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Autore: Due Di Picche    14/07/2012    2 recensioni
«Allontanati Valley, non riesco a guardare i fuochi».
«Non li vedresti comunque e poi non sono così belli».
«Se è per questo nemmeno tu sei un bello spettacolo». La mia voce cominciò a tremare quando mi accorsi che le mie parole non combaciavano con i miei pensieri.
«Stai mentendo».
«Non è vero!», ribattei. Non avrei mai ammesso davanti a lui di provare qualcosa nei suoi confronti.
«Allora provamelo. Guardami come sempre, con ira. Dimmi che mi odi, Ginevra!»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due parole...

Eccoci al quarto capitolo. L'estate è inoltrata e il caldo rischia di tenermi lontano dal PC e più al mare: ma ci tengo ad aggiornare (man mano che mi revisiono capitolo per capitolo con l'aiuto di qualche amica) questa storia che incomincia a prendere anche voi lettori.
Come noi, anche Aaron e Ginny sono in piena estate. Il capitolo che affronterete mi piace in maniera particolare perchè l'ho costruito basandomi su esperienze personali soprattutto nel finale.
Ringrazio chi segue e commenta questa divertente commedia e sono felice che Meteora89 sia riuscita a ritrovare questo racconto che avevo già pubblicato in precedenza! E un abbraccio come al solito a Alyce_Maya!
Buona lettura a tutti <3

*** 



4.Perché mi rovini le giornate…
 

Ero seduta nell’ultima fila in quel pullman pieno di gente. Accanto a me c’erano Sue Mason e Eleonor Lake, due mie compagne di squadra. Era sabato ed eravamo dirette al mare.
Alla fine avevo comprato un costume. Bianco. Era quello che mi stava meglio secondo il loro parere. Un bikini semplice e da pochi soldi. Indossavo i miei soliti short, una canottiera e il cappello da cow boy. Un capello immancabile per me, per le mie gite, per le mie vacanze. Nella tracolla avevo il minimo indispensabile per tutta la giornata, notte compresa: mi avevano convinto a dormire sulla spiaggia.
Sue, nel suo vestito a fiori, era tutta eccitata all’idea di portarmi al mare, anche se, dopo avermi vista in costume aveva detto “Io non ho intenzione di togliermi il vestito se tu ti metti in costume”
Eleonor invece era una ragazza alta, magra, dai capelli corti neri la pelle olivastra, lei e non appena mi aveva vista in bikini si era limitata a dire “Mi sa che metterò il reggiseno imbottito”
Belle amiche! Prima mi supplicano di andare al mare e poi si lamentano perché le faccio sfigurare.
La spiaggia era a tre quarti d’ora dalla città. Ci ero stata spesso da piccola e rare volte dopo esser entrata alla scuola superiore. Avevo altro da fare infondo. Quello era il mio ritorno dopo anni. La giornata era maledettamente splendida, il clima allegro, la sabbia bollente e l’aria salmastra riuscì a strapparmi un invisibile sorriso pieno di amari ricordi.


 
Me ne stavo al bar su quella spiaggia affollata ad osservare le belle ragazze che passavano, che si fermavano, che ci chiedevano un autografo. Dio che nervi, e non me ne potevo fare neanche una!
I Black Out quel sabato sera, avevano un concerto sulla spiaggia. E quindi eccomi qua, io e il mio gruppo, a passare noiose ore al  chiosco o quel cavolo che era, senza poterci divertire.
Non facevo che vantarmi del mio successo ma, tuttavia sotto certi aspetti, era tremendamente faticoso mandare avanti quella vita.
Sbadigliai abbassando gli occhiali da sole e appoggiando la testa sul tavolo. Misi il broncio e sbuffai. Matt notò il mio stato scazzato “Pensavi che avremmo avuto vita facile?”
“Beh, si! Qui invece è una noia. Sono appena le undici di mattina e incominciamo a suonare appena alle otto di sera. Morirò!”
In quel momento vidi arrivare il nostro capo band, Sven, che sicuramente aveva sentito le mie lamentele. Mi rivolse un’occhiata seria “Non. Fare. Casino.”
Poteva scandire quanto voleva le parole, ma sicuramente non avrei messo in pericolo la mia immagine. Non gli risposi per le rime. Con lui non potevo. Chi la sentiva poi Marina se avessimo incominciato a litigare? Io e Sven non eravamo mai andati molto d’accordo, o forse, ero io che semplicemente non volevo andare d’accordo con quello che mi aveva rubato l’unico amore della mia vita.
Fissavo la spiaggia a vuoto. Fissavo le ragazze. Fissavo la libertà delle persone.
 
Mi tolsi senza problemi i miei indumenti restando in costume. Tenni il capello da cow boy. Il sole picchiava alto nel cielo e  nonostante il caldo infernale, l’acqua mi sembrò comunque gelida. Preferivo decisamente il caldo al freddo perciò non mi bagnai oltre i fianchi. Poi la sola idea di riempirmi i capelli di sale. Era terribile.
“Ti perdono Ginny. Però se entro la giornata non fai un bagno completo ti buttiamo noi” mi rimproverò Sue mentre sguazzava nell’acqua salmastra.
Io e Eleonor decidemmo di costeggiare la spiaggia con una piacevole camminata.


 
Stavo per addormentarmi sul tavolo dopo aver bevuto una granita al limone. Tutto ciò era terribile. Non mi ero mai annoiato così tanto in vita mia. Osservavo il mare. Sven mi aveva proibito di metterci piede. Caldo.
Il mio sguardo distratto si posò su una coppia di ragazze che passeggiavano sulla sabbia. Non so perché proprio su di loro, forse perché una era tremendamente famigliare. Il costume bianco le stava divinamente. Un corpo da favola, tanto da mozzarmi il fiato, e scatenare i miei istinti animali.
Una folata di vento le fece scivolare all’indietro il cappello da cow boy mettendole in risalto il viso angelico dall’espressione indifferente. Capelli biondi. Sbattei più volte le palpebre per metterla a fuoco. Non sapevo se definirla fortuna o sfortuna perché quella ragazza era proprio Ginevra Wilson.
 

Successe tutto in fretta, molto velocemente. Sentii una presa ferrea al polso che mi obbligò a voltarmi di scatto. P ersi l’equilibrio. Il mio amato capello mi scivolò sulla schiena. Mi sentii mancare la sabbia sotto i piedi. Scivolai. Chiusi gli occhi. Non vedevo più Eleonor, ma nemmeno il cielo azzurro.
Mi accorsi di essere sdraiata a terra con qualcosa che mi faceva ombra.
Quando ebbi il coraggio di aprire gli occhi fui obbligata a immergermi in due gemme color smeraldo racchiuse da due riquadri spessi, neri e rettangolari, un paio di occhiali da vista.
 


Volevo fuggire dalla realtà. Avevo bisogno di abbandonare per attimo il mondo che fingevo di amare così tanto ma che, in quel momento, odiavo.
Solo Matt mi fece qualche domanda quando mi vide uscire dalla porta sul retro con un paio di spessi occhiali da vista, un berretto di lana nero in testa, una camicia hawaiana e un paio di jeans corti. Marina e Sven si limitarono a lanciarmi occhiate preoccupate. Mi conoscevano troppo bene per fermarmi, sapevano che non avrei retto tutto il giorno senza far niente.
Corsi a piedi nudi sulla sabbia bollente. Nessuno mi riconosceva anche se, molti sguardi erano puntati su di me. Dopotutto uno con un berretto di lana d’estate non si vede tutti i giorni. Continuai a correre finché non la raggiunsi. Raggiunsi Ginevra.
Lei conosceva la mia identità . E dire che la odiavo, ma infondo dovevo pur rompere le scatole a qualcuno.

 
Quegl’occhi così maledettamente famigliari da farmi venire la nausea. Quei capelli neri che spuntavano ribelli da quell’insolito berretto di lana. Poi quel sorriso: sghembo e ironico.
La situazione era imbarazzante ma non me ne preoccupai. Ero distesa sulla sabbia con lui sopra di me, l’uomo peggiore che avessi mai conosciuto e che, purtroppo, avevo subito riconosciuto: non riuscii a trattenermi e per istinto gli tirai immediatamente una testata. Fronte contro fronte spinsi il più lontano possibile da me Aaron Valley.

 

“Si può sapere che cazzo ci fai qui?” mi urlò lei in modo sboccato mentre mi rotolavo sulla sabbia con una mano sulla fronte. Dio, che violenza. Perché mi maltrattava anche a gesti ora?
“Mi stavo annoiando.”
“Vatti a trovare qualche troia che te la dia facilmente. Non rompere a me. Comunque è impossibile che tu sia qua proprio lo stesso giorno che ci sono anche io. Impossibile!” urlava con grinta. Urlava corrugando la fronte. Mi odiava.
Io le sorrisi. Era troppo divertente vederla arrabbiata. Per la prima volta forse avrei apprezzato la compagnia della Wilson “Oggi abbiamo un concerto. Questa sera.”

 
Il mio sguardo si spostò immediatamente su Eleonor che, fino a qualche secondo fa, era rimasta in disparte. Anche lei, come Sue conosceva il mio lato rude, perciò non si meravigliò della parole che rivolsi a quel ragazzo a lei sconosciuto. Era meglio poi non rivelarle l’identità di Valley in quel momento.
“Tu lo sapevi?” dissi alzandomi in piedi e rivolgendomi alla mia amica imbambolata.
“Cosa?” mi disse lei facendo finta di niente.
“Che oggi avrebbero suonato i Black Out?”
“Ah! Si!, siamo venute oggi apposta. Idea di Sue ovviamente”
La mia giornata era ufficialmente rovinata ora che Valley era lì. Ora che lui mi aveva trovata in mezzo a tutta quella gente. Perché proprio io?


 
Dopo essermi ripreso dalla botta, afferrai Ginevra per un polso “Lei me la prendo io per tutta la giornata” dissi infine alla ragazza, quella con i capelli corti, mentre trascinavo di peso la sua amica lungo la spiaggia.
Era pesante, a dire il vero faceva parecchia resistenza. Cercai di non guardarla. Di non posare i miei occhi curiosi sui suoi fianchi, sul suo seno, sulle sue gambe. Era maledettamente attraente  e quel costume da bagno le faceva risaltare le forme. La odiavo proprio tanto a dire il vero.
“Non sono il tuo giocattolo Valley. Ti prego. Ci sono mille ragazze su questa spiaggia. Non io”
“Non devo svelare la mia identità, ma tu la conosci e saresti l’ultima persona che andrebbe in giro a vantarsi di essere in mia compagnia, Wilson”
Lei si dimenò e io mollai la presa. Si sistemò il capello da cow boy e incrociò le braccia. Perché incrociare le braccia dico io? Quel gesto, che era diventato un’abitudine, mi stava facendo impazzire. Se non fossi stato consapevole che la ragazza davanti a me era proprio Ginevra Wilson, le sarei già saltato addosso.
“Devo solo sfuggire dalla realtà per un giorno. E tu sei la mia realtà quotidiana. Un mio problema. Non ti chiedo molto Valley. Oggi e poi basta.” il suo tono si fece quasi supplichevole. Però non era una buona ragione per rifiutare la mia compagnia. Io ero nella sua stessa situazione anche se, la realtà, non mi poteva sfuggire di mano neanche per un secondo: avevo scelto la vita della star.
“E io ti chiedo qualche ora.” Infondo non sarei in quelle condizioni da nerd sfigato se non avessi una buona ragione “La mia realtà mi perseguita. Ho quello che ho sempre voluto dalla vita: successo; però è pesante.”
 

Sembrava quasi serio mentre parlava. Ci pensai. Entrambi volevamo fuggire dalla vita quotidiana ma nessuno dei due riusciva a sopportare la presenza dell’altro. O almeno io non avevo intenzione di passare la mia giornata di riposo in sua compagnia. Lui però era solo, aveva solo me. No! Non mi poteva far pena. E poi non volevo rientrare nei passatempi di Valley, come giochini erotici e porcherie simili.
Lo fissai. Era strano vederlo con addosso degli occhiali e un capellino di lana, era strano vederlo fuori dall’ambito scolastico. Alla fine cedetti perché non potei fare altro, ma misi in chiaro una cosa.
“Prova a mettermi le mani addosso, e sei morto!”
Spostai lo sguardo da lui e lo rivolsi al mare. Non lo avessi mai fatto perché immediatamente non sentii più i piedi sulla sabbia. Valley mi prese in braccio. Braccia forti, salde, sicure. Mi imbarazzai ma non lo feci notare.
Quando Aaron mi mollò finii nell’acqua salata. Era fredda e mi fece rabbrividire. Riemersi immediatamente: il fondale era basso. Da anni nessuno mi buttava in acqua prendendosi gioco di me. Avevo persino dimenticato il sapore del sale sulle labbra e quella leggera adrenalina che ti procurava lo stato di immersione.
Vidi il mio capello da cow boy galleggiare vicino a me. I miei capelli zuppi di sale mi si appiccicarono ai lati del viso. Valley, invece, se ne stava in piedi e rideva soddisfatto. Corrugai la fronte e mi alzai. Lui era asciutto? Bene. Ora non lo sarebbe stato più. Lo schizzai presa dalla rabbia del gesto che aveva compiuto. Cominciando così la giornata non osavo immaginare come sarebbe andata a finire.
Mi mostrai infuriata anche se, dentro di me, una sensazione chiamata “divertimento” faceva di tutto per non essere rivelata.


 
In quelle poche ore prima del concerto volevo a tutti i costi far sorridere Ginevra. Così, solo per curiosità. Però sembrava che tutto quello che facessi la irritasse ancora di più. Passi per averla buttata in acqua, volevo solo aver la soddisfazione di toccarla per un attimo.
Con il berretto di lana faceva leggermente caldo, ma dovevo sopportare se volevo godermi la giornata. Diedi alla Wilson la mia camicia hawaiana perché troppi ragazzi cercarono di abbordarla quando la lasciavo sola. Mi dava un po’ di fastidio la facilità con cui le mettevano gli occhi addosso nonostante fosse in mia compagnia ma, in quel momento non ero Aaron dei Black Out, solo un nerd sfigato.
Ginevra era divertente. Vederla imprecare mentre correva sulla sabbia bollente. Vederla concentrata a sciogliere tutto il ghiaccio della granita. Vederla mentre mi spiegava il movimento delle onde, argomento che avrei dovuto studiare per fisica. C’erano molti lati che mi attiravano di lei oltre al suo corpo. Molti aspetti che non avrei mai sospettato che potesse avere e (penso) un modo di divertirsi tutto suo senza darlo troppo a vedere.
“Ti piace molto la Wilson” il commento di Marina mi irritò parecchio. Mi stavo avviando in bagno quando la vidi seduta all’ombra di un ombrellone intenta a sorseggiare un succo. Indossava solo un semplice vestito nero e i suoi capelli scuri erano raccolti in una coda alta. Cercai di evitarla ma lei continuava a infastidirmi commentando il mio abbigliamento anti  fan “Se sei perfino disposto a conciarti in quella maniera per divertirti un po’, vuol dire che non ti dispiace”
Sapevo che Marina non lo faceva apposta ad irritarmi. Lei non sapeva niente di me e di quelle emozioni ancora vive che provavo nei suoi confronti “E’ solo un passatempo.”
“Se fosse un semplice passatempo allora saresti già in un angolo a scopartela, invece ti limiti a parlarle. Strano, è la prima volta che hai un atteggiamento simile. Sarà!” la sua voce sensuale mi fece ribollire il sangue nelle vene. Sicuramente, tanto presa da Sven, si era dimenticata di quel “noi” che c’era stato una volta.
Andai in bagno. Quando uscii lei era ancora lì. Le passai accanto e le dissi, senza incrociare i suoi occhi blu marino “Beh, se vogliamo un esempio: dopo sei mesi che sono stato con te eri ancora puramente candida.”
Non vidi l’espressione che fece, mi limitai a correre in spiaggia. Corsi a tormentare la Wilson che osservava un granchio. Corsi lontano da una realtà che mi faceva impazzire.

 
Non potevo definirla la peggiore delle giornate perché, senza metterlo troppo in evidenza, mi stavo maledettamente divertendo. Era dura da ammettere. Aaron era una persona allegra, solare, energica e stupida . Sicuramente non aveva preoccupazioni nella vita. Era una star che in quel momento voleva vivere da comune mortale.
Star. Conoscevo i problemi che avevano le persone famose. Sapevo cosa volesse dire esser stata la figlia di una grande attrice. Anche mia madre tempo fa, si conciava in modo assurdo per uscire, nascondendosi alla luce del sole per avere un po’ di libertà. Una volta però. Ora la grande McGrey non brillava più da qualche anno. Sospirai decidendo di non pensarci. Quella giornata serviva per scappare dai problemi, non per continuare a tormentarsi.
Aaron aveva tre volti nella sua vita: il primo quello del donnaiolo, studente e ragazzo poco raccomandabile; il secondo quello del bambino che amava giocherellare, scherzare e prendermi in giro; il terzo lo scoprii quando salì sul palco, dietro quella batteria rosso fiammante. Mi irrigidì quando incominciò a battere sui vari “tamburi” che la componevano con quelle bacchette in legno. I capelli ondeggiavano, lo sguardo attento, il sorriso stampato in faccia: adrenalina allo stato puro.
Sorseggiavo un drink che mi aveva passato Eleonor mentre, insieme a quest’ultima e Sue, ammiravo il concerto dei Black Out. Tutte e due erano gasate. Urlavano. Sorridevano. Io guardavo con indifferenza mentre quello strano succo mi intorpidiva le labbra, entrava nella mia bocca, scendeva giù nella gola e, man mano una strana sensazione riempiva la mia testa.
Indossavo i miei vestiti, il mio capello e in mezzo alla folla assistevo al mio primo concerto. Non sorrisi. La musica rock non mi piaceva. Un mondo sconosciuto, un’altra vita.
Chiusi gli occhi e continuai a sorseggiare, quello strana bevanda dal gusto forte che sapeva di libertà.
Alle mie orecchie finalmente arrivò la canzone di “Princess on Ice” l’unica che ero capace di apprezzare. La cantante, Marina McChervelle, molto famosa per la sua bellezza anche a scuola nostra, duettava con il chitarrista dalla chioma bionda. Capii che non era la voce di lei a farmi venire i brividi, ma quella di lui. Sembrava che le parole stesse gli appartenessero.  Feci una supposizione: l’aveva scritta lui!
“La tua lama ha tracciato un segno indelebile sul mio cuore“
era la stessa strofa che aveva cantato Aaron quel giorno. Chiusi gli occhi assimilando altre frasi. Chissà perché quella canzone, per quanto potesse essere dolce, riusciva a rendermi malinconica.
“Stai continuando a sorprendermi / Vivo delle tue note / Tu le crei e io le raccolgo”
La batteria di Valley scandiva quelle parole d’amore.
“Mia Principessa sul ghiaccio / Riuscirai ad ispirarmi ancora?”
La mia testa incominciò a girare. Avevo finito quello strano succo.
“Scusate, vado in bagno.” Dissi a Sue e Eleonor. Bugia. Scappai sulla spiaggia.
Le mie amiche non mi chiesero spiegazioni. Non notarono i miei occhi lucidi e umidi di lacrime. Quella canzone aveva avuto di nuovo un brutto effetto su di me.


 
La cercai invano dopo il concerto. Dopo gli autografi. Non so perché ma volevo vedere la Wilson, volevo sentirle dire quanto ero stato figo su quel palco. Quanto ero bravo a suonare la batteria. Volevo che mi lodasse per una mia qualità, visto che non faceva altro che offendermi.
Era buio. Mi misi solo quei falsi occhiali da vista. Il minimo indispensabile per non farmi riconoscere.
Chiesi di lei alle sue amiche quando le incontrai alla festa al bar. Nessuna delle due sapeva dirmi dov’era. Recuperai una bottiglia di vodka. Sembravo impazzito eppure la cercavo ininterrottamente. La vodka alla pesca scese giù nella mia gola. Solo un sorso. Mi sentivo pazzo nel cercare proprio lei. Poi la trovai.
Guardava il mare. Da sola sulla spiaggia illuminata dalla luce della luna.
“Wilson” urlai.
Si girò di scatto. Il suo capello da cow boy le scivolò sulla schiena, i suoi capelli biondi ondeggiarono. Mi tolsi gli occhiali da vista che mi facevano sentire un nerd sfigato per metterla meglio a fuoco man mano che mi avvicinavo.
Dio se era bella!
La raggiunsi. Lei sorrise. Si! Sorrise dolcemente. Perché stava sorridendo di fronte a me? Capii successivamente che non aveva il controllo delle sue emozioni, lo capii dall’odore di alcol che la circondava.

 
Non so per quanto tempo rimasi a osservare il mare. L’orizzonte, illuminato dalla luna, mi faceva riflettere sul perché non l’avessi mai superato.
Mi sentivo piena di energie e sorridevo. Non potevo fare a meno di sorridere stupidamente. Anche quando Valley mi trovò la mia espressione non si decise a mutare ma, non me ne resi conto.
Aaron mi si avvicinò e sfoderò una bottiglia dicendo “Beh, vedo che hai già bevuto”
“Cosa? Io sono sobria” dissi prendendo con forza la bottiglia dalle sue mani. La sua presa non era molto salda. L’aveva fatto apposta. Voleva farmi bere. Ma bere cosa?
Un sorso. Il gusto era simile a quello che aveva ingerito prima. Mi resi conto solo in quel momento che era alcol.
“Tu sarai la mia rovina Valley” sussurrai con aria maliziosa sorridendo. Dio! Stavo bevendo per la prima volta.


 
Le presi la bottiglia dalle mani. Ricambiai il sorriso. Era molto bella con quell’espressione.
Un sorso anch' io. Avrei voluto ubriacarmi del sorriso della Wilson a dire il vero.
“Allora? Ero figo sul palco vero?” dissi passandole la bottiglia. Un sorso lei, un sorso io. Ginevra non rifiutava.
Rise di gusto “Si. Molto. Ma non pensare di essere rivalutato solo per questo”
Con la bottiglia in mano incominciò a piroettare sulla sabbia come una bambina guardando in alto.
Le presi la bottiglia. Lei mise il broncio “E così sei un’alcolista, eh?”
“A dire il vero è la prima volta che bevo. Vedi, tu sarai la mia rovina. Tu, la tua musica, il tuo mondo. Tu e basta”
 

Notai Valley avvicinarsi a me. Pazza a non allontanarmi. Mi ripresi la bottiglia avara del suo contenuto. Era la prima volta che ingerivo cose malsane. Non me ne accorgevo, tutto mi andava in testa senza rendermene conto. Lui rientrò in possesso della bottiglia.
“L’alcol ti fa un brutto effetto Wilson: stai sorridendo!” E dopo questa frase mi ripresi la bottiglia.
Avevo voglia di ridere. “E tutta colpa di questo liquore. Oddio come mi gira la testa. Oddio”


 
Si stava ubriacando con della vodka alla pesca, io di lei invece. Quel lato di Ginevra era troppo divertente, troppo intrigante. Quel carattere malizioso unito al suo corpo mi eccitava troppo. Tentai di farmi vicino. Sempre di più mentre la bottiglia passava dalle mie mani alle sue.
“Proprio non lo reggi l’alcol, eh?” la punzecchiai.
“Se sono capace di reggere te figuriamoci questa roba, una passeggiata”
 
 
Le parole mi uscivano da sole. Non mi rendevo pienamente conto di ciò che dicevo. Pian piano però vedevo i miei problemi dissolversi all’orizzonte. Vedevo la vita che mi ero rifiutata di vivere come un onda intenta a travolgermi.
“Stai sclerando Ginevra!” la voce di Aaron era vicina. Molto vicina.
Non so quanta distanza ci fosse tra me e Valley. Mi girava la testa. Non avevo mai bevuto in vita mia perciò non conoscevo i miei limiti, eppure continuavo a ingerire quella bevanda dolcemente forte.
Il suo sguardo era sempre più vicino. Molto vicino. Rimasi immobile.


 
Ritrovarmi fronte contro fronte con lei fu la cosa più strana che mi potesse capitare, non avevo idea di come fossi riuscito a trattenermi dalla tentazione di baciarla fino a quel momento.
Le accarezzai un braccio. La mia mano scese arrivando alla sua che, salda reggeva la bottiglia di vodka.
“Sai, quando sorridi anche la tua faccia e quasi sopportabile”
Tra il bere prima e dopo il concerto, forse stavo andando anch' io. Non potevo averle appena rivolto un complimento.
Troppo bella da sedurmi, troppo vicina da tentarmi. La odiavo. Non volevo ammettere che stavo perdendo la testa per Ginevra perciò diedi la colpa all’alcol.
Mi sembrò di tornare nel passato perché la sensazione che mi coinvolse l’avevo provata solo una volta nella vita, ma troppo tempo fa per ricordare quando.
Cercai le sue labbra. Ci sfiorammo un istante perché successivamente, sentii lei cadermi addosso.
Sorreggevo Ginevra. Dio! Cosa le era successo ora?
Mi sedetti a terra, sulla sabbia, con lei tra le braccia. Coma etilico? No, si era addormentata. Sorrisi e mi distesi tenendo la Wilson stretta a me. Che situazione insolita. Che sensazione insolita avevo provato!

   
 
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