzargli la guancia. Sotto quel tocco, Jeremy sembrò calmarsi e annuì,
sorridendo debolmente e socchiudendo gli occhi. Poi lo abbracciò stretto e posò
il capo sulla sua spalla, inspirando il suo lieve profumo, sentendosi a casa.
Si sentì cingere dalle oramai muscolose braccia di suo fratello prima che un
suono destasse entrambi. Era quello del campanello. Si scostò, a malincuore, da
lui e si affrettò a raggiungere l’entrata. Aprì l’imponente portone di quercia
e il suo sguardo fu subito attirato dalla splendida creatura che aveva dinanzi
a sé. Le sorrise accattivante e i suoi occhi la incantarono per la passione che
vi lesse. Uscì del tutto e si ritrovò subito tra le sue braccia, le spalle che
sfioravano il muro dietro di lei e il corpo di Klaus premuto sul proprio.
Arrossì, inconsapevolmente mentre il suo sorriso si distendeva maggiormente.
Poggiò le labbra sul suo collo in un bacio che la fece fremere poi ritornò ai
suoi occhi.
« Buon giorno, dolcezza,» le augurò criptico, sollevandola
impercettibilmente per farla essere alla sua altezza.
« Klaus, che ci fai qui? » gli domandò in un filo di voce
per quella commistione di emozioni che le stavano squassando il petto.
Respirava a fatica, troppo velocemente, e a Klaus non sfuggì. Sembrava quasi
compiaciuto di quella reazione e rise lievemente, roco e sensuale. Avvampò del
tutto e percepì il respiro di Klaus sulle sue labbra.
« Non ti piace che ti venga a trovare?» chiese con finto
dispiacere, ben conoscendo quale sarebbe stata la sua risposta. Tentò di
baciarlo, ma Klaus si scostò di poco, lasciando per un attimo interdetta. Posò
le labbra sull’angolo delle sue, lambendolo in un lievissimo bacio.
« Sì, sì mi piace. E molto,» aggiunse più maliziosa. Klaus
annuì e finalmente la baciò. Passionale, travolgente, bellissimo. Si ritrovò
ancora più schiacciata contro il muro mentre Klaus prendeva possesso della sua
interezza, rapendole il cuore che perdurò a battere con troppa insistenza.
Klaus le fece mancare persino il respiro e Nicole gli carezzò i corti e mossi
capelli biondi sino ad artigliarli. Si scostò di poco, vedendola tanto ansante,
e Nicole annaspò per un attimo.
« Tè con i biscotti,» mormorò divertito, per nulla turbato
da quel bacio che, invece, aveva scosso lei. Almeno esternamente. Poteva
scorgere nei suoi occhi ogni sentimento che la voce modulata non voleva
esprimere, « Ottimo connubio,» aggiunse prima di baciarla di nuovo, con più
calma, lasciandole una scia di fuoco sulla guancia prima di arrivare alle
labbra e lambirle possessivo.
« Tutto bene? » gli domandò dolcemente quando si fu
scostato. Era ancora affannata, ma voleva informarsi. Sperava che avessero
parlato, si fossero aperti gli uni nei confronti degli altri e si fossero
perdonati vicendevolmente. Klaus sorrise e le sfiorò la guancia in una dolce
carezza, poi annuì.
« A casa mia? Sì. Ieri notte abbiamo parlato, e molto. Kol
ha urlato parecchio, rotto un paio di mobili, ma alla fine si è calmato grazie
alla mia, per così dire, presenza,» sogghignò ironicamente, scostandosi per
indicare se stesso in tutta la propria magnificenza. Quel sorriso strafottente
e malizioso le fece distendere le labbra di rimando e rise lievemente.
« La tua presenza?» domandò furba prima di passare l’indice
sul suo petto fasciato da una maglietta grigia e impalpabile. La percorse tutta
sino ad arrivare alla cintura, poi si scostò, rimembrando che molti, tra cui
suo fratello, potevano vederla. Klaus le prese la mano che stava ritornando al
suo posto e la portò alle labbra, posandovisici un galante bacio.
« Qualche dubbio, mia piccola umana?» esclamò sensuale prima
di sobbalzare di poco e scostarsi da lei, guardando verso l’interno della casa.
« Nicole, chi è?» domandò suo fratello facendola arrossire.
Jeremy apparve sulla soglia e li occhi gli si assottigliarono nel notare
l’ibrido tanto vicino a sua sorella, « Klaus,» lo salutò quasi sdegnato,
certamente minaccioso e indispettito.
« Jeremy,» ribatté in un sogghigno divertito e sarcastico.
Nicole gli artigliò il braccio e guardò dall’uno all’altro per farli calmare,
non ricevendo alcun risultato.
« Terresti i tuoi artigli lontani da mia sorella, per
favore? » aggiunse in una cantilena che ebbe il potere di farla preoccupare.
Tremava e si stava trattenendo a stento dal prenderla e portarla in casa, dove
Klaus non sarebbe mai potuto entrare.
« Jer, va tutto bene,» tentò di rassicuralo, cauta e pacata.
Jeremy rise lievemente e spostò lo sguardo da Klaus a lei. Per un attimo ne
ebbe timore per l’espressione che vi scorse. Era dardeggiante, pregno di rabbia
malcelata e odio. Ma fu solo un attimo. V’era solo preoccupazione e ansietà.
« Andrà tutto bene quando rientrerai in casa, al sicuro,»
mormorò, facendole cenno di obbedirgli. Nicole tentò di scuotere il capo e
ribattere, ma Klaus le carezzò la mano che ancora era posata sul suo gomito. Si
volse e vide che le sorrideva rassicurante, facendole cenno di rientrare.
« No, va bene, Nicole,» sussurrò prima di posare le labbra
sulla sua fronte, facendo quasi ringhiare suo fratello, « Comprendo
perfettamente,» aggiunse tra sé sarcastico, ben sapendo che avrebbe fatto
altrettanto se Rebekah si fosse trovata nella sua stessa situazione. Nicole
quasi sospirò. Non voleva che suo fratello reagisse in quel modo. Amava Klaus e
voleva che loro lo accettassero, sebbene sapesse che fosse totalmente
impossibile. Klaus era il male più profondo per loro e quella verità non
sarebbe mai mutata, « Verresti a casa mia? Mia madre desidererebbe parlarti,
conoscerti meglio,» le spiegò gentilmente, sottovoce, come se non volesse che
Jeremy lo ascoltasse.
« Non se ne parla,» sibilò infatti. Nicole sbuffò prima di
sorridere a Klaus e annuire.
« Certamente, Klaus. Sarò lì tra poco,» gli assicurò prima
di vederlo scomparire in una folata di vento gelido. Jeremy si sporse e la fece
rientrare come se temesse che avesse potuto far ritorno sul pianerottolo. Non
chiuse la porta e Nicole si sentì stringere i polsi con forza. Quasi le fece
male, ma sopportò quel dolore in silenzio, mentre dentro di sé qualcosa si
incrinava.
« Ma che diavolo ti prende?» sbraitò irritato, indispettito,
gli occhi colmi d’ira e le labbra strette in una smorfia sdegnosa.
« Che diavolo prende a te?» ribatté, sciogliendo la presa e indietreggiando
verso il muro del corridoio. Lacrime amare le velarono gli occhi, ma le
ricacciò indietro massaggiandosi il polso destro, quello da cui l’aveva
afferrata per farla rientrare. La pelle era sbiancata maggiormente in quel
punto e lo vide quasi dispiaciuto prima che la collera ritornasse, furiosa e
terribile.
« Mi è passata la sbronza e sono perfettamente in me,» le
spiegò, volendo riprendere il discorso della sera prima. Non era pronta ad
affrontarlo, ma non si sarebbe potuta sottrarre a quell’ennesima prova. Si
domandò quando sarebbe finito tutto quell’inferno, quando finalmente non vi
sarebbe stato più rancore e risentimento, quando sarebbero ritornati ad essere
una famiglia e non riuscì a trovare una risposta, « Credi che Klaus ti ami? »
domandò malevolo facendo un passo verso di lei, quasi inchiodandola al muro.
Quella domanda la ferì. Era certa che Klaus fosse innamorato di lei. Nessuno
avrebbe mai saputo dissimulare con tanta facilità e non sopportava che suo
fratello minimizzasse quel sentimento che li univa, « È un vampiro, un
Originale,» aggiunse come se fosse stata un’infamia deplorevole e disgustosa, «
Loro non possono amare,» affermò. Sobbalzò e per poco non gli diede uno
schiaffo. Quello non avrebbe dovuto dirlo, non davanti a lei.
« Jeremy, sei impazzito? » esclamò incredula e indignata.
Lui si era innamorato di due vampire, forse di tre, ma era un Gilbert e i
Gilbert erano i più rinomati cacciatori di vampiri della città. Quella verità
era radicata da secoli, le sue radici affondavano nell’Ottocento e nessuno mai
sarebbe stato in grado di sradicarle e impedire a quel seme pregno di odio di
proliferare nelle successive generazioni, « È una cattiveria quella che hai
detto e lo sai bene.» Jeremy ghignò prima di sbuffare e scuotere il capo, «
Ricordi Anna? Anche lei non ti amava? » aggiunse più cattiva, perfida,
facendolo sobbalzare. Se era la cattiveria quella che voleva, l’avrebbe
accontentato, seppur non ne sarebbe andata fiera nei minuti successivi.
« Era diverso. Lei non era un mostro,» sbottò facendole
assottigliare lo sguardo reso plumbeo dalla collera. Nemmeno Klaus era un
mostro, per non parlare di Elijah o di Rebekah. E neanche Mikael. Sapeva che le
sue antenate non le avrebbero più parlato per molto tempo, ma era vero. Loro
non erano dei mostri. Potevano percepire tutto, ogni emozione era amplificata,
più vivida e potente. Sospirò e tentò di ritrovare la calma.
« Senti, Jer, io so che sei arrabbiato per tutto quello che
sta accadendo in questa città, ma io mi sono innamorata di lui,» gli confessò
dolcemente, cercando di farlo ragionare. Jeremy sobbalzò e Nicole distese le
mani per stringere le sue, ma suo fratello indietreggiò come se avesse dinanzi
la peggiore delle sirene. Scosse il capo con foga e Nicole sorrise dalla
tenerezza. Sembrava un bambino in quel momento e in fondo sapeva che voleva
solamente proteggerla e non schernirla, « Sì, Jer, lo amo,» affermò quasi
esasperata da quel comportamento. Non era così complicato da comprendere,
almeno non per lei che si era premurata di conoscere Klaus, di scorgere la luce
nelle sue tenebre.
«Ti avrà ammaliata di sicuro,» esclamò ostinato,
avvicinandosi e posandole le mani aperte sulle sue guance, guardandola con
tenerezza. Come se dinanzi a sé avesse una bambina o un’ingenua. Quello la
irritò, ma non lo diede a vedere. Le carezzò il viso e un sorriso impietosito e
benevolo gli distese le labbra esangui, « Questa non è mia sorella,» sussurrò
tra sé più determinato. Non ci vide più. Indietreggiò e si liberò di quella
sciocca carezza. Non valeva a nulla se non pensava davvero a volerle bene, ma a
compatirla.
« Non si può ammaliare una strega, Jeremy,» sbottò irritata, « Il mio amore è reale e anche il
suo,» esclamò esasperata. Jeremy scosse il capo con più foga per l’ultima volta
prima che sul suo volto apparisse una smorfia preoccupata e, allo stesso tempo,
minacciosa.
« E non ti importa che abbia ucciso la zia Jenna? O che
abbia sacrificato Elena? O quanto male abbia arrecato a Mystic Falls?» le
domandò velocemente, pugnalandola direttamente al cuore. Era ovvio che le
importasse, tanto ovvio da sembrare oscuro ai suoi fratelli. Ogni sua parola
era un paletto che le squarciava il petto, che arrivava sempre più vicino al
cuore sino a sfregare il legno resinoso su quel muscolo che le dava vita, «
Cosa credi che penserebbe lo zio John se ti vedesse adesso?» continuò
sottovoce, come se non volesse infierire, ma era necessario. Perché lei doveva
comprendere quanto assurdo fosse amare Klaus. Non pianse né i suoi occhi si
velarono di lacrime. Suo padre avrebbe voluto che fosse felice. E lei era
felice al fianco di Klaus, « Lui è morto per impedire che Elena diventasse un
vampiro e voi non fate altro che fidarvi di vampiri,» esclamò incredulo,
prendendola per i polsi e stringendoli in una morsa che di affettuoso non aveva
nulla. La stava ferendo davvero, gettando sale sugli squarci della sua anima,
aggiungendo al dolore del cuore quello fisico.
« Jeremy, mi stai facendo male,» affermò quando l’afflizione
divenne quasi insopportabile. Doveva calmarlo. Suo fratello non era così e in
quel momento non era lui. Non era Jeremy. Era solamente un Gilbert proprio come
suo padre nei suoi giorni peggiori. Quando l’unico obbiettivo era uccidere i
vampiri, senza alcuna pietà. Non sembrò ascoltarla e continuò imperituro nel
proprio compito.
« Smettetela di fidarvi dei vampiri,» ordinò perentorio,
quasi inchiodandola al muro. Gli occhi gli si erano sgranati per l’incredulità
e la collera mentre il respiro era divenuto più corto e instabile, il corpo
proteso verso di lei, la presa quasi del tutto sciolta, « Non hanno un cuore, non
provano nulla. Niente li tocca, pensano solo ai propri interessi. E Klaus è il
peggiore di tutti quanti,» tentò di farle capire a un soffio dal suo volto.
Percepì dei passi sul pianerottolo e Jeremy si scostò di poco, riprendendo il
controllo di se stesso. L’aveva spaventata, davvero, e il suo sguardo corse
all’anello che portava all’indice. Rimembrava alla perfezione la storia di
Samantha Gilbert, quella nipote di Jonathan che, per pazzia, aveva tentato di
lobotomizzarsi il capo ed era morta dissanguata nella sua camera. Era stato
quell’anello a farla divenire pazza. Era contro natura ritornare in vita,
andava contro tutte leggi del mondo, e contro il codice soprattutto.
« Che succede qui?» li riprese la voce di Elena, intimorita,
facendo sobbalzare entrambi. Nicole prese il cellulare dalla consolle, dove lo
aveva abbandonato la notte prima, e lo mise in tasca, prima di volgersi verso
sua sorella e l’uscita. Voleva andar via. Via da Jeremy e tutto quel rancore
che si era insediato nel suo animo troppo giovane per provarlo. Via da Elena e
i suoi occhi pregni di senso di colpa e preoccupazione. Via da quella casa che
aveva il potere di farle ritornare alla mente mille ricordi di lei e sua nonna,
la sua guida, ancora insieme.
« Occupatene tu. Io vado,» esclamò indispettita prima di
fare un passo verso di lei. Jeremy si frappose ed Elena entrò completamente in
casa, osservandolo con un cipiglio pensieroso e incerto.
« Oh io non credo. Tu non vai proprio da nessuna parte,»
soffiò irato, prima stringerle nuovamente il polso.
« Jeremy, che ti prende per l’amor del cielo?» gli domandò
sua sorella, posando la mano sul suo braccio per farlo calmare. Nicole approfittò
di quell’attimo e sciolse la presa, raggiungendo l’uscita con una sola falcata.
« Nicole?» la richiamò Elena incredula che stesse davvero andando via senza dir
nulla.
« Ci vediamo, Lena,» mormorò ancora scossa da quello che era
accaduto. Voleva solamente percepire le braccia del suo Klaus cingerla con
dolcezza e farle dimenticare tutto il resto, tutto ciò che non apparteneva a
loro. Non si voltò, ma attese, pregando che quel momento fosse oramai passato.
« Non vi permetterò di rovinarvi la vita a causa dei
vampiri,» affermò risoluto, senza collera o irritazione, solo determinato nel
suo compito, « Lo zio John è morto
per salvarvi,» ricordò imprimendo un pugnale nella sua schiena. Il suo corpo
cominciò a sanguinare per le ferite dell’anima, ma non si voltò, rimanendo
ancora al bel paesaggio che le offriva la natura. Era una mattina calda e
assolata, più primaverile che autunnale, completamente diversa dalla notte
gelida presente nel suo cuore, « Cosa direbbe delle sue figlie?» domandò
esasperato. Percepì un lieve rumore e si voltò di poco, per vedere Elena
muoversi a disagio cercando il suo sguardo rassicurante. E Nicole non voleva
sottrarsi a quel compito. Doveva supportarla perché quello non era il vero
Jeremy. Aveva così paura per lui. Avrebbe dovuto aiutarlo. La sua aura stava
divenendo nera come la pece e tutta quella collera non gli apparteneva. Era
causata da quell’anello e avrebbe dovuto distruggerlo, « Volete comprendere che
è il soprannaturale nelle vostre vite a farvi soffrire? Se tu non avessi
praticato la magia, non ti avrebbero fatto del male, Nicole,» sussurrò
prendendole le mani. Stava piangendo e lei non riusciva nemmeno a respirare in
quel momento perché tutto quel dolore la stava affliggendo in un martirio
infinito. Elena chinò il capo, non riuscendo a sopportare quella discussione. Non
poteva pensarla ferita da quelle persone che le avevano viste crescere. Era
insopportabile, « Perché hai aiutato un vampiro? Saresti dovuta tornare a casa
e rimanerci,» esclamò. Nicole schiuse le labbra. Non sapevano tutta la storia.
Abbassò lo sguardo per un istante lasciando che una lacrima le rigasse la
guancia pallida e sentì la presa di Jeremy farsi più forte, ma protettiva e
affettuosa. Era tornato in sé.
« Perché era mia madre. Isobel,» confessò loro, avanzando
per cercare tra le braccia del suo fratellino il conforto di cui necessitava in
quel momento e Jeremy non le negò nulla. Alzò lo sguardo puntandolo in quello
scuro di Elena che era appena sobbalzata. La giovane si strinse nelle spalle
per proteggersi e sul suo visto ovale apparve una smorfia sofferente, « Era
nostra madre e io…,» si interruppe sentendo il cuore in gola. Aveva ordinato a
sua madre di non farsi più vedere nella sua vita la seconda volta in cui
l’aveva incontrata. Perché Isobel era malvagia, era solamente una vampira
boriosa a cui non importava nulla della
vita umana, né di lei ed Elena. Perché Isobel aveva affermato, asetticamente,
senza alcuna inclinazione nella voce che tanto le accomunava, che suo padre era
soltanto un mezzo, un inutile adolescente sciocco come tanti altri che si erano
innamorati di lei. Lo teneva con sé solo perché sapeva dei vampiri. Perché
Isobel non aveva fatto altro che abbandonarle per tutta una vita. Ma a quel
tempo non la conosceva, se non di nome e per quelle poche informazioni che le
aveva offerto John con quello sguardo che solo un innamorato poteva possedere,
« Io non volevo perderla un’altra volta. Io volevo solo conoscerla,» aggiunse
ritornando a essere la ragazza spaventata di quella notte. Si era fidata di
Isobel, si era concessa anche di crederle e i bere il suo sangue rigenerativo e
aveva scorto una scintilla in quella che era la sua madre naturale. Una
scintilla di affetto e di amore. Ma era stato solo un baluginio scomparso nelle
tenebre della sua immortale freddezza, « Non avresti voluto anche tu, Elena?»
domandò con un filo di voce, speranzosa che sua sorella comprendesse quel
desiderio. Elena la osservò, per alcuni secondi, con gli occhi scuri e indecifrabili
prima di scuotere il capo sentenziosa. Era una bugia, Nicole lo sapeva bene.
« No. Mia madre e mio padre sono morti due anni fa. Erano
quelli i miei genitori,» esclamò perentoria, facendola sorridere con scherno.
Jeremy l’aveva lasciata andare e osservava dall’una all’altra senza sapere cosa
dire. Non voleva che litigassero ancora, non dopo tutto quello che era
accaduto, ma Nicole non aveva alcuna intenzione.
« Perché tu pensi sia sbagliato. Tu pensi che accettare John
e Isobel sarebbe come un’infamia verso mamma e papà. Ma non è così,» affermò
tentando di farla ragionare. Per lei era stato così normale convivere con
quella situazione. Ci scherzava alle volte con suo padre. Diceva che era bello
avere non due genitori, bensì quattro. E John non sapeva mai se pronunciasse
quelle parole con felicità o con amarezza, ma non l’interrogava mai, capendo
che non era pronta. Sua sorella scosse il capo. Per lei sarebbe stato un errore
colossale cedere a quella realtà, una mancanza nei confronti di Grayson e
Miranda, « Elena non mentire, non a me,» aggiunse con dolcezza, rimanendo
ancora al suo posto. Sarebbe voluta andar via per non guardare più quelle isole
sempiternamente pacifiche velate dalla mestizia, « Qui non tratta di Klaus, o
di Stefan, o di Damon. Qui si tratta di noi. E fino a quando non riusciremo a
essere sinceri tra di noi, sino a quel momento, non saremo una famiglia. Saremo
solo tre persone legate dal sangue. Una famiglia sorpassa questo. È di più,
immensamente di più. È fiducia, è lealtà, è affetto, protezione, è tutto ciò
che ci rendeva felici tempo fa,» enfatizzò guardando entrambi. Rimasero in
silenzio e Nicole sospirò, chinando il capo per poi scuoterlo. Volse le spalle
e si avvicinò alla jeep parcheggiata dinanzi alla casa, mentre quella di Elena
era nel vialetto. Li poteva ancora scorgere. Erano rimasti ai loro posti come
se fossero stati pietrificati dalle sue parole, « Io voglio questo. Dovete
capire se lo volete anche voi,» esclamò prima di entrare nell’auto e metterla
in moto. Non li guardò più e percorse le strade di Mystic Falls nel più totale
silenzio. Non accese l’autoradio né ascoltò le parole dei ragazzi che
passeggiavano per le vie bianche della sua cittadina. Si diresse direttamente
alla villa grandiosa degli Originali, non un pensiero ad occuparle,
tartassarle, la mente. Riteneva che avesse fatto ciò che era più giusto. Aveva
parlato con franchezza e si era liberata di quel peso che le premeva sul cuore.
La scelta era loro. La sua parte l’aveva fatta. Sorrise, tra sé, e parcheggiò
accanto alla Porche di Klaus. Notò che vi era un’altra macchina, una Lamborghini
decappottabile rosso fiammante. Immaginò subito fosse di Rebekah. Rise
lievemente e raggiunse l’ingresso con poche falcate prima di bussare
timidamente. Percepì subito della musica leggera all’interno della villa e
delle voci poi vi fu un lieve rumore di passi e la porta cigolò appena. Si
ritrovò dinanzi all’imponente figura di Mikael, vestito con eleganza, fasciato
dal suo smoking nero dalla camicia bianca. Gli occhi meno gelidi del solito,
più benevoli e pacifici, e Nicole si ritrovò a sorridergli quasi senza
accorgersene, ricambiata prontamente dall’uomo, che si scostò per permetterle
di entrare.
« Buon giorno, Nicole. Prego, entra. Sei la benvenuta in
casa nostra,» mormorò gentile, cortese e Nicole non attese altro prima di
metter piede in casa. V’erano più quadri e le magnolie erano state sostituite
con delle rose rosse perfettamente sbocciate.
« Di buon umore, Mikael?» gli domandò contenta di notare che
vi fosse tanta pace in quella casa.
« Esattamente,» confermò, guidandola verso la sala, a
sinistra dell’entrata. La musica era più alta lì e vi era più movimento di
persone. Scorse Rebekah sul divano intenta a lasciarsi passare lo smalto sulle
unghie da una donna mentre il ragazzo della sera prima, Kol, indossava la
giacca. Elijah stava analizzando delle scarpe nere ed eleganti mentre Finn
stava stringendo il papillon bianco, « Perché non dovrei?» continuò sulla
soglia. Nicole non rispose, continuando a cercare il suo Klaus con lo sguardo,
non trovandolo, « Posso presentarti i miei due figli che Niklaus non ha ancora
provveduto a mostrarti? Loro sono Finn e Kol,» li presentò. Finn le sorrise
benevolo, facendole una piccola riverenza con il capo che la fece sorridere di
rimando. Si era sbagliata la notte prima. Sembrava davvero una brava persona,
certamente molto introversa, ma buona e cortese. Kol, invece, le rivolse un
sorriso più ampio e malandrino, sollevando le sopracciglia. Nicole quasi
scoppiò a ridere. Doveva essere il più piccolo della famiglia e infatti il suo
viso, privo di peluria e rughe, era infantile e bellissimo. Sembrava un angelo,
almeno se non si scorgeva il lampo di malizia e scaltrezza che albergava nei
suoi occhi marroni, « E lei è la mia splendida moglie, Esther,» esclamò
mostrandole con la mano aperta la donna che era appena apparsa sulla soglia. Le
sorrideva gentilmente e poi le fece cenno di raggiungerla all’interno della
saletta dove lei si trovava. Nicole rivolse un lieve sorriso a Rebekah e a
Elijah prima di entrare.
« Buon giorno, mia cara,» le sussurrò dolcemente, dandole le
spalle e avanzando verso il pianoforte, « Accomodati,» la invitò indicandole
una poltrona rossa vicino alla finestra. Lei, invece, si sedette sullo sgabello
marroncino. Nicole obbedì prontamente e guardò la sala. Era bellissima,
arredata con un gusto e un’eleganza che avrebbero fatto spalancare le labbra
persino a Carol. Tutto in quella villa sembrava esprimere raffinatezza, cura
dei particolare, arte e grazia. Non che si aspettasse diversamente da un
millenario che aveva viaggiato per ogni paese del mondo, « Niklaus è dovuto
andar via per un inconveniente spiacevole, ma questo mi offre la possibilità di
conoscerti,» affermò complice, sorridendo lievemente. Nicole arrossì di poco
sotto il suo sguardo, ma non si sottrasse. Esther era sicuramente una donna che
non passava inosservata, e non solo per la sua avvenenza, bensì per i suoi modi
e per quel potere che sprigionava quasi senza una reale consapevolezza. Era
facile comprendere che Klaus fosse suo figlio.
« Credo che… mi conosca già,» mormorò prendendo coraggio.
Esther rise, leggermente, e annuì. Nicole fu quasi colpita da quel gesto.
Comprendeva perché Mikael non si fosse mai dimenticato di lei, anzi, in sua
opinione, non v’era stata altra donna se non lei per mille lunghissimi anni.
« Questo è sicuramente vero, ma ti conosco come strega, non
come persona. Rebekah mi ha raccontato che si è instaurato un bel rapporto tra
di voi. Ne sono felice. Sono una persona molto diretta, Nicole Alexandra.»
« La prego, » la interruppe, trattenendo una smorfia e
alzando la mano destra. Detestava il suo secondo nome. Era troppo duro contro
la morbidezza del primo, « Mi chiami semplicemente Nicole, lo preferisco,»
aggiunse più dolcemente. Esther annuì e si issò in piedi, percorrendo
lentamente la distanza che le divideva, sino a sfiorarle la mano con un tocco
gentile, materno, affettuoso, che la fece sentire bene. La percepì prontamente
come sua simile, sua antenata e, soprattutto, sentì di potersi fidare di lei.
Totalmente ed incondizionatamente. Sorrise e si immerse nel mare calmo che
erano i suoi occhi, tanto diversi da quelli di suo figlio, ma capaci di scaldarla
con lo stesso calore.
« Anche il secondo è uno splendido nome,» le mormorò
carezzandole per l’ultima volta la mano per poi volgersi verso la sala dove i
suoi figli si stavano vestendo per la festa. Sapeva che stavano udendo tutto
ciò che le due si stavano scambiando e Nicole si domandò soltanto dove fosse
Klaus. Era in pena per lui. Esther aveva parlato di uno spiacevole
inconveniente e sperava non fosse nulla di grave. Ancora immersa in quei mesti
pensieri non si accorse che lo sguardo della strega originaria era tornato a
lei, « L’ha scelto tua madre, naturale, se non ne eri a conoscenza,» aggiunse
con gentilezza vedendola sobbalzare. Scostò subito gli occhi azzurrini dalla
donna che le era dinanzi per non farle scorgere che stava trattenendo le lacrime.
Non avrebbe potuto aspettarsi altro, si disse con amarezza. Alexandra era un
nome duro e poteva essere stato scelto solo da una persona come sua madre.
« Io… non lo sapevo,» si ritrovò a sussurrare, facendosi più
piccola sulla poltrona. Esther le carezzò delicatamente la guancia e Nicole
tornò a guardarla con gli occhi spalancati e incerti, ma la bontà che vi scorse
servì a mitigare ogni suo dubbio o incertezza.
« Così come Elena Harriet,» le spiegò. La giovane annuì e
sorrise, percependo il dolore svanire sotto quel tocco tanto affettuoso, «
Dammi del tu, per favore,» aggiunse con un sorriso divertito, « Mio figlio è
tuo,» sussurrò con tono indecifrabile. Nicole sgranò gli occhi, sobbalzò e
schiuse le labbra allo stesso tempo. Avvampò il secondo successivo. Klaus… suo.
Sua madre riteneva che oramai suo figlio le apparteneva. Percepì una calda
ondata di amore infinito riscaldare il cuore lenendo ogni ferita. Sbatté le
palpebre e sorrise, « Perdonami, non sono molto al passo con i tempi, ma nel
passato due innamorati, stretti in un rapporto forte, si appartenevano. Non è
molto attuale, credo,» soggiunse ironica.
« Comprendo. È un po’ strano per me sentire che Klaus è… mio,»
le confessò issandosi in piedi prima di sentire il fragore della porta
d’ingresso che veniva aperta con violenza. Esther sospirò e scosse il capo,
prima di trarla a sé e farle cenno di tornare in sala.
« Penso che il nostro fiume in piena sia tornato,» le
sussurrò nell’orecchio facendola sorridere prima che insieme raggiungessero la
soglia. Klaus era in piedi dinanzi a Rebekah, che soffiava irata, con la mano
che artigliava il braccio di sua sorella e un’espressione di pura collera negli
occhi azzurri, « Niklaus, che modi, figliolo,» esclamò. La presa di Klaus si
addolcì in un istante poi la lasciò andare. Rebekah si massaggiò l’avambraccio
e i suoi occhi mandavano fiamme contro suo fratello. Mikael si era issato in
piedi pronto ad aiutare sua figlia così come Kol e Finn, mentre Elijah era
rimasto rilassato. Sapeva che non le avrebbe mai fatto del male. Klaus si volse
verso di loro, verso sua madre, poi chinò il capo, sospirando amaramente, quasi
in imbarazzo.
« Perdonami, madre, ma Rebekah ha fatto qualcosa che non
doveva assolutamente fare,» aggiunse infuriato prima di tornare a sua sorella,
« Perché hai attaccato Elena ieri notte?»
« Perché è una sgualdrina che mi pugnalato alle spalle e se
non ci fosse stato Elijah avrei reso realtà il mio sogno di vendetta,» soffiò
issandosi in piedi per fronteggiare suo fratello. Era di poco più bassa di lui,
anche con i tacchi alti degli stivali, ma la sua aura era tanto minacciosa che
anche Klaus avrebbe indietreggiato se non fosse stato tanto indispettito dal
suo comportamento infantile, « A proposito, ti ho già detto che…,» incominciò
rivolta a suo fratello che osservava divertito la scena.
« Perdonami, Rebekah, ma… insomma…,» la interruppe. Avrebbe
voluto dirle che non era colpa di Elena, sebbene, effettivamente, la colpa era
di sua sorella. Rebekah la fissò per un istante, ancora arrabbiata. Con lei.
Perché sembrava più propensa a prendere le parti di una persona che l’aveva
pugnalata alle spalle piuttosto che di lei, che si era comportata come da
sorella.
« Davvero siete sorelle? Non è che vi hanno, che so…»
« Dopo tutto questo gran disastro nella mia famiglia, non
credo che avrebbero avuto il coraggio di mentirci ancora,» la interruppe, per
la seconda volta, ma quello per non sentire il dolore nel suo petto scuoterla
con tutto il proprio potere. Klaus si mosse inquieto e Nicole gli rivolse
un’occhiata di sfuggita, come se temesse di farlo apertamente dinanzi alla sua
famiglia. Notava quando avrebbe voluto stringerla a sé e baciarla per farle
risalire quel baratro nero che era diventata la sua mente.
« Cara, parlando di questo. Dall’Altro Lato ero in grado di
scorgere tutto su di te perché sei l’unica discendente di Rowena, ma questo
contatto non si è ancora interrotto e ieri notte ho visto alcuni tuoi ricordi
di quando ancora non eri a conoscenza della tua natura,» la riportò alla
realtà, quasi con dispiacere, Esther.
« Ricordi? Quelli che ho sognato anch’io?» domandò. Quelli
di lei e suo padre. Suo padre, il suo caro John. Nuovamente la sensazione di
quella mattina. Era surreale. Era come sentire gli occhi di suo padre fissi su
di sé. Sapeva che era solo una vana illusione, ma era così dolce che le avrebbe
creduto quasi senza remore. Se John… no. Scosse il capo e si costrinse ad
accantonare quegli sciocchi pensieri. Non era da lei illudersi. Ritornò a
Esther che aveva captato ogni sensazione nel suo animo e la osservava con un
cipiglio di materno ammonimento.
« Sì, cara,»
sussurrò dolcemente, « Quando hai scoperto di essere stata adottata, quando tuo
padre ti ha portato alle cascate per poterti spiegare la motivazione delle sue
scelte, e quando…,» si interruppe in evidente difficoltà prima di abbassare lo
sguardo sul pavimento. I suoi figli la osservavano con le sopracciglia
aggrottate. La loro madre non era mai in imbarazzo, anzi sapeva governare ogni
situazione con maestria ed eleganza.
« Quando?» domandò soavemente, sfiorandole l’avambraccio e
sorridendo incoraggiante. Le cascate. Quello era stato uno dei tanti colpi di
testa di suo padre.
All’ennesima
risposta indisponente, John l’aveva presa in braccio e l’aveva condotta in
macchina, sotto lo sguardo incredulo di Miranda e Grayson. Si era dimenata
tanto, rischiando anche di rovinare a terra, ma la presa di suo padre era
forte, vigorosa e determinata. Gli aveva dato dei pugni sul petto, ma l’unica
risposta che ebbe fu lo sbuffo intenerito e allo stesso tempo incredulo di
John. Quando l’aveva adagiata sul sedile dell’auto, non aveva più opposto
resistenza e si era abbandonata contro di esso, con le braccia conserte e un
cipiglio di pura collera negli occhi chiari. John non aveva parlato per tutta
la durata del viaggio, che durò poco a causa dell’eccessiva velocità con la
quale l’auto si stava muovendo, e poi si era fermato dinanzi alla baita ai
piedi delle cascate. Nicole le aveva guardate con sommo rispetto, riverenza e
con tanto affetto, sorridendo quasi sognante.
« Vuoi
che ti prenda in braccio di nuovo o preferisci scendere con le tue gambe?» le
domandò ironico, caustico, estremamente irritante e Nicole si volse di scatto
verso il sedile del guidatore. Non la stava guardando, ma aveva ancora le mani
sul volante e un’espressione indecifrabile negli occhi che tanto li facevano
rassomigliare.
«
Perché qui?» chiese atona, non un’inclinazione nella sua lieve voce. John,
finalmente, si voltò e la guardò, indecifrabile, le labbra sollevate in un
impercettibile sorriso pacifico e benevolo. Nicole si scostò un ricciolo che
era ricaduto sulla guancia e lo arrotolò sull’indice, distrattamente, intenta a
scrutare l’uomo che le stava di fronte. Sembrava non aver alcuna intenzione di
risponderle mentre spegneva l’auto e apriva lo sportello.
«
Perché questo posto riesce sempre a calmarti e ho bisogno che tu stia calma,»
mormorò semplicemente quando le vide schiudere le labbra per interrogarlo
ancora.
«
Perché? Cosa vuoi da me?»
« Io non
voglio niente da te, Nicole,» esclamò ridendo appena, come se pensasse fosse
ridicolo che lei rimuginasse su certe sciocchezze, mentre, invece, in sua
opinione, era una domanda valida. Non sapeva la ragione per la quale l’aveva
portata lì e la volesse calma. Era una speranza vana. Lei non si sarebbe mai
calmata, non in sua presenza. Il dolore era ancora forte, la ferita aperta e
sanguinante.
« E
allora vattene,» soffiò con collera e irritazione mentre John chiudeva la
portiera con un tonfo sordo capendo che non sarebbe uscita a breve, « Sparisci
dalla mia vita,» continuò vedendo qualcosa vacillare negli occhi di quel padre
che non l’aveva mai voluta, « In fondo l’hai fatto per sedici anni, cosa ti
impedisce di farlo adesso?» domandò sorniona, con un sorriso di scherzo sulle
labbra sottili ed esangui. Altezzosa, orgogliosa, fiera e superba. John
sobbalzò visibilmente per l’inclinazione nella sua voce. Grayson l’aveva
chiamato per quello e in quel momento comprendeva suo fratello e sua cognata.
Non sopportavano più quella situazione. Qualcosa dentro di lui scattò e si
portò la mano alla tempia, chiudendo gli occhi. Si odiava. Per quella dannata
lettera che non avrebbe mai dovuto scrivere. Si era liberato la coscienza
riversando tutto su quella di Grayson e della piccola donna dinanzi a lui. Era
solo un vigliacco, sì, lo sapeva, ma doveva sistemare ogni cosa.
«
Smettila,» la pregò riaprendo lentamente gli occhi azzurrini. Nicole sorrideva
ancora e sembrava gloriarsi di essere riuscita a smuovere qualcosa nel suo
animo che credeva di ghiaccio. Di pietra, si corresse. Suo padre aveva un cuore
di pietra. Il ghiaccio poteva tramutarsi in acqua, la pietra rimaneva sempre e
solo pietra, « Non parlare con quel tono indisponente e menefreghista,»
aggiunse più indispettito e irritato come se stesse captando i suoi pensieri.
« Non
me ne frega niente, quindi…» Scrollò le spalle e sbatté le labbra, sapendo di
mentire. La verità era che a lei importava molto più di quanto lasciasse
trapelare ogni giorno. Perché non era così difficile credere che John fosse suo
padre, perché non doveva nemmeno far sforzi per notare quanto li accomunasse.
« Non
te ne frega niente, Nicole?» le domandò in uno sbuffo incredulo e caustico. La
giovane annuì, « Seriamente? Allora
perché non fai altro che piangere la notte?» continuò più malevolo. Sobbalzò e
l’ira le occupò la mente, facendo nascere lacrime colleriche agli angoli degli
occhi. Si mosse in un attimo e gli diede uno schiaffo che gli fece voltare il
viso verso la strada.
« Tu…
brutto, str…,» si interruppe solo quando le afferrò rudemente il polso. Notò
che aveva il labbro insanguinato e un rivolo scarlatto stava scendendo verso il
mento. Era arrabbiato, la presa era forte e la carne le bruciava sotto quel
tocco così duro, scortese. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, era suo padre.
E anche se non lo fosse stato era pur sempre un adulto e gli adulti dovevano
essere trattati con rispetto.
« Una
ragazza dell’alta società non parla in quel modo,» sibilò con gli occhi assottigliati
prima di uscire dall’auto. Nicole osservò tutto il suo tragitto e lo vide
fermarsi dinanzi alla sua portiera, il sangue che ancora gli macchiava la pelle
abbronzata del volto. Sembrava essere ancora più infuriato dei pochi istanti
precedenti e la giovane tremò, non per timore di lui, ma per quello di averlo
ferito in quel modo così sciocco. Avrebbe voluto scusarsi, la parte più
ancorata alla ragazza che era sempre stata le stava urlando di scusarsi con suo
padre per ciò che aveva fatto, ma non vinse poiché Nicole Gilbert non esisteva
più. Le aprì lo sportello e il suo sguardo di ghiacciò la fece quasi piangere,
« E ora esci,» le ordinò ancora più sgarbato. Quando non le vide far alcun
cenno, la prese per il polso e la fece alzare.
« Chi
diavolo credi di essere per trattarmi in questo modo?» quasi urlò inviperita,
massaggiandosi il polso ferito. John la osservò per un attimo, come in colpa
per averle fatto del male, prima di scuotere il capo con foga.
« Tuo
padre, ecco chi,» le rispose divertito, come se quella verità fosse ilare, non
terribile. Nicole lo guardò con disprezzo per un istante di sorpassarlo e
avanzare per il sentiero che conduceva alla baita, poi al ponte e infine al fitto
bosco. Quando sfiorò il legno del corrimano del ponticello, sentì la sua voce
richiamarla, « Dove vai?» le domandò incredulo prima di raggiungerla con ampie
falcate, dopo aver chiuso l’auto. Non v’era nessuno, era una precauzione
inutile. Camminò ancora con lui al suo fianco, senza guardarlo nemmeno per un
attimo.
« Sono
uscita e vado dove mi pare,» rispose semplicemente sorridendo nel sentire la
natura serena sotto di sé. Il canto degli usignoli, lo scorrere dell’acqua del
fiume, il fragore delle cascate, il suono del vento tra le fronde. Era
meravigliosamente pacifico quel luogo. Le ispirata tanta di quella serenità da
farle sentire di non dover temere nulla. Suo padre non era del suo stesso
avviso, però, e le strinse il braccio, in prossimità dell’attaccatura con la
spalla, facendole male. La sua magia, risvegliata dalla natura, la protesse e
John tolse la mano di scatto. Sobbalzò e aggrottò la fronte, guardandola interrogativo.
« Cosa
hai fatto?» le chiese preoccupato, dolcemente protettivo, totalmente dimentico
di ogni sciocca rabbia. La giovane abbassò lo sguardo e chinò il capo. Non
avrebbe dovuto usare la magia, non dinanzi a lui. La nonna l’aveva raccomandata
di non far nulla dinanzi alle altre persone. Era per la sua sicurezza. Ma
oramai era fatto, « Nicole, Nicole, guardami,» mormorò delicato, accogliente,
paterno, prima di sollevarle il mento con l’indice sinistro sono a portarlo
alla sua stessa altezza. Scorse il suo sorriso impercettibile, benevolo e gli
si fece maggiormente vicina. Voleva che lui, che suo padre, la proteggesse da
tutto ciò che le stava accadendo, « Sono serio. Che cosa, figliola?»
Quell’appellativo la scosse internamente. Figliola. Non era la prima volta che
la chiamava in quel modo, lo faceva sempre quando aveva un problema e a Nicole
suonava così naturale quell’epiteto da farla sorridere ogni volta.
« Un
incantesimo,» si ritrovò a mormorare con un filo di voce, guardandolo negli
occhi chiari. John sospirò lievemente, serrò lo sguardo e le carezzò il mento
prima di lasciarla andare e fare un passo indietro.
« La
nonna Elizabeth ti ha…» incominciò prima di vederla annuire. Lo fece a sua
volta poi le strinse le mani tra le proprie, il corpo proteso verso di lei per proteggerla
da un male che solo lui era in grado di vedere, « Non devi farli. Non m’importa
cosa ti ha detto la nonna, non puoi…»
«
Perché no? Cosa c’è di male?» lo interruppe incredula. Non faceva nulla di
male, mai, non era sua intenzione ferire nessuno.
« Tu
sai cosa c’è a Mystic Falls?» le domandò cautamente, sperando che sua madre
fosse stata previdente e lo avesse raccontato a sua nipote.
« Il
Consiglio. Ma è contro i vampiri,» aggiunse incerta, non capendo la ragione di
quella preoccupazione.
« Non
solo, Nicole. Adesso ascoltami. Devi stare attenta e devi cercare di non…»
« Mi
viene naturale, John. Io… non posso… non riesco a fermarmi quando sono
arrabbiata o sono triste,» lo interruppe chinando lo sguardo, spazientita. John
sospirò ancora e le prese la mano, stringendola e facendole cenno di avanzare
verso la baita.
«
Prendiamo la funivia. Arriviamo in cima,» le propose dolcemente prima di posar
un lieve bacio sulla sua fronte. Nicole annuì e si sedette al suo fianco. Suo
padre azionò il meccanismo automatico e il mezzo partì, cominciando a
percorrere il suo tratto in salita. Non era mai arrivata in cima alle Mystic
Falls. Jeremy aveva sempre sofferto di vertigini ed Elena preferiva rimanere
sul lago dove si potevano scorgere gli scoiattoli e i pettirosso. Sorrise per
lo splendido panorama che la natura stava offrendo loro. Era meraviglioso. Gli
alberi secolari, altissimi e sempreverdi, si estendevano per milioni di ettari
e le cascate divenivano sempre più vicine. Suo padre era in silenzio, come
sempre, ma le stringeva ancora la mano. Nicole posò il capo sulla sua spalla e
chiuse gli occhi. Era così stanca di fingere, di mentire, da stringerle il
cuore in una morsa insopportabile. Odiava ciò che stava facendo a tutti, voleva
soltanto che un giorno sarebbero riusciti a perdonarla. Si rannicchiò sul
sedile e si lasciò cullare senza riaprire lo sguardo. Voleva sentire la natura,
più che vederla. Arrivarono in poco più di mezzora e suo padre le fece cenno di
scendere baciandole i capelli, pensando quasi che si fosse addormentata. Nicole
spalancò gli occhi e discese dalla funivia, camminando e osservandosi intorno.
Era stupefacente. Non v’erano parole per descrivere tanta maestosità e la
giovane sorrise, promettendosi che, un giorno, avrebbe portato i suoi fratelli
con sé per far veder loro cosa si erano persi in quegli anni.
« Sai
perché ti ho portata qui? » domandò suo padre riportandola alla realtà. Nicole
scosse il capo e lo guardò. Stava osservando lo splendido spettacolo con uno
sguardo perso e preso da quella meraviglia, « Perché avevo bisogno di farti
vedere quanto il mondo sia bello. Il mio lavoro mi permette di viaggiare e non
ho visto che arte e bellezza in ogni luogo dove sono stato. Voglio che li veda
anche tu, piccola. Voglio che tu veda la vera bellezza. E voglio che tu sappia
che in tutto esiste un baluginio di bellezza. Mi capisci, cara?» continuò
vedendola tanto confusa. La giovane scosse il capo e John le sorrise, annuendo
e comprendendo i suoi dubbi.
«
Perché mi dici questo?»
«
Perché tu sei la creatura più bella che io abbia mai visto, ma la tua luce si sta
spegnendo. Ed è colpa mia,» aggiunse mortificato e indispettito da se stesso. Nicole
abbassò lo sguardo e lasciò che una lacrima le rigasse la gota pallida poi
scosse il capo e riprese il controllo di se stessa.
«
Perché l’hai fatto? Perché mi hai abbandonata?» domandò secca, diretta. Voleva
saperlo. Doveva. Era da quella sera in cui aveva scoperto tutto che non
aspettava altro se non ricevere una risposta. John la guardò e le prese il
volto tra le mani, con tanta di quella delicatezza da farla internamente
sorridere. Pensava fosse fatta di porcellana finissima? Forse era vero perché
in quel momento anche un filo di vento sarebbe riuscita a spezzarla.
«
Perché non mi merito una figlia come te, o come Elena. Voi siete ciò che di più
caro ho e non voglio che… che,» si interruppe guardando le lacrime che le
rigavano il viso. Stava piangendo, in silenzio, compostamente, senza un
singulto, ma dentro di sé qualcosa nel suo cuore si stava incrinando del tutto,
« La mia vita è un disastro, Nicole,» le confessò esasperato. Era vero. Non ne
poteva più, non da quando aveva scritto quella lettera e Nicole l’aveva
scoperta, « Non riesco a far nulla senza sbagliare qualcosa. Non ho mai avuto
una relazione stabile, non riesco a rapportarmi con le persone. L’unica cosa
che mi rende sereno è il mio lavoro,» le raccontò accorgendosi di quanto vuota
fosse la sua esistenza, « Che vita credi vi avrei fatto fare?» le domandò
sperando in una risposta, ma le lacrime rimasero mute e scomparvero sostituite
da un calmo sorriso che gli spezzò il cuore, « Tu ed Elena meritate di meglio.
Ti meriti il meglio, piccola mia,» le sussurrò.
« Ma io
voglio te,» esclamò calma, posata, estremamente rilassata. John sobbalzò e
Nicole scrollò le spalle, minimizzando il suo stupore, « A cosa mi serve avere
il meglio se è soltanto una bugia?» domandò anche a se stessa. Era stanca di
vivere nella menzogna e suo padre era l’unico a poterle far risalire quel
baratro nero, « Ho avuto per tutta la vita il meglio, papà,» lo chiamò per la
prima volta. John sobbalzò e sorrise, imbarazzato da quell’epiteto, ma
riprendendosi subito per ascoltare le altre sue parole, « Sono stata lo spirito
di Mystic Falls quando avevo solamente dieci anni. Sono stata educata da Carol
Lockwood e mi sono fidanzata con Tyler quando ne avevo tredici. Ho sempre preso
il massimo dei voti e sono stata la presidentessa del Comitato storico e
reginetta dell’Homecoming. La mia vita era già scritta sino a due mesi fa.
Sarei uscita dall’High School con il massimo, mi sarei sposata appena dopo aver
finito la scuola. Un matrimonio sfarzoso a cui avrebbe partecipato tutta Mystic
Falls. Un abito principesco, un cerimonia da sogno. E avrei preso lo stesso
posto di Carol, rimanendo al fianco di mio marito a vita. E questo mi avrebbe
reso felice. Ma ora, ora che lo sto dicendo, mi sembra tutto così dannatamente
orribile e falso da farmi piangere. Io non voglio un matrimonio sfarzoso,
voglio un marito che mi ami. Non voglio essere osannata, voglio delle persone
che mi vogliano bene per ciò che sono. E soprattutto io voglio una vita dove i
confini non esistono,» esternò finalmente libera di esprimere ciò che realmente
pensata, senza dubbi o remore, senza rimpianti e afflizioni. Di fronte a quegli
occhi lei era libera, « Quindi, papà, ho avuto per tutta la vita il meglio
senza sapere di inseguire un incubo, non un sogno,» sussurrò semplicemente, rendendosi
conto di quanto sciocca fosse stata nell’inseguire quel vanaglorioso desiderio
di essere sempre la migliore in tutto, rinunciando ai suoi sogni e a se stessa
per anni.
« Tu…
io… cielo, non puoi immaginare quanto io ti ami, Nicole,» sussurrò incapace di
dire altro. E ogni dubbio, ogni domanda, venne oscurata dalle sue braccia che
la stringevano con tutto l’affetto con cui quel vuoto necessitava di essere
colmato.
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Riemerse da quel mare di ricordi solo nel percepire gli
sguardi di Klaus ed Esther fissi su di sé. La strega originaria sapeva che
aveva rivissuto quel momento tanto dolce poiché l’aveva guardato anche lei con
i suoi occhi e Klaus sembrava essere incapace di guardare altri che non fosse
lei.
« Esther cara, hai sempre parlato con tanta franchezza,» li
riportò alla realtà Mikael, attendendo ancora una risposta.
« Temo di aver compreso. Quando ho visto mia nonna morire?»
domandò amaramente. Quello no, non l’avrebbe ricordato, non quella mattina. Era
troppo doloroso. Esther annuì e chinò per un istante lo sguardo, « Non devi
preoccuparti, Esther. Io sto bene. Davvero,» esclamò accorgendosi che era la
verità. Era tutto finito, « Sono la più grande in famiglia. Sono abituata ad
affrontare i problemi, ad analizzarli per essere di qualche aiuto agli altri e
ho sempre ritenuto fosse mio compito stare bene per rassicurare gli altri. Mi
viene naturale ormai,» continuò scrollando le spalle con un sorriso.
« Tu ed Elena non siete gemelle?» le domandò Elijah divertito
da quella frase. Era anche lui il fratello maggiore e doveva essere stato una
guida per gli altri.
« Sì, ma mi sono sempre vantata dicendo di essere nata dieci
minuti prima di Elena,» spiegò ridendo appena, « E il mio parto fu più facile,»
aggiunse più ironica ricordandosi dei racconti di suo padre su quella calda
mattina di fine Giugno.
« Capisco,» mormorò semplicemente leggero e ilare,
sorridendole. Aveva un bel sorriso, Elijah, le piaceva soprattutto perché lo
rendeva più umano, addolcendo quella corazza di fredda calma che sembrava non
abbandonarlo mai.
«
Rebekah, dimmi quanto sono bello,» esclamò Kol rimirandosi nello
specchio. Nicole quasi lo ringraziò per aver riportato un’atmosfera leggera in
quella splendida villa.
« Mi
dispiace, Kol, non posso essere ammaliata,» ribatté ironicamente sua
sorella prima di abbandonarsi nuovamente sul divano seguita da Klaus che,
calmatosi, si accomodò al fianco della sorellina.
« Son certo che Nicole sarà molto più gentile di te,»
continuò, non scoraggiandosi, e facendole l’occhiolino. Tentò di non ridere,
per non offenderlo, con molti sforzi, prima di annuire. Con quell’aria da
bambino era semplicemente bellissimo.
« Stai molto bene, sì,» gli assicurò.
« Allora verresti al ballo con me, questa sera?» le domandò
malizioso e scaltro, sollevando le sopracciglia allusivo.
« Fratello, giù le mani da lei,» quasi tuonò Klaus. Non era
veramente arrabbiato, anzi sembrava piuttosto divertito perché sapeva che quel
comportamento era volto soltanto a irritarlo, come ai vecchi tempi. Kol amava
divertirsi stuzzicandolo sino allo sfinimento, « È un consiglio che non voglio
essere costretto a darti di nuovo.»
« Quale ballo? » domandò Nicole, a nessuno in particolare.
« Questa sera ho indetto una festa per il ricongiungimento
della nostra famiglia. Ovviamente tu e i tuoi fratelli siete invitati, con
molto piacere,» le spiegò Esther con un dolce sorriso sulle labbra che Nicole
ricambiò subito, « Niklaus, vuole solo provocarti, suvvia,» aggiunse mentre
Klaus e Kol ancora si squadravano.
« Lo so, madre,» esclamò stando al gioco.
« Però non mi ha risposto.»
« Pensa che sei ridicolo. Dai Kol, non riusciresti a
conquistare una donna nemmeno se l’ammaliassi o la minacciassi,» scherzò prima
di ridere. Rebekah lo seguì subito e anche Elijah sembrava trattenersi a
stento, notando quando il viso di Kol fosse diventato sorpreso, negativamente.
« Cos’hai detto, fratello? Ti sfido a ripeterlo.»
« Siete ridicoli, entrambi, e ci state facendo sfigurare
dinanzi alla nostra ospite,» li riprese entrambi Elijah, mettendo fine a quello
sciocco scherzo prima di prendere la giacca e indossarla.
« Kol, se vuoi, posso presentarti una ragazza. È bellissima,
ed è molto simpatica. Si chiama Bonnie, Bonnie Bennett,» affermò ricordando che
Bonnie non avrebbe avuto un cavaliere quella sera. Poi Kol le sarebbe stato
simpatico, certo se non avesse saputo che fosse un vampiro, per giunta un
Originale. Era quel tipo di esuberanza che Bonnie amava negli uomini.
« L’erede di Ayanna?» domandò Esther. Nicole annuì e la
donna sorrise, « È davvero molto graziosa,» aggiunse prima che Rebekah
sbuffasse sonoramente, « Cosa c’è,
tesoro?»
« Non la sopporto. È così seria.»
« Non è sempre stata così. Penso sia stata la morte di sua
nonna, Sheila, a cambiarla,» mormorò Nicole, ben ricordando quella donna fuori
dagli schemi che era la migliore amica di sua nonna.
« Come quella di Elizabeth mutò la tua,» ribatté Esther con
un sospiro. Nicole non rispose, non ce ne fu necessità e ringraziò chiunque le
avesse telefonato. Estratte il cellulare dalla tasca dei jeans e il bel viso di
Elena le apparve.
« Perdonatemi, credo proprio di dover rispondere,» sussurrò
rientrando nella sala per avere un minimo di riservatezza.
« Ehi, cos’è questa storia?»
esclamò Elena collerica come poche volte l’aveva udita.
« Elena, ti calmi per
favore?» le domandò stancamente, passandosi una mano sulla fronte e sollevano
alcuni boccoli biondi, scostandoli dal volto.
« Non ho alcun bisogno di
calmarmi, Nicole. Cos’è? Prima fai quei discorsi, la famiglia, la lealtà,
quello che eravamo, poi parli di John e Isobel e dopo te ne vai?»
« Non avevo più nulla da
dire, Lena,» sussurrò semplicemente. Non era vero, e lei lo sapeva benissimo.
Avrebbe voluto dir loro molto altro, ma non v’era riuscita e probabilmente non
ne sarebbe mai stata in grado.
« Non chiamarmi Lena. Sono arrabbiata con te. Sei peggio di
nostro padre certe volte,» sbuffò spazientita. Nicole scosse il capo,
divertita, e sgranò gli occhi dalla sorpresa. Quando diceva “nostro padre”,
intendeva sempre John mentre “papà” era soltanto per Grayson.
« Perché sono peggio di papà?» volle informarsi curiosa.
« Parlate e parlate e alla fine ve ne andate sempre.»
« Certo, se tu avessi perlomeno ascoltato papà, avresti
compreso…»
« Compreso? Tu parli di comprensione?» la interruppe, la
voce più acuta di due ottave. Nicole sospirò e si massaggiò la tempia, sapendo
che un profondo mal di testa era in procinto di arrivare. Avrebbe voluto
fumare, solo una sigaretta, o bere qualcosa per calmare suo corpo stanco, ma
trovò di meglio. Guardò nella sala principale dove Rebekah analizzava
criticamente un bellissimo vestito verde smeraldo che le aveva portato una
delle cameriere. Però il suo sguardo non si soffermò a lungo sulla bella
vampira, osservò suo fratello che sembrava non aver alcuna intenzione di
scostare i suoi splendidi occhi azzurri da lei e gli sorrise dolcemente,
venendo prontamente ricambiata dall’uomo che amava.
« Sì, Elena, io parlo di comprensione perché è così. Che
cosa avrebbero dovuto fare? Erano troppo giovani per aver un figlio, figurati
due. Era la scelta migliore,» tentò di farla ragionare, incredula che davvero
non riuscisse a capire, ancora con lo sguardo a Klaus. Le dava forza,
un’immensa potenza e sentì ogni ferita lenirsi. Klaus non era il meglio, questo
lo sapeva meglio di qualsiasi altro, persino meglio dei suoi fratelli. Klaus
era come suo padre, per certi versi. Solo, perso, abbandonato a sé stesso.
Klaus era un ibrido e lei una strega. Andava contro ogni regola del mondo, era
sbagliato. Però fu proprio nello sbaglio che riuscì a far quadrare il cerchio.
« Era la scelta più facile,» la corresse atona.
« Ehi, non te la puoi prendere con me per questo,» la
riprese blanda, dolce, tentando di farla calmare, « L’ho scoperto prima di te e
sono stata più male di te, Lena. Avevo perso la nonna, volevo più bene a John.
Tu sei quella ragionevole in famiglia e dovresti capire. Io sono quella
impulsiva e per poco non l’ho ammazzato. Credimi, avrei voluto, in quel
momento. Perché non ce lo meritavamo. Ma poi l’ho ascoltato e qualcosa dentro
di me si è mosso,» le raccontò con il cuore in mano, mettendo dinanzi a lei
tutto ciò che pensava.
« Perché non me l’hai detto? Perché hai voluto affrontare
tutto questo da sola?» le domandò incerta, come se non volesse davvero scoprire
la risposta. Klaus fu costretto a scostare lo sguardo perché Esther gli aveva
fatto cenno di scegliere l’abito per la serata. E sentì ogni forza cadere.
« Perché ho preferito di più soffrire da sola che vedere te,
che sei una delle persona che amo di più, stare in pena per qualcosa che
nessuno avrebbe potuto cambiare,» le confessò esasperata. Era così semplice da
comprendere ed Elena avrebbe fatto lo stesso se l’avesse saputo per prima, e
non certo per cattiveria.
« Mi dispiace,» sussurrò solamente facendola sobbalzare.
Notò lo sguardo di Rebekah su di sé. Sapeva stessero ascoltando tutto, sebbene
non volessero e continuassero a scegliere gli abiti. La vampira sembrava
volerle dire di non cedere a quella patetica esternazione, ma Nicole voleva
troppo bene alla sua sorellina per far tesoro di quel consiglio che celava un
velo di gelosia.
« Cosa?» le domandò con un filo di voce.
« Mi dispiace. Deve essere colpa mia. Se non ti sei fidata
di me… avrei potuto aiutare te. Tutta questa storia, Tyler, la magia.
Sopportavi tutto da sola e io, al posto di starti vicino, io…»
« Ehi calmati, okay? È tutto passato, finito. È un capitolo
chiuso e non serve che lo riapriate,» la rassicurò, « Io sto bene,» esclamò
ancora più esasperata. Erano giorni che non diceva altro ed era diventato
stancante, sebbene fosse la verità, « Ho superato tutto: la morte della nonna,
questa storia dell’adozione, Tyler, quella notte, i due mesi successivi. Mi
sono arrabbiata, tanto, mi sono sfogata e sono andata avanti. Vi chiedo, vi
imploro, di fare altrettanto. Non mi importa assolutamente quante volte Jeremy
dovrà andarmi contro o quante volte tu dovrai andarmi contro. L’importante è
che, alla fine della fiera, noi rimarremo insieme,» esclamò dolcemente
immergendosi negli occhi azzurrini di Rebekah, così simili a quelli del suo
Klaus. Sapeva che avrebbe compreso sebbene odiasse Elena. Anche lei voleva che
la sua famiglia fosse finalmente unita dopo mille interminabili anni.
« Non è un compito facile essere il padre ordinario di due
figlie straordinarie,» recitò facendole aggrottare le sopracciglia. Non
conosceva quelle parole, « Fu la prima frase della lettera che nostro padre mi
scrisse prima di morire. La ricordo a memoria per quante volte l’ho letta,
ormai,» mormorò dolcemente.
« Nostro padre e i suoi giochi di parole. Tante volte
pensavo che le studiasse la notte per farmi ammattire. Era il suo modo per… non
so.»
« Dirci che ci voleva bene non dicendocelo?» la interruppe
ridendo amaramente. Nicole annuì tra sé. Con lei era più facile, ma non di
molto. Con il suo carattere introverso John non era mai riuscito ad aprirsi se
non in determinate occasioni, ma le faceva piacere fosse così. Non era mai
stata una ragazza melensa e vogliosa di tante attenzioni. Vedere quella luce di
amore nei suoi occhi esprimeva tutto ciò che aveva nel cuore.
« Già, credo.»
« Mi dispiace,» disse ancora una volta.
« Elena, quante volte hai intenzione di dirmi che ti
dispiace questa mattina?» le chiese ironicamente divertita da
quell’atteggiamento. Elena era sempre stata solita esternare tutto il proprio
dispiacere, ma non così tante volte in una sola telefonata.
« Mi dispiace di avertelo portato via. È morto per me e tu
sei rimasta sola. Di nuovo. è colpa mia.» Quelle parole le fecero male. Non era
forse quello che aveva pensato quando Katherine le aveva raccontato come erano
effettivamente andate le cose? Sì. Era colpa di Elena, ma era sua sorella e lei
non poteva farle gravare quell’altro peso sulle spalle. Rebekah la stava
scrutando per comprendere cosa risiedesse nella sua mente e Nicole fu costretta
a scuotere il capo.
« Non devi nemmeno pensare a una cosa del genere, Lena. Non
è vero, assolutamente,» mentì modulando la voce per farla sembrare comprensiva
e accorta. La verità era che aveva un macigno nel cuore che non si era ancora
dissolto. Perché, se non fosse stato per quella sua propensione al martirio,
suo padre sarebbe stato ancora in vita. Avvampò e sobbalzò per quel pensiero,
strabuzzando gli occhi. Era perfido, « Adesso, però, smettiamola di fare le
sentimentali, suvvia. Stiamo diventando stucchevoli. Forse ho messo troppo
miele nel tè,» esclamò con un tono di scuse per i suoi pensieri sconvenienti.
« E io troppo zucchero nel caffè.»
« Vieni al ballo?» le domandò a bruciapelo, ritornando nella
sala, comprendendo che avevano affetta finito di parlare di cose spiacevoli.
« C’è un ballo?» le chiese sarcastica, ridendo appena.
« Sì e tu ci verrai. Per una volta ti toglierai quell’aria
da martire impossibilitata a sorridere e riderai. Quindi trovati un
accompagnatore, non Jeremy, uno vero, e comprati un vestito,» le ordinò
perentoria per poi ridere e farle comprendere che stava scherzando.
« Altrimenti?»
« Altrimenti ti terrò il broncio per i prossimi… vent’anni,
come minimo. Ti voglio bene,» le mormorò per scusarsi prima di interrompere la
telefonata. Si accomodò sul divano al fianco di Rebekah che oramai si era
seduta, abbandonando il vestito tra le mani di una cameriera soggiogata e si
accorse che Kol la stava osservando con un sorriso sornione sulle belle labbra
piene, « Perché mi guardi così?» gli domandò incerta.
« Sei lunatica come Nik,» le comunicò sarcastico. Klaus
sbuffò sonoramente e si sedette accanto a lei. Arrossì appena, ma sorrise
scuotendo il capo, « Splendido,» aggiunse inquadrandoli tra le sue dita come un
fotografo. Scoppiò quasi a ridere. Quel ragazzo era semplicemente esilarante ed
eccezionale, « Posso conoscere questa Bonnie Bennett, che ne dici?» le chiese,
ricordandole la sua proposta.
« Okay. La chiamo e giuro di impiegarci meno tempo,» promise
prima di comporre il numero di Bonnie.
« Con chi speri che vada, tua sorella? » le domandò Elijah
incuriosito.
« Con Damon, ma vedremo,» esclamò prima di sentire che la
sua amica aveva accettato la chiamata, « Bonnie, ciao, sono Nicole. Disturbo?»
« Tu? No. Il resto del mondo? Abbastanza,» soffiò mestamente
facendola sorridere e sospirare insieme, allo stesso tempo.
« Tua madre equivale al resto del mondo?» le domandò
dolcemente. Percepì che stava trattenendo il fiato, « Elena mi ha detto che
l’hai incontrata,» le spiegò, « Non dev’essere stato bello, proprio no,»
continuò amaramente. Non era stato bello per lei e sicuramente Bonnie si era
trovata nella sua stessa situazione. Era suo compito darle una mano, « Ascoltami,
Bonnie. La prima volta, la seconda veramente, che incontrai mia madre, stavo
per provocarle un aneurisma irreversibile e l’avrei anche fatto se mio padre
non mi avesse trattenuta,» le raccontò ridendo appena, senza felicità. Klaus
posò la mano sulla sua, carezzandola lievemente e dandole una forza che non
pensava di possedere.
« Mi ha abbandonata. E papà non sa nulla di questa storia
perché è fuori per lavoro.»
« So come ci si sente, Bonnie, davvero.»
« Lo so,» sospirò ricordando che erano nella stessa
situazione, « Come hai fatto ad andare avanti dopo?» Avrebbe voluto dirle che
no, non era mai andata avanti, ma non le sarebbe stata di alcun aiuto se
l’avesse detto, così pronunciò le parole più veri e facili che le vennero in
mente.
« Non l’ho vista mai più da quella notte, nemmeno prima che
morisse e ho provato un tale rimorso dentro di me… ma tu puoi conoscerla,
Bonnie,» la spronò dolcemente. Era vero. Sua madre era morta. Tra loro era
finita, ma Bonnie poteva conoscere la sua e riallacciare i rapporti con lei.
Serviva così poco per essere felici.
« Non voglio, Nicole. Non voglio sapere nulla di lei,» si
impuntò come una bambina, ma la giovane strega comprese che il suo era un
dolore che si portava dietro dalla fanciullezza. Bonnie aveva sempre affermato
che sua madre era morta, sebbene le fosse chiaro che aveva abbandonato lei e
suo padre al loro destino.
« La scelta è solamente tua, Bonnie,» sospirò. Lei stessa
aveva preso la stessa decisione, ma il vuoto di non sapere chi fosse sua madre
non era mai stato colmato da niente e da nessuno, « Però sto per darti una
scappatoia,» esclamò più allegra, guardando di sfuggita Kol.
« Quale?»
« Questa sera c’è un ballo,» incominciò.
« Non avrei un accompagnatore. Tuo fratello mi ha lasciata,»
la interruppe triste. Nicole alzò gli occhi al cielo. Certe volte pensava che
suo fratello fosse stupido. Tradire una ragazza come Bonnie era veramente da
sciocchi.
« Lo so. Non parlo di Jeremy, infatti, che, tra l’altro, si
è comportato da vero idiota. C’è un ragazzo, possiamo dire, molto carino,»
incominciò allegra mentre Kol distendeva maggiormente le labbra, affascinante.
« Un appuntamento al buio? Davvero?» domandò incredula,
ridendo in uno sbuffo divertito.
« Sì, davvero.»
« Com’è? » le chiese più incuriosita e maliziosa.
« Alto, biondo, occhi… marroni, a me sembra simpatico e ha
un bel sorriso,» lo presentò. Kol le fece l’occhiolino e le fece la stessa
riverenza di Finn. La risposta di Bonnie non si fece attendere di molto.
« Ti avviso: se non ne vale la pena, lo rifilo a te, o a
Care, per tutta la sera,» esclamò categorica facendola sorridere.
« Okay, Bon. Ti passa a prendere alle sette. Un bacio,» mormorò
prima di chiudere la comunicazione. Kol, finalmente, rise. Aveva una bella
risata, alta, allegra, briosa, simile a quella di Klaus e Rebekah.
« Bel caratterino. Mi piace,» esclamò divertito, prima di
sedersi su di una poltrona. Era meglio per loro ambientarsi presto a Mystic
Falls e quella della festa era stata un’ottima idea.
« Lo troveresti anche a me un accompagnatore?» domandò Rebekah
lamentosa come una bambina e Nicole si voltò lentamente, sgranando gli occhi.
Lei, senza un accompagnatore? Impossibile. Era troppo bella. Rebekah le sorrise
timidamente, poi scrollò le spalle, « Sto scherzando, davvero. Avevo già in
mente un ragazzo, ma non credo ci verrebbe con me,» aggiunse con la voce più
instabile e bassa.
« Dovrebbe essere davvero molto stupido,» esclamò veritiera
con gli occhi ancora spalancati dall’incredulità.
« Volevo tuo…,» si bloccò nel vederla sobbalzare. Aveva
compreso subito.
« Mio fratello?Jeremy?» aggiunse quando la vide annuire in
evidente imbarazzo.
« Ne hai altri, mio tesoro? Magari un tantino più gentili
nei miei confronti? » le chiese Klaus, attirandola maggiormente a sé. Nicole si
volse e gli sorrise per poi scuotere il capo.
« Purtroppo no. Mio fratello è molto timido, Rebekah,» comunicò
rivolgendo lo sguardo alla bella vampira, « Dovresti invitarlo tu e non credo
proprio ti direbbe di no, se lo conosco bene.»
« Finn, caro, tu con chi…?» chiese Esther affiancando suo
marito sul divano, accomodandosi sulle sue ginocchia come una bambina. Mikael
l’attirò maggiormente a sé e le cinse la vita sorridendo appassionato.
« Non andrò che con Sage, madre. Se lei vorrà venire, se mi
rimembra ancora, sarò qui ad attenderla,» mormorò perso nei ricordi di quella
donna che aveva amato con tutto se stesso novecento anni prima.
« Dopo novecento anni ancora con questa solfa…,» borbottò
Klaus nel suo orecchio, soffiando quelle parole e facendola avvampare.
« Niklaus, ti ho sentito,» lo riprese Finn prima di lasciare
la sala, probabilmente per cercare informazioni su Sage.
« Tu, Elijah?» domandò Mikael cortese, ben sapendo che il
suo figlio maggiore provasse una forte avversione nei suoi confronti. Aveva
dato loro la caccia per mille anni e lo spirito di protezione di Elijah era
fortissimo.
« Non saprei, in verità.» Un suono li destò tutti. Era
quello del campanello. Esther si scostò dalle gambe di suo marito e Mikael si
issò in piedi, posandole un bacio sulle labbra, leggero e dolce, che fece
sorridere Nicole. Dovevano essere davvero molto innamorati.
« Chi sarà adesso? Sono troppo vecchio per questo,» esclamò
prima di avvicinarsi alla porta d’ingresso. Apparve pochi secondi dopo con in
mano una scatola marroncina con il fiocco bianco, « Nicole, per te,» mormorò
porgendogliela con gentilezza. La giovane la osservò confusa per un attimo
prima di poggiarla sulle sue gambe e aggrottò le sopracciglia.
« Per me? Cos’è?» gli domandò incerta di aver ricevuto un
regalo inaspettato.
« Non mi hanno dotato del dono della preveggenza, indi per
cui non saprei. Dovresti aprirlo,» le consigliò caldamente tornando a sedersi.
Nicole scosse il capo e rise. Scartò il pacco e aprì la scatola ritrovandosi dinanzi
a un corpetto azzurrino rifinito da delle perle bianche. Lo tolse dalla scatola
e lo osservò. Era un lungo abito senza spalline, di seta azzurra con del tulle
sulla gonna ampia e principesca. La stoffa era così impalpabile da scivolarle
tra le dita. Spalancò le labbra e trattenne il fiato, sgranando gli occhi.
« Bellissimo,» esclamò Rebekah, « Chi te lo manda?» domandò
guardando nella scatola un possibile biglietto. Lei sapeva bene che non c’era.
Conosceva quell’abito, fin troppo bene. Scosse il capo.
« Non lo so. Non c’è scritto.»
« Ammiratore segreto?» domandò sarcastica e divertita la
bella vampira.
« Non guardare me, sorellina. Non sono stato io,» esclamò Klaus
sorpreso quanto lei, e anche un po’ irritato. Avrebbe voluto regalarle lui
l’abito per quella serata speciale, magari facendolo scegliere a lei come
quello dell’Homecoming, ma qualcuno l’aveva preceduto, regalando un vestito
sontuoso e perfetto per lei, come se conoscesse i suoi gusti. Anche Nicole era
turbata. Sì, quell’abito era lo stesso. Se lo portò al petto e riconobbe un
lieve profumo maschile. Era il dopobarba di suo padre quello che sentiva? Tremò
impercettibilmente e scosse nuovamente il capo. Era impossibile. Doveva
soltanto averlo immaginato.
« Nicole, successo qualcosa?» le domandò cordialmente Esther
mentre suo marito le carezzava distrattamente la schiena.
« No, ma… io… lascia perdere, Esther, ma le coincidenze cominciano
a diventare inquietanti,» esclamò riponendo l’abito nella scatola. Non voleva
accettarlo, ma era così bello, proprio come la prima volta che l’aveva visto in
quella vetrina al fianco di suo padre.
« Dovremmo prepararci. Posso truccarti? Per favore,» la
riportò alla realtà Rebekah prendendole le mani e sorridendole incoraggiante,
non sapendo cosa le stesse attanagliando il cuore. E se fosse stato davvero
John, il suo adorato papà? No, si disse di non potersi illudere ancora. John
Gilbert era morto e non sarebbe tornato mai più.
« Se proprio vuoi, ma, ti prego, non la matita. La detesto,»
esclamò divertita prima che Rebekah ridesse e si issasse in piedi porgendole la
mano per fare lo stesso. Avrebbe sempre voluto avere una sorella, Rebekah,
glielo aveva confesso la mattina precedente, ma dopo Henrik sua madre non aveva
più potuto rimanere incinta. Nicole le prese la mano candida, piccola e fredda
e si aiutò per alzarsi prendendo la scatola subito dopo. L’avrebbe accettato,
di chiunque fosse stato, soprattutto se gliel’avesse donato lui.
« Aspetta, Bekah. Quanto entusiasmo,» le interruppe Klaus,
alzandosi di scatto e poggiando una mano sulle loro intrecciate, « Vorrei
parlare con Nicole da solo, se me lo permetti,» aggiunse più gentile. Rebekah
annuì e la lasciò andare con lui. Dopo essere usciti dalla sala, Klaus la prese
in braccio e la condusse nelle sue stanze con velocità vampirica, adagiandola
sul suo letto per poi trarla a sé. Nicole lo abbracciò e finalmente lo baciò. A
lungo, passionale e decisa, incominciando una danza che non avrebbe mai voluto
terminare. Klaus le carezzava i capelli con delicatezza e sentiva il corpo del
suo amato premere sul suo. Si abbandonò a lui totalmente e in pochi secondi si
ritrovò distesa completamente, con Klaus sopra di lei che le baciava il mento
per poi scendere lungo la linea del collo. Le lasciò un’umida scia di fuoco
sino alla clavicola per poi percorrere l’incavo dei seni mentre le sue mani gli
artigliavano i corti capelli e le sue gambe si avvolgevano alla vita di Klaus. Poi
si scostò da lei, respirando a fatica e ricadendo sul letto. Chiuse gli occhi
ancora scosso e Nicole vide i suoi canini sguainarsi. Gli carezzò la guancia e deglutì
a vuoto. Si riprese dopo pochi istanti e le sorrise, riaprendo gli occhi e
osservandola sognante, « Allora, questo ammiratore segreto? Nemmeno un’idea su
chi possa essere?» le domandò malizioso prima di sollevarle l’orlo della maglia
e posare la mano aperta sul suo fianco nudo.
« Sì, un’idea c’è, ma è quasi impossibile che sia…,» si
interruppe vedendo un lampo attraversare le belle iridi del suo Klaus, « Oh
Klaus, non sarai geloso?» chiese scaltra, ridendo appena e lasciandosi cingere
da lui. La baciò ancora una volta, più calmo, lambendole soltanto le labbra e
Nicole si nascose nell’incavo del suo collo, trovando lì un porto sicuro dove
poter approdare senza alcun problema.
« Sì, invece. Verresti al ballo con me?» le domandò
bisognoso di un suo sì che non tardò ad arrivare.
« Con immenso piacere,» sussurrò prima di baciarlo ancora,
stando sopra di lui. Klaus la lasciò fare per alcuni istanti, il tempo di
sentirla scendere sui suoi pettorali scolpiti fasciati dalla maglia, poi
invertì le posizioni, baciandola con un desiderio quasi disperato, « Perdona
mio fratello,» gli mormorò dolcemente quando si fu scostato.
« Lo capisco. Farei lo stesso per Bekah.»
« A proposito. Rebekah e Jeremy… come ti sembra?» domandò allusiva
con le sopracciglia aggrottate. Klaus rise, roco, sensuale, tanto da farle
aumentare il già potente calore al basso ventre, poi scosse il capo.
« Non durerà un secondo tra le braccia della mia sorellina.
Mi spiace per lui, ma Rebekah Mikaelson ha bisogno di qualcuno di più
resistente,» esclamò sfiorandole la pancia e disegnando delle linee invisibili.
« Credimi, mio fratello lo è.» Klaus sbuffò, malandrino e si
mise a sedere contro la testiera del letto. Nicole lo seguì subito dopo
lasciandosi cingere dalle sue forti, passionali braccia. L’uomo le posò un
languido bacio sulla carotide poi si avvicinò al suo orecchio giocando con la
pelle sensibile del lobo con i denti, ben attento a non farle male. Le mancò il
respiro per un attimo e pensò che sarebbe svenuta lì, su quel letto enorme e
comodo, sotto quel tocco meravigliosamente sensuale. E le sarebbe piaciuto.
Chiuse gli occhi e tentò di ritrovare il respiro prima che Klaus le soffiasse
nell’orecchio e la attirasse maggiormente a sé.
« Qual è la tua prima impressione su mia madre? » sussurrò
roco, sentendo la sua eccitazione palpabile nell’aria. Notò che anche lui non
era rimasto immune guardando l’orlo dei suoi jeans scuri e deglutì, tentando di
ritrovare un minimo di decoro e ritegno.
« Una donna molto carismatica e… intensa,» rispose con il
fiato corto, annuendo e scostandosi di poco, controllando le proprie pulsioni.
La sua famiglia avrebbe potuto sentirli e sinceramente non voleva che Esther, o
Mikael, o Elijah potessero trovarli in una situazione così intima. Klaus
comprese i suo dubbi e la cinse senza alcuna pressione, ma non volendosi
distaccare da lei più del dovuto, « Non ti fidi di lei?» sussurrò per non farlo
udire agli altri. Klaus scosse il capo con foga e la stringe, avvicinando le
labbra al suo orecchio.
« Né di lei e né di Mikael, mia dolce umana. Nemmeno Elijah.
Rebekah crede fermamente che voglia ricongiungere la nostra famiglia, come Kol.
Finn è solo un patetico idiota,» le raccontò velocemente, sperando che gli
altri non captassero nulla. Il suo piano era piuttosto semplice. Aspettare.
Aveva mobilitato i suoi ibridi, li aveva avvisati che ci sarebbero potuti
essere dei problemi, ma fino a quel momento non avrebbe fatto nulla se non
aspettare.
« Klaus, è tuo…» lo riprese non comprendendo che di Finn
oramai non si fidava più. Aveva volto le spalle a tutti per amore di quella
sciocca Sage, una ragazzetta della campagna che non aveva né ricchezze né
avvenenza. Loro, figli di un grande proprietario terriero, non solevano
mischiarsi con gente che rassomigliava a schiavi e servitori, ma Finn affermava
con tanto ardore che Sage era diversa dagli altri.
« Non lo è mai stato,» soffiò con astio, traendola
maggiormente a sé, « Gudmund si comportava da fratello molto più di lui,»
affermò ricordando quel ragazzo alto, con profondi occhi azzurri, così simili
ai suoi, e i capelli di un nero talmente inteso da confondersi con le tenebre
della notte. Gudmund era stato un amico per trent’anni della sua vita. Era più
grande di lui di qualche anno e tutta la sua famiglia era morta, a causa di
Mikael. Perché Gudmund era il figlio di Hvitserk, ma ciò non era noto ad
alcuno, « Perdonami, non lo conosci. È il figlio di mio padre, naturale, il mio
fratellastro. È morto parecchi secoli orsono,» sussurrò ricordando che Mikael,
venuto a conoscenza che v’era ancora un membro della sua famiglia, l’aveva
ucciso dinanzi ai suoi occhi e a quelli di Rebekah in modo talmente brutale che
le immagini faticavano ad andar via e abbandonarlo.
« Hai mai…?»
« No,» la interruppe capendo cosa volesse sapere. Suo padre.
Sapeva solamente quel nome e nient’altro. Non che gli importasse. Esther amava
Mikael, il sentimento non si era spento nemmeno dopo mille anni e suo padre
doveva averle fatto qualcosa di estremamente orribile e ripugnante, « è morto
prima che io nascessi. Non l’ho nemmeno visto e mia madre non ne ha mai
parlato,» sussurrò prima che Nicole lo baciasse facendogli dimenticare tutto.
La distese sul letto e si trattenne a stento da farla sua in quel momento
stesso. Sentire il suo corpo sotto il proprio era una sensazione di indescrivibile
sensualità. Riusciva a percepire tutto. Il battito del suo cuore, forte come
quello di un colibrì, il seno trepidante a contatto con il suo petto, i bacini
adagiati l’uno sull’altro. Voleva liberarla di quegli schiocchi abiti per
poterla guardare beandosi di una vista celestiale, ma doveva trattenersi,
ritrovare il controllo di se stesso e l’unico modo era allontanarla da sé. Nicole
mugugnò qualcosa insoddisfatta d’esser stata lasciata in quel modo e Klaus le
carezzò la guancia rossa per l'ardore, « Adesso, però, ti lascio libera di
andare. Ho delle orribili impressioni per questa sera. Spero soltanto di
sbagliarmi. Faresti meglio a tenere gli occhi aperti e guardarti le spalle, tesoro,»
le sussurrò, ben sapendo che ve ne fosse necessità. Avrebbe guardato quelle di
entrambi. E anche di Rebekah. Kol ed Elijah erano in grado di cavarsela da
soli, senza il suo aiuto.
« Lo senti anche tu?» domandò incredula, guardandolo con
quell’innocenza di bambina che lo faceva fremere ogni volta. Impazzire. Sì,
quella piccola donna lo faceva impazzire e tremare.
« Sono su questa Terra da mille anni e appartengo a due
specie completamente distinte. Quando la natura si agita, posso percepirlo
anch’io,» sussurrò prima di posare le labbra sulle sue, controllando i propri
istinti. Non era ancora tempo. Voleva che tutto fosse perfetto per loro.
« Klaus…» lo chiamò subito dopo e lui ritornò ai suoi occhi,
annuendo per farle cenno di continuare. Sembrava dovesse dirgli qualcosa di
importante, di vitale « Ti amo,» gli confessò. Klaus spalancò gli occhi e tremò
vistosamente. Aveva due scelte in quel momento: fuggire o amarla senza remore.
Optò per la prima e scomparve, lasciandola lì sola e incredula.
Nicole abbassò lo guardò sul proprio petto ansante e una
lacrima le rigò il viso. Gli aveva detto che lo amava, pensava fosse giusto,
pensava avesse replicato o perlomeno fatto un cenno, ma era andato via,
abbandonandola su quel letto immenso che non sarebbe mai riuscita a riempire.
Percepì una folata di vento e alzò lo sguardo, pregando che fosse tornato, ma
invece sulla soglia v’era Rebekah con i due abiti tra le mani e un sorriso
dolce sul bel volto d’angelo.
« Ehi, successo qualcosa?» le domandò vedendola così triste.
Nicole sorrise, scosse il capo e dissimulò una calma che non le apparteneva. Si
sentiva così dannatamente sola in quel momento, senza il suo Klaus ad amarla.
Eppure lei lo sapeva, per la Dea. Lei sapeva che lui l’amava. E allora perché
non riusciva a dirlo?
« No, Rebekah, non preoccuparti,» le assicurò scendendo dal letto
e avanzando verso l’uscita per poi chiudersi la porta alle spalle.
« Ho chiamato tuo fratello. Ha detto di sì. Dovevi sentire
la sua voce. Tremava. Fa sempre così? » domandò emozionata avanzando a passo
svelto verso la sua camera. Nicole la seguiva con lo guardo fisso sull’abito.
Illusa. Patetica illusa. Ecco quello che pensava di lei. Nessuno poteva
rassicurarla del fantomatico amore che Klaus nutriva per lei, erano pensieri
propri, non provati. Solo Klaus avrebbe potuto dirle che l’amava, ma non l’aveva
fatto e doveva esserci una ragione che non sapeva avrebbe voluto scoprire. Poi
v’era suo padre. Doveva proprio essersi immaginata tutto con lui. I ricordi, i
sogni, il vestito, il suo profumo. Era inutile sperare ancora.
« Solo con le persone importanti,» le rispose sulla soglia
della sua stanza principesca. Rebekah sorrise di gioia e chiuse la porta.
Nicole si concesse un lungo bagno nella sua vasca personale con idromassaggio e
i rubinetti d’oro zecchino poi fu il turno di Rebekah. Si vestirono entrambe
senza una parola, poi la vampira sospirò e prese il pennello del fard
colorandole gli zigomi con un rosa appena più scuro della sua pelle per farla
rimanere sempre in imbarazzo.
« Dimmi,» la spronò infinite prendendo la trousse degli
ombretti e optando per un bianco brillantinato, « Cos’è successo tra te e Nik
che ti ha turbata?» le domandò prima di passare ai capelli. Li raccolse in
un’acconciatura elaborata e meravigliosamente elegante, una crocchia abbellita
da dei fiori bianchi che ben si adattavano al trucco leggero.
« Gli ho detto che lo amo e lui… non mi ha risposto,» le
confessò sperando che riuscisse a mitigare i suoi dubbi. La sera era oramai
scesa sulla città mentre Rebekah si truccava con veloce maestria e si
raccoglieva i biondi e lisci capelli con un’acconciatura semplice e composta
che ben si legava alle linee leggere del suo abito senza spalline. Indossò una
collana di diamanti e le fece cenno di scegliere quella che lei voleva, «
Insomma, io so che lui mi ama. Non starebbe con me altrimenti, ma non… non
capisco perché debba essere così chiuso con me,» continuò optando per la più
semplice che era in grado di scorgere. Una catenina d’argento con un piccolo
cuore tempestato di veri diamanti.
« Devi lasciargli il suo tempo,» le comunicò dolcemente
prendendole le mani. Erano oramai pronte e potevano parlare senza alcuna
fretta, « Penso solo abbia paura di soffrire per amore una seconda volta. Ha
bisogno di… sentirsi amato,» continuò. Nicole capiva quelle parole, le
accettava, ma non riusciva ancora a comprendere l’atteggiamento di Klaus e
Rebekah se ne rese conto, « Se tu sai, come lo so anch’io e come lo sa anche
Nik, che ti ama, cosa t’importa se lo dica o meno?» le domandò scrollando le
spalle. Avrebbe voluto dirle che non le importava, che il suo amore bastava per
entrambi, ma non ci riusciva perché non era la verità. Lei voleva che Klaus
l’amasse e quel dubbio non sarebbe scomparso sino a quando lui non si fosse
aperto con lei.
« Io… vorrei solamente che lui…,» sussurrò prima che venisse
interrotta da un lieve bussare alla porta. Si issarono in piedi entrambe e
abbandonarono la signorile toletta prima che Esther, splendida in quell’abito
nero impreziosito da piccoli dettagli luccicanti, entrasse completamente nella
camera. Aveva lasciato i capelli sciolti e ricci.
« Di cosa si parla qui? Oh, siete degli splendidi angeli,»
le osannò distendendo le braccia dinanzi a sé per accoglierle in un abbraccio
dolcissimo.
« Sei davvero bellissima, mamma,» mormorò Rebekah quasi
commossa. Per mille anni non aveva avuto sua madre accanto, ma erano ritornati
ad essere la famiglia che erano sempre stati, forse anche migliore notando
quanto si fosse stabilizzato il rapporto tra Mikael e Niklaus.
« Ti ringrazio, mia cara. Adesso dovreste scendere. Gli
invitati sono arrivati e il tuo accompagnatore ti aspetta di sotto. A
proposito, è molto carino,» sussurrò facendole l’occhiolino prima di uscire
dalla camera. Le due la seguirono e Rebekah sorrise, davvero felice della sua
scelta prima di farle un cenno e scomparire lungo la scalinata. Era tutto
pronto e arredato a festa. Gli invitati era già tutti lì e Nicole cercò Elena e
Jeremy. Suo fratello attendeva la bella vampira bionda che lo stava
raggiungendo e non riuscì a vedere Elena, « Scendiamo anche noi, mia cara?» le
domandò comprendendo che volesse averli accanto, « Parlavate di mio figlio?»
continuò quando non la sentì rispondere. Nicole chinò il capo e annuì
timidamente, sospirando di poco, prima di scorgere la bella figura di Klaus
avanzare verso di loro con passo svelto e deciso. Lo guardò e venne sfolgorata
da ciò che vide. Era splendido, elegante, semplicemente stupendo e le mancò
nuovamente il respiro sentendo il suo sguardo su di sé.
« Sono semplicemente incantato da queste celestiali visioni
tanto da non sapere che baciare per prima,» esclamò ilare dinanzi a loro.
Esther rise lievemente e scosse il capo prima percepire una leggera pressione
sui fianchi. Sorrise riconoscendo le mani esperte di suo marito che subito
affiancò suo figlio.
« Niklaus, io bacio mia moglie, tu baci la tua fidanzata,»
sbottò divertito e Klaus non se lo fece ripetere. Avanzò di un altro passo, le
fece un inchino pieno di fine antichità e poi le sfiorò la mano portandola alle
labbra e baciandole il dorso pallido. Nicole sbatté le palpebre per ritrovare
il controllo di se stessa notando il suo avvenente sorriso che le stava facendo
tremare le gambe, « Sei splendida, mia cara. Noto che la mia collana ti piace,»
mormorò Mikael avvicinandosi di poco prima di baciarle le labbra in un tocco
appena accennato. La complicità era così palpabile da farla sorridere e Klaus
le lasciò la mano che ricadde lungo il fianco. Lo osservò con la coda
dell’occhio mentre tentava di comprendere cosa le stesse artigliando la mente
in una morsa terribile.
« Mikael, suvvia,» sussurrò Esther guardandosi intorno e
sperando che nessuno li avesse visti in atteggiamenti così intimi. Elijah
risalì la scalinata e affiancò suo fratello, dopo averle rivolto un lieve
sorriso, poi Rebekah apparve, accanto a suo fratello che la guardava estasiato
come poche volte l’aveva visto. Si riscosse solo quando incontrò gli occhi
azzurri di sua sorella, miti e benevoli, e arrossì di colpo.
« Ehi Nicole, scusami per questa mattina. Sono stato
indisponente, e sgarbato,» sussurrò tentando di ricevere il suo perdono. Nicole
scosse il capo e gli fece cenno di non preoccuparsi, che andava tutto bene, come effettivamente
era. Era preoccupata per Jeremy e l’avrebbe protetto da ogni male.
« Chi ti ha annodato la cravatta? » gli domandò esasperata.
Aveva sedici anni e non aveva ancora imparato che il lembo della cravatta
andava inserito nell’apposito spazio. Si avvicinò e gliela sistemò in un attimo
prima di allontanarsi e osservarlo nella sua interezza. Spalancò le labbra e
sgranò gli occhi dalla sorpresa, « Ma questo è lo smoking… di papà?» gli
domandò incredula che fosse già arrivato all’altezza del genitore. Jeremy
sorrise e annuì timidamente.
« Sì. Elena l’ha riesumato dalla soffitta e… ho pensato di
indossarlo. Che c’è? Mi sta male? » domandò più preoccupato, come se temesse di
sfigurare dinanzi alla bella vampira che li stava osservando divertita.
« No. Sei bellissimo, davvero,» gli assicurò, baciandogli la
guancia. Era così fiera di lui che le lacrime le velarono lo sguardo chiarissimo.
Jeremy se ne accorse, arrossì e scosse il capo.
« Elena stava per piangere, tu sei commossa,» sbuffò.
« La mamma, invece, sarebbe scoppiata a ridere, di sicuro,»
affermò facendolo ridere. Probabilmente non era vero, ma le piaceva credere che
sarebbe stato così. Forse Miranda sarebbe stata triste, ma l’avrebbe lasciato
andare per la sua strada, avrebbe lasciato che il suo bambino diventasse adulto
al fianco di una donna che sapesse amarlo quanto lei, « A proposito, nostra
sorella dov’è? » continuò guardando verso l’ingresso, ma Elena non era ancora
lì.
« L’ha chiamata nonna Norah. Ha detto che ci raggiunge
appena ha finito di parlarle. Lei e il nonno sono a Miami adesso, gustando cocktail
sulla spiaggia e sperando di vedere David Caruso,» le raccontò divertito
facendole scuotere il capo e sbuffare. I suoi nonni materni, da quando Miranda
si era sposata e Jenna aveva compiuto la maggior età, avevano deciso di fare un
giro del mondo che non avevano interrotto mai. Erano tornati solamente al
funerale di Miranda e Grayson, erano troppo lontani per tornare per quello di
Jenna. Erano dall’altra parte del pianeta, in Croazia. Sua nonna Norah era uno
spirito libero e Miranda aveva ereditato il suo carattere forte e indomito da
lei mentre Jenna somigliava totalmente al nonno Chris.
« Spero non le abbiate detto che sono tornata in città,»
esclamò preoccupata. Non voleva che loro sapessero del suo rientro. Era certa
che sua nonna le avrebbe urlato contro di essere una svergognata per aver
abbandonato tutto il quel modo così sciocco e insensibile.
« Perché no?» domandò Jeremy prima di schiudere maggiormente
gli occhi dalla comprensione, « Già, prenderebbe il primo volo soltanto per
ucciderti, giusto. Comunque non le ho detto niente e penso nemmeno Elena,» asserì
dolcemente. Nicole stava per chiedergli con chi e Jeremy captò quel pensiero.
Sul suo bel volto apparve un’espressione di pura contrarietà che le fece già
intendere chi fosse il suo accompagnatore, « Ha detto che l’accompagnerà Damon.
Ed evita di fare quella smorfia compiaciuta. Io non sono d’accordo.»
« Ma starai in silenzio e ti godrai la festa, non facendo
rammaricare Rebekah per averti invitato. È un’anima pia e gentile se ha deciso
di fare quest’arduo gesto di...,» si interruppe guardando Bonnie, sotto braccio
di Kol, mentre saliva la scalinata. Era semplicemente splendida. Aveva un abito
grigio e nero, senza spalline, lungo e stretto intorno ai fianchi e alle gambe
con il corpetto impreziosito da dei disegni di perle brillanti, « Ciao, Bon. Sei venuta?» le chiese, dimentica
totalmente di suo fratello. Kol sembrava piuttosto soddisfatto, infatti le
rivolse un bellissimo sorriso e le fece l’occhiolino mentre Bonnie, in
imbarazzo, sorrideva e annuiva. Si era truccata pochissimo, solo con un ombretto
scuro e brillante, e aveva lasciato i capelli sciolti, fermati alla sinistra
con un fermaglio di perle bianche.
« Perfetto, ci siamo tutti,» esclamò Esther guardando i suoi
figli, abbracciandoli con i suoi occhi accoglienti. Klaus le passò l’indice sul
braccio nudo e Nicole si sentì quasi avvampare per quel tocco così pacato, ma
che le scatenava miliardi di sensazioni, « Possiamo fare il nostro discorso di
apertura? Vorresti pensarci tu, mio caro?»
« Certamente, madre,» rispose Elijah. Era il fratello maggiore
e spettava di diritto a lui accogliere gli invitati nella loro casa. Nicole
guardò verso Jeremy e Bonnie, facendo loro cenno di scendere. Percorsero la
scalinata e la giovane bionda percepiva gli occhi appassionati di Klaus fissi
sulle sue spalle per tutta la durata della discesa, poi Jeremy si eclissò,
andando a prendere dello champagne e Bonnie si diresse verso Elena, Damon e
Stefan. Elijah intraprese il suo discorso, ma Nicole non lo udì nemmeno intenta
a guardare Klaus. Era stata una sciocca. Come poteva anche solo pensare che
l’amore che lui nutriva potesse essere sminuito dalle parole che non aveva
ancora pronunciato? Klaus l’amava, quello sguardo colmo di protezione, affetto
e amore era inequivocabile. Nicole gli sorrise, dolcemente, con tutto l’amore
di cui disponeva prima di essere affiancata da una donna alta. Notò il rosso
scarlatto del suo vestito e le rivolse uno sguardo con la coda dell’occhio. Non
la conosceva. Poteva avere poco meno di trent’anni e aveva gli di un azzurro
inteso, il volto ovale più aguzzo sugli zigomi pronunciati e i capelli rossi e
ricci. Sorrideva, guardando verso la scalina. Osservava Finn, ne era certa.
« Tu sei la ragazza di quel pazzo furioso di un ibrido
psicopatico, vero?» le domandò leggera facendola sobbalzare. Klaus si mosse a
disagio, probabilmente l’aveva ascoltata e Nicole si volse completamente verso
la donna. Aveva una voce da soprano, avrebbe detto, sarcastica e superiore.
Notò che portava un anello all’anulare e comprese che era una vampira, e una
molto anziana per il pallore delle sue gote, « Io sono Sage, la…»
« La fidanzata di Finn?» la interruppe, sorridendo appena.
Non le piaceva come avesse chiamato il suo Klaus, ma in fondo quella donna le
sembrava davvero molto carismatica e il suo atteggiamento la incuriosiva. La
donna distese maggiormente le labbra e annuì, prima di guardarla. Finn si era
ormai accorto di lei e l’emozione nel suo sguardo scuro era stata la prova
dell’amore che ancora nutriva verso di lei, « Mi chiamo Nicole, comunque,» si
presentò. Sage rise e l’affiancò totalmente.
« Sei anche amica di quella stronza snob?» chiese poi guardando
verso Rebekah che le rivolse un sorriso di scherno. Elijah aveva appena
terminato di parlare e stava scendendo verso Carol mentre Klaus le raggiungeva
a passo deciso.
« Sage, che bella sorpresa,» esclamò con un falso sorriso
stando dinanzi a lei. L’espressione nei suoi occhi era di pura irritazione.
Forse sperava che si fosse dimenticata di suo fratello. In fondo erano
trascorsi novecento anni, ma l’amore di Sage doveva essere davvero fortissimo,
« Finn ti sta osservando da circa… dieci minuti. Faresti meglio ad andare da
lui e trattenere i tuoi insulti per te, mia cara,» esclamò infastidito mentre
Sage sorrideva sorniona prima di guardare il suo Finn avvicinarsi a loro. Si
stava trattenendo a stento dal correrle incontro e Klaus quasi fece una smorfia
disgustata. Internamente la giovane strega scosse il capo, « Nicole non ha
tempo da perdere con una come te,» soffiò prima che Sage lo fulminasse con lo
sguardo e si voltasse verso di lei.
« Spero che tu stia attenta,» esclamò premurosa inchiodandola
con i suoi occhi di ghiaccio. Finn affiancò Klaus, ma la donna quasi non se ne
accorse, « Questa famiglia, i Mikaelson, non sono persone sane di mente. E il
tuo Klaus, tanto amato, non è che un assassino della peggior specie,» continuò
più malevola, scoccandogli un’occhiata di puro fuoco che la fece sobbalzare, « Non
ha fatto che disseminare corpi smembrati, distruggere vite, quelle dei suoi
fratelli, della sua famiglia persino, e arrecare sofferenza per mille anni. Tu
sei una strega, puoi comprendere ciò che ti sto per dire. Non farà altro che
distruggerti. Io mi guarderei le spalle da un mostro del genere,» le consigliò
prima di voltarsi, lasciandola scossa da quelle parole. Non farà altro che distruggerti. Chinò lo sguardo sul pavimento di
marmo scintillante sotto di sé e si accorse che i due vampiri erano spariti.
Rimaneva solo Klaus. Non le credeva, no, mai. Lo amava, più della sua stessa
vita, avrebbe fatto di tutto per lui, avrebbe perso tutto a causa del suo
amore. Rialzò lo sguardo e lo puntò in quello di Klaus che la osservava ancora,
tentando di comprendere a cosa stesse pensando, come se avesse creduto sul
serio che avrebbe potuto ponderare sulle parole di Sage. Gli si fece
maggiormente vicina, gli sorrise rassicurante e gli prese la mano,
intrecciandola con la sua. Klaus sembrò stupito da quel gesto così affettuoso,
ma subito dopo sorrise, comprendendo che il suo amore superava tutto. La
strinse a sé, incurante di ogni persona che potesse vederli, e posò le labbra
sulle sue, lambendole in un lieve bacio che le scaldò il cuore. Forse era cieca
poiché non voleva vedere che Klaus era un assassino, ma era noto: l’amore non
era che un destino rassegnato, una mano perdente. Ed era disposta a perdere
tutto pur di averlo ancora con sé.
« Ci perderemo il
ballo di apertura, tesoro,» gli sussurrò scostandosi di poco. Klaus sorrise e
la condusse all’interno della sala dove la musica risuonava alta e sublime.
Notò che tutti loro avevano preso posto. Jeremy e Rebekah, Kol e Bonnie, Mikael
e Esther, Finn e Sage, Damon ed Elena, persino Elijah e Carol. Klaus danzava
con una tale leggiadria che quasi si sollevavano dal pavimento e Nicole si
appoggiò lui, immergendosi nei suoi occhi, vogliosa che nulla potesse
separarli. Ma Klaus sbuffò irritato e la trasse maggiormente a sé, prima di
rivolgere uno sguardo di fuoco a qualcuno che danzava poco distante.
« Gli staccherò davvero la testa se non la smette di
fissarti,» soffiò malevolo e dardeggiante mentre Nicole seguiva la traiettoria
dei suoi occhi fino a immergersi in quelli color del ghiaccio di Damon. La
stava scrutando come la sera in cui aveva scoperto la sua storia e Nicole si
sentì talmente a disagio da tenere più stretto Klaus. Non v’era altro da
scoprire su di lei, ma quello sguardo non le piaceva. Damon mormorò qualcosa di
inudibile per lei, « Dobbiamo andare di là, ha detto che c’è qualcosa che
devono mostrarti,» le comunicò appena la musica fu finita. Scambiò un’occhiata
d’intesa con i suoi familiari ed Elijah si congedò da Carol per seguirli in una
sala laterale, quella stessa dove prima v’erano state le tombe.
« Che sta succedendo?» domandò a sua sorella che scrollò le
spalle e rivolse uno sguardo a Damon.
« Non ne ho idea.» V’era anche Stefan al fianco di suo
fratello e sembrava tanto rilassato da farle aggrottare le sopracciglia. Non
riusciva a comprendere cosa stesse accadendo e la mano di Klaus poggiata sulla
sua schiena non contribuiva a farla sentire meglio. Elena perdurava a guardare
Damon e i suoi occhi scuri erano come indecifrabili per il resto del mondo, ma
lei la conosceva bene. Quello sguardo simboleggiava solamente amore e infinito
affetto per Damon. Il vampiro dagli occhi di ghiaccio sghignazzò poco dinanzi
alle loro espressioni sorprese e incredule prima di sorridere sornione.
« Indovinate così ha trovato il nostro squartatore di
coniglietti nel bosco? » domandò indicando suo fratello che sbuffò sonoramente
per quell’appellativo, « No. Non il lupo cattivo,» continuò rivolto a Klaus che
soffiò e si mosse inquieto al suo fianco mentre Damon estraeva qualcosa dalla
tasca dei pantaloni eleganti. Nicole notò solamente che luccicava, « Ma questo,»
aggiunse mostrandolo. Era un bracciale, quasi infantile, sicuramente un dono di
un ragazzo verso la sua amata. Nicole sobbalzò e sgranò gli occhi chiarissimi,
scostandosi da Klaus per avanzare verso Damon, « Qualcuno di voi lo riconosce?»
aggiunse in una richiesta totalmente inutile. Guardandolo più da vicino lo
riconobbe totalmente. Era un bracciale di Tiffany, dalle maglie di argento e un
cuore semplice e discreto, con una scritta incisa nel metallo. Sempre tuo, JG.
« Isobel. Era il braccialetto di Isobel. Dove l’hai trovato?»
sussurrò emozionata. Non poteva crederci. Sua madre non se ne separava mai, o
almeno nelle due volte in cui l’aveva vista.
« Certe volte penso che nessuno mi ascolti,» sbottò con
finta irritazione mentre la giovane strega si sporgeva per accoglierlo tra le
sue dita. Quando lo sfiorò delle immagini mitigarono tutti suoi dubbi. E tutto
quanto tornò al proprio posto.
http://oi50.tinypic.com/23k6q1t.jpg vestito di Bonnie
http://oi48.tinypic.com/169hugg.jpg vestito di Sage